Rassegna stampa etica

Quei giochi di prestigio per non dire «eutanasia»

«Signor Englaro, converrà con me che su questo punto si innesta un altro problema: c'è chi autorevolmente paventa il rischio che questo sia il primo passo verso l'eutanasia», diceva con gravità Fabio Fazio a Beppino Englaro, ospite a Che tempo che fa, il 21 febbraio.

«Vogliamo spiegare che differenza c'è fra l'eutanasia e invece questo tipo di soluzione che il testamento biologico potrebbe proporre, qualora comprendesse anche la sospensione della nutrizione e dell'idratazione forzata?» suggeriva con pedagogico zelo il conduttore. Levata di scudi del padre di Eluana: «Ma lo spiega bene sempre quella sentenza della Corte Costituzionale [in realtà Corte di Cassazione, ndr]! Dove dice praticamente che dire di no a una terapia salva-vita non ha niente a che vedere con l'eutanasia, nella maniera più assoluta. È semplicemente lasciare che la natura faccia il suo corso...». Una malcelata stizza, quasi a sottintendere: 'Basta con chi agita fantasmi e minacce inesistenti'. Il che è quanto meno curioso. Perché ad agitare tali fantasmi è proprio la Consulta di bioetica, l'associazione che ha assistito il signor Englaro nella sua battaglia legale e nei confronti della quale - soprattutto nella figura del bioeticista Maurizio Mori, presidente del sodalizio - lo stesso Beppino ha sempre espresso ammirazione e riconoscenza.

Come si legge in un documento della Consulta sulle cure palliative e sull'eutanasia (2000): «È tempo che anche nel nostro Paese si comincino a discutere le modalità di una modifica del codice penale, e in particolare degli articoli riguardanti l'omicidio del consenziente e l'aiuto al suicidio, al fine di permettere, in condizioni rigorosamente definite e con tutte le opportune garanzie, ivi compresa l'obiezione di coscienza dei medici interpellati, l'assistenza medica al suicidio e l'eutanasia volontaria».

Riassumendo il percorso fatto negli anni da quello che viene chiamato «movimento di rivendicazione dell'autonomia del malato», è sempre la Consulta di bioetica a far presente che la strada che parte dal testamento biologico, inteso in un senso di totale «autonomia» del paziente, non può non condurre, a rigor di logica, verso l'eutanasia: «Il rifiuto dei trattamenti e la formulazione di direttive anticipate non esauriscono la gamma di proposte del movimento per l'autonomia del malato. Le rivendicazioni più forti - e anche più problematiche - avanzate dal movimento sono la legalizzazione o la depenalizzazione dell'eutanasia volontaria e quella dell'assistenza al suicidio. In effetti, se il principio di rispetto per l'autonomia viene preso sul serio, vale a dire se si riconosce a questo principio una priorità rispetto agli altri, non vi sono ragioni di principio che si possano opporre a queste richieste, ma semmai solo ragioni di prudenza».

Ignazio Marino, medico-senatore pd e vessillifero del testamento biologico - formulato nei termini propri della Consulta di bioetica -, dichiarava al Messaggero lo scorso luglio: «Avere a disposizione il testamento biologico non significa legittimare un piano inclinato verso l'eutanasia. Contro la quale mi sono sempre battuto e sempre mi batterò».
Singolare. Non risultano prese di distanze di Marino dall'Associazione Luca Coscioni, a lui così vicina e che solo un mese fa ha organizzato una raccolta di firme per una petizione al Parlamento su «Autodeterminazione, Testamento biologico ed Eutanasia». Né risulta che Marino si sia stracciato il camice per l'usuale schiettezza dei Radicali - nella compagine parlamentare del suo partito - che per bocca di Pannella, pochi giorni fa, hanno ricordato la necessità di una «norma sull'eutanasia controllata e legale». Né si ricordano evidenti rilievi mossi dallo stesso senatore alle numerose voci pubbliche della sua area culturale - da Umberto Veronesi a Corrado Augias, per citare due nomi popolari - che in questi anni hanno associato testamento biologico ed eutanasia, auspicando l'introduzione di entrambi nell'ordinamento legislativo.

La sgradevolissima sensazione che lasciano certe campagne per un testamento biologico all'insegna di un'assoluta autodeterminazione del malato, magari con esibizione di pietas francescana e ammirazione della figura morente di Giovanni Paolo II, è quella di un goffo nascondersi dietro un dito. Che l'eutanasia sia l'orizzonte bioetico che sta dietro al pressing sul bio-testamento è un segreto di Pulcinella.
E a proposito di «piani inclinati» e di sofismi semantici, oltre al caso della Spagna, passata nel giro di quattro anni dall'approvazione del testamento biologico alla discussione sull'eutanasia, resta sempre un punto di riferimento l'Olanda, dove «nel 1993 viene disciplinata l'eutanasia su richiesta con l'eufemismo di 'cessazione attiva della vita' - come ricorda Giorgio Carbone -.
Nel 1995 i giudici iniziano ad avallare casi di 'cessazione attiva della vita' di malati non terminali in stato di sconforto puramente psicologico e di persone incapaci di consenso, come i neonati handicappati.
Poi l'eutanasia è stata praticata su adulti senza il loro consenso. Nel 1998 una riforma legislativa riduce il controllo della procura giudiziaria sulle pratiche di eutanasia».

Non è difficile immaginare, peraltro, come lungo la china che parte dal testamento biologico (che concettualmente è cosa ben diversa dalle Dichiarazioni anticipate di trattamento) e arriva all'eutanasia s'incroci chi pensa di trarre vantaggio da una volontaria e anticipata dipartita del paziente da questo mondo. Basta impacchettare con eleganza la realtà, ricorrendo a motivi pietosi e alla necessità di concentrare risorse limitate su pazienti con qualità di vita superiore, e l'opinione pubblica è servita.
Detto tutto questo, rinunciare allora a forme eufemistiche di 'negazionismo' e chiamare le cose con il proprio nome - per esempio eutanasia al posto di testamento biologico - aiuterebbe semplicemente la chiarezza e l'onestà del dibattito.
Giri di parole, concetti rovesciati, eufemismi: nel dibattito sul «fine vita» seguito all'epilogo della vicenda di Eluana, si fa ricorso a ogni espediente concettuale e semantico pur di non parlare apertamente di «dolce morte» Eppure è a quello che chi guida lo schieramento punta senza mezzi termini

In sintesi
1 Si rivendica l'autonomia del paziente, si chiede il rispetto di ogni sua volontà. Ma si nega che questa è eutanasia.
2 È evidente il tentativo di celare il vero bersaglio finale: una norma che lasci aperta la porta alla morte procurata.

di Andrea Galli
Tratto da Avvenire del 5 marzo 2009