Dal 2 al 6 giugno si è celebrato in Scozia, a Edimburgo, sul tema "Testimoniare Cristo oggi", il centenario della Conferenza missionaria mondiale che nel 1910 radunò milleduecento missionari protestanti, preoccupati del fatto che le divisioni tra i cristiani costituivano un ostacolo alla predicazione del Vangelo. Giovedì 3, nel corso della prima plenaria dell'incontro scozzese, rispondendo al discorso programmatico di Dana L. Robert, della Boston University, il vescovo segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, ha presentato alcune considerazioni sulla missione nella prospettiva cattolica. Pubblichiamo di seguito stralci dell'intervento.
di Brian FarrellVivere da cattolici significa vivere della memoria. Noi sentiamo fortemente la continuità della missione dalle origini. Nella tradizione cattolica, la missione è connaturale all'essere cristiani: "La Chiesa durante il suo pellegrinaggio sulla terra è per sua natura missionaria" (concilio Vaticano ii, decreto sull'attività missionaria della Chiesa, Ad Gentes, 2). Rispondendo al "grande comandamento" che i cattolici generalmente chiamano "il mandato missionario", i missionari d'ogni tempo hanno tentato di portare il messaggio evangelico in ogni angolo della terra. Partendo da Gerusalemme, attraverso la Samaria sino ai confini della terra, gli apostoli, secondo le parole di sant'Agostino, "hanno predicato il messaggio della verità e hanno dato vita alle Chiese". Nel corso dei secoli, moltissimi uomini e donne eroici e profondamente animati dalla fede hanno testimoniato Cristo, annunciando la sua Parola e facendo discepoli; le congregazioni religiose e le società missionarie hanno portato il messaggio in ogni terra conosciuta e hanno continuato a fare altrettanto in quel "territorio missionario" che comprende tutt'oggi tre quarti della popolazione mondiale. Attualmente i laici e i movimenti ecclesiali laicali sono in prima linea nella missione cattolica in tutte le sue forme.
Nei cento anni dalla Conferenza di Edimburgo molte cose sono accadute: due guerre mondiali, la fine della colonizzazione e la nascita degli Stati indipendenti, la crescita del comunismo come potenza mondiale e il suo crollo inaspettato, la supremazia della tecnologia e l'impatto della questione ecologica, l'emergere della globalizzazione e, come controreazione, il nuovo attaccamento alla cultura locale e perfino all'identità etnica. Nonostante il potenziale insito nella modernità, la famiglia umana avanza in maniera confusa, casuale, senza riuscire a cancellare squilibri e ingiustizie permanenti, violenze, guerre, perfino violazioni dei diritti umani più basilari.
La ricerca di senso, soprattutto in Occidente, è diventata più ardua, forse anche perché per molte persone l'auto-coscienza non è più definita dal panorama complessivo che accompagna l'esperienza religiosa, ma da una visione frammentata, legata al consumismo, allo status sociale e all'affiliazione politica. Proprio l'interrogativo antropologico - cosa significa essere umani? - è al centro del nostro disagio. La missione è stata fortemente influenzata da questi sviluppi e, come tutti sappiamo, si trova in una fase di complessa trasformazione. Chiaramente, dentro e attraverso il movimento ecumenico è necessario un profondo ripensamento del modo in cui le Chiese possono e devono "fare missione". Le cosiddette "terre di missione" sono alla soglia e all'interno delle nostre stesse comunità.
Un secolo fa, la seconda commissione di Edimburgo del 1910 studiò il tema delle relazioni tra "La Chiesa universale e la Chiesa in terra missionaria" da un punto di vista che affermava l'ascendente delle Chiese occidentali sopra le Chiese più giovani. Oggi la supremazia occidentale è finita e le Chiese asiatiche e africane, frutto della missione, svolgono un ruolo vitale nella vita delle Chiese. Questo cambiamento ha profonde conseguenze, non solo per il modo in cui viene gestita la missione, ma anche per la formulazione cristologica, soteriologica ed ecclesiologica del messaggio cristiano soggiacente. Tali questioni sono cruciali e avranno un fortissimo impatto negli anni a venire, anche sulle relazioni ecumeniche tra le Chiese.
Ma è soprattutto il nostro sguardo sull'altro che è cambiato. Il valore e la dignità d'ogni essere umano, l'importanza dei diritti umani, ivi compresa la libertà religiosa e la libertà d'opinione, fanno parte sempre più del patrimonio comune. La missione non può scordarsi che il Vangelo non può essere imposto e che è soltanto attraverso l'annuncio rispettoso e credibile del messaggio di salvezza che il mondo giungerà a credere. In tal senso, dopo cento anni di movimento ecumenico, non è più concepibile prendere di mira altri cristiani nell'attività missionaria, non riconoscendoli come "validi" cristiani. Analogamente, nella sfera delle relazioni interreligiose, è bene considerare positivamente il Codice di condotta sulla conversione che il Consiglio ecumenico delle Chiese e la Chiesa cattolica, con la partecipazione dell'Alleanza evangelica mondiale, stanno elaborando congiuntamente. Il principio ivi espresso è che "seppure ciascuno abbia il diritto d'invitare gli altri alla comprensione della propria fede, questo diritto non deve essere esercitato violando i diritti e la sensibilità religiosa degli altri".
Dopo duemila anni, la missione continua all'interno della storia umana. Ma ha chiaramente bisogno d'una nuova giustificazione teologica e di un rinnovato impulso spirituale se vuole rispondere alla sfida a cui si riferisce il Vangelo di Luca (18, 8): "Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?".
Alcuni aspetti del pensiero cattolico
Com'è noto, molti documenti cattolici sono apparsi in decenni recenti sul tema della missione. Di primaria importanza sono Evangelii Nuntiandi di Papa Paolo vi e Ad Gentes del concilio Vaticano ii. Altrettanto significativo è Redemptoris Missio di Papa Giovanni Paolo II, con la sua attenzione ai nuovi areopaghi, ai nuovi spazi di socializzazione. Papa Benedetto XVI ha recentemente ripreso questa idea, invitando i missionari a prestare attenzione ai "centri nevralgici della società nel terzo millennio".
Nella riflessione cattolica diverse questioni legate alla missione sono presenti. Fondamentale è la discussione sulla questione basilare, ovvero sul carattere salvifico universale di Gesù Cristo, l'unico mediatore: "Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me" (Giovanni, 14, 6). È precisamente questa unicità di Cristo che gli conferisce un significato assoluto e universale; egli è il centro e il fine della storia: "l'Alfa e l'Omega, il Primo e l'Ultimo, il principio e la fine" (Apocalisse, 22, 13). Ma è Egli l'unico ad avere le parole di vita eterna? Questo interrogativo è al centro di Dominus Iesus, che ha sollevato molte discussioni su varie questioni, ma che, come obiettivo principale, aveva quello di riaffermare ciò che è la giustificazione più profonda dello stesso mandato missionario.
In secondo luogo, la missiologia cattolica oggi è profondamente impegnata nella riflessione sulla relazione precisa tra evangelizzazione e inculturazione del Vangelo, sull'influsso che ha il Vangelo sulla giustizia, sulla pace e sulla salvaguardia del creato, e sulla necessità d'una nuova evangelizzazione. Nella concezione cattolica, la trasformazione del mondo è una dimensione costitutiva della predicazione del Vangelo; in altre parole, la liberazione dell'umanità da ogni situazione oppressiva è parte indispensabile dell'attività missionaria della Chiesa. È la proclamazione di Cristo insieme alla promozione della persona umana attraverso le opere di carità, di giustizia e di pace che hanno portato la potenza del Vangelo al centro delle società e delle culture umane.
Per ciò che riguarda lo sviluppo umano, forse Edimburgo 2010 deve ricordarci due cose. Innanzitutto, il primato dell'efficacia gratuita dell'azione salvifica universale di Cristo risorto. Gesù stesso ha detto: "Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me" (Giovanni, 12, 32). Lo sviluppo umano non deriva principalmente dal denaro, dal benessere materiale o dai mezzi tecnologici, ma dalla formazione delle coscienze, dalla graduale maturazione del pensiero e del comportamento. La Chiesa forma le coscienze rivelando alle persone il Dio che esse cercano e che ancora non conoscono, la grandezza della persona umana creata a immagine di Dio e da lui amata, l'uguaglianza di tutti gli uomini e di tutte le donne come figli di Dio, con tutte le conseguenze derivanti da tale visione.
Allo stesso modo, Edimburgo 2010 deve ricordarci che il contributo della Chiesa allo sviluppo dei popoli non è soltanto la lotta contro il sottosviluppo del Sud del mondo, ma deve essere rivolto anche contro la povertà specifica del Nord. Un eccesso di ricchezza è nocivo quanto l'eccessiva povertà. Uno sviluppo senz'anima basato sull'idea che siano sufficienti l'aumento di benessere materiale e la promozione della crescita economica e tecnologica non può soddisfare l'essere umano. Questo modello di sviluppo si sta adesso diffondendo dal Nord al Sud, dove un'ondata di consumismo rischia di sostituire importanti valori culturali e religiosi con la vacuità e la mancanza di trascendenza già avvertite nelle nostre città occidentali. Benedetto XVI ha parlato della mappa missionaria odierna non solo in termini geografici e territoriali, ma anche antropologici, una mappa costituita da ampi settori della società occidentale che si sono allontanati dal Vangelo.
Un altro importante dibattito riguarda il modo di proclamare il Vangelo alla luce della chiamata di Cristo all'unità dei suoi discepoli. Edimburgo 1910 ha dato avvio a una crescente consapevolezza di tutto ciò che le Chiese hanno in comune. È innegabile che, cento anni dopo, le Chiese stiano sperimentando una tendenza alla ri-affermazione delle differenze esistenti non solo tra di esse ma anche al loro interno. Eppure, nei rapporti tra i cristiani divisi molti risultati sono stati conseguiti e molto è cambiato. Nella sua straordinaria enciclica Ut unum sint (1995), Giovanni Paolo ii, dopo aver analizzato il progresso compiuto dalla ricerca dell'unità tra i cristiani, conclude che il frutto ecumenico più significativo è stata la "fraternità ritrovata". La sorgente di questa fraternità non è la buona volontà soggettiva, ma il legame oggettivo del nostro battesimo comune. Non siamo ancora divenuti una cosa sola con l'unità per la quale Cristo ha pregato, ma sappiamo che le nostre divisioni sono uno scandalo e danneggiano quella causa santissima che è la proclamazione convincente del Vangelo. Lo spirito di questo anniversario dovrebbe farci ricordare che la missione esige dalle Chiese che s'impegnino seriamente a sradicare ogni forma di rivalità e competizione nell'attività missionaria.
Come mostra chiaramente il ricco processo di studi sui temi della missione e dell'unità realizzato in preparazione a questa conferenza, la situazione all'inizio del terzo millennio richiede un rinnovato impegno missionario e un adeguamento di alcune forme d'azione. Esso suggerisce anche che le Chiese stanno pian piano tentando di giungere a una nuova metodologia missionaria. Come si presenterà in futuro il nostro impegno nella missione? Un primo pensiero, semplice ma incisivo, viene alla mente. Vicino e lontano, il nostro mondo è ferito e frammentato in un'infinità di modi. E tuttavia i cristiani sono portatori della potenza riconciliante e risanante dello Spirito. È nostro compito recuperare e rilanciare il lavoro e il messaggio della Conferenza mondiale sulla missione tenutasi ad Atene nel 2005, come chiave per comprendere la missione oggi. Il tema di quella conferenza, "Vieni Santo Spirito, guarisci e riconcilia", apre un ampio orizzonte d'orientamenti, motivazioni e proposte pratiche che dovremmo coltivare. In tutta la famiglia cristiana, c'è una crescente consapevolezza che, mentre la missione s'incentra su Gesù Cristo, è lo Spirito Santo che - non separato ma unito a Gesù Cristo - sostiene la Chiesa nel portare avanti la missione di Dio. Ciò è evidente anche nel capitolo terzo dell'enciclica Redemptoris Missio di Giovanni Paolo ii, intitolato: "Lo Spirito Santo protagonista della missione". È lo Spirito che dona la parresia, l'audacia con la quale confessiamo e proclamiamo la nostra fede in Gesù Cristo (cfr. Ebrei, 3, 6; 4, 16; 10, 19-22).
I nostri giovani in particolare ci chiedono una testimonianza di Cristo sostanziosa e armonica. Ci sono innumerevoli possibilità di testimonianza comune se davvero abbiamo il coraggio di ricercare insieme la verità di Dio e di convertirci a colui che ci continua a chiamare amici. Se noi stessi diventiamo amici e percorriamo insieme il cammino ecumenico di speranza, lo Spirito di Cristo darà la vita al suo popolo, la missione fiorirà e prospererà affinché "tutto sia restaurato in Cristo e gli uomini costituiscano in lui una sola famiglia ed un solo popolo di Dio" (Ad Gentes, 1).
(©L'Osservatore Romano - 12 giugno 2010)