A ognuno un frammento della Croce
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Per il suo duplice aspetto fisico e psichico, la malattia di Giobbe è esemplare. Non consiste solo in una certa sofferenza, in un certo dolore che concerne esclusivamente una parte del corpo e dell'essere e che potrebbe essere alleviato appoggiandosi sulle parti che rimangono sane. Essa è un male totale. Fa perdere al soggetto i punti di riferimento psicologici e ontologici che gli permetterebbero di avere gli atteggiamenti classici di fronte al male, considerati comportamenti equilibrati in diverse civiltà: sopportarlo stoicamente, lottare contro di esso, o anche vivere la propria vita come un lutto, "gettare la spugna" e affrontare serenamente la morte. Mentre Giobbe aspira ardentemente a quest'ultima ("Ah! Vorrei essere strangolato! La morte piuttosto che i miei dolori", 7, 15), questa via d'uscita gli è preclusa. Poiché per darsi la morte, occorre avere l'equilibrio mentale minimo che permette di prendere una decisione e di realizzarla; bisogna, in questo senso, non essere malato! Quel che Giobbe prova, quindi, non è la morte, ma, al contrario, l'impossibilità di morire, l'"inferno", un'eternità di vita nella sofferenza. La malattia di Giobbe assume d'un tratto un significato iperbolico, confrontando Giobbe con un male non integrabile con il pensiero, né con alcuna delle mitologie o ideologie presenti nel suo contesto.