20-01-2010 - L'importantissima visita di papa Benedetto XVI alla sinagoga di Roma domenica 17 gennaio, oltre ai frutti provvidenziali che certamente verranno apprezzati ancora di più in futuro, ha portato anche dei commenti interessati che rischiano di far travisare il senso di questo evento.
Lunedì 18, ad esempio, nel Giornale Radio di Radio 2 alle 7.30, lo storico Alberto Melloni ha affermato che il fatto più importante della visita è la chiara rinuncia alla conversione degli ebrei da parte della Chiesa, cosa che discenderebbe dalla affermazione della irrevocabilità dell'Alleanza tra Dio e il popolo di Israele. Il giorno successivo è toccato al presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna, chiedere - come ulteriore passo nel cammino di avvicinamento tra ebrei e cristiani - una rinuncia esplicita alla conversione degli ebrei che, secondo lui, è già implicita.
Affermazioni di questo genere potrebbero indurre un'opinione pubblica, già abbastanza confusa su questi temi, a pensare che il Papa abbia effettivamente detto o inteso dire che la Chiesa rinuncia alla conversione degli ebrei, o che comunque sia d'accordo con questa visione. In effetti nessuna delle due cose è vera. Non solo l'interpretazione di Melloni cade nella classica situazione di chi confonde la realtà con un proprio desiderio, il fatto è che accettare che una parte dell'umanità sia esclusa dall'annuncio di Cristo significherebbe negare la missione stessa della Chiesa.
Lo ha spiegato molto bene monsignor Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro, nel numero di dicembre di Studi Cattolici, affermando che «la capacità ecumenica e di dialogo interreligioso» è «espressione matura e significativa della missione». Il dialogo perciò non è in alternativa alla missione, perché la missione è «il dinamismo di autorealizzazione della Chiesa: la Chiesa diventa sempre più se stessa, quanto più vive la sua missione, cioè il suo impegno ad annunciare Cristo come unica possibilità di salvezza all'uomo di questo tempo, come all'uomo di ogni tempo».
La missione della Chiesa è dunque verso «tutti gli uomini», nessuno escluso: «Deve essere proposta rigorosamente a tutti gli uomini come unica possibilità di salvezza, certamente nella libertà. Vale a dire: dalla libertà dei cristiani alla libertà degli interlocutori». «Pensare - dice ancora monsignor Negri - che l'evangelizzazione chiara riduca la libertà dei nostri interlocutori è cedere totalmente alla mentalità laicista che domina il mondo di oggi, che ritiene la verità oppressiva della libertà».
Non si capisce perciò come alcuni cattolici possano sostenere che «la missione valga per tutti gli uomini meno che per qualche categoria (per esempio gli islamici e gli ebrei)». O che «la singolarità del rapporto tra Israele e Chiesa è quello del peculiare percorso salvifico ebraico, per cui rispetto all'ebraismo non può esserci missione istituzionalizzata da parte cristiana».
«Per un'autentica coscienza della fede - chiosa il vescovo di San Marino - questo risulta inconcepibile: come se ci fosse una via alla salvezza che prescinde dall'avvenimento di Cristo, dall'incontro con Lui, dalla sequela di Lui e dalla conversione a Lui, così come è presente misteriosamente, fino alla fine dei tempi, nella sua Chiesa che è il suo Corpo e il suo Sacramento».
Riccardo Cascioli
© Il Timone - 20 gennaio 2010