Gli amici scrivono
La Cristianità agli estremi confini della terra
- Dettagli
- Creato: 24 Luglio 2011
- Hits: 1665

Si tratta di un’osservazione importante, per Introvigne, in un momento in cui un’antropologia relativistica insegna che non esiste nessun «divario» e che tutte le culture sono di uguale valore. Quest’antropologia non rimane una pura posizione accademica ma si traduce in una politica per cui l’aborigeno deve rimanere aborigeno: anche perché, se «colma il divario» e inizia a fruire dei benefici della cultura occidentale, non è più interessante per gli antropologi, né per i turisti.
A questo proposito Introvigne cita una sua esperienza personale riguardante alcune popolazioni Lapponi, in Finlandia. “Ho seguito con interesse il dibattito sui Sámi (il nome «politicamente corretto» per le popolazioni un tempo chiamate Lapponi). Lo slogan antropologico che risale agli anni 1970 «i Sámi devono rimandere Sámi» ha portato a considerare una disgrazia non solo l’evangelizzazione cristiana – il che è evidente anche in alcuni allestimenti museografici, dove il missionario è per definizione il «cattivo» – ma anche qualunque iniziativa educativa ed economica che, con il tempo, trasforma molti Sámi da tradizionali allevatori di renne, spesso nomadi, in costume tipico in operai, impiegati (e talora commercianti e imprenditori) vestiti in modo non dissimile dai loro concittadini di altra etnia, quindi poco interessanti per gli studiosi e per le migliaia di turisti che vorrebbero fotografarli. Ferma restando la giusta condanna di eventuali abusi, solo un relativismo assoluto può augurare al Sámi – e all’aborigeno australiano – di non «colmare il divario» e di rimanere a uno stadio di sviluppo evidentemente insoddisfacente pur di mantenere la sua identità (che, evidentemente, può essere difesa, in quanto ha di conforme alla legge naturale, in altri modi). A meno che si tratti di cinico sfruttamento turistico: il che porta alcuni Sámi a «fare i Sámi» come professione, vestendosi per otto ore al giorno in costume tipico a beneficio delle macchine fotografiche dei turisti, cui vendono pure «autentici» prodotti artigianali… fatti a Hong Kong, prima di rientrare alla sera a casa loro, indossare i blue jean e accendere la televisione (Olsen 2004). Se lo sfruttamento turistico è relativamente recente, l’ideologia relativistica – con sfumature neo-pagane e anticristiane – risale almeno al secolo XIX “ (Massimo Introvigne, “Sino agli estremi confini della terra”. Il magistero di Papa Benedetto XVI in Australia, n.349-350, Cristianità)
Il Papa parlando ai giovani australiani non si limita a fare sermoni di circostanza, ma propone catechesi articolate, descrittive e propositive. Tra le ferite e le cicatrici più profonde e più preoccupanti del mondo per Benedetto XVI sono quelle del relativismo e del secolarismo, «un veleno che minaccia di corrodere ciò che è buono […] e distorcere lo scopo per il quale siamo stati creati». Il relativismo non è una semplice posizione filosofica. È alla radice di mali sociali come «l’abuso di alcool e di droghe, l’esaltazione della violenza e il degrado sessuale, presentati spesso dalla televisione e da internet come divertimento» (ibid.) E il frutto del relativismo è «il deserto spirituale: un vuoto interiore, una paura indefinibile, un nascosto senso di disperazione» (Benedetto XVI 2008i).
Accanto al relativismo – ma non senza collegamenti con questo – a creare ferite e cicatrici è il secolarismo, che esclude la fede dalla vita sociale e politica. «Vi sono molti, oggi, i quali pretendono che Dio debba essere lasciato “in panchina” e che la religione e la fede, per quanto accettabili sul piano individuale, debbano essere o escluse dalla vita pubblica o utilizzate solo per perseguire limitati scopi pragmatici. Questa visione secolarizzata tenta di spiegare la vita umana e di plasmare la società con pochi riferimenti o con nessun riferimento al Creatore. Si presenta come una forza neutrale, imparziale e rispettosa di ciascuno. In realtà, come ogni ideologia, il secolarismo impone una visione globale. Se Dio è irrilevante nella vita pubblica, allora la società potrà essere plasmata secondo un’immagine priva di Dio. Ma quando Dio viene eclissato, la nostra capacità di riconoscere l’ordine naturale, lo scopo e il “bene” comincia a svanire. Ciò che ostentatamente è stato promosso come umana ingegnosità si è ben presto manifestato come follia, avidità e sfruttamento egoistico» (Benedetto XVI 2008c).
Ma il secolarismo penetra anche nella Chiesa, dove qualcuno sostiene che escludere Dio e la religione dalla cultura e dalla politica in fondo è uno sviluppo positivo. Anche noi cattolici «troppo spesso […] ci ritroviamo immersi in un mondo che vorrebbe mettere Dio “da parte”. Nel nome della libertà ed autonomia umane, il nome di Dio viene oltrepassato in silenzio, la religione è ridotta a devozione personale e la fede viene scansata nella pubblica piazza. Talvolta una simile mentalità, così totalmente opposta all’essenza del Vangelo, può persino offuscare la nostra stessa comprensione della Chiesa e della sua missione. Anche noi possiamo essere tentati di ridurre la vita di fede ad una questione di semplice sentimento, indebolendo così il suo potere di ispirare una visione coerente del mondo ed un dialogo rigoroso con le molte altre visioni che gareggiano per conquistarsi le menti e i cuori dei nostri contemporanei. E tuttavia la storia, inclusa quella del nostro tempo, ci dimostra che la questione di Dio non può mai essere messa a tacere, come pure che l’indifferenza alla dimensione religiosa dell’esistenza umana in ultima analisi diminuisce e tradisce l’uomo stesso» (Benedetto XVI 2008g).
Per Benedetto XVI, la religione deve riconquistare il suo ruolo al centro della «pubblica piazza». Alla prossima.
S. Teresa di Riva, 20 luglio 2011
S. Elia profeta. DOMENICO BONVEGNA