Rassegna stampa formazione e catechesi
È per il demone della #tristezza che ci sbraniamo - il volto oscuro dell'Accidia
- Dettagli
- Creato: 22 Luglio 2017
- Hits: 9199
La tradizione spirituale orientale la chiama “akedia”, o “il demone meridiano”: un misto di accidia ed ira che spinge all’introversione più buia e rigetta fuori l’uomo nella comunità con gli artigli sguainati contro i fratelli. Così si arriva a “combattere il manicheismo” comportandoci da perfetti manichei. Le fazioni nella Chiesa –catto-comunisti, catto-liberali, spiritualisti, materialisti, manichei, bergogliani e anti-bergogliani – originano tutte da qui
di Paul Freeman per © La Croce quotidiano
Il Demone della Tristezza, un buco nero
La Tristezza nasce dalla superbia
Perché ti rattristi, anima mia,
perché su di me gemi?
Spera in Dio: ancora potrò lodarlo,
lui, salvezza del mio volto e mio Dio. (Sl. 42,6)
Di solito leghiamo la tristezza ad un qualche stato depressivo o meglio di melanconia. Nei nostri tempi, carichi di politicamente corretto, si depreca la rabbia e l’ira ma non la tristezza. Questo perché la tristezza conserva una specie di fascino dell’introspezione ma, sotto sotto, se siamo attenti, è perché essa è lo specchio migliore di un cuore superbo. Rattrappito.
La Tristezza, ha prolungato, culturalmente, quel sentimento di Tristano e Isotta, distorsione dell’amor cortese, che celebra sé stesso e non l’amato.
In tempi più recenti quello dell’eroe romantico che sfida il destino, contro tutto e tutti, in una sorta di martirio nichilistico che si nutre del nulla ma, in definitiva, è posto a celebrare sé stesso.
Il Demone della Tristezza, in certo qual modo, rivela le fondamenta e l’epilogo del soggettivismo: il culto di sé finanche nella sofferenza estrema.
Nella tradizione dei padri orientali i vizi, come già detto, non sono solo sette ma secondo le scuole otto o addirittura nove. In un famoso trattato ascetico di Evagrio Pontico (monaco cristiano del IV secolo d.C.), la Practikè, l’autore elenca gli otto ostacoli che ci separano da Dio. Questi ostacoli sono chiamati loghismoi, che letteralmente vuol dire “pensieri”.
Pensieri cattivi che dividono l’uomo da sé stesso e dalla via naturale e sovrannaturale del bene.
Hanno dunque funzione diabolica, divisoria. Al partire dal di dentro.
Il grande lavoro introspettivo alla luce della Tradizione e della Parola compiuto dai Padri del deserto, che hanno cercato la via della santità con una vocazione eremitica e comunitaria nel deserto, ha colto nel “Demone della Tristezza” un potente e feroce nemico del cuore dell’uomo.
Perché?
Perché la Tristezza, a differenza di altri vizi di natura improvvisa, come l’ira o come la lussuria, non è una perversione necessariamente di una virtù, di una cosa buona, ma un sentimento perverso chiuso che guarda sé medesimo e che trova, addirittura, nella sofferenza il suo alimentarsi.
Il Demone della Tristezza gode della frustrazione, della sofferenza e della tragedia, propria e altrui.
La frustrazione generata dal senso di colpa dopo un peccato, ad esempio, è nettare per la Tristezza.
In certo qual modo la Tristezza è quanto di più lontano dal senso del peccato, che è cosa sana, cioè da quanto può portarci seriamente alla conversione.
Dice San Paolo:
“la tristezza secondo Dio produce un pentimento irrevocabile che porta alla salvezza,
mentre la tristezza del mondo produce la morte” (2Cor 7,10).
La Tristezza secondo Dio nasce dal “senso del peccato” ed è in vista di una relazione con Dio. Quindi spinge ad una metànoia, ad una conversione. Ad un sano dolore che porta ad un movimento di comunione e di verità con Dio.
Era la Tristezza “naturale” che poteva sgorgare facilmente nel cuore di Adamo e di Eva che avevano una condizione naturale di visione di Dio e delle sue sante operazioni ben diversa dalla nostra.
Invece proprio Adamo ed Eva lasciano spazio al sentimento “carnale” e “mondano” del “senso di colpa".
Distruttivo.
Cioè quella ricerca di sé nonostante sé e nonostante la realtà, fuori di sé e del proprio cuore.
Qui si colloca il “Demone della Tristezza”.
La Tristezza infatti cerca l’essere nel non essere e nell’abbrutimento dell’essere stesso, ed è alleata profonda della disperazione.
Anzi la disperazione è figlia del Demone della Tristezza. Come spiegarla?
Forse le categorie che abbiamo introdotto nel ciclo di riflessione sui Bisogni Fondamentali e la Filautia ci possono aiutare (Serie di riflessioni sui Bisogni fondamentali e la Filautia).
La Tristezza è legata anch’essa al Bisogno di Identità.
Quando questo bisogno, buono e propedeutico all’essere dio in Dio, figli nel Figlio, è stato ferito, esso cerca spasmodicamente un poter essere e, talvolta, anche a costo di essere senza Dio.
Il quale è appunto l’anticamera del nichilismo e del nulla, la disperazione.
La Tristezza, dunque, è frutto di un animo superbo, di un'avarizia insaziabile e dell’assurdo ontologico che la Superbia (Il grande peccato: la superbia), la vanagloria e la vanità portano in sé.
E tale demone si inserisce perfettamente anche in anime che hanno maturato una certa virtuosità.
Anche in anime molto avanti nel cammino di santità.
Un certo culto disordinato delle devozioni, della “teologia della croce”, di uno smodato ruolo di essere salvatori e/o salvatrici delle situazioni.
Un non distaccato ruolo di leaderismo.
Un bisogno reiterato di trovare vittime per fare le crocerossine o i crocerossini è il segno che l’io sta mendicando in “cisterne screpolate”.
C’è quasi un sesto senso nelle anime in preda al Demone della Tristezza, esse trovano situazioni o persone che possano farle sprofondare o confermare ancora di più in questo stato malato. Anzi auto-malato.
Si crea dunque un circolo vizioso allargato. Che spegne la Carità e porta alla mormorazione e alla detrazione. Al cinismo ed alla auto-consacrazione.
Un circolo “tanatofilo”, amante della morte.
Non si dimentichi le attuali campagne pro-eutanasia. Personali e collettive.
Questo auto-alimentarsi nel nulla è tipico del primo angelo, portatore di Luce, caduto nei miasmi di sé stesso (satana, il nemico dell\'uomo e ladro della gioia). Egli è il primo Triste, secondo questa accezione. Confermato nella Tristezza, che è l’Inferno.
La scrittura dopo di Lui ricorda proprio Adamo ed Eva che, in preda alla Tristezza, si sentono nudi e si nascondono da Dio. Ma, come dicevamo in una approfondita riflessione esegetico-spirituale su queste pagine (L’amore di sé e i tre #bisogni fondamentali), non cercano di uscire dalla tristezza e generano la violenza dello “scaricamento della responsabilità” e dell’accusarsi a vicenda. Della divisione.
Il triste, infatti è un cuore solo, incapace di comunione.
Ma di questa incapacità e di questo inferno si nutre.
Pertanto dire “l’inferno sono gli altri” ("l'enfer, c'est les autres", Jean-Paul Sartre) è la manifestazione di un cuore immaturo che è incapace di uscire dal bozzolo della Tristezza che ogni giorno si costruisce e si auto-edifica, per poter essere.
Soffro dunque sono.
Qui compie, in maniera malata, il suo Bisogno di Identità.
Ed è il culmine della Superbia proprio perché non disordina un bene ed un buono, ma si alimenta del vuoto prodotto dal suo cuore.
Il Demone della Tristezza, dunque, si lega bene con l’immaturità ed il narcisismo ed anche con alcune forme di omo-erotismo.
Tuttavia il primo personaggio che la Sacra Scrittura indica esplicitamente in preda alla Tristezza è Caino. Egli è triste perché guarda la sua “non riuscita”.
Non gioisce di quanto ha potuto fare e non gioisce di quanto ha fatto il fratello ma si rinchiude in un sentimento di Tristezza che, covato, porterà prima all’invidia ed alla gelosia e poi all’ira (orgè, ὀργή) ed infine all’omicidio.
Ma Dio, che gli vuole bene, e che conosce il cuore dell’uomo, gli dona un consiglio, una parola di vita fondamentale, suggerimento della mente, calore del cuore, forza nelle mani per adempiere il suggerimento:
«Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto?
Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta;
verso di te è il suo istinto, ma tu dòminalo» (Gn. 4,6-7)
La Tristezza e l’empietà
Il Demone della Tristezza è legato strettamente all’empietà.
Cos’è l’empietà?
È il contrario della Pietà, cioè dell’affezione verso Dio.
Ne abbiamo parlato in passato quando abbiamo parlato dei doni dello Spirito Santo (Il dono della Pietà).
Proprio questo dono, la Pietà, è un moto di affezione, di tenerezza, di sostegno, che parte da Dio.
Dio la dona a Caino e si rivolge a lui come un padre, quasi come una madre.
«Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto?
Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto?
Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta;
verso di te è il suo istinto, ma tu dòminalo» (Gn. 4,6-7)
Dio, dunque, cerca di prevenire quello che potrebbe accadere se Caino coltiva in sé il Demone della Tristezza. L’invidia e la gelosia, il ripiegamento su di sé, il “volto abbattuto”, lo porteranno, infatti, all’omicidio.
Qual è il meccanismo che agiva nel “volto abbattuto” di Caino?
Non la pietà verso Dio. Non l’affezione verso l’Altissimo, ma il “culto dei torti subiti”.
Questo era l’altare dell’offerta per Caino, manifesto e nascosto, che pian piano lo porterà ad essere sordo alla grazia ed alla potenza rigenerante e guarente della Parola e lo porterà a considerare anzitutto il fratello, altro da sé, a spezzare la comunione:
“Sono forse io il custode di mio fratello?” (Gn. 4,9).
Questa affermazione di Caino è una “Professio della Tristezza” coltivata, che prima lo ha portato alla fazione, al secare sé stesso da Dio, da sé medesimo e dalla sua famiglia, quindi al settarismo, e poi all’omicidio.
È un bene che Dio lo porti qui, a svelare il “pensiero”, il loghismoi del suo cuore, la sua Tristezza, perché così lo porta alla luce perché possa ritornare (Shuv) a Dio, a sé stesso ed ai suoi.
“Riprese [Dio]: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra». Disse Caino al Signore: «Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono? Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e io mi dovrò nascondere lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere». Ma il Signore gli disse: «Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!». Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l'avesse incontrato. Caino si allontanò dal Signore e abitò nel paese di Nod, ad oriente di Eden.” (Gn. 4,10-16)
La medicina comminata da Dio è quella di una cura e di un ritorno alla vita.
Dio spezza il gioco di morte, di cui parleremo a breve, la fazione che genera fazione, la divisione, e l’omicidio.
E quanto è importante la medicina data da Dio.
Quanto è importante la dimensione medicinale dopo il peccato e, talvolta, prima che esso venga consumato.
Beato chi ne coglie la dolcezza, dietro l’amarezza temporanea.
“Gettiamoci nelle braccia del Signore
e non nelle braccia degli uomini;
poiché, quale è la sua grandezza,
tale è anche la sua misericordia”. (Sir. 2,18)
La Tristezza e le fazioni vittimistiche
Don Fabio Rosini, in una bella catechesi su tale demone, quello della Tristezza, porta ad esempio l’iperbole, del popolo tedesco, convinto da Hitler di essere vittima degli ebrei, tale da scatenarne la persecuzione.
C’è molto del vero in questa iperbole che illumina il macrocosmo dei demoni che affliggono interi gruppi di persone, addirittura di popoli: quello di essere vittime.
Caino si sentiva una vittima e aveva spezzato la comunione con Abele e da qui, da questa divisione nasce il vittimismo mortifero che lo porterà all’omicidio.
Così si comportano i vittimisti, in preda al Demone della Tristezza, sono faziosi e portano alla fazione.
Alimentano il distinguo, non per una comunione maggiore e verso un orizzonte di Eternità in Dio, ma per una divisione eterna. Una condanna eterna.
Però, mentre dobbiamo stare molto attenti a non cadere nel Demone della Tristezza e non essere tra coloro che si percepiscono come vittime dobbiamo, nel contempo, gettare ponti di comunione o, perlomeno, ed è arte di Carità, non alimentare reazioni vittimistiche inadeguate.
Per il bene dell’altro e per il bene della comunione.
Cerco di spiegarmi.
Molto bello e prezioso il gesto di Papa Francesco di includere nel Giubileo della Misericordia i fratelli della Comunità di San Pio X (“Lettera del Santo Padre Francesco al Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione all’approssimarsi del Giubileo Straordinario della Misericordia” e “Misericordia et misera”). Riconoscere il valore di altre prospettive, nell’alveo della cattolicità, e saperle orchestrare senza stigmatizzare è il compito di un pastore.
Orchestrare significa valorizzare ogni strumento e colui che lo suona.
Non certo dire al flauto tu sei un clarinetto o alla gran cassa tu sei un violino.
Ognuno ha il suo ruolo nell’economia del Regno ed ognuno, non senza tensioni dialettiche, porta il suo contributo.
Quello che a volte appare dissonante è, piuttosto, sinfonia che sta preparando lo Spirito del Signore, magari accordando gli strumenti; con arte.
Perché anche la Pastorale è Liturgia e qui si fonda.
Meno bene, invece, facciamo noi, e specie chi per bisogni (sì bisogni rimossi o negati o comunque non esternati alla coscienza), vive di “identificazione proiettiva” o “bisogno di piacere al capo”. Ogni papato ha i suoi.
Sovente quando noi cadiamo in queste trappole dello spirito della Tristezza siamo fazionisti, divisori.
Chiamiamo “satana” i nostri nemici o chi non la pensa come noi.
Trolliamo in su ed in giù per i social alla ricerca di come esternare la nostra tristezza (vile e fonte di detrazione) con la patina di servire il Regno mentre stiamo solo alimentando divisione, nichilismo, mormorazione, invidia, gelosia e morte. Siamo amanti della infelicità, amanti della tristezza.
Tu dici: "Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla",
ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo. (Ap. 3,17)
Cerchiamo la morte dell’altro (ora, stesse da parte!), ma ci fermiamo alla “morte civile”, giusto per non passare per incivili e svelare al pubblico e a noi stessi il marcio che abbiamo nel fondale del cuore. Siamo ipocriti sopraffini.
Il dramma è che così alimentiamo il Demone della Tristezza che portiamo dentro e rafforziamo il baratro del cuore. Cosa ancora più grave, alimentiamo le divisioni e le fazioni e non spezziamo le catene di morte come fa Dio:
«Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!».
Insomma rafforziamo il Demone della Tristezza in noi e nei fratelli.
Manichei combattiamo il manicheismo.
Pertanto ecco fiorire analisi sommarie che condannano non le idee e i comportamenti, con un sano giudizio, ma identificano le idee e i comportamenti con chi li professa e li vive, stigmatizzando.
Catto-comunisti, catto-liberali, materialisti, spiritualisti, manichei, bergogliani e antibergogliani, farisei, lassisti, ecc.
Sui farisei, poi, dobbiamo capirci.
Gesù non stigmatizza una categoria, Gesù condanna un modo ipocrita di pensare e di agire. Ed i farisei non sono necessariamente dei “conservatori” ma possono essere, comodamente, anche dei “progressisti”. Ed in maniera più sopraffina.
Gesù, invece, ha cura dei farisei e stima il loro ruolo, per questo giudica il loro modo di ragionare e le loro pratiche che odorano di ipocrisia.
È dall’amore e dall’appartenenza che sgorga il “guai!” di Cristo, maestro e Signore.
Dobbiamo dunque negare ogni giudizio?
No, ma dobbiamo educare il cuore, la mente e la lingua a considerare che prima delle idee di una persona o del suo comportamento c’è il bene della sua essenza, di quel volto, di quegli occhi, di quella storia e, non in ultimo, che Cristo è morto e risorto per quel “nostro nemico”. Foss’anche un nemico conclamato della Chiesa.
Questo non significa essere “buonisti” o “tatticamente buoni”, e magari dei “buon-intenzionisti”, ma, piuttosto di stare, sempre, alla scuola del cuore del Padre che per la bocca del Figlio, nostro Signore dice:
“Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma Io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. Dà a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle.
Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti.” (Mt. 5,38-45)
Questa scuola, inoltre ci aiuta a cogliere quello che lo Spirito sta dicendo attraverso il nemico che, forse, abbiamo stigmatizzato, e che potrebbe essere prezioso per noi e per il bene comune.
Ed ancora..
Che senso può avere ergersi ad interprete, autentico ed autenticato, del magistero petrino, sotto ogni pontificato, ed alimentare correnti e contro-correnti.
La vera corrente e la vera contro-corrente è la santità a cui ci chiama il Padre, per il Figlio, nello Spirito Santo.
Chi è in preda al Demone della Tristezza fa dipendere tutto da sé stesso e dagli effetti devastanti dell’omicidio, sotto ogni forma. Con le azioni, con la voce, con la tastiera di un pc, con le rigide stigmatizzazioni, con le correnti sottobanco e le tattiche che mancano gravemente alla Carità.
Chi si incammina nella via della conversione, pur facendo tutto il bene, il vero ed il giusto di cui è capace, restituisce il “potere a Dio”.
Sempre.
Non si appropria di nulla. Neanche delle ragioni.
Non ruba, non è ladro, ma grato.
Perché questo è il sentimento della Pietà, la lode, la gratitudine e la restituzione.
E come ieri poteva stupirci la conversione di un peccatore, magari pubblico, domani potrebbe stupirci la conversione di un “rigido fariseo”.
“Si è forse raccorciato il braccio di Dio?” (Nm. 11,23) o non si è forse raccorciato il nostro, di braccio, ed intorpidito il cuore?
Non si è forse obnubilato il nostro sguardo auto-confermandoci in uno status delirante di Tristezza che schiaccia tutto e tutti, con la prepotenza del “nemico di Dio”?
Combattere la Tristezza
“Rallegratevi nel Signore, sempre;
ve lo ripeto ancora, rallegratevi.” (Fil. 4,4)
Ma come si fa a comandare la gioia?
Come dicevamo, il Demone della Tristezza spezza la comunione ed alimenta la divisione.
Divisione con Dio, con i fratelli e con sé stessi. Essa tende a far sprofondare nel buco nero pur di essere.
Spezzando il circolo della Pietà spegne pian piano l’Amore e si diventa cinici, freddi, sclerocardici, insensibili, distaccati e distanti, ed incapaci di gioia.
Si vede solo cose tristi, scritti tristi, riflessioni tristi, film tristi, musiche tristi, si accentua quello smodato culto di sé, infantile e narcisistico.
Si ama la lamentela e le situazioni vengono rese senza Speranza e senza Sapienza.
Ed allora?
Allora occorre una scelta.
La scelta della gioia nel Signore, la scelta dell’Amore.
Nessuno si può dare la gioia ma ciascuno la può scegliere per riceverla.
Proprio il Signore è pronto a donarla nel momento che si ri-costruisce il circolo della Pietà. Anche perché il nostro cuore è fatto per Dio e dove Dio manca, il profondo abisso si rinchiude in sé nei miasmi della disperazione.
Come sarebbe stata diversa la nostra storia e la nostra ferita se immediatamente Adamo ed Eva fossero corsi a Dio con le parole di Davide:
“Ho peccato contro il Signore!” (2Sam. 12,13)
La prontezza nello stanare il Demone della Tristezza ci conferma, pian piano, nello Spirito della Gioia e della lode.
La Tristezza opera il distacco dal fratello, invece la gioia nel Signore opera il distacco dal peccato del fratello e, nel contempo, lega il nostro cuore al suo cuore ferito, con la Misericordia di Cristo.
Ricordava San Francesco nella regola non bollata al cap. 5, 7-8
".. E si guardino tutti i frati, sia i ministri e servi sia gli altri, dal turbarsi e dall’adirarsi per il peccato o il male di un altro, perché il diavolo per la colpa di uno vuole corrompere molti, ma spiritualmente, come meglio possono, aiutino chi ha peccato, perché non quelli che stanno bene hanno bisogno del medico, ma gli ammalati.".
La Tristezza dunque porta al cinismo, mentre la Carità porta alla misericordia. E qui risiede la gioia.
Perché noi non siamo fatti per la gioia e il godimento, ma per l’Amore; per amare nell’Amore e per Amore.
Quando questo accade c’è l’estasi, l’uscire da sé e c’è la vera estetica, quella non narcisistica, e la vera Gioia. Inamovibile.
“Il frutto dello Spirito invece è amore,
gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé;
contro queste cose non c'è legge.” (Gal. 5,22-23)
La gioia è dunque un effetto che supera l’intenzionalità e persino la scelta stessa di perseguirla.
Essa è il vento della corsa verso il bene e verso Dio.
La gioia è un frutto dello Spirito Santo e fa parte di un processo.
Fa parte di quelle cose che non si possono creare in sé, come il piacere, la soddisfazione, la felicità, la spontaneità, il buonumore.
Viene sperimentata come un dono, qualsiasi cosa io faccia per procurarmela direttamente fallisce. «Voglio divertirmi!» è un assurdo.
Io posso volere il bene, e allora mi sarà regalata la gioia. Qui si zittisce il Demone della Tristezza. “Taci, calmati, alza il tuo volto!”
Se dunque scelgo il bene nel Signore, avrò la Gioia del Signore.
Ne conosci una eguale, anima mia?
http://www.lacrocequotidiano.it - 22 luglio 2017