Un esempio di resistenza
di Giovanni CoppaLe immagini esposte nella mostra "Dittatura vs Speranza" - promossa a Roma, nella Pontificia Università della Santa Croce, dall'Ambasciata Ceca presso la Santa Sede, e patrocinata tra gli altri dalla Segreteria di Stato della Santa Sede - dicono da sole, senza bisogno di commento,

Fu una pagina nera e sanguinosa della storia civile e religiosa del Paese. Nasceva da una ignoranza sfacciata, da una prepotenza senza limiti, e soprattutto da un programma di distruzione della religione cattolica, che prendeva le proprie veline dall'ateismo marxista e dalla politica bolscevica, a esso ispirata.
È sempre stata mia convinzione che la Cecoslovacchia fu il Paese più duramente colpito dalla dittatura, e le sue sofferenze vengono subito dopo quelle subite in Albania. La libertà religiosa fu combattuta con ogni mezzo, e la si volle addirittura sopprimere o sfrontatamente con la violenza, o ipocritamente con la mano di velluto (mi si diceva che i comunisti portavano visitatori stranieri a vedere le chiese tuttora funzionanti, ma affidate al clero fedele al regime): tutto ciò nasceva da una fondamentale "struttura di peccato", cieca e moralmente abbietta. Come dice il Dizionario di Dottrina sociale della Chiesa, "la Chiesa condanna come gravemente illecito non soltanto il diretto attentato contro la vita umana, ma anche ogni tipo di maltrattamento fisico o psichico, qualunque sia il suo motivo: strappare confessioni, punire i colpevoli, spaventare gli oppositori, soddisfare l'odio, ottenere vantaggi (...). L'estensione odierna di queste pratiche non può non essere dovuta al dilagare di una "cultura di morte" che svaluta profondamente la dignità dell'essere umano". Per quarant'anni in Cecoslovacchia ha dominato ogni giorno l'apologia ideologica e la pratica repressiva di questa struttura di peccato, di questa cultura di morte. La mostra ne indica la tragica realtà.
L'altro aspetto della terribile esperienza fatta nel quarantennio della presenza sovietica in Cecoslovacchia, e che è indicato nel titolo della mostra, è la speranza. In un documentario televisivo, dedicato alle persecuzioni del clero durante il comunismo, si vedevano quei sacerdoti - tra i quali alcuni che ben riconoscevo - che nel prepararsi a celebrare segretamente la santa messa in prigionia, le avevano studiate tutte per ingannare le ispezioni dei carcerieri: catinelle d'acqua che venivano rovesciate all'avvicinarsi della ronda; sotterfugi perfino comici per sottrarsi al controllo al momento giusto.
(©L'Osservatore Romano 3-4 dicembre 2012)