Europa: una prospettiva orchestrata delle identità per il Bene Comune

EuropaCristianaColloquio-intervista di Paul Freeman

con Mirko De Carli


Paul Freeman: L’unità dell’Europa è il desiderio di molti. Anche nel messaggio finale della recente riunione della Conferenza delle Chiese europee (Kek) che si è svolta a Novi Sad, in Serbia, esprime questo desiderio. Che dunque non è solo laicale ma anche ecclesiale. Eppure è importante tenere a mente il pensiero dei padri fondatori che nell’unità Europea non hanno mai visto un negare le Radici ma hanno cercato ed auspicato una Federazione ed orchestrazione di identità chiare.

De Carli: Nel leggere quel documento di Novi Sad, non può che venire in mente la poderosa battaglia di Giovanni Paolo II, purtroppo senza esito sensibile, per fare introdurre il riferimento alle radici cristiane nella Costituzione Europea. Nel 2003 la sua insistenza sorprese più di un commentatore e ci consegnò, quasi come ai tempi della guerra all'Iraq, l'immagine di un Papa che con le estreme forze rimaste nella sua forte tempra slava, gridava nel deserto come un profeta dell'Antico Testamento. E dire che papa Giovanni Paolo II trovò qualche difficoltà nei rapporti con le chiese ortodosse, per via della sua derivazione polacca, e sarebbe curioso sapere come si sarebbe posto oggi di fronte a un’Europa che proprio da Est sembra riuscire a trovare l’estrema linfa vitale, per combattere la lotta contro la scristianizzazione. In ogni caso, gli eventi degli ultimi vent’anni hanno reso chiaro che non c’è futuro per il cristianesimo europeo, se non si passa per un recupero identitario. La visione umanitaria, globalista, che sembra avere conquistato anche molta parte della Chiesa di oggi, è esattamente ciò che i popoli europei sembrano rigettare più di ogni altra cosa. I fedeli cattolici sono spaventati dalle conseguenze dell’indifferentismo religioso indotte dal laicismo imperante, ma anche dal fatto che troppo spesso i pastori sembrano non accorgersene, e continuano imperterriti a proporre un messaggio di “accoglienza a tutti i costi” dello straniero, del diverso, del non credente, che scandalizza i fedeli.



Paul Freeman: Le diverse problematiche come la “crisi economica”, la “drammatica questione migratoria”, i “conflitti che lacerano non solo la regione del Mediterraneo ma che coinvolgono anche parti del continente”, l’“avanzare dei populismi e del ritorno dei nazionalismi”, "la disoccupazione", il disagio giovanile e i problemi ambientali, sono certamente preoccupazioni che, tuttavia, possono fungere da "chiave di lettura" per soluzioni comuni. Se lo si desidera.  Al cuore di ogni interrogativo, rimane imprescindibile il tema di "come recuperare l’idea di un’Europa che riporti al centro la persona con il suo fermento di fraternità e la sua volontà di verità e di giustizia". Dunque un’Europa della Persona e nel contempo dei popoli, che sappia rispondere alle tensioni di nazionalismo, di estremismi, di destra e di sinistra, e di globalismo in essa presenti.

Mirko De CarliDe Carli: Se la politica dell’Unione Europea continua a essere così indifferente al disagio dei giovani delle famiglie sempre meno numerose, alla mancanza di lavoro e di certezze, alle prospettive sempre più cupe non solo dell’economia ma anche della coesione sociale, non ci si può stupire se poi i giovani vedono nell’Europa una minaccia più che una opportunità. Questo non dovrebbe riguardare tanto la Chiesa, ma se il messaggio dei pastori cattolici continua a essere così indifferente verso il disagio dei giovani europei indigeni, ai quali si propone solo accoglienza e buonismo, alla fine anche la ricchezza che il messaggio evangelico potrebbe avere per la politica finisce per rimanere nascosto. E dire che, per l'appunto, solo la tradizione cristiana dell’Europa medioevale e prima ancora romana, porta con sé un messaggio di umanesimo integrale, un’istanza di civiltà che vede la persona, la famiglia, le formazioni sociali, il mondo del lavoro e dell'impresa, integrate in maniera perfettamente coerente in un mondo che si attende di essere trasformato per la crescita di tutti. In questa fase storica in cui sembra particolarmente mostrare le sue criticità il mito della globalizzazione, così come le teorie ultra liberiste che dovrebbero portare al famoso sgocciolamento della ricchezza verso il basso, che però non riesce mai a soddisfare l’ansia di futuro dei giovani, se non viene liberata dalle speculazioni finanziarie, la dottrina sociale della Chiesa avrebbe davvero tutte le risposte. Ma occorre che venga conosciuta e soprattutto praticata nella sua originalità e riscoperta nei suoi fondamenti, senza cedere come finora purtroppo è avvenuto molto spesso a modelli culturali, sociali ed economici di altro tipo.



Paul Freeman: Tra i problemi di crisi economica or ora accennati vi è anche una visione economica non equilibrata, frutto di visioni antropologiche riduttive il bene della persona e riduttive del Bene comune. Sarebbe auspicabile un’economia solidale e sussidiaria senza sudditanza e giochi di forza come appare oggi. Per dirla con il Card. Parolin ed il Santo Padre: “.. correggere la globalizzazione dell’indifferenza, sostituendola con la globalizzazione della solidarietà”

De Carli: Certamente, ma quale solidarietà? Bisognerebbe ricominciare ad avere piena consapevolezza dell'originalità e della profondità della dottrina sociale della Chiesa. altrimenti il discorso della solidarietà finisce per diventare non distinguibile dall’umanitarismo di stampo massonico, che è completamente diverso ed è incompatibile con il messaggio sociale cristiano. Basti pensare, lo dico solo come esempio, alla incomprensibile esposizione che la CEI ha voluto adottare sulla questione dello “ius soli”. Un disegno di legge che non avrebbe avuto alcuna apprezzabile conseguenza pratica sui diritti e sull’integrazione dei giovani immigrati, ma serviva soltanto a svalutare ulteriormente nella coscienza dei giovani nativi la consapevolezza del valore della cittadinanza. Cioè, in altri termini, a rendere i nostri giovani cittadini sempre meno consapevoli della ricchezza che deriva dall'essere figli della nostra civiltà, anche in termini di diritti civili, sociali e lavorativi. Lo scopo ultimo, o almeno il rischio di un simile processo, era quello di renderci tutti più disponibili a un lavoro senza tutele, senza diritti, senza limiti alla flessibilità, al precariato, alla mancanza di tutele sindacali. Cioè esattamente a quella disponibilità che è tipica di coloro che vengono nel nostro Paese per fuggire da miseria e disperazione, e chiedono di lavorare per sopravvivere senza alcuna consapevolezza dei diritti sociali che discendono dalla cittadinanza europea. Chi ha la consapevolezza della reale portata del messaggio sociale che dovrebbe essere proprio della tradizione cristiana questo lo capisce subito. Quindi, è stupefacente che proprio da parte di settori influenti della Chiesa ci si sia così appiattiti su un'idea di solidarietà che invece è chiaramente di stampo liberista e massonico, e pienamente funzionale alle esigenze della produzione e del consumo.



Paul Freeman:
Tornando al tema dei migranti alcune riflessioni preziose ci vengono da un aspetto colloquiale del Santo Padre nell’intervista a “La Croix” del maggio 2016. Tale tema è trattato dal Santo Padre con sapienza pastorale, sapienza magisteriale e spinge all’arte dell’integrazione. Arte che, bisogna dirlo, finora, è stata tratta politicamente più come slogan e con tratti ideologici “buonisti” e modaioli che con politiche reali, efficaci e rispettose sia di chi accoglie che di chi è accolto. Vale la pena citarla per intero e rifletterci assieme:

"Lei il 16 aprile ha compiuto un gesto forte portando con sé da Lesbo a Roma alcuni rifugiati. Ma l’Europa può accogliere tanti migranti?
È una domanda giusta e responsabile perché non si possono spalancare le porte in modo irrazionale. Ma la domanda di fondo che bisogna porsi è perché ci sono tanti migranti oggi. Quando sono andato a Lampedusa, tre anni fa, questo fenomeno cominciava già. Il problema iniziale sono le guerre in Medio Oriente e in Africa e il sottosviluppo del continente africano, che provoca la fame. Se ci sono guerre è perché ci sono fabbricanti d’armi — il che si può giustificare per la difesa — e soprattutto trafficanti di armi. Se c’è tanta disoccupazione è per la mancanza d’investimenti che possono creare del lavoro, di cui l’Africa ha tanto bisogno. Ciò solleva in senso più ampio la domanda su un sistema economico mondiale caduto nell’idolatria del denaro. Più dell’80 per cento delle ricchezze dell’umanità sono in mano a circa il 16 per cento della popolazione. Un mercato completamente libero non funziona. Il mercato di per sé è una cosa buona ma gli occorre, come punto di appoggio, una parte terza, lo Stato, per controllarlo ed equilibrarlo. È ciò che chiamiamo economia sociale di mercato. Ritorniamo ai migranti. L’accoglienza peggiore è di ghettizzarli quando al contrario occorre integrarli. A Bruxelles i terroristi erano belgi, figli di migranti, ma venivano da un ghetto. A Londra, il nuovo sindaco ha prestato giuramento in una cattedrale e senza dubbio sarà ricevuto dalla regina. Ciò mostra all’Europa l’importanza di ritrovare la sua capacità d’integrare. Penso a Gregorio Magno che ha negoziato con quanti venivano chiamati barbari, che si sono poi integrati. Questa integrazione è oggi tanto più necessaria in quanto l’Europa sta vivendo un grave problema di denatalità, a causa di una ricerca egoistica del benessere. Si crea un vuoto demografico. In Francia tuttavia, grazie alle politiche familiari, questa tendenza è attenuata."

De Carli: Solo chi è consapevole di sé stesso e delle proprie radici può integrare altri popoli che vengono a chiedere accoglienza. Altrimenti si finisce per venirne disintegrati. Purtroppo, noto che ultimamente ci sono persino studiosi di formazione marxista che comprendono al volo cose che il messaggio sociale oggi consegnato da alcuni uomini di Chiesa sembra invece avere completamente dimenticato, quando sul tema dello scontro di culture in atto si limita a richiami indiretti e semplicistici, di sapore indifferentista, se non proprio a una sorta di "teologia della liberazione”. Non è particolarmente incoraggiante che un messaggio cristiano di grande profondità, come quello che proviene anche da questo pontificato - quando lo stesso si esercita in maniera riflessiva e sa attingere alla grande saggezza della dottrina sociale -, alla fine finisca troppo spesso per giungere alla massa delle persone soltanto in maniera del tutto distorta, con gli slogan buonisti e addirittura di sapore terzomondista dei quali parlavamo prima. Non spetta a noi dilungarci più di tanto sul problema per cui ci sia o meno un problema di comunicazione, ovvero che ci sia una ambiguità voluta. L’importante è che si sappia creare una sorta di riserva intellettuale e politica, che faccia il possibile per giungere alla mente e soprattutto al cuore dei fedeli che non chiedono altro di sentirsi dire, da parte delle presenze autorevoli del mondo cattolico, qualcosa che possa servire a lenire il loro disagio, a farsi sentire ancora protetti dalla Chiesa, dalla propria Chiesa, nei confronti dei potenti di questo mondo e pure dalle prepotenze di coloro che servono altri dei. Una protezione che nella storia Europea era sempre avvenuta, ed è motivo di grande orgoglio per la Chiesa.



Paul Freeman:
Torniamo alla dimensione orchestrata dell’Europa e delle sue radici, citando Romano Guardini: «L’ Europa non è un complesso puramente geografico, né soltanto un gruppo di popoli, ma un’entelechia vivente, una figura spirituale operante. Si è sviluppata in una storia, che passa per quattromila anni e a cui non si può finora paragonare nessun’altra in ricchezza di personalità e di forze, in audacia d’azioni come in profondi movimenti di destini sperimentati, in ricchezza di opere prodotte come in pienezza di significato immessa in ordini di vita creati. […] Una cosa è però sicura […]: l’Europa diverrà cristiana, o non esisterà mai più. Può essere ricca o diventare povera; può avere un’industria altamente sviluppata o dover ritornare a livello rurale; può assumere questa o quella forma politica – in tutto ciò rimane sé stessa, finché vive la sua forma fondamentale» (Romano Guardini, "Europa-Compito e destino")

alternativa popolo della famigliaDe Carli: Noi del Popolo della Famiglia fin dall'inizio della nostra esperienza politica non abbiamo fatto altro che ispirarci al richiamo profetico del cardinale Giacomo Biffi, che diceva esattamente le stesse cose di Romano Guardini sul destino cristiano dell'Europa, e sulle coordinate morali e culturali indispensabili per non cedere a un destino di degrado e dissoluzione. Biffi lo diceva avendo davanti a sé soltanto le prime avvisaglie di un’invasione di migranti economici di provenienza islamica, che all’epoca non era ancora iniziata nelle proporzioni attuali. Abbiamo cercato di concentrare la nostra iniziativa politica non solo sul tema della famiglia ma anche su quello del lavoro, proprio perché siamo consapevoli del fatto che se non si ricomincia a mettere al centro della nostra vita sociale la concezione cristiana di lavoro e famiglia, tra loro indissolubili perché fondamentali per la dignità dell’uomo, secondo l’insegnamento della dottrina sociale della Chiesa, andremo sempre più verso una società che con la globalizzazione, la scristianizzazione e l’indifferentismo religioso porterà con sé anche una forte depauperamento dal punto di vista dei diritti civili e sociali. L'Europa che noi vogliamo è quella di cui la nostra gente ha bisogno, e cioè esattamente quella che avevano nel cuore i grandi maestri della filosofia cattolica. Un’Europa che è consapevole della ricchezza non solo culturale, morale e religiosa, ma anche giuridica e sociale, che le derivano dalla eredità sia cristiana che, ancor prima, del diritto romano. È spaventoso vedere come ci sia una vulgata di tutt'altra radice culturale che in apparenza è ormai dominante anche in vari settori della Chiesa, ma non possiamo fare altro che rimanere saldi nelle nostre radici e nella nostra consapevolezza. Ci conforta ricordare quello che disse in un’epoca di crisi non meno grave della attuale il compianto papa Paolo VI: “..Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all'interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all'interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia” (Paolo VI a Jean Guitton, “Dialoghi con Paolo VI”, 1968)

Questo comporta che non ci si deve rassegnare né tanto meno adeguare, ma che si deve nutrire sempre di più la nostra azione politica non soltanto con le armi del pensiero e della cultura, ma anche con quelle della preghiera e del digiuno.