Rassegna stampa Speciali

Come tessitori di un arazzo

pio headerdi LEONARDO SANDRI

Ogni celebrazione anniversaria è un dono e un compito per il futuro: si ricorda, ma per entrare in sincerità in un nuovo tempo, in nuovi spazi, attraverso nuove persone. È stato così per questo Pontificio istituto, che originariamente non era in questa sede, e soltanto dal 1922 retto dai padri gesuiti, ed è stato così per il lungo cammino di progressiva consapevolezza in seno alla Chiesa cattolica dell’identità e del ruolo delle Chiese orientali cattoliche.
Penso ad alcune tappe nel breve scorcio di poco più di un secolo: quello che ha rappresentato la lettera Orientalium dignitas Ecclesiarum di Papa Leone XIII , con il superamento della praestantia ritus latini , proclamata da Papa Benedetto XIV due secoli prima, la creazione della Congregazione e del Pontificio istituto da parte di Papa Benedetto XV nel 1917, il decreto del concilio ecumenico Vaticano II Orientalium Ecclesiarum , il lungo cammino che ha portato alla promulgazione del Codice dei canoni delle Chiese orientali nel 1990, la lettera Orientale lumen di san Giovanni Paolo II nel 1995, il testo Pontificia praecepta de clero uxorato orientali del giugno 2014 da parte di Papa Fr a n c e s c o . Il Pontefice Benedetto X V , l’1 maggio di cento anni fa, scrisse: «Questa iniziativa [la creazione della Congregazione, ma lo stesso dicasi anche del Pontificio istituto] dimostrerà manifestamente come nella Chiesa di Gesù Cristo — la quale non è né latina, né greca, né slava, ma cattolica — non esiste alcuna discriminazione tra i suoi figli e che tutti, latini, greci, slavi e di altre nazionalità hanno tutti la medesima importanza di fronte a questa Sede apostolica». Forse, siamo sinceri, dobbiamo dire che di passi ne sono stati fatti — come quelli evocati poco sopra — ma tanti sono ancora da compiere. Basti pensare — se ci riferiamo al Vicino e Medio oriente — che in gran parte dell’o ccidente, al di fuori dei contesti accademici ristretti, in molti hanno aperto gli occhi, accorgendosi cioè della millenaria presenza cristiana in quelle terre, purtroppo attraverso a quanto prodotto dalle guerre in Siria e in Iraq. Ed è anche vero, nel disegno provvidenziale di Dio, che il sangue effuso dai martiri cristiani di ogni confessione in questi ultimi anni — basti pensare all’Egitto — ha generato un ecumenismo che ha anticipato nel sacrificio la piena unità che non è stata ancora raggiunta nel travagliato e dovuto dibattito teologico delle rispettive commissioni. Il lavoro di collaborazione con l’azione dei Sommi Pontefici per l’oriente che si svolge nella Congregazione, come quello di studio accademico che si vive in questo Istituto, sono possibili perché ogni persona che è chiamata a starvi risponde quotidianamente con il suo sì e lo inscrive dentro il cammino più grande della Chiesa, la bella sposa di Cristo. In fondo non ce ne rendiamo conto nell’istante, perché ricurvi come dei bravi tessitori a realizzare quel singolo passaggio dell’incrociarsi della trama e dell’ordito, o come bravi artigiani che ricamano punti su punti che pian piano si trasformano nelle scene di un arazzo. Può capitare di accorgersi — forse a volte con lamento — solo della fatica che stiamo affrontando. Momenti come quelli del Convegno odierno sono occasioni preziose per alzare lo sguardo e tornare a dilatare gli orizzonti, incontrando volti noti o ascoltando riflessioni su persone e situazioni che hanno segnato la vita della Congregazione e dell’Istituto negli anni scorsi. Per renderci conto che nel corso di cento anni, le dimensioni del nostro “arazzo” si sono estese ben al di là della cosiddetta madrepatria o territorio proprio per i fedeli orientali cattolici. Questo ci fa capire come la casa degli orientali ormai è il mondo, e non più soltanto il Vicino e Medio oriente, il Caucaso, l’Europa orientale o il Kerala, nel sud dell’India. Mi sia consentito di ricordare tre figure per aiutarci ulteriormente ad “allargare lo spazio della tenda” come dice il profeta Isaia, per dire la dimensione dell’abbraccio che vogliamo estendere alla terra e al cielo in questa memoria grata di cento anni di storia. Il primo: sua Santità Bartolomeo I , patriarca ecumenico, ex alunno, che ha più di una volta ricordato gli anni dei suoi studi qui. Pensate cosa significa questo se vediamo nell’oggi il suo continuo abbraccio con Papa Francesco nel Santo Sepolcro a Gerusalemme, nei giardini vaticani per pregare per la pace in Israele e Palestina, sull’isola di Lesvos con i rifugiati e al Cairo all’Università di AlAhzar e nella cattedrale coptoortodossa. Osiamo pensare che questi momenti che stanno scrivendo la storia del nostro presente siano stati seminati anche un po’ tra questi corridoi e queste aule, negli anni del concilio Vaticano II . Il secondo ricordo: il beato Vincenzo Eugenio Bossilkov, passionista, vescovo di Nicopoli in Bulgaria e martire per la fede cattolica sotto il regime comunista. Anch’egli ex alunno del Pontificio istituto orientale, rappresenta idealmente il capofila di tanti che hanno portato a compimento lo studio dei testi e delle fonti, nello studium Christi , cioè nella passione per Cristo, giunta fino all’effusione del sangue. Il terzo e ultimo, che mi consente di avviarmi alla conclusione: il beato Alfredo Ildefonso Schuster, primo rettore di questo Pontificio istituto orientale, monaco benedettino e studioso, poi chiamato alla responsabilità pastorale della diocesi dei santi Ambrogio e Carlo a Milano. Anche la sua intercessione protegga i padri gesuiti, superiori e i docenti, che oggi preparano molti di coloro che saranno chiamati a essere responsabili delle Chiese di domani. Memoria, missione futura, personale ed ecclesiale. Per questo mi piace concludere affidandovi due belle citazioni: la prima di un grande padre della Chiesa antica, san Gregorio di Nissa, tratta dal suo commento al Cantico dei cantici : «Non mancherà mai lo spazio a chi corre verso il Signore. Chi ascende non si ferma mai, va da inizio in inizio, secondo inizi che non finiscono mai». Molti anni dopo, Tommaso d’Acquino pose una affermazione simile, tratta dal libro del Qoelet , all’inizio del suo commento alle sentenze di Pietro Lombardo: ad locum unde flumina exeunt revertuntur ut iterum fluant (“al luogo donde nacquero, tornerrano i fiumi per riprendere il loro corso”). Come Congregazione e come Pontificio istituto, insieme al Santo Padre, continuiamo a correre insieme, torniamo alle sorgenti, ad ascendere andando da inizio in inizio, riprendendo il nostro corso.

© Osservatore Romano - 5 maggio 2017

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