Visita del Santo Padre Francesco alle zone terremotate dell’Arcidiocesi di Camerino-San Severino Marche

santa messa CamerinoAlle ore 7.50 di questa mattina, il Santo Padre Francesco è partito dall’eliporto del Vaticano per recarsi in visita alle zone terremotate dell’Arcidiocesi di Camerino-San Severino Marche.

Al Suo arrivo, alle ore 8.40, nel Centro Sportivo dell’Università di Camerino, in località Calvie, il Papa è stato accolto dall’Arcivescovo di Camerino-San Severino Marche, S.E. Mons. Francesco Massara, dal Presidente della Regione Marche, Dott. Luca Ceriscioli, dal Prefetto di Macerata, Dott.ssa Iolanda Rolli, dal Presidente della Provincia di Macerata, Dott. Antonio Pettinari, dal Sindaco di Camerino, Dott. Sandro Sborgia, e dal Rettore dell’Università di Camerino, Prof. Claudio Pettinari. Quindi il Santo Padre si è recato in visita alle Strutture Abitative Emergenziali (SAE) e alle Famiglie che le abitano, in località Cortine. Dopo aver visitato alcune famiglie, il Papa ha rivolto un saluto a braccio alle persone radunate all’esterno delle strutture abitative. Successivamente ha visitato la Cattedrale e incontrato i Sindaci dei Comuni dell’Arcidiocesi.

Alle ore 10.00, in Piazza Cavour, il Santo Padre ha presieduto la Celebrazione Eucaristica, nel corso della quale ha pronunciato l’omelia. Al termine della Celebrazione, dopo l’indirizzo di saluto dall’Arcivescovo di Camerino-San Severino Marche, S.E. Mons. Francesco Massara, il Papa ha guidato la recita dell’Angelus con i fedeli e i pellegrini convenuti.

A conclusione, il Papa si è trasferito in golf cart alla Chiesa di Santa Maria in Via per una breve visita. Quindi si è recato in auto al Centro della Comunità San Paolo per il pranzo con i sacerdoti dell’Arcidiocesi di Camerino-San Severino Marche.

Nel pomeriggio, prima di ripartire in elicottero per rientrare in Vaticano, il Santo Padre saluta brevemente i bambini della Prima Comunione dell’Arcidiocesi riuniti presso la Palestra del Centro Sportivo dell’Università di Camerino.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Santo Padre ha pronunciato nel corso della Santa Messa in Piazza Cavour, le parole introduttive alla recita dell’Angelus e il saluto agli abitanti delle strutture abitative emergenziali:

Omelia del Santo Padre

«Che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi?», abbiamo pregato nel Salmo (8,5). Mi sono venute in mente queste parole pensando a voi. Di fronte a quello che avete visto e sofferto, di fronte a case crollate e a edifici ridotti in macerie, viene questa domanda: che cosa è mai l’uomo? Che cos’è, se quello che innalza può crollare in un attimo? Che cos’è, se la sua speranza può finire in polvere? Che cosa è mai l’uomo? La risposta sembra arrivare dal prosieguo della frase: che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi? Di noi, così come siamo, con le nostre fragilità, Dio si ricorda. Nell’incertezza che avvertiamo fuori e dentro, il Signore ci dà una certezza: Egli si ricorda di noi. Si ri-corda, cioè ritorna col cuore a noi, perché Gli stiamo a cuore. E mentre quaggiù troppe cose si dimenticano in fretta, Dio non ci lascia nel dimenticatoio. Nessuno è disprezzabile ai suoi occhi, ciascuno ha per Lui un valore infinito: siamo piccoli sotto al cielo e impotenti quando la terra trema, ma per Dio siamo più preziosi di qualsiasi cosa.

Ricordo è una parola-chiave per la vita. Chiediamo la grazia di ri-cordare ogni giorno che non siamo dimenticati da Dio, che siamo suoi figli amati, unici e insostituibili: ricordarlo ci dà la forza di non arrenderci davanti alle contrarietà della vita. Ricordiamo quanto valiamo, di fronte alla tentazione di rattristarci e di continuare a rivangare quel peggio che sembra non aver mai fine. I ricordi brutti arrivano, anche quando non li pensiamo; però pagano male: lasciano solo malinconia e nostalgia. Ma com’è difficile liberarsi dai brutti ricordi! Vale quel detto, secondo cui fu più facile per Dio far uscire Israele dall’Egitto che l’Egitto dal cuore d’Israele.

Per liberare il cuore dal passato che ritorna, dai ricordi negativi che tengono prigionieri, dai rimpianti che paralizzano, serve qualcuno che ci aiuti a portare i pesi che abbiamo dentro. Oggi Gesù dice proprio che di tante cose non siamo “capaci di portare il peso” (cfr Gv 16,12). E che cosa fa di fronte alla nostra debolezza? Non ci toglie i pesi, come vorremmo noi, che siamo sempre in cerca di soluzioni rapide e superficiali; no, il Signore ci dà lo Spirito Santo. Di Lui abbiamo bisogno, perché è il Consolatore, Colui cioè che non ci lascia soli sotto i pesi della vita. È Colui che trasforma la nostra memoria schiava in memoria libera, le ferite del passato in ricordi di salvezza. Compie in noi quello che ha fatto per Gesù: le sue piaghe, quelle brutte ferite scavate dal male, per la potenza dello Spirito Santo sono diventate canali di misericordia, piaghe luminose in cui risplende l’amore di Dio, un amore che rialza, che fa risorgere. Questo fa lo Spirito Santo quando Lo invitiamo nelle nostre ferite. Egli unge i brutti ricordi col balsamo della speranza, perché lo Spirito Santo è il ricostruttore della speranza.

Speranza. Di quale speranza si tratta? Non è una speranza passeggera. Le speranze terrene sono fuggevoli, hanno sempre la data di scadenza: sono fatte di ingredienti terreni, che prima o poi vanno a male. Quella dello Spirito è una speranza a lunga conservazione. Non scade, perché si basa sulla fedeltà di Dio. La speranza dello Spirito non è nemmeno ottimismo. Nasce più in profondità, riaccende in fondo al cuore la certezza di essere preziosi perché amati. Infonde la fiducia di non essere soli. È una speranza che lascia dentro pace e gioia, indipendentemente da quello che capita fuori. È una speranza che ha radici forti, che nessuna tempesta della vita può sradicare. È una speranza, dice oggi San Paolo, che «non delude» (Rm 5,5) – la speranza non delude! –, che dà la forza di superare ogni tribolazione (cfr vv. 2-3). Quando siamo tribolati o feriti – e voi sapete bene cosa significa essere tribolati, feriti –, siamo portati a “fare il nido” attorno alle nostre tristezze e alle nostre paure. Lo Spirito invece ci libera dai nostri nidi, ci fa spiccare il volo, ci dischiude il destino meraviglioso per il quale siamo nati. Lo Spirito ci nutre di speranza viva. Invitiamolo. Chiediamogli che venga in noi e si farà vicino. Vieni, Spirito Consolatore! Vieni a darci un po’ di luce, a darci il senso di questa tragedia, a darci la speranza che non delude. Vieni, Santo Spirito!

Vicinanza è la terza e ultima parola che vorrei condividere con voi. Oggi celebriamo la Santissima Trinità. La Trinità non è un rompicapo teologico, ma lo splendido mistero della vicinanza di Dio. La Trinità ci dice che non abbiamo un Dio solitario lassù in cielo, distante e indifferente; no, Lui è Padre che ci ha dato il suo Figlio, fattosi uomo come noi, e che per esserci ancora più vicino, per aiutarci a portare i pesi della vita, ci manda il suo stesso Spirito. Lui, che è Spirito, viene nel nostro spirito e così ci consola da dentro, ci porta nell’intimo la tenerezza di Dio. Con Dio i pesi della vita non restano sulle nostre spalle: lo Spirito, che nominiamo ogni volta che facciamo il segno della croce proprio mentre tocchiamo le spalle, viene a darci forza, a incoraggiarci, a sostenere i pesi. Infatti Lui è specialista nel risuscitare, nel risollevare, nel ricostruire. Ci vuole più forza per riparare che per costruire, per ricominciare che per iniziare, per riconciliarsi che per andare d’accordo. Questa è la forza che Dio ci dà. Perciò chi si avvicina a Dio non si abbatte, va avanti: ricomincia, riprova, ricostruisce. Soffre anche, ma riesce a ricominciare, a riprovare, a ricostruire.

Cari fratelli e sorelle, sono venuto oggi semplicemente per starvi vicino; sono qui a pregare con voi Dio che si ricorda di noi, perché nessuno si scordi di chi è in difficoltà. Prego il Dio della speranza, perché ciò che è instabile in terra non faccia vacillare la certezza che abbiamo dentro. Prego il Dio Vicino, perché susciti gesti concreti di prossimità. Sono passati quasi tre anni e il rischio è che, dopo il primo coinvolgimento emotivo e mediatico, l’attenzione cali e le promesse vadano a finire nel dimenticatoio, aumentando la frustrazione di chi vede il territorio spopolarsi sempre di più. Il Signore invece spinge a ricordare, riparare, ricostruire, e a farlo insieme, senza mai dimenticare chi soffre.

Che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi? Dio che si ricorda di noi, Dio che guarisce le nostre memorie ferite ungendole di speranza, Dio che ci è vicino per risollevarci da dentro, questo Dio ci aiuti a essere costruttori di bene, consolatori di cuori. Ciascuno può fare un po’ di bene, senza aspettare che siano gli altri a cominciare. “Comincio io, comincio io, comincio io”: ognuno deve dire questo. Ciascuno può consolare qualcuno, senza aspettare che i suoi problemi siano risolti. Anche portando la mia croce, io cerco di avvicinarmi per consolare gli altri. Che cosa è mai l’uomo? È il tuo grande sogno, Signore, di cui ti ricordi sempre. L’uomo è il tuo grande sogno, Signore, di cui ti ricordi sempre. Non è facile capirlo in queste circostanze, Signore. Gli uomini si dimenticano di noi, non ricordano questa tragedia. Ma tu, Signore, non ti dimentichi. L’uomo è il tuo grande sogno Signore, di cui ti ricordi sempre. Signore, fa’ che anche noi ci ricordiamo di essere al mondo per dare speranza e vicinanza, perché siamo figli tuoi, «Dio di ogni consolazione» (2 Cor 1,3).

© http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino.html - 16 giugno 2019

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Angelus 16 giugno 2019