Rassegna stampa Speciali

Auguri Santo Padre!

nel giorno onomastico di Sua Santità Benedetto XVI

Joseph Ratzinger

l'Agenzia Fides ripercorre i tre anni del suo Pontificato


benedetto-angelus.jpgindice
Introduzione
Perché il nome Benedetto
Il programma del Pontificato nel giorno dell’inizio del Ministero Petrino
Portare l’annuncio del Vangelo a tutti: l’urgenza della missione
Il dialogo ecumenico e l’importanza del rapporto con le Chiese cristiane
Da Ratisbona al dialogo con l'Islam
I “princìpi non negoziabili”: difesa della vita e della famiglia
L'importanza della liturgia

 

 

Introduzione


Città del Vaticano (Agenzia Fides) - Questo dossier vuole essere un omaggio reso al Santo Padre Benedetto XVI in occasione del suo onomastico, il 19 marzo festa di San Giuseppe, ad un mese dal terzo anniversario della Sua elezione al Soglio Pontificio, che ricorrerà il 19 aprile. Intendiamo quindi raccogliere il Pontificato di Benedetto XVI attorno ad alcune tematiche che ci sembrano importanti. Senz'altro non è possibile parlare qui di tutte le sfaccettature e le urgenze che ruotano attorno a questi primi tre preziosi anni di pontificato, ma almeno ricordare alcune parole del Santo Padre, rivederle, tornare a farle proprie, ri-fissarle. Non ci sembra un mero esercizio letterario, quanto un lavoro doveroso e utile per tutti.


 

Papa Benedetto XVI, nel corso del suo Pontificato iniziato il 19 aprile 2005, ha potuto festeggiare due onomastici. Questo 19 marzo 2008 è dunque il terzo. Egli ha più volte ricordato ai fedeli la figura di San Giuseppe. Non possiamo non rammentare le parole che Egli ha pronunciato il 19 dicembre 2005 durante la preghiera mariana dell'Angelus. "In questi ultimi giorni dell'Avvento la liturgia - disse Benedetto XVI in quell'occasione - ci invita a contemplare in modo speciale la Vergine Maria e San Giuseppe, che hanno vissuto con intensità unica il tempo dell'attesa e della preparazione della nascita di Gesù. Desidero quest'oggi rivolgere lo sguardo alla figura di San Giuseppe. Nell'odierna pagina evangelica San Luca presenta la Vergine Maria come ‘sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe' (Lc 1,27). È però l'evangelista Matteo a dare maggior risalto al padre putativo di Gesù, sottolineando che, per suo tramite, il Bambino risultava legalmente inserito nella discendenza davidica e realizzava così le Scritture, nelle quali il Messia era profetizzato come ‘figlio di Davide'. Ma il ruolo di Giuseppe non può certo ridursi a questo aspetto legale. Egli è modello dell'uomo ‘giusto' (Mt 1,19), che in perfetta sintonia con la sua sposa accoglie il Figlio di Dio fatto uomo e veglia sulla sua crescita umana. Per questo, nei giorni che precedono il Natale, è quanto mai opportuno stabilire una sorta di colloquio spirituale con san Giuseppe, perché egli ci aiuti a vivere in pienezza questo grande mistero della fede".


Parole, quelle del Santo Padre, che testimoniano la particolare venerazione per la figura di San Giuseppe. Venerazione che fu anche del Suo amato predecessore, Giovanni Paolo II. Lo ha ricordato, sempre il 19 dicembre 2005, lo stesso Benedetto XVI: "L'amato Papa Giovanni Paolo II - ha detto il Papa -, che era molto devoto di San Giuseppe, ci ha lasciato una mirabile meditazione a lui dedicata nell'Esortazione Apostolica Redemptoris Custos, ‘Custode del Redentore'. Tra i molti aspetti che pone in luce, un accento particolare dedica al silenzio di San Giuseppe. Il suo è un silenzio permeato di contemplazione del mistero di Dio, in atteggiamento di totale disponibilità ai voleri divini. In altre parole, il silenzio di San Giuseppe non manifesta un vuoto interiore, ma, al contrario, la pienezza di fede che egli porta nel cuore, e che guida ogni suo pensiero ed ogni sua azione. Un silenzio grazie al quale Giuseppe, all'unisono con Maria, custodisce la Parola di Dio, conosciuta attraverso le Sacre Scritture, confrontandola continuamente con gli avvenimenti della vita di Gesù; un silenzio intessuto di preghiera costante, preghiera di benedizione del Signore, di adorazione della sua santa volontà e di affidamento senza riserve alla sua provvidenza. Non si esagera se si pensa che proprio dal ‘padre' Giuseppe Gesù abbia appreso - sul piano umano - quella robusta interiorità che è presupposto dell'autentica giustizia, la ‘giustizia superiore', che Egli un giorno insegnerà ai suoi discepoli (cfr Mt 5,20). Lasciamoci ‘contagiare' dal silenzio di San Giuseppe! Ne abbiamo tanto bisogno, in un mondo spesso troppo rumoroso, che non favorisce il raccoglimento e l'ascolto della voce di Dio. In questo tempo di preparazione al Natale coltiviamo il raccoglimento interiore, per accogliere e custodire Gesù nella nostra vita".


La Chiesa ricorda San Giuseppe anche il primo maggio, festa dei lavoratori. E di San Giuseppe Lavoratore il Santo Padre ha più volte parlato. Ad esempio, il 16 marzo 2006, nell'omelia per la terza domenica di Quaresima: "La testimonianza di San Giuseppe - ha ricordato il Papa - mostra che l'uomo è soggetto e protagonista del lavoro". E ancora: "Vorrei affidare a lui i giovani che a fatica riescono ad inserirsi nel mondo del lavoro, i disoccupati e coloro che soffrono i disagi dovuti alla diffusa crisi occupazionale. Al tempo stesso è indispensabile che l'uomo non si lasci asservire dal lavoro, che non lo idolatri, pretendendo di trovare in esso il senso ultimo e definitivo della vita". E poi ha ricordato che nella Bibbia si legge: "Sei giorni faticherai e farai ogni lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio" (Es 20, 8-9). È un passo del Libro dell'Esodo che comprende anche il racconto della consegna a Israele del Decalogo dei Comandamenti da parte di Dio. Pagina che il Pontefice ha letto proprio durante la Celebrazione Eucaristica.



Perché il nome Benedetto


Joseph Ratzinger è salito al soglio di Pietro il 19 aprile 2005. Tutti ricordano le parole che Egli ha voluto rivolgere ai fedeli dalla loggia centrale della Basilica Vaticana pochi minuti dopo l'elezione: "Cari fratelli e sorelle, dopo il grande Papa Giovanni Paolo II, i signori Cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore. Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare ed agire anche con strumenti insufficienti e soprattutto mi affido alle vostre preghiere. Nella gioia del Signore risorto, fiduciosi nel suo aiuto permanente, andiamo avanti. Il Signore ci aiuterà e Maria sua Santissima Madre starà dalla nostra parte. Grazie".


In quell'occasione, Egli non spiegò il perché della scelta di chiamarsi Benedetto XVI. Lo fece pochi giorni dopo, alla indimenticabile prima udienza generale in piazza San Pietro. Era il 27 aprile 2005. "Ho voluto chiamarmi Benedetto XVI - disse il Pontefice - per riallacciarmi idealmente al venerato Pontefice Benedetto XV, che ha guidato la Chiesa in un periodo travagliato a causa del primo conflitto mondiale. Fu coraggioso e autentico profeta di pace e si adoperò con strenuo coraggio dapprima per evitare il dramma della guerra e poi per limitarne le conseguenze nefaste. Sulle sue orme desidero porre il mio ministero a servizio della riconciliazione e dell'armonia tra gli uomini e i popoli, profondamente convinto che il grande bene della pace è innanzitutto dono di Dio". Il Papa ha spiegato la scelta del suo nome richiamandosi non solo al suo predecessore - Benedetto XV -, ma anche al fondatore del monachesimo occidentale, San Benedetto da Norcia, Santo che ha esercitato un "influsso enorme nella diffusione del cristianesimo".


All'udienza erano presenti oltre 15 mila fedeli di ogni angolo del mondo. Tra i gruppi più consistenti, si ricorda quello di un migliaio di fedeli proveniente dall'arcidiocesi di Spoleto-Norcia; i circa duemila dalla Polonia; i circa 1.300 dalla Germania; gli ottocento dalla Francia; i 700 dagli Stati Uniti. E poi, pellegrini da Serbia e Montenegro, Slovenia, Ungheria, Francia, Canada, Gabon, Inghilterra, Irlanda, Finlandia, Norvegia, Svezia, Australia, Vietnam, India, Pakistan, Singagore, USA, Germania, Svizzera, Austria, Spagna, Messico, e Portogallo. Presenti anche 200 musulmani, partecipanti del primo Simposio di dialogo islamo-cristiano, promosso dal Movimento dei Focolari.


Nella sua riflessione, il Papa ringraziò i fedeli "per la vostra presenza, perchè mi dà la certezza che la vostra preghiera mi accompagna" e ricordò la figura di Giovanni Paolo II, "al quale siamo debitori di una straordinaria eredità spirituale". "Come egli fece all'inizio del suo pontificato, quando volle proseguire le riflessioni avviate dal suo Predecessore sulle virtù cristiane, - disse Benedetto XVI - così anch'io intendo riproporre nei prossimi appuntamenti settimanali il commento da lui preparato sulla seconda parte dei Salmi e Cantici che compongono i Vespri. Con il prossimo mercoledì riprenderò proprio da dove si erano interrotte le sue catechesi, nell'udienza generale del 26 gennaio scorso". Al termine, Benedetto XVI, riprendendo un'abitudine del suo predecessore, si è rivolto ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. "Il Signore risorto riempia del suo amore il cuore di ciascuno di voi, cari giovani, perché siate pronti a seguirlo con entusiasmo; sostenga voi, cari malati, perché accettiate con serenità il peso della sofferenza, e guidi voi, cari sposi novelli, perché facciate crescere la vostra famiglia nella santità".



Il programma del Pontificato nel giorno dell'inizio del Ministero Petrino


C'erano 140 delegazioni straniere il 24 aprile 2005 per partecipare in piazza San Pietro alla Santa Messa per l'imposizione del pallio e la consegna dell'anello del pescatore, per l'inizio del Ministero Petrino di Benedetto XVI. Una cerimonia della quale risultano indimenticabili le parole che il Papa ha speso per enucleare quello che sarebbe stato il suo programma di pontificato: "Il mio programma di governo - disse il Papa - è non fare la mia volontà, non seguire le mie idee ma, con tutta la Chiesa, mettermi in ascolto della parola e della volontà del Signore e di lasciarmi guidare da lui, in modo che sia lui stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia".


Parole ascoltate da tantissimi fedeli come anche, come detto, dalle 140 delegazioni straniere. Per l'Italia erano presenti il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, accompagnato dalla consorte signora Franca, il Presidente del Senato Marcello Pera e il Presidente della Camera Pierferdinando Casini. In piazza San Pietro anche il Primo ministro Silvio Berlusconi con la moglie. Poi il Re di Spagna Juan Carlos di Borbone e la Regina Sofia. La delegazione tedesca era guidata dal Presidente Horst Koehler. Con lui il Cancelliere Gerhard Schroeder, il Ministro dell'Interno Otto Schily e il Governatore della Baviera, Edmund Stoiber. E ancora: la Regina Fabiola del Belgio, il Premier francese Jean Pierre Raffarin e il Principe Alberto di Monaco.


Papa Benedetto XVI, ovviamente, non dimenticò di ricordare il suo predecessore, Papa Giovanni Paolo II: "Per ben tre volte, in questi giorni così intensi - ha detto Benedetto XVI -, il canto delle litanie dei Santi ci ha accompagnato: durante i funerali del nostro Santo Padre Giovanni Paolo II; in occasione dell'ingresso dei Cardinali in Conclave, ed anche oggi, quando le abbiamo nuovamente cantate con l'invocazione: ‘Tu illum adiuva' - sostieni il nuovo Successore di San Pietro. Ogni volta in un modo del tutto particolare ho sentito questo canto orante come una grande consolazione. Quanto ci siamo sentiti abbandonati dopo la dipartita di Giovanni Paolo II! Il Papa che per ben 26 anni è stato nostro Pastore e guida nel cammino attraverso questo tempo. Egli varcava la soglia verso l'altra vita - entrando nel mistero di Dio. Ma non compiva questo passo da solo. Chi crede, non è mai solo - non lo è nella vita e neanche nella morte. In quel momento noi abbiamo potuto invocare i Santi di tutti i secoli - i suoi amici, i suoi fratelli nella fede, sapendo che sarebbero stati il corteo vivente che lo avrebbe accompagnato nell'aldilà, fino alla gloria di Dio. Noi sapevamo che il suo arrivo era atteso. Ora sappiamo che egli è fra i suoi ed è veramente a casa sua".


Benedetto XVI quindi parlò di quando i Cardinali riuniti in conclave decisero per il Suo nome: "Di nuovo - ha detto il Papa -, siamo stati consolati compiendo il solenne ingresso in Conclave, per eleggere colui che il Signore aveva scelto. Come potevamo riconoscere il suo nome? Come potevano 115 Vescovi, provenienti da tutte le culture ed i paesi, trovare colui al quale il Signore desiderava conferire la missione di legare e sciogliere? Ancora una volta, noi lo sapevamo: sapevamo che non siamo soli, che siamo circondati, condotti e guidati dagli amici di Dio. Ed ora, in questo momento, io debole servitore di Dio devo assumere questo compito inaudito, che realmente supera ogni capacità umana. Come posso fare questo? Come sarò in grado di farlo? Voi tutti, cari amici, avete appena invocato l'intera schiera dei Santi, rappresentata da alcuni dei grandi nomi della storia di Dio con gli uomini. In tal modo, anche in me si ravviva questa consapevolezza: non sono solo. Non devo portare da solo ciò che in realtà non potrei mai portare da solo. La schiera dei Santi di Dio mi protegge, mi sostiene e mi porta. E la Vostra preghiera, cari amici, la Vostra indulgenza, il Vostro amore, la Vostra fede e la Vostra speranza mi accompagnano. Infatti alla comunità dei Santi non appartengono solo le grandi figure che ci hanno preceduto e di cui conosciamo i nomi. Noi tutti siamo la comunità dei santi, noi battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, noi che viviamo del dono della carne e del sangue di Cristo, per mezzo del quale egli ci vuole trasformare e renderci simili a se medesimo. Sì, la Chiesa è viva - questa è la meravigliosa esperienza di questi giorni. Proprio nei tristi giorni della malattia e della morte del Papa questo si è manifestato in modo meraviglioso ai nostri occhi: che la Chiesa è viva. E la Chiesa è giovane. Essa porta in sé il futuro del mondo e perciò mostra anche a ciascuno di noi la via verso il futuro. La Chiesa è viva e noi lo vediamo: noi sperimentiamo la gioia che il Risorto ha promesso ai suoi. La Chiesa è viva - essa è viva, perché Cristo è vivo, perché egli è veramente risorto. Nel dolore, presente sul volto del Santo Padre nei giorni di Pasqua, abbiamo contemplato il mistero della passione di Cristo ed insieme toccato le sue ferite. Ma in tutti questi giorni abbiamo anche potuto, in un senso profondo, toccare il Risorto. Ci è stato dato di sperimentare la gioia che egli ha promesso, dopo un breve tempo di oscurità, come frutto della sua resurrezione". E poi la frase che, forse, più è entrata nel cuore di tutti: "Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia".


Il Papa ha quindi spiegato i due segni con cui viene rappresentata liturgicamente l'assunzione del Ministero Petrino: il segno del Pallio e l'anello del Pescatore. Il Papa ha spiegato che il Pallio può essere considerato come un'immagine del giogo di Cristo, che il Vescovo di Roma, il Servo dei Servi di Dio, prende sulle sue spalle. Il giogo di Dio è la volontà di Dio, che i fedeli accolgono. E questa volontà non è un peso esteriore, che opprime e toglie la libertà. Conoscere ciò che Dio vuole, conoscere qual è la via della vita è la gioia dei fedeli: la volontà di Dio non aliena, purifica - magari in modo anche doloroso - e così conduce l'uomo a sé stesso.


Il secondo segno è la consegna dell'anello del pescatore. La chiamata di Pietro ad essere pastore fa seguito alla narrazione di una pesca abbondante: dopo una notte, nella quale avevano gettato le reti senza successo, i discepoli vedono sulla riva il Signore Risorto. Egli comanda loro di tornare a pescare ancora una volta ed ecco che la rete diviene così piena che essi non riescono a tirarla su; 153 grossi pesci: "E sebbene fossero così tanti, la rete non si strappò" (Gv 21, 11). "Questo racconto, al termine del cammino terreno di Gesù con i suoi discepoli - ha spiegato il Papa -, corrisponde ad un racconto dell'inizio: anche allora i discepoli non avevano pescato nulla durante tutta la notte; anche allora Gesù aveva invitato Simone ad andare al largo ancora una volta. E Simone, che ancora non era chiamato Pietro, diede la mirabile risposta: Maestro, sulla tua parola getterò le reti! Ed ecco il conferimento della missione: ‘Non temere! D'ora in poi sarai pescatore di uomini' (Lc 5, 1-11). Anche oggi viene detto alla Chiesa e ai successori degli apostoli di prendere il largo nel mare della storia e di gettare le reti, per conquistare gli uomini al Vangelo - a Dio, a Cristo, alla vera vita".


E così ecco mirabilmente unite da Benedetto XVI le parole dedicate al programma del suo pontificato e quelle dedicate al Pallio e all'anello del Pescatore. Se programma del Papa è quello di mettersi in ascolto della parola del Signore e portare in questo modo più persone possibile a Lui, il Pallio e l'anello del Pescatore sono anche il segno dell'assunzione di questo difficile compito. Tutte le persone attendono, magari senza saperlo, la venuta di Cristo nella loro vita: "Non abbiamo forse tutti in qualche modo paura - ha detto Benedetto XVI - se lasciamo entrare Cristo totalmente dentro di noi, se ci apriamo totalmente a lui, paura che Egli possa portar via qualcosa della nostra vita? Non abbiamo forse paura di rinunciare a qualcosa di grande, di unico, che rende la vita così bella? Non rischiamo di trovarci poi nell'angustia e privati della libertà? Ed ancora una volta il Papa voleva dire: no! chi fa entrare Cristo, non perde nulla, nulla, assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No! Solo in quest'amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in quest'amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana. Solo in quest'amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e ciò che libera".




Portare l'annuncio del Vangelo a tutti: l'urgenza della missione


Non si può comprendere l'idea di missione propria del Santo Padre Benedetto XVI  senza andare ai due Messaggi da Lui scritti in occasione della Giornata Missionaria Mondiale 2006 e della Giornata Missionaria Mondiale 2007.


Nel 2006 il tema era "La carità anima della missione". Benedetto XVI, fin dalle prime righe, entra in medias res: "La missione se non è orientata dalla carità, se non scaturisce cioè da un profondo atto di amore divino, rischia di ridursi a mera attività filantropica e sociale". E, infatti, è propriamente l'amore che Dio nutre per ogni persona a costituire il cuore dell'esperienza e dell'annunzio del Vangelo. La risposta ai bisogni dell'uomo, alle sue esigenze, seppure necessaria e legittima, viene dunque dopo l'annuncio del Vangelo, ovvero l'annuncio del messaggio d'amore di Dio contenuto in ogni pagina evangelica.

A cosa è allora chiamata ogni comunità cristiana ? Il Papa spiega: "Ogni comunità cristiana è chiamata a far conoscere Dio che è Amore". Un tema, quest'ultimo, mirabilmente sviscerato all'interno della prima enciclica, la "Deus Caritas Est". Qui il Santo Padre spiega come del suo amore Dio permea l'intera creazione e la storia umana. "All'origine - scrisse il Papa nel Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale del 2006 ricordando la "Deus Caritas Est" - l'uomo uscì dalle mani del Creatore come frutto di un'iniziativa d'amore. Il peccato offuscò poi in lui l'impronta divina. Ingannati dal maligno, i progenitori Adamo ed Eva vennero meno al rapporto di fiducia con il loro Signore, cedendo alla tentazione del maligno che instillò in loro il sospetto che Egli fosse un rivale e volesse limitarne la libertà. Così all'amore gratuito divino essi preferirono se stessi, persuasi di affermare in tal modo il loro libero arbitrio. La conseguenza fu che finirono per perdere l'originale felicità ed assaporarono l'amarezza della tristezza del peccato e della morte. Iddio però non li abbandonò e promise ad essi ed ai loro discendenti la salvezza, preannunciando l'invio del suo Figlio unigenito, Gesù, che avrebbe rivelato, nella pienezza dei tempi, il suo amore di Padre, un amore capace di riscattare ogni umana creatura dalla schiavitù del male e della morte. In Cristo, pertanto, ci è stata comunicata la vita immortale, la stessa vita della Trinità. Grazie a Cristo, buon Pastore che non abbandona la pecorella smarrita, è data la possibilità agli uomini di ogni tempo di entrare nella comunione con Dio, Padre misericordioso pronto a riaccogliere in casa il figliol prodigo. Segno sorprendente di questo amore è la Croce. Nella morte in croce di Cristo - ho scritto nell'Enciclica Deus caritas est - ‘si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale egli si dona per rialzare l'uomo e salvarlo - amore, questo, nella sua forma più radicale. È lì che questa verità può essere contemplata. E partendo da lì deve ora definirsi che cosa sia l'amore. A partire da questo sguardo il cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare' (n. 12)".


Il legame tra amore di Dio e missione venne anche affrontato da Giovanni Paolo II nell'enciclica "Redemptoris missio": "l'anima di tutta l'attività missionaria - scrisse Giovanni Paolo II - è l'amore che è e resta il movente della missione, ed è anche l'unico criterio secondo cui tutto deve essere fatto o non fatto, cambiato o non cambiato. È il principio che deve dirigere ogni azione e il fine a cui essa deve tendere. Quando si agisce con riguardo alla carità o ispirati dalla carità, nulla è disdicevole e tutto è buono" (RM n. 60). "Essere missionari - ha affermato Benedetto XVI sempre nel Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2006 - significa allora amare Dio con tutto se stesso sino a dare, se necessario, anche la vita per Lui. Quanti sacerdoti, religiosi, religiose e laici, pure in questi nostri tempi, Gli hanno reso la suprema testimonianza di amore con il martirio! Essere missionari è chinarsi, come il buon Samaritano, sulle necessità di tutti, specialmente dei più poveri e bisognosi, perché chi ama con il cuore di Cristo non cerca il proprio interesse, ma unicamente la gloria del Padre e il bene del prossimo. Sta qui il segreto della fecondità apostolica dell'azione missionaria, che travalica le frontiere e le culture, raggiunge i popoli e si diffonde fino agli estremi confini del mondo".


Non meno intenso fu, un anno dopo, il Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2007. Questa volta il tema era: "Tutte le Chiese per tutto il mondo". In questo senso lo scopo era di riflettere sull'urgenza e sull'importanza che riveste, anche in questo nostro tempo, l'azione missionaria della Chiesa. Anche in quest'occasione il Papa non ha aspettato a entrare da subito nel cuore del tema che - ha detto il Papa - invita le Chiese locali di ogni Continente a una condivisa consapevolezza circa l'urgente necessità di rilanciare l'azione missionaria di fronte alle molteplici e gravi sfide del nostro tempo. Sono certo mutate le condizioni in cui vive l'umanità, e in questi decenni un grande sforzo è stato compiuto per la diffusione del Vangelo, specialmente a partire dal Concilio Vaticano II. Resta tuttavia ancora molto da fare per rispondere all'appello missionario che il Signore non si stanca di rivolgere ad ogni battezzato. Egli continua a chiamare, in primo luogo, le Chiese cosiddette di antica tradizione, che in passato hanno fornito alle missioni, oltre che mezzi materiali, anche un numero consistente di sacerdoti, religiosi, religiose e laici, dando vita a un'efficace cooperazione fra comunità cristiane. Da questa cooperazione sono scaturiti abbondanti frutti apostolici sia per le giovani Chiese in terra di missione, che per le realtà ecclesiali da cui provenivano i missionari. Dinanzi all'avanzata della cultura secolarizzata, che talora sembra penetrare sempre più nelle società occidentali, considerando inoltre la crisi della famiglia, la diminuzione delle vocazioni e il progressivo invecchiamento del clero, queste Chiese corrono il rischio di rinchiudersi in se stesse, di guardare con ridotta speranza al futuro e di rallentare il loro sforzo missionario. Ma è proprio questo il momento di aprirsi con fiducia alla Provvidenza di Dio, che mai abbandona il suo popolo e che, con la potenza dello Spirito Santo, lo guida verso il compimento del suo eterno disegno di salvezza".


A dedicarsi generosamente alla Missio Ad Gentes, Benedetto XVI ha ricordato come il Buon Pastore inviti pure le Chiese di recente evangelizzazione. Pur incontrando non poche difficoltà ed ostacoli nel loro sviluppo, queste comunità sono in crescita costante. "Alcune - ha scritto il Santo Padre - abbondano fortunatamente di sacerdoti e di persone consacrate, non pochi dei quali, pur essendo tante le necessità in loco, vengono tuttavia inviati a svolgere il loro ministero pastorale e il loro servizio apostolico altrove, anche nelle terre di antica evangelizzazione. Si assiste in tal modo ad un provvidenziale "scambio di doni", che ridonda a beneficio dell'intero Corpo mistico di Cristo. Auspico vivamente che la cooperazione missionaria si intensifichi, valorizzando le potenzialità e i carismi di ciascuno. Auspico, inoltre, che la Giornata Missionaria Mondiale contribuisca a rendere sempre più consapevoli tutte le comunità cristiane e ogni battezzato che è universale la chiamata di Cristo a propagare il suo Regno sino agli estremi angoli del pianeta. ‘La Chiesa è missionaria per natura - scrive Giovanni Paolo II nell'enciclica "Redemptoris missio" -, poiché il mandato di Cristo non è qualcosa di contingente e di esteriore, ma raggiunge il cuore stesso della Chiesa. Ne deriva che tutta la Chiesa e ciascuna Chiesa è inviata alle genti. Le stesse Chiese più giovani debbono partecipare quanto prima e di fatto alla missione universale della Chiesa, inviando anch'esse dei missionari a predicare dappertutto nel mondo l'evangelo, anche se soffrono di scarsezza di clero' (n. 61)".


Parlando di missione non si possono non ricordare le parole che Benedetto XVI ha voluto rivolgere ai giovani, in particolare ai giovani raccolti per l'Agorà di Loreto all'inizio di settembre 2007: "Il mondo - ha detto in quell'occasione il Papa - dev'essere cambiato, ma è proprio la missione della gioventù di cambiarlo". E ancora: "Non dovete aver paura di sognare ad occhi aperti grandi progetti di bene e non dovete lasciarvi scoraggiare dalle difficoltà". Parole, queste ultime, che ricordano le tante pronunciate da Giovanni Paolo II in occasione degli innumerevoli raduni con i giovani, laddove Egli sempre spronava a non avere paura ad accogliere Cristo dentro di sé, ma anzi a spendersi per testimoniarLo in ogni angolo della terra.



Il dialogo ecumenico e l'importanza del rapporto con le Chiese cristiane


Poche settimane dopo l'elezione al Soglio di Pietro, Benedetto XVI si recò a Bari, per la conclusione del XXIV Congresso Eucaristico Nazionale. Qui, il 29 maggio 2005, in un'assolata e molto partecipata Concelebrazione Eucaristica, Benedetto XVI affrontò il tema dell'ecumenismo e dei rapporti tra le Chiese cristiane. Furono parole indimenticabili che vale la pena rileggere. Disse allora il Santo Padre: "Il Cristo che incontriamo nel Sacramento è lo stesso qui a Bari come a Roma, qui in Europa come in America, in Africa, in Asia, in Oceania. È l'unico e medesimo Cristo che è presente nel Pane eucaristico di ogni luogo della terra. Questo significa che noi possiamo incontrarlo solo insieme con tutti gli altri. Possiamo riceverlo solo nell'unità. Non è forse questo che ci ha detto l'apostolo Paolo nella lettura ascoltata poc'anzi? Scrivendo ai Corinzi egli afferma: ‘Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane' (1 Cor 10,17). La conseguenza è chiara: non possiamo comunicare con il Signore, se non comunichiamo tra noi. Se vogliamo presentarci a Lui, dobbiamo anche muoverci per andare gli uni incontro agli altri. Per questo bisogna imparare la grande lezione del perdono: non lasciar lavorare nell'animo il tarlo del risentimento, ma aprire il cuore alla magnanimità dell'ascolto dell'altro, aprire il cuore alla comprensione nei suoi confronti, all'eventuale accettazione delle sue scuse, alla generosa offerta delle proprie. L'Eucaristia - ripetiamolo - è sacramento dell'unità. Ma purtroppo i cristiani sono divisi, proprio nel sacramento dell'unità. Tanto più dobbiamo, sostenuti dall'Eucaristia, sentirci stimolati a tendere con tutte le forze a quella piena unità che Cristo ha ardentemente auspicato nel Cenacolo. Proprio qui, a Bari, felice Bari, città che custodisce le ossa di San Nicola, terra di incontro e di dialogo con i fratelli cristiani dell'Oriente, vorrei ribadire la mia volontà di assumere come impegno fondamentale quello di lavorare con tutte le energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo. Sono cosciente che per questo non bastano le manifestazioni di buoni sentimenti. Occorrono gesti concreti che entrino negli animi e smuovano le coscienze, sollecitando ciascuno a quella conversione interiore che è il presupposto di ogni progresso sulla via dell'ecumenismo. Chiedo a voi tutti di prendere con decisione la strada di quell'ecumenismo spirituale, che nella preghiera apre le porte allo Spirito Santo, che solo può creare l'unità".


Poche settimane dopo Bari, il Pontefice si recò in Germania, per la Giornata Mondiale della Gioventù. Anche qui il tema dell'unità dei cristiani ritornò in occasione di un incontro con i rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali: "Provenendo io stesso da questo Paese - disse in quell'occasione Benedetto XVI -, conosco bene la situazione penosa che la rottura dell'unità nella professione della fede ha comportato per tante persone e tante famiglie. Anche per questo motivo, subito dopo la mia elezione a Vescovo di Roma, quale Successore dell'apostolo Pietro ho manifestato il fermo proposito di assumere il ricupero della piena e visibile unità dei cristiani come una priorità del mio Pontificato. Con ciò ho consapevolmente voluto ricalcare le orme di due miei grandi Predecessori: di Paolo VI che, ormai più di quarant'anni fa, firmò il Decreto conciliare sull'ecumenismo "Unitatis redintegratio", e di Giovanni Paolo II, che fece poi di questo documento il criterio ispiratore del suo agire. La Germania nel dialogo ecumenico riveste un posto di particolare importanza. Essa infatti non è solo il Paese d'origine della Riforma; è anche uno dei Paesi da cui è partito il movimento ecumenico del XX secolo. A seguito dei flussi migratori del secolo scorso, anche cristiani delle Chiese ortodosse e delle antiche Chiese dell'Oriente hanno trovato in questo Paese una nuova patria. Ciò ha indubbiamente favorito il confronto e lo scambio. Insieme ci rallegriamo nel constatare che il dialogo, col passare del tempo, ha suscitato una riscoperta della fratellanza e creato tra i cristiani delle varie Chiese e Comunità ecclesiali un clima più aperto e fiducioso. Il mio venerato Predecessore nella sua enciclica "Ut unum sint" (1995) ha indicato proprio in questo un frutto particolarmente significativo del dialogo (cfr nn. 41s.; 64)".


Benedetto XVI spiegò come la fratellanza tra i cristiani non sia semplicemente un vago sentimento e nemmeno nasca da una forma di indifferenza verso la verità. Essa è fondata piuttosto sulla realtà soprannaturale dell'unico Battesimo, che inserisce gli uomini nell'unico Corpo di Cristo. "Insieme - spiegò il Pontefice - confessiamo Gesù Cristo come Dio e Signore; insieme lo riconosciamo come unico mediatore tra Dio e gli uomini, sottolineando la nostra comune appartenenza a Lui. Su questo fondamento il dialogo ha portato i suoi frutti. Vorrei menzionare il riesame, auspicato da Giovanni Paolo II durante la sua prima visita in Germania nell'anno 1980, delle reciproche condanne e soprattutto la "Dichiarazione comune sulla dottrina della giustificazione" (1999), che fu un risultato di tale riesame e portò ad un accordo su questioni fondamentali che fin dal XVI secolo erano oggetto di controversie. Bisogna inoltre riconoscere con gratitudine i risultati costituiti dalle varie comuni prese di posizione su importanti argomenti quali le fondamentali questioni sulla difesa della vita e sulla promozione della giustizia e della pace. Sono ben consapevole che molti cristiani in questo Paese, e non in questo soltanto, si aspettano ulteriori passi concreti di avvicinamento. Me li aspetto anch'io. Infatti è il comandamento del Signore, ma anche l'imperativo dell'ora presente, di continuare in modo convinto il dialogo a tutti i livelli della vita della Chiesa. Ciò deve ovviamente avvenire con sincerità e realismo, con pazienza e perseveranza nella fedeltà al dettato della coscienza. Non può esserci un dialogo a prezzo della verità; il dialogo deve svolgersi nella carità e nella verità".


Il 21 gennaio 2007, durante la "Settimana di preghiera per l'Unità dei Cristiani", prima della preghiera mariana dell'Angelus recitata dal Palazzo apostolico, il Papa ha ricordato come il tema della Settimana di preghiera fosse un'espressione tratta dal Vangelo di Marco che riferisce la meraviglia della gente per la guarigione del sordomuto operata da Gesù: "Fa udire i sordi e fa parlare i muti!" (Mc 7,37). "Ho intenzione - ha detto il Papa - di commentare più diffusamente questo tema biblico il prossimo 25 gennaio, festa liturgica della Conversione di san Paolo, quando, in occasione della conclusione della "Settimana di preghiera", presiederò la celebrazione dei Vespri nella Basilica di San Paolo fuori le Mura. Vi attendo numerosi a tale incontro liturgico, poiché l'unità si fa soprattutto pregando, e più la preghiera è corale, più è gradita al Signore. Quest'anno il progetto iniziale per la "Settimana", adattato poi dal Comitato Misto internazionale, è stato preparato dai fedeli di Umlazi, in Sud Africa, città molto povera, dove l'aids ha assunto proporzioni di pandemia e dove ben poche sono le speranze umane. Ma Cristo risorto è speranza per tutti. Lo è specialmente per i cristiani. Eredi di divisioni avvenute in epoche passate, essi hanno voluto in questa circostanza lanciare un appello: Cristo può tutto, egli "fa udire i sordi e fa parlare i muti" (Mc 7,37), è capace cioè di infondere nei cristiani il desiderio ardente di ascoltare l'altro, di comunicare con l'altro e di parlare insieme a lui il linguaggio dell'amore reciproco. La Settimana di preghiera per l'Unità dei Cristiani ci ricorda così che l'ecumenismo è un'esperienza dialogica profonda, un ascoltarsi e parlarsi, un conoscersi meglio; è un compito che tutti possono svolgere, specialmente per quanto riguarda l'ecumenismo spirituale, basato sulla preghiera e la condivisione per ora possibile tra i cristiani. Auspico che l'anelito per l'unità, tradotto in preghiera e fraterna collaborazione per alleviare le sofferenze dell'uomo, possa diffondersi sempre più a livello delle parrocchie e dei movimenti ecclesiali e tra gli Istituti religiosi".



Da Ratisbona al dialogo con l'islam


Grande scalpore suscitarono il 12 aprile 2006 le parole che Benedetto XVI pronunciò nell'Aula Magna dell'Università di Ratisbona durante un incontro con i rappresentanti del mondo della scienza. Nella sua lectio magistralis dedicata al rapporto tra fede e ragione, il Papa esortò al "coraggio di aprirsi all'ampiezza della ragione" per realizzare "un vero dialogo delle culture e delle religioni, un dialogo - aveva affermato - di cui abbiamo un così urgente bisogno". Il discorso, com'è noto, suscitò forti proteste nel mondo musulmano per una interpretazione errata di un passo dedicato all'Islam, in cui Benedetto XVI, citando un imperatore bizantino del XIV secolo, sottolineava che la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. Proteste prontamente rientrate dopo i chiarimenti offerti dallo stesso Pontefice. In generale si può dire che il discorso di Ratisbona sia stato ricevuto con difficoltà dal mondo islamico, in pochi lo hanno letto interamente e probabilmente molte persone ne hanno conosciuto soltanto quanto la stampa internazionale ha scritto. Il discorso era diretto più che ai musulmani, all'Occidente, e il Papa intendeva dire che se l'Occidente continua a pensare la ragione come staccata dalla fede, dall'etica, dai valori, dalla spiritualità, allora la cultura viene svuotata proprio dell'essenziale. Con questa visione della ragione, l'Occidente ha creato una distanza enorme con il resto del mondo, con i musulmani, con gli africani, con gli asiatici. E questo perché in tutte le culture del mondo la ragione è collegata ai valori e alla spiritualità.


Nel suo discorso il Papa intendeva dire che è necessario allargare il concetto di ragione, se si vuole dialogare con tutto il mondo. Se la società occidentale pretende di essere un modello per molti popoli, deve ritrovare le sue radici anche spirituali, altrimenti c'è lo scontro delle civiltà; se l'Occidente non allarga il concetto di razionalità per integrare la spiritualità, l'etica ed i valori - da una parte - e se il mondo musulmano ed altre civiltà - dall'altra - non integrano questa razionalità che l'Occidente ha sviluppato in modo particolare ai loro valori e alla fede, si rischia uno scontro ancora più forte. E tutto il discorso del Papa tende proprio a promuovere il dialogo fra le culture e le religioni.


Anche se il discorso non era diretto in forma prioritaria ai musulmani, si può comunque dire che anche grazie a questo discorso si è evidenziata la grande attenzione che Benedetto XVI intende rivolgere all'Islam. Da quel discorso in poi ci sono stati tanti passi positivi nel dialogo tra cattolici e Islam, come ad esempio l'incontro che poco tempo dopo Ratisbona il Papa ha voluto fare a Castelgandolfo con alcuni ambasciatori di paesi islamici accreditati presso la Santa Sede e rappresentanti della Consulta islamica italiana. L'incontro di Castelgandolfo è stato occasione per ribadire la disponibilità al dialogo, ferme restando alcune priorità, a cominciare dalla libertà religiosa: "Rinnovo la stima e il profondo rispetto che porto ai credenti musulmani», ha detto il Papa, rispondendo una volta per tutte alle polemiche sul suo discorso tenuto in Germania.


Benedetto XVI approfittò della circostanza per manifestare nuovamente il suo pensiero sull'Islam, chiedendo che cristiani e musulmani lavorino insieme per "opporsi a ogni manifestazione di violenza", l'assunto su cui del resto era basata la sua analisi su fede e ragione. "Il dialogo interreligioso e interculturale - ha continuato il Pontefice - costituisce una necessità per costruire insieme il mondo di pace e di fraternità ardentemente auspicato da tutti gli uomini di buona volontà". E in questo ambito "i nostri contemporanei attendono da noi un'eloquente testimonianza in grado di indicare a tutti il valore della dimensione religiosa dell'esistenza". Al bando ogni forma di "intolleranza e violenza", dunque, ma anche un appello ad autorità religiose e responsabili politici, perchè guidino e incoraggino i fedeli "ad agire così".


Le parole distensive del Papa a Castelgandolfo fecero capire come "una collaborazione fruttuosa" e il rispetto tra culture e religioni non possono non fondarsi nella "reciprocità, soprattutto per quanto riguarda la libertà religiosa". Il Papa ha proposto una convergenza tra le due religioni, non solo sul piano della testimonianza spirituale, ma anche su un programma etico di difesa dei diritti umani. "Sono profondamente convinto - ha detto - che nella situazione in cui si trova il mondo oggi è imperativo per i cristiani e i musulmani impegnarsi nell'affrontare insieme le numerose sfide con le quali si confronta l'umanità, specialmente per quanto riguarda la difesa e la promozione della dignità dell'essere umano e i diritti che ne derivano". E ancora: "I cristiani e i musulmani rendono manifesta la loro obbedienza al Creatore, la cui volontà è che tutti gli esseri umani vivano con quella dignità che Egli ha loro dato".



La difesa della vita, dall'inizio al suo termine naturale, e della famiglia


Benedetto XVI non ha mai mancato, dal 19 aprile 2005 ad oggi, di ricordare l'importanza della difesa della vita dal concepimento fino al suo temine naturale, la difesa della famiglia fondata sul sacramento del matrimonio. Il Pontefice si è sempre dichiarato contrario a quel tipo di tecnicismo scientifico che non privilegia la vita come valore ineludibile, la vita come dono di Dio. Sono i cosiddetti "princìpi non negoziabili", princìpi che dovrebbero essere un valore per tutti. Sono tantissimi gli interventi del Pontefice in questo senso. E sempre di più saranno destinati ad essercene in futuro. Il motivo risiede anche nel ripetuto attacco, sempre più violento, che una certa cultura laicista ha con sempre maggiore forza sferrato nel vivere quotidiano.


L'espressione "princìpi non negoziabili" il Papa la usò con forza nell'Esortazione apostolica post sinodale "Sacramentum Caritatis", Esortazione incentrata sull'Eucaristia. "Il culto gradito a Dio - scrisse il Pontefice -, non è mai atto meramente privato, senza conseguenze sulle nostre relazioni sociali: esso richiede la pubblica testimonianza della propria fede. Ciò vale ovviamente per tutti i battezzati, ma si impone con particolare urgenza nei confronti di coloro che, per la posizione sociale o politica che occupano, devono prendere decisioni a proposito di valori fondamentali, come il rispetto e la difesa della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale, la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, la libertà di educazione dei figli e la promozione del bene comune in tutte le sue forme. Tali valori non sono negoziabili".


Sullo stesso argomento Benedetto XVI è tornato il 24 marzo 2007, ricevendo in Vaticano, nella Sala Clementina, i Cardinali, i Vescovi, gli uomini politici che stavano prendendo parte al Convegno indetto a Roma in quei giorni dalla Commissione degli Episcopati della Comunità Europea (COMECE), dedicato a "Valori e prospettive per l'Europa di domani". In quell'occasione Benedetto XVI disse: "Se il compromesso può costituire un legittimo bilanciamento di interessi particolari diversi, si trasforma in male comune ogniqualvolta comporti accordi lesivi della natura dell'uomo. Una comunità che si costruisce senza rispettare l'autentica dignità dell'essere umano, dimenticando che ogni persona è creata ad immagine di Dio, finisce per non fare il bene di nessuno. Ecco perché appare sempre più indispensabile che l'Europa si guardi da quell'atteggiamento pragmatico, oggi largamente diffuso, che giustifica sistematicamente il compromesso sui valori umani essenziali, come se fosse l'inevitabile accettazione di un presunto male minore. Tale pragmatismo, presentato come equilibrato e realista, in fondo tale non è, proprio perché nega quella dimensione valoriale ed ideale, che è inerente alla natura umana. Quando, poi, su un tale pragmatismo si innestano tendenze e correnti laicistiche e relativistiche, si finisce per negare ai cristiani il diritto stesso d'intervenire come tali nel dibattito pubblico o, per lo meno, se ne squalifica il contributo con l'accusa di voler tutelare ingiustificati privilegi. Nell'attuale momento storico e di fronte alle molte sfide che lo segnano, l'Unione Europea per essere valida garante dello stato di diritto ed efficace promotrice di valori universali, non può non riconoscere con chiarezza l'esistenza certa di una natura umana stabile e permanente, fonte di diritti comuni a tutti gli individui, compresi coloro stessi che li negano. In tale contesto, va salvaguardato il diritto all'obiezione di coscienza, ogniqualvolta i diritti umani fondamentali fossero violati".



L'importanza della liturgia


Una caratteristica fondamentale del magistero di Benedetto XVI è quella di cercare di portare la Chiesa nel tempo eterno: ovvero l'urgenza di mettere al centro del suo ministero la liturgia come espressione piena e propria dell'esistenza ecclesiale. In questo senso il Motu Proprio Summorum Pontificum stabilisce la non interrotta validità della liturgia tradizionale in latino come liturgia vivente e dunque insiste sul fatto che il flusso della preghiera è inarrestabile e che trascende il tempo. Benedetto XVI non ha mai mancato di ricordare l'importanza dell'uso della lingua latina per la Chiesa. La predicazione cattolica della Chiesa è sempre avvenuta in molte lingue, ma tra tutte quella latina si è presto imposta, non solo per il carattere di universalità che le derivava dall'essere la lingua dell'Impero di Roma, ma anche grazie alla sua capacità di racchiudere in forma concisa ed efficace concetti di grande densità teologica, giuridica e culturale. Il fatto, inoltre, che il latino non sia più una lingua correntemente parlata non significa che sia una lingua morta. Una lingua non più parlata non è necessariamente morta e addirittura può risorgere.


Paolo VI nel 1969, con la Costituzione "Missale romanum" sostituì, senza abrogarlo, il Rito romano antico con un nuovo complesso di norme e di preghiere definito "Novus Ordo Missae". Nel corso della Riforma vennero introdotte progressivamente una serie di novità e di varianti, molte delle quali non previste né dal Concilio Vaticano II né dalla stessa Costituzione di Papa Montini. Il quid novum non consisté solo nella sostituzione della lingua di culto latina con le lingue volgari, ma nell'altare che assunse la forma di "mensa", per sottolineare l'aspetto di banchetto in luogo del sacrificio; nella "celebratio versus populum", sostituita a quella "versus Deum", con l'abbandono conseguente della celebrazione verso Oriente, ovvero verso Cristo simboleggiato dal sole nascente; nella mancanza di silenzio e di raccoglimento durante la cerimonia e nella teatralità della celebrazione spesso accompagnata da canti dissacranti, con il sacerdote ridotto a "presidente dell'assemblea"; nell'ipertrofia della liturgia della parola rispetto alla liturgia eucaristica; nel "segno" della pace che sostituisce le genuflessioni del sacerdote e dei fedeli, quale simbolo del passaggio dalla dimensione verticale a quella orizzontale dell'azione liturgica; nella comunione ricevuta dai fedeli in piedi e poi anche in mano; nell'accesso delle donne all'altare; nella concelebrazione come tendenza alla "collettivizzazione" del rito; soprattutto nella modifica e nella sostituzione delle preghiere dell'Offertorio e del Canone.

Come ha spiegato il Cardinale Dario Castrillon Hoyos presentando il Motu Proprio di Benedetto XVI, "oggi assistiamo a un nuovo e rinnovato interesse verso la liturgia tradizionale, mai abolita, che, da molti, è considerata un tesoro".


___________________________________________________________________________________


Dossier a cura di P.L.R. - Agenzia Fides 19/3/2008; Direttore Luca de Mata

Questo Dossier è disponibile anche sul sito dell’Agenzia Fides: www.fides.org