Rassegna stampa formazione e catechesi

Io sono tu che mi ami. In Te, dico “basta!”

cristoallacolonna miniDire Basta al Peccato, con la Grazia e nella Grazia,
è la via di Penitenza della Santa Quaresima
e della nostra vita
La Santa Quaresima,
un tempo di rinnovamento spirituale. I Cristiani si dispongono a celebrarlo e nella mortifcazione esteriore e nella purificazione interiore. Entrambe queste operazioni sono ispirate, accompagnate e compiute dalla Grazia di Dio, che agisce ordinariamente nei sacramenti della Chiesa. Così tramite la riconciliazione e l’eucaristia si compie continuamente il passaggio dalla prima alla seconda conversione

Io sono
Se c’è una parola, un’affermazione che emerge, tra le altre, in tutta la Sacra Scrittura, a più riprese, a cominciare dall’evento del Roveto ardente è questa che Dio dice di sé: Io sono, “Ho On”. La rivelazione ebraica non ha direttamente la dimensione speculativa dell’essere tipica della filosofia greca e qui, piuttosto, indica non solo l’essenza ma una presenza, che supera il tempo stesso e lo compie. L’EmmanuEl è il compimento dell’Io sono. Lo esplicita già l’Apocalisse: “Io sono colui che è, che era e che viene” (AP. 1,8). Però la Parola di Dio è realmente inclusiva del pensiero dell’uomo e dei vari significati dati nel tempo. Non solo quelli provenienti dal Magistero, e quelli della Scolastica, ma prima ancora dalla riflessione dei Padri, e ancora prima dai contributi dati dalla filosofia greca. Tutte queste “auto-coscienze” ampliano il raggio della Parola stessa, perché il vero non può che venire dallo Spirito Santo (“.. quod omne verum, a quocumque dicatur, est a Spiritu sancto.. “San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q.109, a.1, ad 1; “Omne verum a veritate verum est” Sant’Agostino, DE DIVERSIS QUAESTIONIBUS OCTOGINTA TRIBUS, 1).
E la Parola, specie questa, è di peso incalcolabile. Parliamo di un peso esistenziale, radicale, carnale, soteriologico. Cade su Israele, cade sul credente, cade su ogni coscienza. Nessuno può dire “Io sono”. Solo l’Altissimo può dirlo.
Il nemico antico, l’avversario, ha provato a pronunciare questa affermazione e subito è precipitato nel baratro con la potenza tonante dell’arcangelo Michele, MichaEl, chi è come Dio? Chi può dire “io sono”?
Ed il peccato di Adamo e di Eva, sollecitati malamente nel “bisogno/attitudine di identità”, come abbiamo trattato, per opera del nemico dell’uomo e di Dio, cadono anch’essi in questa “assurdità ontologica ed esperienziale”, principio di ogni peccato. Io sono per me stesso, la superbia; io sono “davanti” agli altri, la vanagloria; io mi compiaccio di me e delle opere, la vanità.
La cosa straordinaria è che questa affermazione di Dio, la più potente della Sacra Scrittura, è in realtà la più umile, reale, per certi versi disarmata e sottomessa. Viene esplicitata compiutamente in Cristo, a Betlemme, nel Santo Natale. Prolungata nella vita nascosta a Nazareth. Resa vivida nella Passione e Morte, dove, volgendo lo sguardo a colui che trafiggiamo possiamo vedere come Dio è. Come Egli sostiene ogni cosa e come Egli si rivela compiutamente nel Figlio. A questo serve la Santa Quaresima.
Così dovremmo vivere la liturgia.
Con sbigottimento e stupore. Abbacinati negli occhi di Luce Divina.
Sia la notte del Santo Natale che la notte della Veglia tra le Veglie, quella di Pasqua, richiamano a questa Luce. Come fulgore dell’anima che illumina e scalda, scuote e ricostruisce. Con gli occhi lacrimanti del dono di Scienza. Così la viveva san Francesco quando meditava sull’Eucarestia, sull’umiltà del Signore dei Signori. Francesco comprendeva bene che nel nutrirsi di Cristo in realtà accadeva una cosa ben diversa. Non era l’uomo che assimilava il pane, ma il Pane Divino che assimilava l’uomo. Dio portava a compimento nell’Eucarestia quanto donato nel Battesimo. La figliolanza divina, la divinizzazione dell’uomo. Dio donava il Suo “Io sono” a chi “è” solo per partecipazione, perché da Lui pensato, voluto, amato.
Realmente se conoscessimo il “peso” dell’Eucarestia, dell’Io sono di Dio, ivi pronunciato, non potremmo che morire immediatamente.
Ed anche in queste notti straordinarie, quella del Santo Natale e quella della Santa Pasqua, dovremmo realmente, ben più che emotivamente, trasalire di gioia indicibile.
E così avvenga, ad ogni Eucarestia, avvenga in queste notti, una piccola e preziosa morte del disordine del nostro io. A questo serve la Santa Quaresima.

Io sono l’Immacolata Concezione
Maria, di Nazareth, Madre di Dio e Madre nostra è Colei che meglio e più compiutamente ha vissuto e dice il suo “io sono”. Lo dice anzitutto nel Magnificat contemplando e narrando di Dio, come “ancella”, e poi nella rivelazione duplice, quella del Magistero con la Ineffabilis Deus e nella rivelazione privata a Lourdes.
Io sono, dice di sé Maria, colei che è incredibilmente amata. Io sono perché amata dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo.
Ella riporta tutto al principio, allo stupore, alla verità dell’essere e delle cose. Io sono perché amata.
La cosa straordinaria è che Maria dicendo di sé questo non è svincolata dalla Chiesa tutta. Anzi non è svincolata da ogni battezzato, il quale, a pieno titolo, nel giorno del suo battesimo potrebbe dire, similmente, “io sono amato unicamente e grandemente da Dio”, reso da Lui puro.
Certo noi non abbiamo quella speciale assistenza di Grazia che ci conferma nel bene come per Maria Santissima, da Lei conseguita con perfetta libertà. Tale che, per usare le categorie di precedenti riflessioni, il suo “bisogno/attitudine di identità”, più liminale, era profondamente ancorato e compiuto nella coscienza totale e profonda degli altri due bisogni/attitudini profondi, quello di essere amati e di amare. Ella “sapeva di essere” perché profondamente amata e profondamente resa capace di amare.
Nell’economia del Regno, tuttavia, esiste il “principio dei vasi comunicanti nello Spirito” per cui l’altezza di un fedele innalza mistericamente e realmente tutti gli altri. Anche noi dunque, per i meriti incommensurabili di Cristo, nel Battesimo, siamo resi figli. E per i meriti partecipati di Maria siamo resi in certo qual modo “immacolati”.
Per noi rimanere in questa libertà senza peccare ed errare è impossibile. Come dunque cogliere e cercare di permanere nella grazia?

La Conversione prima, la conversione seconda e la conversione continua; la via di penitenza
La prima conversione è quella propria dei battezzati, che accettano il “Credo” e aderiscono per fede diretta o mediata, nel caso si riceva questo sacramento da neonati. È l’ingresso alla figliolanza e al suo statuto e potenzialità immense.
Giustamente, molto spesso, è bene parlare di “sacramento legato”. Perché, o la tenera età, o la formazione sbilanciata fatta più di contenuti di catechismo ma non nel contempo di vita liturgica matura e di carità ardente, rischia di non “sbloccare” la potenza incalcolabile che ci è donata nel Battesimo. La caparra amorosa e ineffabile dello Spirito del Signore.
A questo sono serviti i movimenti “religiosi” nati sin dai primi secoli che, sostituendo il martirio fisico, fonte di compimento dei sacramenti dell’iniziazione, slegava la grazia senza fine del Battesimo. A questo sono serviti i vari movimenti spirituali ed oggi anche laicali, per sbloccare, con luci diverse, dall’unico spettro dello Spirito, le potenzialità battesimali. Proprio il Battesimo spinge alla conversione seconda e nel contempo introduce alla conversione continua.
Nella vita dei santi, infatti spesso è accaduto così. Dopo la prima conversione battesimale è avvenuto un fatto o una serie di eventi che hanno posto l’anima davanti ad una seconda e cosciente e forte scelta. Durata poi e mantenuta tutta la vita. La Conversione seconda ha, per così dire, sbloccato, la Grazia Battesimale per portare poi ad un continuo iter penitenziale.
Sono però presenti dei rischi dovuti alla nostra fragilità.

Il morto in casa
“Noi che già siamo morti al peccato, come potremo ancora vivere nel peccato?  O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte?  Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova.  Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione.  Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato.  Infatti chi è morto, è ormai libero dal peccato.
Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui,  sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui.  Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio.  Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù. (Rm. 6,2-11)

P. Raniero, durante una catechesi, in una bella immagine ricorda Pirandello, nell’opera “L’Illustre estinto”. Una tragi-commedia in cui viene messa al centro la figura del defunto. Anche noi facciamo così. Con questo defunto, che è il peccato, ci parliamo, ci consultiamo, ci gratifichiamo, dimenticando la realtà proclamata da Paolo apostolo: “Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù.”. Un po’ come Rodrigo Mendoza che nel film Mission salendo la cascata verso il villaggio di missione non vuole tagliare la corda che tiene la rete con tutto il peso del suo passato.
Ben venga la Chiesa che ci aiuta nel taglio di questa corda facendoci scoppiare in un pianto liberatorio, ma soprattutto ci porti a cogliere la vanità di questo atteggiamento in cui “carezziamo” il “caro estinto” invece di abbracciare e farci abbracciare dalla luminosità della Grazia del Risorto, nella Chiesa.
Da ricordare, e non è poco, che tale operazione del “taglio” è in genere attribuita alla figura paterna.
Una società senza padri, come la nostra, malata di soggettivismo e di femminilismo, tende sempre a “conservare”, giustificare, mediare e mai a “tagliare” a “desatellizzare” per farci trascendere in Cristo.
Grande responsabilità in questo hanno i pastori che invece di essere padri e madri, sovente sono solo, in certo qual modo, “madri”, “confermando” il fedele in una falsa e caricaturale misericordia. Il padre è colui che dice “ora basta”. Definisce, limita, non conserva nell’utero; spinge alla trascendenza nella Grazia e nella Penitenza. Ovvio che può farlo in maniera feconda se prima è figlio ed ha incontrato il volto del Padre; se vive una autentica e feconda esperienza di Chiesa. Se ha attinto grandemente alla Grazia di Stato ed alla Vita Fraterna.


La Vertigine
Un aspetto da tenere bene a mente nella conversione seconda e nella conversione continua è quella della vertigine. Lo abbiamo visto nel trattare il Peccato d’Origine con quale cura satana pone Eva in alto alimentando disordinatamente il suo bisogno di identità. Come dice, urlando, satana/Al Pacino nel film “L’avvocato del diavolo”: “Io sono un fanatico dell’uomo!”.
Come dicevamo in un precedente intervento commentando Gen. 3: “.. il nemico prima pone una falsa affermazione, poi mette in cattedra Eva e poi gli dice “brava! è proprio come dici, non muori se decidi di essere dio senza Dio”. Infatti Dio non ti vuole bene. Se non ti vuoi bene tu, da sola, non saprai mai chi sei.”
Esiste infatti un porre in alto Mariano ed uno satanico.
Quello Mariano è quello di colui o colei che totalmente si abbandona in Dio e non chiede la vertigine delle alte vette perché si sente amato.
Qui è la sua vetta.
Non importa dove sta, se agli arresti domiciliari, come San Paolo, negli ultimi anni della sua vita, o cambiando un pannolino o ad assistere un malato o nel duro oggi quotidiano.
Dio lo attira a sé in alto e gli fa respirare l’aria pura della retta coscienza e del gaudio inenarrabile del Paradiso e della comunione effettiva tra i santi.
“Non conta sulle sue forze, come bimbo svezzato, in braccio a sua madre” (SL. 131), né si fa obnubilare dalla croce e dalla prova, ma lì, in essa, trova, tra le lacrime che consumano, la vetta di Dio. Qui si stupisce, Qui si lega strettamente alla grande veglia passando dalla notte alla sfolgorante luce.
Con Giobbe dice: “Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono” (Gb. 42,5)

Al contrario il nemico dell’uomo e di Dio, cerca di gonfiare l’uomo e snaturare il suo bisogno di identità portandolo alla vertigine dell’io-sono-per-me-stesso-e-grazie-a-me.
Detto così fa sorridere, chi è così fesso da cascare in questa dinamica.
Tristemente, ciascuno di noi lo è, sovente, a cominciare da chi scrive.
Il nemico opera in maniera sopraffina soprattutto nel consenso delle cose spirituali o di apparenza tale. Nel sentirsi utili, preziosi, indispensabili, oppure umilissimi, al limite della confuciana truffa. Nell’emergere o nel nascondersi. Quello che guida non è l’obbedienza, ma l’io. La vanità multiforme e ben nascosta. Il mio soggetto, il “caro me stesso mio”. Ed è terribile la vertigine specie quando ci sentiamo “forti”, incapaci di cadere. Andiamo in situazioni ai confini del lecito, magari senza peccare, e ci diciamo “quanto sono bravo a non essere caduto” (quindi valgo), ma drammaticamente ho risposto malamente al sano bisogno di identità e purtroppo già ci sono caduto con tutte le scarpe inquinando il cuore con la superbia, svincolando la mia creaturale pochezza dall’onnipotenza di Dio da cui sempre dipendo, se sono onesto. Caduti nella Superbia, il passo successivo è quello in cui si spalancano tutti i vizi. Anche quelli in cui eravamo temperanti. (San Gregorio Magno, Moralia, XXXI, 45)

Persino le opere buone, usate con “la tromba”, come dice Gesù nel Vangelo, alimentano questa vanità, questa vertigine. Che bravo che sono a sentirmi vicino alla “corrente giusta”, a far “parte del gruppo giusto, sui social e altrove”, ad “essere fedele a questo Papa”, o viceversa “a saper fare una critica al Papa con lo stile di Santa Caterina”. Quanto sono bravo “ad accogliere un immigrato” e a “commuovermi per chi sta nel disagio”. Che gagliardo ad avere chiara la “retta dottrina”. “Eh, però sono una persona spirituale”, “accompagno” persino a morire. “Tutto è amore, sempre amore”, purtroppo umanissimo amore senza disciplina e senza chiari “no!”. “Sono un realista, queste situazioni ci sono e quindi che faccio non le accolgo?”. Quanti esempi potremmo portare. La Vertigine. Vertigine agognata, mendicata, idolatrata. Vertigine che ricentra l’io sull’io. Avara, ladra. La Vertigine è come quegli animali nel deserto che ti incantano e prima che tu reagisca già ti hanno morso. Ed ucciso.

Far parlare Cristo, che dice “Basta!”
Ed allora come regolarci nella seconda conversione e nel periodo di penitenza che ne consegue? Come regolarci durante l’opportunità enorme della Santa Quaresima?
Imparare a far dire “Basta!” a Cristo nel nostro cuore e dirlo noi con Lui. Verso la Santa Pasqua.
Diceva argutamente Kierkegaard nel suo diario: «La nave è in mano al cuoco di bordo e ciò che trasmette il megafono del comandante non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani». Ma questo ci distrae dal bello, dal vero e dal buono di ora. Siamo dei disadattati al Bello!
Se uno ha il vizio di bere e dice a se stesso “.. Questo è l’ultimo, domani smetto.. ” si è già corrotto nella sua volontà, nel suo habitus. Ha confermato la sua schiavitù. Ma se uno dice: “Domani magari berrò mille volte ma oggi no. Oggi no!, Ora, grazie a te o Cristo, no! Costi quello che costi.” E lo dice con Cristo, ha già vinto, nella Grazia, la sua battaglia. Qui ci aspettano i santi e la Grazia profusa nel Battesimo. Grazia efficace, sempre penitenziale, sempre Pasquale.
Il Sacramento della Riconciliazione e dell’Eucarestia ci accompagni in questa lotta senza quartiere, in questa guarigione profonda, nella seconda conversione e nella conversione continua. Personale ed assieme. Santa Quaresima, verso la Luce Pasquale.
Paul Freeman


© http://www.lacrocequotidiano.it  - 4 marzo 2016
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