Rassegna stampa formazione e catechesi
CRISTO GUIDA LA CHIESA
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- Creato: 22 Febbraio 2024
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"Praesta, quaesumus, omnípotens Deus, ut nullis nos permíttas perturbatiónibus cóncuti, quos in apostólicae confessiónis petra solidásti".
(Dalla Colletta della Festa della Cattedra di Pietro apostolo)
"Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla" (Sl. 22,1)
Questo bellissimo versetto del salmo 23, proclamato responsorialmente nella liturgia, introduce e significa la festa di oggi.
Onorare la cattedra di Pietro significa riconoscere che il Signore guida, sempre ed infallibilmente, il suo popolo, il suo gregge, in Pietro e per Pietro.
Pietro, a sua volta, è legato strettamente, nel sacerdozio, con il collegio degli apostoli e dei suoi successori.
È un'autentica posta solennemente da Gesù con l'affermazione "Tu sei Pietro e su questa Pietra (cioè sé stesso), edificherò la mia Chiesa".
Ora ciò non è per niente scontato.
Anche noi cattolici, spesso, riconosciamo formalmente la guida di Pietro nel Papa ma poi, in realtà, sulle cose attinenti alla fede, al magistero e all'etica ci rivestiamo del baluardo ingannatorio della personale coscienza.
La coscienza allora non è un luogo della rivelazione di Dio e, nel contempo, un luogo di crescita alla luce di Cristo per Pietro ma diventa piuttosto il luogo in cui rivendicare una autonomia e una libertà che in realtà schiavizzano sottilmente. E non ce ne accorgiamo; il ché è un male terribile e nascosto.
Infatti proprio con l'affermazione di "secondo coscienza" si consumano non solo i relativismi più comuni ma prima ancora il fiorire di strutture di superbia spesso invalicabili, sclerocardiche.
Da cui comportamenti e scelte disumane ed errate.
Non si può amare il Papa senza amare il proprio vescovo, i propri sacerdoti, i propri parroci.
Non è l'amabilità (e oserei dire persino il peccato) di questi fratelli e padri che deve renderci docili ma il mistero che in essi, al di la della povertà umana, traspare.
E per vedere il mistero occorre invocare e crescere nel dono di Scienza. Il dono di Scienza sono gli occhiali correttivi per l'occhio puro. Perché i "puri di cuore vedranno Dio".
Quel dono che, legato strettamente al Timor di Dio, è impossibile per "il nemico dell'uomo" e per chi, consapevolmente o inconsapevolmente, ne è discepolo.
Troppo comodo dire di amare il Papa e poi sparlare di un vescovo, di un cardinale, di un sacerdote, anche se fosse in errore.
Troppo spesso noi laici facciamo, per così dire, "pipì fuori dal vaso" e ci arroghiamo un diritto di critica che non ci compete e che non rispetta il senso profondo della festa di oggi e del mandato che Gesù ha dato a Pietro e ai suoi successori e collaboratori.
Troppo facilmente, ed erroneamente, parliamo di auto-referenzialità quando invece stiamo coltivando personalissime visioni dietro ciò che ci appare come "logica".
Davanti a Dio certamente saremo giudicati secondo quanto da noi colto sinceramente. Ma la sincerità di quanto abbiamo colto non autentica il nostro pensiero, la nostra visione e la nostra coscienza.
Occorre dunque, sempre, lasciare aperto lo spiraglio allo Spirito perché, come detto e ripetuto fino alla noia, primo e supremo carisma è la rinuncia ad ogni carisma. La docilità di un cuore umile apre al Dio dell'impossibile. Gli concede per così dire il "seno", lo spazio.
Questa distonia esistenziale tra l'accoglienza scardinante di Dio e la nostra resistenza "logica" all'uscire fuori "da" noi stessi (che è contro la Logica) è un dramma per tutti ma diventa assai più dissonante quando investe l'universo femminile, orientato ontologicamente all'accoglienza della vita.
Come su queste pagine viene altresì ripetuto, è la docilità umile di una coscienza vigile ma amante che aiuta il pastore a fare il pastore.
In sostanza chiamiamo le cose per nome!
Quella che riteniamo talvolta correzione fraterna di un pastore è in realtà un servizio che stiamo facendo al nostro ego; più un nostro bisogno che un'esigenza dello Spirito Santo.
"Brindare alla propria coscienza" come dicono alcuni citando, erroneamente, il card. Newman, diventa l'occasione, tutta carnale, rivestita di spiritualità, di dire quello che noi pensiamo, su tutto e su qualunque cosa; come se dal nostro pensiero dipendesse il mondo e non piuttosto una nostra percezione personalissima di esso.
Ricordava CS Lewis:
«Un uomo non può sminuire la gloria di Dio rifiutando di adorarlo più di quanto un pazzo possa spegnere il sole scarabocchiando la parola “buio” sui muri della sua cella».
Questo che è certamente vero per le sorelle e i fratelli che si legano, purtroppo, all'ateismo ed è vero anche ai cultori della "sola coscienza personale" non come espressione limitata ed operativa di un sacrario che abbiamo ricevuto (e che va coltivato rettamente), ma che erigono come assoluto che pretende di creare la realtà perché intuita e pensata. Io vedo e penso e dunque decido cio che è. E l'infantilismo ed assurdo cartesiano di confondere il percepito con l'ontologico è prassi quotidiana.
I blog, i forum, anche cattolici, spesso sono un alimentare di questa visione errata, "gossippara", narcisistica e da "comari isteriche" che non manca di offendere Pietro e il collegio degli apostoli. E quindi di offendere Cristo.
Quanti danni alle parrocchie, alle diocesi, alle comunità nascono da questa deformazione tutta carnale.
Carnale in maniera raffinata perché rivestita da spiritualità o da nozionismo in apparenza dotto.
Una deriva realmente "lussuriosa" che non prende la genitalità ma il delirio della propria coscienza e legittima, sotto l'apparenza di progressismo, di tradizionalismo o di logica, il desiderio di sottolineare quell' "io valgo", tipico degli adolescenti. Anche se magari si hanno ottant'anni.
Anche se trattiamo di cose sacrosante e inerenti al Regno di Dio. Non sappiamo stare al nostro posto come luogo in cui vivere lo spirito di Nazaret, non sappiamo avere veramente fiducia di Dio e in Dio, non abbiamo la fiducia incrollabile nella preghiera e non adoperiamo i corretti canali ecclesiali per manifestare quella che ci sembra possa essere un vero servizio alla vita e al Regno.
Dietro il desiderio di servire "la verità" abbiamo calpestato la verità profonda della festa di oggi e abbiamo servito su un piatto d'argento cibo al nostro ego ferito e malato. Anche noi chiediamo la testa del Battista, che è la coscienza illuminata dallo Spirito.
Non ci siamo rivestiti dell'umiltà di Cristo e abbiamo lasciato campo libero alla nostra vanità.
Non abbiamo fede; magari con l'apparenza di essere devoti del papa, calpestiamo l'immagine, il ruolo e la valenza simbolica di un parroco, di un vescovo o di un cardinale.
Abbiamo messo le catene, con la prepotenza dei narcisisti all'agire di Dio e al Suo braccio, che è proteso sempre a darci ciò che ci trascende (e dunque ci umanizza) e rende possibile l'impossibile.
Crediamo di fare un servizio sociale, giornalistico, di informazione, di libera critica... ma tutto sommato siamo ancora pagani a tutto tondo con la parvenza di essere cattolici e magari "papisti".
Questo è scarso, scarsissimo senso di Chiesa.
Questo non porta fecondità; né a noi, né alla Chiesa, né alla società, né al Regno di Dio.
E i social, con quell'inutile post da te scritto, nascosto, cinico, apparentemente insignificante, quel tuo ".. questa volta non ci trova d'accordo.." riverbera un cancro, quello del servizio al tuo io delirante e ferito. E tu, proprio tu che magari non credi, o ridimensioni la ferita di origine, ne sei l'apostolo ed apologeta più evidente.
Questo perché in compenso aumenta a dismisura la malattia dell'anima ferita dal peccato originale. Quella che - per scorciatoia apodittica - neghiamo per auto-referenziare noi stessi e il nostro (coccolatissimo) pensiero.
Altra strategia di fuga è quella che ci fa identificare proiettivamente una fede incrollabile nelle istituzioni mondane, governo, partito, corrente ideologica piuttosto che la fede che è dovuta alla Chiesa. In sostanza facciamo del governo, del partito, della corrente di pensiero, una fede. Decisamente più comoda perché proiettivamente aderente al nostro ombelico.
Facciamo di tutto per non credere in Cristo e nella Sua Chiesa e rivestiamo del "primato della cattedra di Pietro" non Pietro, ma l'idolo che abbiamo scelto come rappresentante delle nostre isterie calpestando, tra l'altro, il Bene Comune.
Ma fra noi non è e non può essere così (Mc. 10,43)
La Quaresima è tempo propizio per entrare nel cuore di questa festa e nel mandato che Gesù a dato a Pietro e in Pietro ai suoi sacerdoti ed anche a tutti noi, servi. Perché il sacerdozio battesimale risplenda e sia, finalmente, slegato, occorre che si viva, nella carne, la Diakonia di Cristo.
E il discepolato dei piccoli.
Salvatore e Paul
(Dalla Colletta della Festa della Cattedra di Pietro apostolo)
"Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla" (Sl. 22,1)
Questo bellissimo versetto del salmo 23, proclamato responsorialmente nella liturgia, introduce e significa la festa di oggi.
Onorare la cattedra di Pietro significa riconoscere che il Signore guida, sempre ed infallibilmente, il suo popolo, il suo gregge, in Pietro e per Pietro.
Pietro, a sua volta, è legato strettamente, nel sacerdozio, con il collegio degli apostoli e dei suoi successori.
È un'autentica posta solennemente da Gesù con l'affermazione "Tu sei Pietro e su questa Pietra (cioè sé stesso), edificherò la mia Chiesa".
Ora ciò non è per niente scontato.
Anche noi cattolici, spesso, riconosciamo formalmente la guida di Pietro nel Papa ma poi, in realtà, sulle cose attinenti alla fede, al magistero e all'etica ci rivestiamo del baluardo ingannatorio della personale coscienza.
La coscienza allora non è un luogo della rivelazione di Dio e, nel contempo, un luogo di crescita alla luce di Cristo per Pietro ma diventa piuttosto il luogo in cui rivendicare una autonomia e una libertà che in realtà schiavizzano sottilmente. E non ce ne accorgiamo; il ché è un male terribile e nascosto.
Infatti proprio con l'affermazione di "secondo coscienza" si consumano non solo i relativismi più comuni ma prima ancora il fiorire di strutture di superbia spesso invalicabili, sclerocardiche.
Da cui comportamenti e scelte disumane ed errate.
Non si può amare il Papa senza amare il proprio vescovo, i propri sacerdoti, i propri parroci.
Non è l'amabilità (e oserei dire persino il peccato) di questi fratelli e padri che deve renderci docili ma il mistero che in essi, al di la della povertà umana, traspare.
E per vedere il mistero occorre invocare e crescere nel dono di Scienza. Il dono di Scienza sono gli occhiali correttivi per l'occhio puro. Perché i "puri di cuore vedranno Dio".
Quel dono che, legato strettamente al Timor di Dio, è impossibile per "il nemico dell'uomo" e per chi, consapevolmente o inconsapevolmente, ne è discepolo.
Troppo comodo dire di amare il Papa e poi sparlare di un vescovo, di un cardinale, di un sacerdote, anche se fosse in errore.
Troppo spesso noi laici facciamo, per così dire, "pipì fuori dal vaso" e ci arroghiamo un diritto di critica che non ci compete e che non rispetta il senso profondo della festa di oggi e del mandato che Gesù ha dato a Pietro e ai suoi successori e collaboratori.
Troppo facilmente, ed erroneamente, parliamo di auto-referenzialità quando invece stiamo coltivando personalissime visioni dietro ciò che ci appare come "logica".
Davanti a Dio certamente saremo giudicati secondo quanto da noi colto sinceramente. Ma la sincerità di quanto abbiamo colto non autentica il nostro pensiero, la nostra visione e la nostra coscienza.
Occorre dunque, sempre, lasciare aperto lo spiraglio allo Spirito perché, come detto e ripetuto fino alla noia, primo e supremo carisma è la rinuncia ad ogni carisma. La docilità di un cuore umile apre al Dio dell'impossibile. Gli concede per così dire il "seno", lo spazio.
Questa distonia esistenziale tra l'accoglienza scardinante di Dio e la nostra resistenza "logica" all'uscire fuori "da" noi stessi (che è contro la Logica) è un dramma per tutti ma diventa assai più dissonante quando investe l'universo femminile, orientato ontologicamente all'accoglienza della vita.
Come su queste pagine viene altresì ripetuto, è la docilità umile di una coscienza vigile ma amante che aiuta il pastore a fare il pastore.
In sostanza chiamiamo le cose per nome!
Quella che riteniamo talvolta correzione fraterna di un pastore è in realtà un servizio che stiamo facendo al nostro ego; più un nostro bisogno che un'esigenza dello Spirito Santo.
"Brindare alla propria coscienza" come dicono alcuni citando, erroneamente, il card. Newman, diventa l'occasione, tutta carnale, rivestita di spiritualità, di dire quello che noi pensiamo, su tutto e su qualunque cosa; come se dal nostro pensiero dipendesse il mondo e non piuttosto una nostra percezione personalissima di esso.
Ricordava CS Lewis:
«Un uomo non può sminuire la gloria di Dio rifiutando di adorarlo più di quanto un pazzo possa spegnere il sole scarabocchiando la parola “buio” sui muri della sua cella».
Questo che è certamente vero per le sorelle e i fratelli che si legano, purtroppo, all'ateismo ed è vero anche ai cultori della "sola coscienza personale" non come espressione limitata ed operativa di un sacrario che abbiamo ricevuto (e che va coltivato rettamente), ma che erigono come assoluto che pretende di creare la realtà perché intuita e pensata. Io vedo e penso e dunque decido cio che è. E l'infantilismo ed assurdo cartesiano di confondere il percepito con l'ontologico è prassi quotidiana.
I blog, i forum, anche cattolici, spesso sono un alimentare di questa visione errata, "gossippara", narcisistica e da "comari isteriche" che non manca di offendere Pietro e il collegio degli apostoli. E quindi di offendere Cristo.
Quanti danni alle parrocchie, alle diocesi, alle comunità nascono da questa deformazione tutta carnale.
Carnale in maniera raffinata perché rivestita da spiritualità o da nozionismo in apparenza dotto.
Una deriva realmente "lussuriosa" che non prende la genitalità ma il delirio della propria coscienza e legittima, sotto l'apparenza di progressismo, di tradizionalismo o di logica, il desiderio di sottolineare quell' "io valgo", tipico degli adolescenti. Anche se magari si hanno ottant'anni.
Anche se trattiamo di cose sacrosante e inerenti al Regno di Dio. Non sappiamo stare al nostro posto come luogo in cui vivere lo spirito di Nazaret, non sappiamo avere veramente fiducia di Dio e in Dio, non abbiamo la fiducia incrollabile nella preghiera e non adoperiamo i corretti canali ecclesiali per manifestare quella che ci sembra possa essere un vero servizio alla vita e al Regno.
Dietro il desiderio di servire "la verità" abbiamo calpestato la verità profonda della festa di oggi e abbiamo servito su un piatto d'argento cibo al nostro ego ferito e malato. Anche noi chiediamo la testa del Battista, che è la coscienza illuminata dallo Spirito.
Non ci siamo rivestiti dell'umiltà di Cristo e abbiamo lasciato campo libero alla nostra vanità.
Non abbiamo fede; magari con l'apparenza di essere devoti del papa, calpestiamo l'immagine, il ruolo e la valenza simbolica di un parroco, di un vescovo o di un cardinale.
Abbiamo messo le catene, con la prepotenza dei narcisisti all'agire di Dio e al Suo braccio, che è proteso sempre a darci ciò che ci trascende (e dunque ci umanizza) e rende possibile l'impossibile.
Crediamo di fare un servizio sociale, giornalistico, di informazione, di libera critica... ma tutto sommato siamo ancora pagani a tutto tondo con la parvenza di essere cattolici e magari "papisti".
Questo è scarso, scarsissimo senso di Chiesa.
Questo non porta fecondità; né a noi, né alla Chiesa, né alla società, né al Regno di Dio.
E i social, con quell'inutile post da te scritto, nascosto, cinico, apparentemente insignificante, quel tuo ".. questa volta non ci trova d'accordo.." riverbera un cancro, quello del servizio al tuo io delirante e ferito. E tu, proprio tu che magari non credi, o ridimensioni la ferita di origine, ne sei l'apostolo ed apologeta più evidente.
Questo perché in compenso aumenta a dismisura la malattia dell'anima ferita dal peccato originale. Quella che - per scorciatoia apodittica - neghiamo per auto-referenziare noi stessi e il nostro (coccolatissimo) pensiero.
Altra strategia di fuga è quella che ci fa identificare proiettivamente una fede incrollabile nelle istituzioni mondane, governo, partito, corrente ideologica piuttosto che la fede che è dovuta alla Chiesa. In sostanza facciamo del governo, del partito, della corrente di pensiero, una fede. Decisamente più comoda perché proiettivamente aderente al nostro ombelico.
Facciamo di tutto per non credere in Cristo e nella Sua Chiesa e rivestiamo del "primato della cattedra di Pietro" non Pietro, ma l'idolo che abbiamo scelto come rappresentante delle nostre isterie calpestando, tra l'altro, il Bene Comune.
Ma fra noi non è e non può essere così (Mc. 10,43)
La Quaresima è tempo propizio per entrare nel cuore di questa festa e nel mandato che Gesù a dato a Pietro e in Pietro ai suoi sacerdoti ed anche a tutti noi, servi. Perché il sacerdozio battesimale risplenda e sia, finalmente, slegato, occorre che si viva, nella carne, la Diakonia di Cristo.
E il discepolato dei piccoli.
Salvatore e Paul