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Ebrei cattolici a Varsavia al tempo della Shoah

di Alain Besançon
Ecco un modello di "micro-storia". Ho conosciuto un antropologo che sosteneva come una sorta di teorema che l'analisi in profondità di un solo individuo di una data società equivale all'analisi in estensione di tutta quella società. Non ho i mezzi per provare questo teorema, ma ne ho sperimentato molte volte la validità. Un episodio micro-storico minore, ben accertato, ben documentato, getta una luce insostituibile sulla "macro-storia", troppo grande e troppo confusa per le nostre capacità di comprensione intellettuale.

Si tratta di capire il più impressionante fenomeno storico del xx secolo, quello dell'inaudito massacro degli uomini da parte degli uomini. A partire dalla guerra del 1914, che, malgrado le migliaia di studi eruditi realizzati per spiegarla e descriverla, contiene un mistero che sfugge sempre alla comprensione, e lasciando da parte la seconda guerra mondiale, più chiara, più spiegabile, meno enigmatica, due regimi politici, il comunismo e il nazismo, hanno commesso stermini di cui la storia passata non conosceva né la natura ne la vastità.
Fra questi si distingue la Shoah. La sua unicità poggia su diverse considerazioni, fra le quali la più decisiva è in ultima analisi l'unicità del popolo ebraico nell'economica generale della storia dell'umanità. A questo punto entriamo nel campo della metafisica e più precisamente della teologia. Se ci rifiutiamo di farlo, la Shoah perde i suoi contorni e si confonde nell'immensa fossa comune in cui giacciono circa centocinquanta milioni di cadaveri.
In effetti, se ci si limita alla storia positiva, si è obbligati a constatare che il nazismo si fonda su una base intellettuale incredibilmente povera. Alcune menti di second'ordine, nel secolo scorso, avevano estrapolato alcune teorie di Darwin, di cui non erano capaci di cogliere la grandezza scientifica, elucubrazioni sulla gerarchia delle razze, sulla loro purezza, sull'eugenismo.
Queste povere idee hanno invaso il cervello di una banda che si è impossessata del potere sul popolo più educato e più erudito d'Europa. E che le ha messe in pratica. È questa la giustificazione ultima della Shoah e del concomitante massacro dei polacchi. Se ci si rifiuta di considerare tutto ciò come un mistero che invita alla riflessione teologica, si cade nell'assurdo, il più opaco di tutti i misteri. Si avrà un bel daffare ad accumulare tutte le altre cause per spiegare il nazismo, alla fin fine ci si imbatterà con l'inconcepibile inezia del suo nucleo centrale.
L'episodio micro-storico che è l'oggetto del libro di Peter F. Dembowski Christians in the Warsaw Ghetto, an Epitaph for the Unremembered (Notre Dame, University of Notre Dame Press, 2005) è il destino di alcune parrocchie cattoliche attive nel "quartiere speciale" di Varsavia (la parola "ghetto" non figura nei documenti tedeschi) fra ottobre 1939 e novembre 1942.
In questa ultima data fu avviata l'Aktion, ossia la deportazione a Treblinka di 300.000 ebrei del ghetto. L'eroica rivolta degli ebrei rimasti nel ghetto nella primavera del 1943, tanto importante nella coscienza nazionale ebraica, non fa parte del racconto perché l'autore non ne è stato testimone.
Ricordiamo i fatti principali. La Polonia dell'anteguerra comprendeva una popolazione di circa tre milioni e mezzo di ebrei, e Varsavia, la seconda città per numero di ebrei dopo New York, ne ospitava trecentocinquantamila, un terzo dei suoi abitanti. Circa due terzi degli ebrei avevano l'yiddish come lingua materna, un dialetto "medio-alto tedesco" pieno di parole slave ed ebraiche, gli altri avevano il polacco.
In questa Polonia l'appartenenza nazionale passava per l'appartenenza alla comunità e quest'ultima era definita dalla confessione religiosa. Si era tutti polacchi ma divisi in cattolici, ortodossi, protestanti ed ebrei, teoricamente su un piano di parità, nonostante l'aumento dell'antisemitismo virulento alla fine degli anni Trenta.
Subito dopo la sconfitta, l'amministrazione nazista del "governo generale" (essendo stata soppressa la nozione di Stato polacco) concentrò a Varsavia gli ebrei espulsi dai territori annessi al Reich, poi li rinchiuse in un quartiere sempre più ristretto, delimitato presto da mura e da filo spinato. Il sovrappopolamento (trecentocinquantamila persone), la sottoalimentazione, le condizioni sanitarie, le umiliazioni, furono come e anche peggio di quel che s'immagina.
A caratterizzare il nazismo, come anche il comunismo, non è tanto la distruzione dei corpi - ci sono stati in passato e persino di recente altri genocidi in scala minore - ma è, più in particolare, la distruzione sistematica della dignità, la corruzione delle anime. Nel caso di Varsavia la condizione principale di questa corruzione, combinandosi con la miseria generale, l'opposizione fra ricchi e poveri, i traffici, la paura dilagante, fu l'istituzione da parte dei nazisti di un'amministrazione ebraica, il Judenrat.
L'ebreo comune del ghetto aveva a che fare principalmente con ebrei prescelti, nominati, investiti di poteri di polizia, amministrazione e mantenimento dell'ordine, attribuiti loro dall'occupante. Questi poteri diminuivano di giorno in giorno perché il fine dei nazisti, ancora occulto, era l'annientamento degli ebrei.
Ma gli uomini sono fatti in modo tale da non poter immaginare progetti in così profonda rottura con l'umanità. Quando l'Aktion fu avviata, che gli ebrei si trovassero a Treblinka di fronte alla porta delle camere a gas, la maggior parte delle persone non ci credeva.
Dobbiamo dunque immaginarci una situazione molto meno semplice, pura, gloriosa di quella che la leggenda ci presenta. Non era il mondo comune con la sua dose normale di virtù e di debolezza, ma un mondo volontariamente pervertito. Il sudiciume morale era interamente il prodotto del nazismo. Era voluto da esso perché la decadenza visibile di quanti erano rinchiusi nel ghetto confermava la sua idea sulla "razza ebraica" e giustificava il suo disegno di escluderla dall'umanità e così facendo di purificare la terra.
Quanto ai responsabili del Judenrat, i Czerniacow, i Ronikier, i Lichtenbaum, lacerati tra le esigenze dei loro padroni e la loro coscienza, non spetta a noi giudicarli. Spesso si giudicarono da soli suicidandosi. Ci furono però in questa anticamera sinistra di Treblinka molti uomini e donne che seppero conservare un cuore puro e coraggioso.
Bisogna parlare ora del testimone. Sapendo quanto la questione fosse delicata e controversa, egli ha tenuto a presentarsi con una profusione di dettagli inusuale.
Da parte del padre apparteneva a una distinta famiglia polacca cattolica, facente parte dell'intellighentia e della piccola nobiltà terriera. Wloddzimerz Dembowski era un ufficiale, cattolico, certo, ma niente di più. Morì prematuramente nel 1937. Da parte della madre si trovano degli ebrei, completamente assimilati e polacchizzati. La famiglia Landy non era meno illustre, e certamente più intellettuale. Gli uni furono tentati dal comunismo, gli altri dal cristianesimo. Zofia Landy fu un'ardente cattolica, abbracciò la condizione religiosa e insegnò, con il nome di suor Tereza nell'istituto per ciechi di Laski. Questo luogo, uno dei più santi della Polonia, riuscì a sopravvivere sotto il nazismo e sotto il comunismo che gli succedette. Janina Landy, la zia dell'autore, ed Henryka sua madre, appartenevano al ramo più istruito e devoto della famiglia. Questa varietà nelle origini, questa diversità nelle convinzioni, era molto comune nelle élite polacche. Oserei dire persino tipica.
Non meno tipicamente polacca fu la vita di Peter Dembowski. A vent'anni entrò nell'esercito Kraiowa, ossia nell'esercito clandestino della resistenza, che tenne duro per tutta la guerra e fu annientato solo dopo il 1945 dai comunisti. Conobbe la sinistra prigione di Pawiak. Poi, liberato da uno Stalag nel 1944, servì nell'esercito polacco in Italia dove ricevette varie onorificenze.
Non fece ritorno nella sua patria asservita. Studiò in Francia e in Canada, poi divenne professore di Romanistik medievale nell'illustre università di Chicago. Un destino da uomo dell'est nel xx secolo.
Non entrerò nel vivo della questione, troppo complessa per essere riassunta. I nazisti distrussero subito le sinagoghe del "quartiere", ma lasciarono in piedi tre chiese, quelle di Sant'Agostino, della Natività della Vergine e di Ognissanti. Furono le parrocchie degli ebrei cattolici.
Quanti erano? Da tre a cinquemila, e forse un po' di più perché ci furono delle conversioni nel ghetto. Di che genere? Furono in pochi a convertirsi per il motivo pur legittimo di sfuggire alla condizione di ebrei. Era comunque inutile, perché i nazisti, antisemiti "assoluti" non facevano distinzioni. "Biologicamente" erano ebrei, una specie nociva da eliminare. La religione non era una circostanza di cui tener conto. Gli altri erano sinceramente cristiani, di nascita o per conversione personale.
I guardiani, gli esecutori, erano uomini comuni, e tra di essi c'erano probabilmente poche nature criminali. Eppure il numero degli atti di semplice umanità sembra essere stato straordinariamente esiguo. Le donne e i bambini non hanno avuto diritto a un minimo di pietà. È qui che vediamo come basta mettere un essere umano sotto il potere di un altro essere umano e dare a quest'ultimo il permesso di fare ciò che vuole, ed egli farà soffrire e morire spontaneamente, senza neanche provare piacere, e neppure per interesse. È una delle caratteristiche della natura umana, ed è così che si è scoperta subito quando le ideologie più idiote si sono impossessate degli animi e hanno distrutto le barriere morali.
Questi ebrei cattolici come erano considerati dagli ebrei restati "ebrei" del ghetto? E come gli ebrei fedeli alla loro identità apparivano agli occhi dei cristiani della loro comunità?
Peter Dembowski approfondisce questi aspetti che sono stati per lui difficili da pensare, difficili da vivere, e ancor più difficili da raccontare. Ma ha ritenuto che fosse per lui un dovere lasciare questa testimonianza.
Più di settant'anni ci separano da quegli eventi. I rapporti fra il mondo ebraico e il mondo cristiano si sono evoluti. Il peso di quegli anni Quaranta però si fa ancora sentire. Nel novembre del 1942 gli ebrei del ghetto furono deportati a Treblinka insieme, cristiani e non cristiani, e nella primavera del 1943 quelli che erano restati nel ghetto si sollevarono insieme. Sono quasi tutti morti. Alla fine le tre chiese furono rase al suolo, come lo erano state le sinagoghe. Del "quartiere" non restò che una vasta scarpata di detriti, oggi spianata e riedificata.


(©L'Osservatore Romano - 15 dicembre 2010)
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