Una madre di poche parole. Il Papa racconta l’Ave Maria

papa francesco santamariaIn dialogo.
Anticipiamo brevi stralci dal libro "Ave Maria" (Rizzoli - Libreria editrice vaticana, 2018, pagine 160, euro 16) in cui il Pontefice affronta il mistero di Maria percorrendo, frase per frase, la preghiera mariana in un dialogo con don Marco Pozza, cappellano del carcere di Padova.

(Papa Francesco) Nei Vangeli Maria appare come donna di poche parole, senza grandi discorsi né protagonismi ma con uno sguardo attento che sa custodire la vita e la missione del suo Figlio e, perciò, di tutto quello che Lui ama. Ha saputo custodire gli albori della prima comunità cristiana, e così ha imparato ad essere madre di una moltitudine. Si è avvicinata alle situazioni più diverse per seminare speranza. Ha accompagnato le croci caricate nel silenzio del cuore dei suoi figli. Tante devozioni, tanti santuari e cappelle nei luoghi più reconditi, tante immagini sparse per le case ci ricordano questa grande verità.

Maria ci ha dato il calore materno, quello che ci avvolge in mezzo alle difficoltà; il calore materno che permette che niente e nessuno spenga in seno alla Chiesa la rivoluzione della tenerezza inaugurata dal suo Figlio. Dove c’è una madre, c’è tenerezza. E Maria con la sua maternità ci mostra che l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, ci insegna che non c’è bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti (cfr. esort. ap. Evangelii gaudium, 288). E da sempre il santo popolo fedele di Dio l’ha riconosciuta e salutata come la Santa Madre di Dio. (...)
Le madri sono l’antidoto più forte contro le nostre tendenze individualistiche ed egoistiche, contro le nostre chiusure e apatie. Una società senza madri sarebbe non soltanto una società fredda, ma una società che ha perduto il cuore, che ha perduto il «sapore di famiglia». Una società senza madri sarebbe una società senza pietà, che ha lasciato il posto soltanto al calcolo e alla speculazione. Perché le madri, perfino nei momenti peggiori, sanno testimoniare la tenerezza, la dedizione incondizionata, la forza della speranza. Ho imparato molto da quelle madri che, avendo i figli in carcere o prostrati in un letto di ospedale o soggiogati dalla schiavitù della droga, col freddo e il caldo, con la pioggia e la siccità, non si arrendono e continuano a lottare per dare loro il meglio. O quelle madri che, nei campi profughi, o addirittura in mezzo alla guerra, riescono ad abbracciare e a sostenere senza vacillare la sofferenza dei loro figli. Madri che danno letteralmente la vita perché nessuno dei figli si perda. Dove c’è la madre c’è unità, c’è appartenenza, appartenenza di figli. (...)
Sono passato tante volte in autobus davanti al carcere di Villa Devoto a Buenos Aires. C’era la coda delle mamme e le vedevano tutti, queste donne in coda per entrare, per visitare un figlio. Non è difficile immaginare le umiliazioni che deve subire una donna, le perquisizioni... Ma non importa, è per un figlio.
Si lasciano calpestare, quello che importa è il figlio. A Maria importava il Figlio. Non i commenti degli altri. Per quello Lei era sul Calvario. Ma lì anche il Figlio la abbandona, non solo perché abbandona la vita. Le dice «Adesso ne avrai altri» e dà a tutti noi la mamma, che ci partorisce sulla croce. (...)
Maria non può essere la mamma dei corrotti, perché i corrotti vendono la mamma, vendono l’appartenenza a una famiglia, a un popolo. Cercano soltanto il proprio profitto, che sia economico, intellettuale, politico, di qualsiasi tipo. Fanno una scelta egoistica, direi satanica: chiudono a chiave la porta dal di dentro. E Maria non riesce a entrare. Si chiudono loro, per questo l’unica preghiera per i corrotti è che un terremoto li commuova talmente da convincerli che il mondo non è cominciato e non finirà con loro. Per questo loro si chiudono, non hanno bisogno di madre, di padre, di una famiglia, di una patria, di appartenere a un popolo. Coltivano soltanto l’egoismo, e il padre dell’egoismo è il diavolo.
Maria è madre di tutti noi peccatori, dal più al meno santo. È mamma. Ricordo che mia mamma, parlando di noi cinque figli, diceva: «I miei figli sono come le dita della mano, ognuno diverso dall’altro; ma se mi pungo un dito sento lo stesso dolore che proverei se me ne pungessi un altro». Maria accompagna la strada di noi peccatori, ognuno con i suoi peccati. «Prega per noi, peccatori» significa dire: «Sono peccatore ma tu custodiscimi». Maria è colei che ci custodisce. (...)
Maria non è una donna che si deprime davanti alle incertezze della vita, specialmente quando nulla sembra andare per il verso giusto. Non è nemmeno una donna che protesta con violenza, che inveisce contro il destino della vita che ci rivela spesso un volto ostile. È invece una donna che ascolta: non dimenticatevi che c’è sempre un grande rapporto tra la speranza e l’ascolto, e Maria è una donna che ascolta. Maria accoglie l’esistenza così come essa si consegna a noi, con i suoi giorni felici, ma anche con le sue tragedie che mai vorremmo avere incrociato. Fino alla notte suprema di Maria, quando il suo Figlio è inchiodato al legno della croce.
Fino a quel giorno, Maria era quasi sparita dalla trama dei Vangeli: gli scrittori sacri lasciano intendere questo lento eclissarsi della sua presenza, il suo rimanere muta davanti al mistero di un Figlio che obbedisce al Padre. Però Maria riappare proprio nel momento cruciale: quando buona parte degli amici si sono dileguati a motivo della paura. Le madri non tradiscono, e in quell’istante, ai piedi della croce, nessuno di noi può dire quale sia stata la passione più crudele: se quella di un uomo innocente che muore sul patibolo della croce, o l’agonia di una madre che accompagna gli ultimi istanti della vita di suo Figlio.
I Vangeli sono laconici, ed estremamente discreti. Registrano con un semplice verbo la presenza della Madre: Lei «stava» (cfr. Gv 19, 25). Lei stava. Nulla dicono della sua reazione: se piangesse, se non piangesse... Nulla; nemmeno una pennellata per descrivere il suo dolore: su questi dettagli si sarebbe poi avventata l’immaginazione di poeti e di pittori regalandoci immagini che sono entrate nella storia dell’arte e della letteratura. Ma i Vangeli soltanto dicono: Lei «stava». Stava lì, nel più brutto momento, nel momento più crudele, e soffriva con il Figlio. «Stava». Maria «stava», semplicemente era lì. Eccola nuovamente, la giovane donna di Nazaret, ormai ingrigita nei capelli per il passare degli anni, ancora alle prese con un Dio che deve essere solo abbracciato, e con una vita che è giunta alla soglia del buio più fitto. Maria «stava» nel buio più fitto, ma «stava». Non se ne è andata.
Maria è lì, fedelmente presente, ogni volta che c’è da tenere una candela accesa in un luogo di foschia e di nebbie. Nemmeno Lei conosce il destino di risurrezione che suo Figlio stava in quell’istante aprendo per tutti noi uomini: è lì per fedeltà al piano di Dio di cui si è proclamata serva nel primo giorno della sua vocazione, ma anche a causa del suo istinto di madre che semplicemente soffre, ogni volta che c’è un figlio che attraversa una passione. Le sofferenze delle madri: tutti noi abbiamo conosciuto donne forti, che hanno affrontato tante sofferenze dei figli! La ritroveremo nel primo giorno della Chiesa (cfr. At 1, 14), Lei, madre di speranza, in mezzo a quella comunità di discepoli così fragili: uno aveva rinnegato, molti erano fuggiti, tutti avevano avuto paura. Ma Lei semplicemente stava lì, nel più normale dei modi, come se fosse una cosa del tutto naturale: nella prima Chiesa avvolta dalla luce della Risurrezione, ma anche dai tremori dei primi passi che doveva compiere nel mondo.

  © Osservatore Romano - 8-9 ottobre 2018