Rassegna stampa formazione e catechesi
Tanto è il bene che mi aspetto, che ogni pena mi è diletto
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- Creato: 08 Maggio 2018
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Francesco e la più bella canzone d’amore
Il monte della Verna entra nella storia dei grandi luoghi santi del mondo grazie a un incontro carico di umanità, di cortesia e di comunione spirituale. Nella primavera del 1213 (8 maggio 2013) Francesco d’Assisi insieme a frate Leone stava attraversando la regione del Montefeltro quando sentì di una festa presso il castello di S. Leo: si trattava dell’investitura di qualche cavaliere? Era l’occasione di incontrare gente, di parlare loro del Vangelo, dell’Amore. Salì al castello mentre, forse, sulla piazza si svolgeva una gara di menestrelli.
Montò su di un muretto e lanciò il tema della sua canzone d’amore: Tanto è quel bene ch’io aspetto, che ogni pena m’è diletto. Le sue parole furono così vibranti che gli occhi e la mente di tutti erano come rapiti da lui. Tra gli ascoltatori c’era il Conte di Chiusi in Casentino, Orlando Catani. Via via che lo ascoltava, sentiva crescere in sé il bisogno di parlare con quell’uomo nuovo, di aprirgli il cuore sui fatti della propria anima. Terminata la predica, glielo chiese. Francesco ne fu contento ma volle che prima lui adempisse ai doveri della cortesia e dell’amicizia: Onora gli amici tuoi che ti hanno invitato per la festa e desina con loro, e dopo desinare parleremo insieme quanto ti piacerà. L’incontro fu intenso. Il Conte trovò luce nelle parole dell’uomo di Dio, ma il colloquio gli fece intuire anche qualche riflesso dell’anima di Francesco. Volle perciò fargli un’offerta che gli pareva adatta al suo voler essere tutto di Dio, alla sua ricerca di solitudine: «Io ho in Toscana uno monte divotissimo il quale si chiama monte della Vernia, lo quale è molto solitario e salvatico ed è troppo bene atto a chi volesse fare penitenza, in luogo rimosso dalle gente, o a chi desidera fare vita solitaria. S’egli ti piacesse, volentieri Io ti donerei a te e a’ tuoi compagni per salute dell’anima mia». L’offerta piacque a Francesco. Poco tempo dopo mando due suoi compagni a vedere e, avuto conferma he quanto il conte diceva corrispondeva a verità, accettò il monte con grande gioia.
I Fioretti narrano che quando egli vi si recò fu accolto alle falde del monte da una grande torma di diversi uccelli, li quali con battere I’ali mostravano tutti grandissima festa e allegrezza. Francesco disse ai frati suoi compagni che questo era segno del compiacimento divino: al nostro Signore Gesù Cristo piace che abitiamo in questo luogo solitario. Così la Verna divenne uno dei romitori nei quali ogni anno egli amava passare prolungati periodi di ritiro. Non sappiamo quante volte vi sia salito. Conosciamo invece i fatti della quaresima di S. Michele che vi passò sul finire dell’estate del 1224. Sarebbe stata questa la sua ultima sosta alla Verna.
Era stanco e ammalato. Aveva rinunciato a guidare personalmente il suo ordine: ormai aveva avuto la sicurezza dell’approvazione della Regola da parte del Papa Onorio IV (29 novembre 1223). In essa aveva dato ai suoi frati il midollo del Vangelo, quella era la via da seguire! Per lui era cominciato come un nuovo itinerario di intimità col suo Signore. Nove mesi prima, la celebrazione del Natale gli aveva permesso di immedesimarsi nella esperienza della povertà dell’Incarnazione (Presepe di Greccio1223). Ora lo attendeva il culmine dell’esperienza dell’amore, il dare la vita. Alla Verna ebbe il coraggio di chiedere proprio questo nelle sue notti di preghiera, di solitudine e di rapimento: provare un po’ dell’amore e del dolore che Gesù Cristo sentì nei momenti della sua Pasqua di Morte e Risurrezione. Fu esaudito e, intorno alla Festa dell’esaltazione della Croce (14 settembre), il suo corpo fu segnato delle stesse piaghe del Crocifisso.
Di più, nelle sue mani e nei suoi piedi si formarono come delle escrescenze a forma di chiodi. Mai la storia aveva narrato un fatto simile. Circa venti anni prima (1205/6) aveva cominciato a seguire il Vangelo del Signore ascoltando la Parola del Crocifisso di S. Damiano. Quelle parole e quell’immagine gli si erano stampate nel cuore. Adesso si manifestavano nella sua carne. Fu la sua Pasqua: la Liturgia della Festa delle Stimmate applica a lui le parole di S. Paolo: «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono piu io che vivo, ma Cristo vive in me… difatti io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo» (Gal 2,20; 6,17).
Francesco era diventato la parola di amore che per anni aveva meditato, vissuto e annunciato.
Fonte: http://www.iltimone.org/news-timone/tanto-il-bene-che-mi-aspetto-che-ogni-pena-mi-dile/
Dalle Fonti Francescane
Il monte della Verna entra nella storia dei grandi luoghi santi del mondo grazie a un incontro carico di umanità, di cortesia e di comunione spirituale. Nella primavera del 1213 (8 maggio 2013) Francesco d’Assisi insieme a frate Leone stava attraversando la regione del Montefeltro quando sentì di una festa presso il castello di S. Leo: si trattava dell’investitura di qualche cavaliere? Era l’occasione di incontrare gente, di parlare loro del Vangelo, dell’Amore. Salì al castello mentre, forse, sulla piazza si svolgeva una gara di menestrelli.
Montò su di un muretto e lanciò il tema della sua canzone d’amore: Tanto è quel bene ch’io aspetto, che ogni pena m’è diletto. Le sue parole furono così vibranti che gli occhi e la mente di tutti erano come rapiti da lui. Tra gli ascoltatori c’era il Conte di Chiusi in Casentino, Orlando Catani. Via via che lo ascoltava, sentiva crescere in sé il bisogno di parlare con quell’uomo nuovo, di aprirgli il cuore sui fatti della propria anima. Terminata la predica, glielo chiese. Francesco ne fu contento ma volle che prima lui adempisse ai doveri della cortesia e dell’amicizia: Onora gli amici tuoi che ti hanno invitato per la festa e desina con loro, e dopo desinare parleremo insieme quanto ti piacerà. L’incontro fu intenso. Il Conte trovò luce nelle parole dell’uomo di Dio, ma il colloquio gli fece intuire anche qualche riflesso dell’anima di Francesco. Volle perciò fargli un’offerta che gli pareva adatta al suo voler essere tutto di Dio, alla sua ricerca di solitudine: «Io ho in Toscana uno monte divotissimo il quale si chiama monte della Vernia, lo quale è molto solitario e salvatico ed è troppo bene atto a chi volesse fare penitenza, in luogo rimosso dalle gente, o a chi desidera fare vita solitaria. S’egli ti piacesse, volentieri Io ti donerei a te e a’ tuoi compagni per salute dell’anima mia». L’offerta piacque a Francesco. Poco tempo dopo mando due suoi compagni a vedere e, avuto conferma he quanto il conte diceva corrispondeva a verità, accettò il monte con grande gioia.
I Fioretti narrano che quando egli vi si recò fu accolto alle falde del monte da una grande torma di diversi uccelli, li quali con battere I’ali mostravano tutti grandissima festa e allegrezza. Francesco disse ai frati suoi compagni che questo era segno del compiacimento divino: al nostro Signore Gesù Cristo piace che abitiamo in questo luogo solitario. Così la Verna divenne uno dei romitori nei quali ogni anno egli amava passare prolungati periodi di ritiro. Non sappiamo quante volte vi sia salito. Conosciamo invece i fatti della quaresima di S. Michele che vi passò sul finire dell’estate del 1224. Sarebbe stata questa la sua ultima sosta alla Verna.
Era stanco e ammalato. Aveva rinunciato a guidare personalmente il suo ordine: ormai aveva avuto la sicurezza dell’approvazione della Regola da parte del Papa Onorio IV (29 novembre 1223). In essa aveva dato ai suoi frati il midollo del Vangelo, quella era la via da seguire! Per lui era cominciato come un nuovo itinerario di intimità col suo Signore. Nove mesi prima, la celebrazione del Natale gli aveva permesso di immedesimarsi nella esperienza della povertà dell’Incarnazione (Presepe di Greccio1223). Ora lo attendeva il culmine dell’esperienza dell’amore, il dare la vita. Alla Verna ebbe il coraggio di chiedere proprio questo nelle sue notti di preghiera, di solitudine e di rapimento: provare un po’ dell’amore e del dolore che Gesù Cristo sentì nei momenti della sua Pasqua di Morte e Risurrezione. Fu esaudito e, intorno alla Festa dell’esaltazione della Croce (14 settembre), il suo corpo fu segnato delle stesse piaghe del Crocifisso.
Di più, nelle sue mani e nei suoi piedi si formarono come delle escrescenze a forma di chiodi. Mai la storia aveva narrato un fatto simile. Circa venti anni prima (1205/6) aveva cominciato a seguire il Vangelo del Signore ascoltando la Parola del Crocifisso di S. Damiano. Quelle parole e quell’immagine gli si erano stampate nel cuore. Adesso si manifestavano nella sua carne. Fu la sua Pasqua: la Liturgia della Festa delle Stimmate applica a lui le parole di S. Paolo: «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono piu io che vivo, ma Cristo vive in me… difatti io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo» (Gal 2,20; 6,17).
Francesco era diventato la parola di amore che per anni aveva meditato, vissuto e annunciato.
Fonte: http://www.iltimone.org/news-timone/tanto-il-bene-che-mi-aspetto-che-ogni-pena-mi-dile/
Dalle Fonti Francescane
1897 Quanto alla prima considerazione, è da sapere che santo Francesco, in età di quarantatrè anni, nel mille ducento ventiquattro, spirato da Dio si mosse della valle di Spuleto per andare in Romagna con frate Leone suo compagno; e andando passò a pie' del castello di Montefeltro, nel quale castello si facea allora un grande convito e corteo per la cavalleria nuova d' uno di quelli conti di Montefeltro. E udendo santo Francesco questa solennità che vi si facea e che ivi erano raunati molti gentili uomini di diversi paesi, disse a frate Leone: « Andiamo quassù a questa festa, però che con lo aiuto di Dio noi faremo alcuno frutto spirituale ».
Tra gli altri gentili uomini che vi erano venuti di quella contrada a quello corteo, sì v' era uno grande e anche ricco gentile uomo di Toscana, e aveva nome messere Orlando da Chiusi di Casentino, il quale per le maravigliose cose ch' egli avea udito della santità e de' miracoli di santo Francesco, sì gli portava grande divozione e avea grandissima voglia di vederlo e d' udirlo predicare.
Giugne santo Francesco a questo castello ed entra e vassene in sulla piazza, dove era radunata tutta la moltitudine di questi gentili uomini, e in fervore di spirito montò in su uno muricciuolo e cominciò a predicare proponendo per tema della sua predica questa parola in volgare: Tanto è quel bene ch' io aspetto, che ogni pena m' è diletto. E sopra questo tema, per dittamento dello Spirito santo, predicò sì divotamente e sì profondamente, provandolo per diverse pene e martìri de' santi Apostoli e de' santi Martiri e per le dure penitenze di santi Confessori, per molte tribulazioni e tentazioni delle sante Vergini e degli altri Santi, che ogni gente stava con gli occhi e con la mente sospesa inverso di lui, e attendeano come se parlasse uno Agnolo di Dio. Tra li quali il detto messere Orlando, toccato nel cuore da Dio per la maravigliosa predicazione di santo Francesco, si puose in cuore d' ordinare e ragionare con lui, dopo la predica, de' fatti dell' anima sua.
1898 Onde, compiuta la predica, egli trasse santo Francesco da parte e dissegli: «O padre, io vorrei ordinare teco della salute dell' anima mia ». Rispuose santo Francesco: « Piacemi molto; ma va' istamani e onora gli amici tuoi che t' hanno invitato alla festa e desina con loro, e dopo desinare parleremo insieme quanto ti piacerà ». Vassene adunque messere Orlando a desinare, e dopo desinare torna a santo Francesco, e sì ordina e dispone con esso lui i fatti dell' anima sua pienamente. E in fine disse questo messere Orlando a santo Francesco: « Io ho in Toscana uno monte divotissimo il quale si chiama il monte della Vernia, lo quale è molto solitario e salvatico ed è troppo bene atto a chi volesse fare penitenza, in luogo rimosso dalle gente, o a chi desidera vita solitaria. S' egli ti piacesse, volentieri lo ti donerei a te e a' tuoi compagni per salute dell' anima mia ». Udendo santo Francesco così liberale profferta di quella cosa ch' egli desiderava molto, ne ebbe grandissima allegrezza, e laudando e ringraziando in prima Iddio e poi il predetto messere Orlando, sì gli disse così: « Messere, quando voi sarete tornato a casa vostra, io sì manderò a voi de' miei compagni e voi sì mostrerete loro quel monte; e s' egli parrà loro atto ad orazione e a fare penitenza, insino a ora io accetto la vostra caritativa profferta ». E detto questo, santo Francesco si parte: e compiuto ch'egli ebbe il suo viaggio, sì ritornò a Santa Maria degli Agnoli; e messere Orlando similmente, compiuta ch' egli ebbe la solennità di quello corteo, sì ritornò al suo castello che si chiamava Chiusi, il quale era presso alla Vernia a uno miglio.
1899 Tornato dunque che santo Francesco fu a Santa Maria degli Agnoli, egli sì mandò due de' suoi compagni al detto messere Orlando; i quali giugnendo a lui, furono con grandissima allegrezza e carità da lui ricevuti. E volendo egli mostrare loro il monte della Vernia, sì mandò con loro bene da cinquanta uomini armati, acciò che li difendessino dalle fiere salvatiche. E così accompagnati, questi Frati salirono in sul monte e cercarono diligentemente, e alla perfine vennero a una parte del monte molto divota e molto atta a contemplare, nella quale parte sì era alcuna pianura, e quello luogo sì scelsono per abitazione loro e di santo Francesco. E insieme coll' aiuto di quelli uomini armati ch' erano in loro compagnia feciono alcuna celluzza di rami d'arbori; e così accettarono e presono, nel nome di Dio, il monte della Vernia e il luogo de' frati in esso monte, e partironsi e tornarono a santo Francesco. E giunti che furono a lui, sì gli recitarono come e in che modo eglino aveano preso il luogo in sul monte della Vernia, attissimo alla orazione e a contemplazione. Udendo santo Francesco questa novella, si rallegrò molto e, laudando e ringraziando Iddio, parla a questi frati con allegro viso e dice così: « Figliuoli miei, noi ci appressiamo alla quaresima nostra di santo Michele Arcangelo: io credo fermamente che sia volontà di Dio che noi facciamo questa quaresima in sul monte della Vernia, il quale per divina dispensazione ci è stato apparecchiato acciò che ad onore e gloria di Dio e della sua gloriosa vergine Maria e de' santi Agnoli noi con penitenza meritiamo da Cristo la consolazione di consacrare quel monte benedetto ».