Una cattiva teologia crucis ci ha fatto talvolta incedere con una forma di compiacimento sospetto sulla sofferenza senza aprirci mai alla reale protagonista di ogni croce che è la gioia.
Questo compiacimento truffaldino usato per mendicare auto-stima e commiserazione non è per niente casto e veritiero; copre ed oscura la trama della gioia e della luce che c'è sempre dietro ogni croce, anche se, talvolta, invisibile al cuore e alla mente se non dopo un discepolato.
Qualcuno, talvolta, si è stupito delle notti oscure vissute da Madre Teresa.
Ma il credente sa che le notti oscure fanno parte della maturità della fede e che sono un passaggio obbligato e necessario per chi segue veramente i passi di Gesù.
Cristo solo, in definitiva, ha vissuto la vera croce e la vera notte oscura. Per tutti, anzi per ciascuno. Ed occorre non dimenticarlo mai.
P. Raniero Cantalamessa una volta ricordava, con una immagine, il peso del peccato sostenuto da Cristo.
Il peccato dell'uomo di ogni tempo e luogo è come una piramide immensa.
Questa piramide tuttavia è rovesciata e nel Gestemani e nella Passione poggiava su un punto con tutto il suo infinito peso.
Questo punto era Gesù.
Dunque noi aggiungiamo, paradossalmente ma realmente, che ogni inferno vissuto dall'uomo nell'eternità non potrà mai essere doloroso e lancinante come quello provato da Cristo il quale, come uomo perfetto e come Dio, era tutto proteso al Padre ma lo percepiva, nella sua umanità perfetta, come totalmente assente. Questo è l'inferno degli inferni.
Solo Gesù, nella totalità del Suo amore per l'uomo e per Dio, ha vissuto questa che è "la notte delle notti oscure".
Davanti a questa consapevolezza della mente e del cuore nasce la meraviglia, la lode, l'adorazione, la commozione radicale e il desiderio di seguire i suoi passi. Uno per uno.
Qui si fonda la teologia della croce. Nell'amore degli amori.
Nel fatto e nella consapevolezza che per Amore siamo diventati dio per Dio. Noi siamo creature, sempre bisognose di Dio ma l'Amore che Dio ha per noi, per Cristo e nello Spirito Santo, ci rende figli, cioè generati in Cristo. Diventiamo, in un senso misterico, tutto per Dio grazie al Suo Amore per noi.
Portare la croce, dunque, vuol dire anzitutto questo. Capire, profondamente ed intimamente, la croce di Cristo.
Successivamente muovere mente, cuore, braccia e gambe a seguire i suoi passi.
Questa notte oscura è al contempo interiore ed esteriore.
Interiore nel silenzio del Padre e nella non percezione di Dio... proprio quando, magari, ne abbiamo più sete.
Esteriore nel turbinio degli eventi che ricalcano le pressioni e il mare in tempesta vissuto da Cristo.
Eppure, qui, in questa "scienza", riposa la sapienza: sulla Croce.
Preambolo gravido di Resurrezione, gioia e luce.
E tutto ciò è molto quotidiano e concreto. Fatto di fatti, eventi, umiliazioni, sconfitte, contraddizioni ma, grazie a Cristo, luminose e gravide di eternità.
Ogni istante è croce in quanto occasione di superamento di sé e nell'uscire da sé per amore e nell'azione dello Spirito Santo.
Questa azione teandrica e radicalmente mistica, e dunque concretissima, come ogni autentica mistica, è reale e quotidiana ed investe tutta la nostra vita, le scelte, il decidere. l'agire, il sorridere o il piangere, la possibilità o l'impossibilità, il riuscire ed il fallire.
Non c'è infatti vera mistica se non tocca la concretezza dell'ora.
Portare la croce dunque non è un accidente. Non è un di più... ma qualcosa che è connaturato con l'essere di Cristo e con il seguire i suoi passi.
Mettere i miei piedi nelle sue orme, dovunque esse conducono.
Proprio per questo portare la croce vuol dire capire la natura più intima dell'Amore. Il sé comprende se stesso nella prova grazie a Cristo che ha vissuto nella Redenzione la "prova" che significa (cioè dona significato) ogni prova.
C'è infatti un meccanismo malato da cui emanciparci. La prova rischia di involvere il sé sul sé mentre il discepolo di Cristo vive la prova nel sé di Cristo e, finalmente, comprende la propria prova nella Scienza di Dio. Vede, finalmente vede, ed accoglie attivamente e non passivamente e si libera dal cortocircuito del sé che si ricentra su di sé. Questa dinamica teandrica, sapienziale, di espropriazione della prova in Cristo Signore Redentore, immette nel circuito autentico della Carità che ci fa amare Dio e i fratelli con rinnovata consegna. Ed è la purezza di sguardo.
Uno sguardo che raccoglie ogni momento come una gioiosa sfida al donarsi: l'esserci per un tu, che è Cristo e il fratello assieme, senza mescolanza e senza divisione.
Ed è luogo per dire "ti amo", culmine della creazione continua.
Solo chi porta la Croce come Gesù e in Gesù è dunque un uomo concreto che raccoglie la gioiosa sfida a vivere e ad assaporare pienamente la vita. Senza fughe, senza dissipazioni, senza lamentele e piagnistei ego-centrati. Il discepolo, come Abramo nel film con Richard Harris, ripete: "non deluderò di nuovo il mio Dio" e forte della forza di Dio si fa carico della storia che gli è consegnata, per consegnarsi, senza riserve, in Cristo.
Paul Freeman