"Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi"
La traduzione dal greco più felice del testo è, a nostro parere: "Per questo Dio lo esaltò grandemente e gli donò il nome...". La grandezza è l'iperbole di Dio manifestata nella Kenosi. Tanto è inenarrabile l'abbassamento del Verbo nell'Incarnazione tanto è esaltato il Cristo. Ed inoltre benché la precisione dell'azione appare svolta nel passato, essa è normativa e trans-temporale, non è circoscritta ma esemplare, normativa.
Se è vero infatti che il fatto storico della crocifissione ha precise coordinate storiche, ed è questo probabilmente il senso che vuole dare la attuale traduzione del Lezionario festivo dell'aoristo greco ὑπερύψωσεν, è anche vero che i gesti di Dio sono anche meta-storici, misterici e simbolici. Non è la teologia a dirlo quanto anzitutto la Sacra Scrittura stessa. I gesti e i fatti di Dio sono un paradigma in cui l'agire di Dio è "l'eternità che entra nella storia", o meglio "il presente di Dio" che si fa tempo nel tempo degli uomini.
Cosa significa per noi oggi? Cosa significa questo?
Significa molte cose e cominciamo solo nel balbettarne qualcuna.
Cristo obbediente, umiliato fino alla morte di Croce esprime storicamente e "meta-storicamente" che Dio ama così.
Vuoi sapere come ama il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo? Dio scende, si umilia e si dona senza riserve per l'uomo.
Dio ama l'uomo a tal punto che l'uomo stesso diventa, per la potenza della misericordia di Dio, il dio di Dio.
Così come aveva colto Francesco di Assisi e la spiritualità a lui successiva e semi contemporanea dei "cantori" in lauda. Il tema è centrale, ad esempio, in Jacopone da Todi.
L'uomo è così prezioso e unico per Dio che porta l'Altissimo ad una discesa, ad una kenosis inimmaginabile per noi.
Non è una kenosis di necessità o di debito, si faccia attenzione, ma una decisione ed un movimento che nasce dall'Amore.
Dio dunque è il solo umile. Ed è al contempo la Via dell'umiltà; strada e compimento della pienezza dell'amore che si dona.
La nostra più che essere umiltà - quando è veramente tale - è piuttosto realismo.
Solo Dio, infatti, scende veramente dalla sua condizione regale e indicibile per farsi servo.
Esaltare la croce vuol dire, allora, riconoscere e sforzarsi di vedere chi è Dio. Come Egli ama e attingere a questa fonte di grazia.
Ogni dileggio al crocifisso porta infatti una matrice satanica di invidia, di ignoranza e di gelosia perversa che non vuole vedere ciò che smuove il cuore e lo scandalizza positivamente:
Dio si umilia, si dona e muore per te.
Negare il crocifisso o svilirlo nella moda, relativizzarlo come oggetto qualunque in un ambiente, significa negare all'uomo di comprendere la sua reale dignità che sta, appunto, in Dio che è morto per lui.
Anzi per ognuno. Per due occhi, per un volto, per una indissolubile unicità che è la tua, che, per quanto disastrata e immeritevole, ha guadagnato che uno e uno soltanto morisse d'amore per te.
L'unico modo per cui tu potessi avere la vita, e in sovrabbondanza.
Dio in Cristo non si è fatto distrarre dal tuo peccato ma ti ha amato nonostante il tuo peccato. Dire "ti ha amato", anche qui, non ha solo valore storico ma eterno: ora Dio ti ama così. Ti ama ora così nonostante il tuo peccato e la tua miseria.
Questo sguardo di amore ti rende grande. Egli è la tua civiltà e la tua cultura. È la tua dignità con cui andare a testa alta e, come Francesco, sentirsi gioiosamente figli del Re.
Il peccato ingarbuglia l'uomo, la grazia umile di Cristo crocifisso lo semplifica dal di dentro.
E lo guarisce sempre più radicalmente fondando le radici autentiche del sé.
La distrazione e l'omissione alla contemplazione di questo mistero fondante è il primo peccato perché porta in sé una moltitudine di miserie con cui corolliamo e nutriamo la nostra vita.
I nostri amici e fratelli, i santi, ci insegnano invece che qui sta la salute, nel contemplare quotidianamente l'Amore crocifisso che cambia la storia e la porta a compimento;
sia quella microscopica di ciascuno di noi che quella macroscopica dell'umanità.
Egli si è fatto peccato, come il serpente sull'asta (Numeri 21, 8-9), perché l'uomo guardando a Lui abbia salvezza e amore e non la morte che viene dal peccato.
Perché l'uomo abbia finalmente il volto non più confuso ma raggiante di quella gioia intima e gloriosa di cui parla l'apostolo Pietro (1Pietro 1,6-9).
Solo nel compimento dell'Incarnazione poteva arrivare il vertice della Redenzione in cui Cristo si addossa tutto il peccato dell'uomo, di ogni tempo e di ogni luogo, tanto da apparire "verme e non uomo" (Sl. 22,7) quasi fosse, a tutti gli effetti e non per figura, peccato Egli stesso senza, però, nel contempo, alcun legame con il peccato.
È un abisso di amore incomprensibile ed è ben poca cosa quanto detto da Gesù a Santa Angela da Foligno: "Non ti ho amato per scherzo".
Perché la Croce è molto di più.
La Passione e Morte e Resurrezione è infinitamente di più. Abbacinante nel suo fulgore. Silenziosa nel suo pudore.
Solo così poteva essere effusa la Grazia metatemporale che squarcia la storia e ri-immette l'uomo nel circuito dell'Eternità per cui l'uomo stesso è stato pensato nel Verbo incarnato.
Ed è paradossale vedere che la storia cambia quando anche un solo uomo o una sola donna, uno ed una soltanto, guarda alla croce per carpirne i misteri e vivere in essi.
Questa è l'opera di Dio che è sopra ogni pianificazione pastorale ed è l'unica via...
quella del guardare l'amato come fonte e gioia di perfezione e di pienezza di vita.
Qui si fonda la nuova evangelizzazione e il rinnovamento costante della Chiesa nella contemplazione del Suo Cuore.
"Per le sue piaghe siamo stati guariti". (1Pietro 2, 24-25)
Nelle sue piaghe siamo testimoni.
Benedette e preziose le stimmate che portiamo nei suoi preziosissimi fori.
Paul Freeman