Ritornelli Salmodici per la Santa Messa, Anno B
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- Creato: 18 Agosto 2014
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Dopo questo intro cantato preso dal ritornello alla Epistola della Grande Veglia di Pasqua che, finalmente, dopo il lungo periodo quaresimale ci consente di cantare con tutto noi stessi l’Alleluja iniziamo la presentazione di questo percorso.
Anzitutto Buongiorno e due note. La prima, nella copertina apparsa brevemente è rappresentata la facciata con rosone della Chiesa di S. Antonio Abate e memoria di S. Pietro Celestino in Ferentino che consiglio di visitare per la sua bellezza ed unicità. Un grazie al parroco e p. Rettore Don Angelo Conti per l’uso di questa immagine.
In secondo luogo mi trovo nel Santuario di S. Giuseppe in Spicello, retto dai Paolini. Un particolare grazie al P. Rettore, Don Cesare Ferri e alla famiglia Paolina per questa opportunità.
San Giuseppe è importantissimo nella liturgia, proprio perché è stato l’uomo dell’ascolto.
Ed ora mi presento, sono Paolo Cilia anche se sulla rete mi presento con il nome d’arte Paul Freeman, utilizzato dai tempi di Napster e da quando ho fatto qualche lavoro per il cinema, fine 2000 inizio 2001.
Entrando subito sul vivo della questione prima di rispondere al perché ho desiderato fare e proporre questo percorso sui ritornelli salmodici e anche illustrare come è strutturato questo lavoro ci tenevo a precisare alcune considerazioni generali sul carattere e il peso teologico, spirituale e pastorale della liturgia.
Anzitutto chiarezza sui termini restituendo alle parole il loro valore.
Quando udiamo il termine liturgia utilizziamo tale termine per indicare atti di culto. L’etimo del termine infatti, dalla lingua greca, significa atto del popolo e a favore del popolo, a favore del bene comune. Prende la sua genesi etimologica dalle prime leggi in Atene, in Grecia, da ciò che in ambito civile e talvolta militare facevano i cittadini più benestanti per il bene collettivo e pubblico, artistico e anche militare.
Con la traduzione dei LXX tale termine è stato utilizzato per indicare i gesti di culto del sommo sacerdote al tempio.
Solo che, volendo rispettare la storia della Salvezza nella Bibbia, il Manifestarsi di Dio sin dall’antico testamento e tanto più nel nuovo con l’istituzione dell’Eucarestia, con il ministero della Parola del Signore Gesù Cristo e con l’Economia soteriologica Pasquale, siamo davanti non tanto ad una “liturgia” ma all’Ergon Tou Theou”, cioè davanti all’opera di Dio.
In sostanza quando parliamo di liturgia dobbiamo tradire l’etimo e riconoscere, anzitutto, che prima di essere opera nostra è anzitutto opera ed iniziativa libera di Dio.
Questo ci mette in un corretto rapporto tra le parti.
Spinge all’adorazione, alla lode, all’ascolto, al silenzio; prima che al “fare noi qualcosa per Dio” riconoscere che è Lui che fa qualcosa, anzi tutto, per noi.
Dio, dunque, genera e compie l’atto di culto.
Voi capite che questo ha conseguenze enormi su ciò che è la sostanza della liturgia. Essa non è tanto opera nostra ma soprattutto opera di Dio.
Questo significa che tutti i documenti sulla liturgia presenti nel Magistero della Chiesa sino a quelli del Concilio Vaticano II e successivi, si possono comprendere solo definendo con chiarezza questo: Dio è Dio, l’uomo è la creatura amata da Dio e, come tale, chiamata alla lode, all’adorazione, al riconoscimento e poi a fare qualcosa per Dio e per i fratelli.
Se ad esempio togliamo questo necessario incipit, che non è “archeologia cristiana” ma rispetto del fondamentum della storia della salvezza, non riusciamo a comprendere adeguatamente la “actuosa participatio” del CVII nella Sacrosanctum Concilium (cit. SC 14). Proprio perché essa, la “partecipazione attiva”, come tale, ha anzitutto radici bibliche, soteriologiche e storiche in Israele e nelle prime comunità cristiane. Dio prende l’iniziativa nel Suo Amore libero e nella Sua Onnipotenza. Nella Sua umiltà, fondamento del dialogo con l’uomo. Nelle sue Viscere di Misericordia, nel suo Hesed, nella sua gratuita e traboccante misericordia.
Questo ha conseguenze pastorali enormi. Ad esempio… Non sono tanto io che vado alla Messa, ma Dio che mi chiama ad entrare in contatto con Lui, ad adorarlo, a rendergli lode, a partecipare alla Sua opera e, dunque, io rispondo, partecipo attivamente, e vado alla S. Messa. Questa opera è mia, ed è per me e per noi, in quanto anzitutto è opera sua.
Di questo occorre fare costante memoria e costante purificazione nel linguaggio, sia teologico che pastorale. Per l’uomo della Bibbia, linguaggio e memoria sono strettamente legati. Si veda ad esempio il “primo” comandamento che Dio dona ad Israele: “«Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze.
Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte.” (Deut. 6,4-13)
Noi facciamo qualcosa per Lui, cioè liturgia, perché Egli per primo ha fatto e fa qualcosa per noi.
Egli per primo si dona.
Qui si fonda il senso del sacro.
Altrimenti si rischia di cadere, e sovente accade, nel nostro protagonismo liturgico. Qualche esempio:
- confusione e approssimazione con mancanza di regia liturgica,
- mancanza di rispetto dei simboli e della loro capacità comunicativa;
- infinite didascalie;
- omelie troppo lunghe e sovente fuori tema. Lo ha ricordato con un ampio capitolo papa Francesco nella Evangelii Gaudium (nn. 135-144);
- personalismo nei gesti liturgici;
- personalismo creativo nei gesti liturgici senza rispetto del linguaggio interiore;
- mancanza di rispetto verso l’altare e verso l’Eucarestia;
- arredamento sacro ego-centrato più che Cristo-centrato;
- le Chiese utilizzate come luoghi di animazione pastorale più che luoghi di culto..
Dunque tutte una serie di accorgimenti che fanno sì che le nostre liturgie non sono derive protestanti, come talvolta, dispregiativamente, si dice. No, molto peggio.
Sono il trionfo del soggettivismo e della maleducazione liturgico-pastorale.
Dunque si cade nel fare "liturgia", in quanto opera nostra e non adorazione, lode, che accoglie anzitutto l’opera di Dio, Ergon Tou Theou. Potrei portare centinaia di esempi e non entro in polemiche inutili tra "rito antico" e "rito nuovo", in cui purtroppo il papa emerito Benedetto XVI è stato fortemente, e forse volutamente, frainteso.
Voi capite che se c’è maleducazione in questi fondamenti c’è inevitabilmente maleducazione nei tre livelli formativi di una parrocchia o di una comunità. Liturgia, catechesi, carità vengono deformate. Deformata la catechesi, deformata la carità.
Stiamo dicendo qualcosa di scontato? Forse o almeno così dovrebbe essere.
Supplichiamo in questo che il Signore ci illumini e soprattutto illumini i nostri pastori, i vescovi, ad essere in questo realmente “in avanti”, puntando tutto sul primato di Cristo e sul senso del sacro. Se la Liturgia, l’opera di Dio, è fonte e culmine come detto chiaramente nel Concilio Vaticano II nella Sacrosanctum Concilium (SC. 10), così sia. Così avvenga. Si inizi a mettere in pratica realmente il Concilio Vaticano II.
Poiché siamo feriti dal peccato, la Chiesa, che è semper reformanda, necessita sempre, nei suoi membri e nell’intero suo corpo, di recuperare questa gerarchia, questa realtà sacrale. Altrimenti rischia di diventare – persino nella sua missio ad gentes – cioè nel suo costitutivo ed inevitabile uscire da sé per annunciare, una ideologia o comunque opera nostra. Non certo una predicazione in “Spirito e Potenza” (At. 2, 14-16; I Corinzi 2,4-5).
San Giovanni Paolo II diceva che la “fede si rafforza donandola” (Redemptoris missio, 2). Ma la fede non è “contenuto” essa è anzitutto esperienza del Risorto e dunque è legata strettamente alla liturgia. E’ infatti molto diverso annunciare in Spirito e Potenza dal fare “comizio” con contenuti di catechesi.
Si rischia uno sbilanciamento tra la grande mole di nozioni sul vangelo e la pochezza del nostro spirito di adorazione, di lode, di umiltà, di santo timore di Dio, di pietà. Rischiamo, tutti, anche gli addetti alla liturgia, di diventare professionisti del sacro ma non “adoratori in Spirito e verità”. Contemplatori e missionari dell’Opera di Dio.
Per questo, ad esempio, la vecchina che recita con cuore semplice e ripetitivo, adorante ed umile il santo Rosario ha ben più valore di tutte le nostre chiacchiere su Dio. Lei è arrivata al cuore.
La storia della salvezza è dunque anzitutto opera sacra che Dio compie e in cui l’uomo (inteso come individuo e nel contempo, comunità) è oggetto d’amore responsabile e chiamato ad una risposta di partecipazione.
L’incarnazione, incipit, frutto e compimento del progetto di Dio in Cristo, trae la sua linfa in questo: Dio è Dio e noi siamo creature. Questo è un dato reale, constatabile, verificabile se il cuore è sgombro da pregiudizi ed ideologie e da fughe e difese. Qui inizia il sacro, nella coscienza del nostro limite e nel dono sovrabbondante di Dio per Cristo, nello Spirito Santo.
A me pare che la preghiera di Francesco, descritta nei fioretti, come gesto personale, risponde dunque alla perfetta preghiera di adorazione, di lode “Chi sei Tu oh Dio, chi sono io disutile vermine della terra”. In effetti Francesco nelle sue preghiere personali come Le Lodi di Dio altissimo (FF261) apre un inno di pura lode, contemplazione, adorazione.
Qui e da questo punto occorre fare un “piano” pastorale. Liturgia, catechesi, carità… partono da qui. Da questa essenziale umiltà che è verità, aderenza al reale. Abbattimento della ferita antica del peccato originale.
Dio mi ama, mi ha amato da sempre, mi ha pensato, mi ha desiderato come persona e nel contempo come un noi, come Chiesa.
Ad una chiamata, ad un dono, il popolo è chiamato ad una risposta.
La dimensione dialogica e partecipativa, dunque, segue immediatamente la dimensione della lode e della adorazione.
Nella sacra scrittura sovente il popolo è chiamato a manifestare un atto di fede sia in un contesto solenne di “professio Fidei” vd (Es. 24,3, Gs. 24,24) sia in un contesto liturgico.
Sotto la grazia che Dio ha concesso ad Israele sotto il Re Davide e poi suo figlio Salomone, la liturgia e la riflessione sapienziale iniziano a prendere forma.
Spesso nei salmi troviamo solenni ritornelli a cui il popolo rispondeva. Ki le olam Hasdò.. Eterno è il suo amore misericordioso per noi (Sl. 136).
La valenza ripetitiva, litanica e dialogica aveva la funzione, sia nella preghiera pubblica che personale, di “fissare” la memoria sul dono di Dio. Sull’iniziativa di Dio.
Pertanto – e veniamo a noi – questo percorso sui ritornelli salmodici della S. Messa della domenica e delle feste e solennità ha proprio questa funzione: fare lode, adorazione e memoria. Fornire all’assemblea e ai singoli un tema di lode che ritmi la domenica e la settimana.
Non sempre, onestamente, condivido le traduzioni che sono state fatte inerenti alla Sacra Scrittura nel lezionario e dunque anche nei salmi Responsoriali, ma la mia opinione e i miei studi poco importano, quello che conta è che questo piccolo percorso possa essere utile a vivere meglio questo momento prezioso della Santa Messa in cui noi preghiamo Dio con le sue parole. Non solo rispondiamo con la preghiera cantata e/o recitata alla Parola di Dio ascoltata nella prima lettura, ma impariamo a pregare.
Il salmo responsoriale è dunque una scuola di preghiera.
Ci aiuta, durante la giornata e la settimana, nel fare memoria che Dio è Dio, che Dio ci ama, che Dio ci salva. E suscita in noi – cosa fondamentale – la preghiera con la Parola di Dio. Ci educa e forma la preghiera personale.
San Francesco, riflettendo nell’incarnazione, ricordava che il seno di Maria fu reso capace di contenere l’incontenibile grazie allo Spirito Santo. Pertanto ricordava che Dio in noi riceve Dio nell’Eucarestia. (FF. 143-144)
Allo stesso modo potremmo dire che la preghiera infallibile è quella che facciamo a Dio con la Sua Parola. La parola dei salmi appunto.
La sapienza della Chiesa ha utilizzato questo criterio giornaliero nella preghiera della Liturgia delle Ore, dell’Ufficio Divino.
La stessa sapienza della Chiesa propone il criterio nella Santa Messa con il Salmo responsoriale.
Potremmo senza alcun dubbio ribadire che il salmo responsoriale è un laboratorio di preghiera.
Credo che, con particolare cura pastorale, sapienziale e mistagogica, i pastori sono chiamati nel porre attenzione su questa particolare parte della “mensa della Parola”.
Pertanto, dopo tanti anni di grazia e di servizio nella liturgia, studiando in lungo e in largo il patrimonio nazionale dei canti, recente e passato, ho pensato di proporre un percorso sui ritornelli delle SS. Messe domenicali.
Tale itinerario comincia dall’anno B solo per il semplice motivo che è stato pensato ed attuato con l’anno A in corso.
Viene affrontato ogni ritornello salmodico com’è ora presente sul lezionario in lingua italiana.
Nessun cambiamento di forma linguistica semmai, talvolta, di aggiunta di qualche breve invocazione per rendere “metrico” e musicalmente attuabile il ritornello.
Ogni ritornello è composto tenendo conto di alcuni parametri:
la cantabilità di un’assemblea mista, la valenza artistica, l’esecuzione vocale a cappella.
Non dobbiamo dimenticare che il primo strumento della liturgia è la voce. Nulla, come nostra risposta, è solenne e liturgico come una risposta a sole voci “scoperte”. L’uso di strumenti, legittimamente approvati dalla Chiesa e poi dall’Ordinario del luogo, può aiutare e sostenere ma non coprire e/o sostituire la bellezza della sola voce.
Pertanto ogni ritornello è cantato in una melodia introduttiva senza testo e poi ripetuto due volte con il testo del lezionario. La prima con il testo è quella affidata al Cantore e la seconda è quella con l’assemblea.
Ammetto che il “compromesso” necessario tra valenza artistica, cantabilità e testo del lezionario non sempre è possibile ed è talvolta un po’ forzato. Tuttavia questo itinerario proposto è un tentativo e gli operatori del settore, alcuni ben più competenti di me, mi perdoneranno.
Sono certo, ad ogni modo, che esso può essere anche scuola di formazione per gli operatori e gli animatori del canto liturgico nelle comunità.
Auguri di cuore, buon ascolto e buona lode e adorazione.
Soli Deo gloria.
Paolo Cilia
con una donazione generica è possibile il download immediato di files mp3 e PDF partiture
scrivere a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Anzitutto Buongiorno e due note. La prima, nella copertina apparsa brevemente è rappresentata la facciata con rosone della Chiesa di S. Antonio Abate e memoria di S. Pietro Celestino in Ferentino che consiglio di visitare per la sua bellezza ed unicità. Un grazie al parroco e p. Rettore Don Angelo Conti per l’uso di questa immagine.
In secondo luogo mi trovo nel Santuario di S. Giuseppe in Spicello, retto dai Paolini. Un particolare grazie al P. Rettore, Don Cesare Ferri e alla famiglia Paolina per questa opportunità.
San Giuseppe è importantissimo nella liturgia, proprio perché è stato l’uomo dell’ascolto.
Ed ora mi presento, sono Paolo Cilia anche se sulla rete mi presento con il nome d’arte Paul Freeman, utilizzato dai tempi di Napster e da quando ho fatto qualche lavoro per il cinema, fine 2000 inizio 2001.
Entrando subito sul vivo della questione prima di rispondere al perché ho desiderato fare e proporre questo percorso sui ritornelli salmodici e anche illustrare come è strutturato questo lavoro ci tenevo a precisare alcune considerazioni generali sul carattere e il peso teologico, spirituale e pastorale della liturgia.
Anzitutto chiarezza sui termini restituendo alle parole il loro valore.
Quando udiamo il termine liturgia utilizziamo tale termine per indicare atti di culto. L’etimo del termine infatti, dalla lingua greca, significa atto del popolo e a favore del popolo, a favore del bene comune. Prende la sua genesi etimologica dalle prime leggi in Atene, in Grecia, da ciò che in ambito civile e talvolta militare facevano i cittadini più benestanti per il bene collettivo e pubblico, artistico e anche militare.
Con la traduzione dei LXX tale termine è stato utilizzato per indicare i gesti di culto del sommo sacerdote al tempio.
Solo che, volendo rispettare la storia della Salvezza nella Bibbia, il Manifestarsi di Dio sin dall’antico testamento e tanto più nel nuovo con l’istituzione dell’Eucarestia, con il ministero della Parola del Signore Gesù Cristo e con l’Economia soteriologica Pasquale, siamo davanti non tanto ad una “liturgia” ma all’Ergon Tou Theou”, cioè davanti all’opera di Dio.
In sostanza quando parliamo di liturgia dobbiamo tradire l’etimo e riconoscere, anzitutto, che prima di essere opera nostra è anzitutto opera ed iniziativa libera di Dio.
Questo ci mette in un corretto rapporto tra le parti.
Spinge all’adorazione, alla lode, all’ascolto, al silenzio; prima che al “fare noi qualcosa per Dio” riconoscere che è Lui che fa qualcosa, anzi tutto, per noi.
Dio, dunque, genera e compie l’atto di culto.
Voi capite che questo ha conseguenze enormi su ciò che è la sostanza della liturgia. Essa non è tanto opera nostra ma soprattutto opera di Dio.
Questo significa che tutti i documenti sulla liturgia presenti nel Magistero della Chiesa sino a quelli del Concilio Vaticano II e successivi, si possono comprendere solo definendo con chiarezza questo: Dio è Dio, l’uomo è la creatura amata da Dio e, come tale, chiamata alla lode, all’adorazione, al riconoscimento e poi a fare qualcosa per Dio e per i fratelli.
Se ad esempio togliamo questo necessario incipit, che non è “archeologia cristiana” ma rispetto del fondamentum della storia della salvezza, non riusciamo a comprendere adeguatamente la “actuosa participatio” del CVII nella Sacrosanctum Concilium (cit. SC 14). Proprio perché essa, la “partecipazione attiva”, come tale, ha anzitutto radici bibliche, soteriologiche e storiche in Israele e nelle prime comunità cristiane. Dio prende l’iniziativa nel Suo Amore libero e nella Sua Onnipotenza. Nella Sua umiltà, fondamento del dialogo con l’uomo. Nelle sue Viscere di Misericordia, nel suo Hesed, nella sua gratuita e traboccante misericordia.
Questo ha conseguenze pastorali enormi. Ad esempio… Non sono tanto io che vado alla Messa, ma Dio che mi chiama ad entrare in contatto con Lui, ad adorarlo, a rendergli lode, a partecipare alla Sua opera e, dunque, io rispondo, partecipo attivamente, e vado alla S. Messa. Questa opera è mia, ed è per me e per noi, in quanto anzitutto è opera sua.
Di questo occorre fare costante memoria e costante purificazione nel linguaggio, sia teologico che pastorale. Per l’uomo della Bibbia, linguaggio e memoria sono strettamente legati. Si veda ad esempio il “primo” comandamento che Dio dona ad Israele: “«Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze.
Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte.” (Deut. 6,4-13)
Noi facciamo qualcosa per Lui, cioè liturgia, perché Egli per primo ha fatto e fa qualcosa per noi.
Egli per primo si dona.
Qui si fonda il senso del sacro.
Altrimenti si rischia di cadere, e sovente accade, nel nostro protagonismo liturgico. Qualche esempio:
- confusione e approssimazione con mancanza di regia liturgica,
- mancanza di rispetto dei simboli e della loro capacità comunicativa;
- infinite didascalie;
- omelie troppo lunghe e sovente fuori tema. Lo ha ricordato con un ampio capitolo papa Francesco nella Evangelii Gaudium (nn. 135-144);
- personalismo nei gesti liturgici;
- personalismo creativo nei gesti liturgici senza rispetto del linguaggio interiore;
- mancanza di rispetto verso l’altare e verso l’Eucarestia;
- arredamento sacro ego-centrato più che Cristo-centrato;
- le Chiese utilizzate come luoghi di animazione pastorale più che luoghi di culto..
Dunque tutte una serie di accorgimenti che fanno sì che le nostre liturgie non sono derive protestanti, come talvolta, dispregiativamente, si dice. No, molto peggio.
Sono il trionfo del soggettivismo e della maleducazione liturgico-pastorale.
Dunque si cade nel fare "liturgia", in quanto opera nostra e non adorazione, lode, che accoglie anzitutto l’opera di Dio, Ergon Tou Theou. Potrei portare centinaia di esempi e non entro in polemiche inutili tra "rito antico" e "rito nuovo", in cui purtroppo il papa emerito Benedetto XVI è stato fortemente, e forse volutamente, frainteso.
Voi capite che se c’è maleducazione in questi fondamenti c’è inevitabilmente maleducazione nei tre livelli formativi di una parrocchia o di una comunità. Liturgia, catechesi, carità vengono deformate. Deformata la catechesi, deformata la carità.
Stiamo dicendo qualcosa di scontato? Forse o almeno così dovrebbe essere.
Supplichiamo in questo che il Signore ci illumini e soprattutto illumini i nostri pastori, i vescovi, ad essere in questo realmente “in avanti”, puntando tutto sul primato di Cristo e sul senso del sacro. Se la Liturgia, l’opera di Dio, è fonte e culmine come detto chiaramente nel Concilio Vaticano II nella Sacrosanctum Concilium (SC. 10), così sia. Così avvenga. Si inizi a mettere in pratica realmente il Concilio Vaticano II.
Poiché siamo feriti dal peccato, la Chiesa, che è semper reformanda, necessita sempre, nei suoi membri e nell’intero suo corpo, di recuperare questa gerarchia, questa realtà sacrale. Altrimenti rischia di diventare – persino nella sua missio ad gentes – cioè nel suo costitutivo ed inevitabile uscire da sé per annunciare, una ideologia o comunque opera nostra. Non certo una predicazione in “Spirito e Potenza” (At. 2, 14-16; I Corinzi 2,4-5).
San Giovanni Paolo II diceva che la “fede si rafforza donandola” (Redemptoris missio, 2). Ma la fede non è “contenuto” essa è anzitutto esperienza del Risorto e dunque è legata strettamente alla liturgia. E’ infatti molto diverso annunciare in Spirito e Potenza dal fare “comizio” con contenuti di catechesi.
Si rischia uno sbilanciamento tra la grande mole di nozioni sul vangelo e la pochezza del nostro spirito di adorazione, di lode, di umiltà, di santo timore di Dio, di pietà. Rischiamo, tutti, anche gli addetti alla liturgia, di diventare professionisti del sacro ma non “adoratori in Spirito e verità”. Contemplatori e missionari dell’Opera di Dio.
Per questo, ad esempio, la vecchina che recita con cuore semplice e ripetitivo, adorante ed umile il santo Rosario ha ben più valore di tutte le nostre chiacchiere su Dio. Lei è arrivata al cuore.
La storia della salvezza è dunque anzitutto opera sacra che Dio compie e in cui l’uomo (inteso come individuo e nel contempo, comunità) è oggetto d’amore responsabile e chiamato ad una risposta di partecipazione.
L’incarnazione, incipit, frutto e compimento del progetto di Dio in Cristo, trae la sua linfa in questo: Dio è Dio e noi siamo creature. Questo è un dato reale, constatabile, verificabile se il cuore è sgombro da pregiudizi ed ideologie e da fughe e difese. Qui inizia il sacro, nella coscienza del nostro limite e nel dono sovrabbondante di Dio per Cristo, nello Spirito Santo.
A me pare che la preghiera di Francesco, descritta nei fioretti, come gesto personale, risponde dunque alla perfetta preghiera di adorazione, di lode “Chi sei Tu oh Dio, chi sono io disutile vermine della terra”. In effetti Francesco nelle sue preghiere personali come Le Lodi di Dio altissimo (FF261) apre un inno di pura lode, contemplazione, adorazione.
Qui e da questo punto occorre fare un “piano” pastorale. Liturgia, catechesi, carità… partono da qui. Da questa essenziale umiltà che è verità, aderenza al reale. Abbattimento della ferita antica del peccato originale.
Dio mi ama, mi ha amato da sempre, mi ha pensato, mi ha desiderato come persona e nel contempo come un noi, come Chiesa.
Ad una chiamata, ad un dono, il popolo è chiamato ad una risposta.
La dimensione dialogica e partecipativa, dunque, segue immediatamente la dimensione della lode e della adorazione.
Nella sacra scrittura sovente il popolo è chiamato a manifestare un atto di fede sia in un contesto solenne di “professio Fidei” vd (Es. 24,3, Gs. 24,24) sia in un contesto liturgico.
Sotto la grazia che Dio ha concesso ad Israele sotto il Re Davide e poi suo figlio Salomone, la liturgia e la riflessione sapienziale iniziano a prendere forma.
Spesso nei salmi troviamo solenni ritornelli a cui il popolo rispondeva. Ki le olam Hasdò.. Eterno è il suo amore misericordioso per noi (Sl. 136).
La valenza ripetitiva, litanica e dialogica aveva la funzione, sia nella preghiera pubblica che personale, di “fissare” la memoria sul dono di Dio. Sull’iniziativa di Dio.
Pertanto – e veniamo a noi – questo percorso sui ritornelli salmodici della S. Messa della domenica e delle feste e solennità ha proprio questa funzione: fare lode, adorazione e memoria. Fornire all’assemblea e ai singoli un tema di lode che ritmi la domenica e la settimana.
Non sempre, onestamente, condivido le traduzioni che sono state fatte inerenti alla Sacra Scrittura nel lezionario e dunque anche nei salmi Responsoriali, ma la mia opinione e i miei studi poco importano, quello che conta è che questo piccolo percorso possa essere utile a vivere meglio questo momento prezioso della Santa Messa in cui noi preghiamo Dio con le sue parole. Non solo rispondiamo con la preghiera cantata e/o recitata alla Parola di Dio ascoltata nella prima lettura, ma impariamo a pregare.
Il salmo responsoriale è dunque una scuola di preghiera.
Ci aiuta, durante la giornata e la settimana, nel fare memoria che Dio è Dio, che Dio ci ama, che Dio ci salva. E suscita in noi – cosa fondamentale – la preghiera con la Parola di Dio. Ci educa e forma la preghiera personale.
San Francesco, riflettendo nell’incarnazione, ricordava che il seno di Maria fu reso capace di contenere l’incontenibile grazie allo Spirito Santo. Pertanto ricordava che Dio in noi riceve Dio nell’Eucarestia. (FF. 143-144)
Allo stesso modo potremmo dire che la preghiera infallibile è quella che facciamo a Dio con la Sua Parola. La parola dei salmi appunto.
La sapienza della Chiesa ha utilizzato questo criterio giornaliero nella preghiera della Liturgia delle Ore, dell’Ufficio Divino.
La stessa sapienza della Chiesa propone il criterio nella Santa Messa con il Salmo responsoriale.
Potremmo senza alcun dubbio ribadire che il salmo responsoriale è un laboratorio di preghiera.
Credo che, con particolare cura pastorale, sapienziale e mistagogica, i pastori sono chiamati nel porre attenzione su questa particolare parte della “mensa della Parola”.
Pertanto, dopo tanti anni di grazia e di servizio nella liturgia, studiando in lungo e in largo il patrimonio nazionale dei canti, recente e passato, ho pensato di proporre un percorso sui ritornelli delle SS. Messe domenicali.
Tale itinerario comincia dall’anno B solo per il semplice motivo che è stato pensato ed attuato con l’anno A in corso.
Viene affrontato ogni ritornello salmodico com’è ora presente sul lezionario in lingua italiana.
Nessun cambiamento di forma linguistica semmai, talvolta, di aggiunta di qualche breve invocazione per rendere “metrico” e musicalmente attuabile il ritornello.
Ogni ritornello è composto tenendo conto di alcuni parametri:
la cantabilità di un’assemblea mista, la valenza artistica, l’esecuzione vocale a cappella.
Non dobbiamo dimenticare che il primo strumento della liturgia è la voce. Nulla, come nostra risposta, è solenne e liturgico come una risposta a sole voci “scoperte”. L’uso di strumenti, legittimamente approvati dalla Chiesa e poi dall’Ordinario del luogo, può aiutare e sostenere ma non coprire e/o sostituire la bellezza della sola voce.
Pertanto ogni ritornello è cantato in una melodia introduttiva senza testo e poi ripetuto due volte con il testo del lezionario. La prima con il testo è quella affidata al Cantore e la seconda è quella con l’assemblea.
Ammetto che il “compromesso” necessario tra valenza artistica, cantabilità e testo del lezionario non sempre è possibile ed è talvolta un po’ forzato. Tuttavia questo itinerario proposto è un tentativo e gli operatori del settore, alcuni ben più competenti di me, mi perdoneranno.
Sono certo, ad ogni modo, che esso può essere anche scuola di formazione per gli operatori e gli animatori del canto liturgico nelle comunità.
Auguri di cuore, buon ascolto e buona lode e adorazione.
Soli Deo gloria.
Paolo Cilia
con una donazione generica è possibile il download immediato di files mp3 e PDF partiture
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