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RINNOVAMENTO O RIVOLUZIONE? Dialogo intraecclesiale su Vaticano II e altri sinodi
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- Creato: 11 Febbraio 2025
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Agostino Marchetto - Aurelio Porfiri
RINNOVAMENTO O RIVOLUZIONE?
Dialogo intraecclesiale su Vaticano II e altri sinodi
Temi
- Cosa è un Concilio
- Quale è il rapporto tra Papa e Concilio
- I Concili più significativi della Chiesa cattolica
- Ragioni del Vaticano II, “intuizione” di Giovanni XXIII
- Dinamiche interne al Concilio Vaticano II
- Uno sguardo ai documenti Conciliari
- Il problema dell’ermeneutica Conciliare
- Un Papa nella tormenta, S. Paolo VI
- L’opera di S. Giovanni Paolo II
- Benedetto XVI e l’ermeneutica della continuità
- Francesco e la sinodalità
- Il Concilio e una Chiesa divisa
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Presentazioni
Ecco qui pubblicato un dialogo sul Vaticano II. Penso però sia giusto specificarlo brevissimamente.
Mi ha attratto nella primitiva proposta del Maestro Aurelio Porfiri, che ringrazio, proprio la possibilità di un dialogo intra-ecclesiale, fra due esponenti, credo, di indirizzi da considerare all'interno di quello ecclesiale (e per questo lo qualifico con tale aggettivo).
In effetti sono reduce da quello, simile, con il prof. Leo Declerck (+) [v. A. Marchetto, A. F. Arcelli, "Riflessioni per un dialogo intraecclesiale", Roma 2021] e credo fu un cammino che mi ha insegnato a percorrerlo anche con altri, nella linea, il Declerck, della maggioranza Conciliare, non estrema, ma pure con studiosi di diverso orientamento. Quello che io chiamerei, per essere il più neutri possibile, della minoranza sinodale abbastanza sfumata. Ed ecco arrivare la proposta del Maestro Porfiri.
Affido il testo all'indulgenza del lettore, conscio che si tratta di un dialogo, con i limiti che questo significa di mancanza dell’apparato critico. Seguendo le mie opere esso si potrà trovare abbastanza facilmente altrove. E grazie per l'attenzione.
+ Agostino Cardinale Marchetto
Ho sempre creduto che il tema del Concilio Ecumenico Vaticano II fosse al centro della maggior parte delle problematiche ecclesiali attuali. Purtroppo, riguardo questo tema, si va da chi lo esalta acriticamente a chi lo condanna senza appello.
Mi è sembrato allora importante tentare un dialogo con una persona che è sicuramente grande esperta del tema e che è aperta al dialogo e questa persona non poteva essere che il cardinale Agostino Marchetto. Sono contento di avere con Lui rapporti molto cordiali, direi di amicizia, pur nella differenza di alcune idee sulla situazione attuale della Chiesa. L’ho invitato a questo dialogo perché so che accetterà tutte le mie domande, anche quelle “scomode” e potremo così confrontarci in un modo aperto ed onesto con la speranza che qualcosa di buono dal nostro dialogo venga per chi avrà la bontà di leggerlo.
M° Aurelio Porfiri
- Cosa è un Concilio
AP.: Eminenza, Lei ha dedicato larga parte dei suoi studi al tema dei Concili, specialmente all’ultimo celebratisi, il Concilio Ecumenico Vaticano II. Eppure, per molti potrebbe esserci qualche dubbio sul perché la Chiesa, che è retta dal Supremo Pastore che è il Papa, ha bisogno di avere dei Concili. Ad alcuni sembra che la convocazione di un Concilio possa soltanto arrecare confusione e rendere il cammino della Chiesa più esposto ai pericoli di idee pericolose che potrebbero insinuarsi grazie a questi eventi. Potrebbe aiutare chi legge a capire qual è l’utilità di avere un Concilio nell’ambito della Chiesa cattolica?
AM: Le sono molto grato perché con questa prima domanda, diciamo così, mi dà la possibilità di agganciare questo tema con la Sacra Scrittura, pur notando che ci sono varie categorie di Concili, prendendo però qui io a riferimento immediato quelli ecumenici, e concretamente il Vaticano II.
AP: Bene, allora partiamo pure…
AM: Apriamo dunque il libro degli Atti degli Apostoli, di Pietro e di Paolo, e al cap. 15 vi appare per la Chiesa, fin dal suo inizio, il problema della circoncisione, Bisognerebbe leggere tutto il capitolo (v. 1-41) ma lo lascio fare a te, lettore, e mi limito a riassumerlo nei seguenti titoletti, e cioè "Discorso di Pietro: situazione dei pagani convertiti", "Discorso di Giacomo: Una proposta Conciliante della 'controversia'", "La lettera apostolica" e "Paolo riparte per la missione". La questione, in radice, è se la comunità fondata da Gesù Cristo, i suoi discepoli, saranno una "setta" (pardon) giudaica, o "la Sua Chiesa". Alla radice c'era l'affermazione che "alcuni, discesi dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: 'Se non vi fate circoncidere secondo la legge di Mosè, non potete essere salvi'" (At 15, 1). Ma "gli Apostoli e gli anziani" scrivono: " lo Spirito Santo e noi abbiamo deciso di non imporvi altro peso eccetto queste cose necessarie..." (At. 15, 28).
Eccoci arrivati al punto: "lo Spirito Santo e noi" ed è ciò che fa indicare a non pochi questa riunione come " Concilio di Gerusalemme". Sarebbe così il primo, anche se nella lista riconosciuta dalla Chiesa Cattolica come ecumenici, è accettato che esso sia stato celebrato a Nicea.
In ogni caso il "Concilio" di Gerusalemme conferma che la Chiesa, come ogni organismo vivente (pensiero dello stesso Newman) è in continua crescita, all'interno e all'esterno pur volendo rimanere se stessa.
Orbene, un tale sviluppo, di certo, implica molteplici problemi, che riguardano la dottrina, il culto, la morale, la disciplina e l’apostolato. In genere – come si sa – alla loro soluzione provvede il Magistero (l’Insegnamento) ordinario dei Pastori, coadiuvato dai Teologi uniti a tutto il Popolo di Dio, in comunione con essi. A volte, peraltro, la complessità della materia o la gravità delle circostanze storiche suggeriscono interventi straordinari.
Tra questi sono da considerare i Concili, i quali promuovono, nella fedeltà alla Tradizione, lo sviluppo dottrinale, le riforme liturgiche e disciplinari e le scelte apostoliche, in considerazione
altresì delle esigenze dei tempi (i famosi “segni dei tempi”, che non costituiscono però una nuova Rivelazione). I sinodi risultano essere, in tale prospettiva, le pietre miliari del cammino della Chiesa nella storia.
AP: Fino a qui mi sembra di seguirla bene. Possiamo proseguire.
AM: Orbene ecco ora nascere il pensiero che la sinodalità non sia espressione soltanto di un evento episodico nella vita della Chiesa ma la permei tutta, trasformandola in sinodale, doman-
dandosi che il Popolo di Dio “cammini insieme”, in consenso sinodale, come espressione della “Cattolica”, per noi “incarnazione” del combinarsi di Tradizione e rinnovamento, come lo fu nel Magno Sinodo Vaticano. Ma ne parleremo nel corso delle nostre conversazioni.
AP: Bene, ne sono lieto. Ora rimaniamo al discorso dell’utilità dei Concili per sé stessi.
AM: Rimane l’anima di verità dell’opportunità e dell’importanza del consenso, come fecero del resto a Gerusalemme gli Apostoli e gli Anziani. La sua assenza o carenza sono, infatti, un qualcosa
che si deve poi “pagare” a caro prezzo, come insegna la storia. Di fatto l’esempio di molti Concili importanti – da quello di Calcedonia al Vaticano II, passando per il Concilio di Trento –, che si sono preoccupati faticosamente di raggiungere il consenso, è una testimonianza della sua fondamentale importanza e del suo carattere di segno, soprattutto nel senso che la verità non viene “decisa” (mediante votazione), ma “attestata” (mediante il consenso).
E qual è il cammino per raggiungerlo se non quello del dialogo? Da ciò la sua necessità fra partecipanti ai Concili. per arrivare al consenso. Conoscendo la ricchezza e le contraddizioni della cultura, le delusioni e le difficoltà dell’uomo contemporaneo, Paolo VI, seguendo l’interiore impulso di carità, cercò quindi di calarsi in esse. E siamo al Vaticano II, al Magno Sinodo come l'ho spesso chiamato.
A questo punto credo di poter dire che in futuro avremo modo di illustrare l'opera di Paolo VI al riguardo.
AP: Certamente ci sarà ampio tempo per tornare a Paolo VI e a Giovanni XXIII prima di lui, non dimenticando naturalmente altri Pontefici. Vorrei però rimanere all’idea di Concilio per approfondire qualche aspetto. Lei ha toccato il tema della sinodalità che è anche molto di moda oggi, ma io vorrei soffermarmi su quanto Lei ha affermato sullo strumento del Concilio che permette nella Chiesa un rinnovamento nella continuità. Ora, e senza per ora toccare il tema del Vaticano II che naturalmente sarà ampiamente discusso in seguito, credo che mi soffermerei proprio su questi due termini, rinnovamento e continuità. Perché a me sembra che se si perde l’equilibrio fra queste due dimensioni un Concilio non solo non sarebbe utile, ma potrebbe persino divenire pericoloso. Ma tornando al “Concilio” di Gerusalemme da Lei evocato, mi permetto di citare un testo del grande pensatore cattolico Romano Amerio (1905-1997) che Lei certamente conoscerà. Nel suo testo fondamentale Iota Unum egli diceva: “Ma il Concilio di Gerusalemme fu eminentemente critico anche sotto un’altra ragione, perché separò per sempre il giudizio teoretico dal giudizio pratico, quello che si porta sui principii e quello che si porta sulle applicazioni piegando, non i principii, ma la mediazione dei principii alle pieghevoli situazioni, piegatura che nella religione si fa sotto l’inspirazione della carità”. Proprio qui mi sembra ci sia uno dei punti importanti da comprendere quando si parla di un Concilio, ma Lei mi correggerà.
Un Concilio (e mi riferisco qui al termine in generale, non sto parlando del Vaticano II), non è un sovvertimento del deposito di fede, ma un approfondimento della prassi, quindi con un carattere in generale eminentemente pastorale, anche se naturalmente non sono mancati pronunciamenti dogmatici. Amerio nel testo citato fa anche questa affermazione: “Questa distinzione della variabile sfera disciplinare, giuridica e politica da quella invariabile del porro unum est necessarium è certamente iniziata nel Concilio di Gerusalemme e costituisce la prima crisi della Chiesa: la sfera della storicità viene definitivamente distinta da quella del dogma”. Non Le sembra che questo principio enunciato da Amerio debba essere alla base di ogni Concilio, che deve essere sì rinnovamento ma nella continuità e non malgrado essa?
A.M. Chi mi ha seguito nei vari miei libri sa che ripeto spesso, anche troppo per certuni, in tema di Vaticano II, la formula "e...e", quindi chiarissimamente sostengo "continuità e rinnovamento". Oscar Cullman (1902-1999), noto teologo protestante, del resto, durante il Vaticano II, dichiarò che questo è il "genio" del Cattolicesimo, quello di mettere insieme ciò che altri dividono, e aggiunse: questo dovrebbe essere tenuto in considerazione anche dai miei fratelli luterani.
Tornando a Gerusalemme, nel testo con la decisione, osservo che le richieste conclusive pratiche non sono principi teorici, ma pratici, appunto, cioè "astenersi dalle vivande sacrificate agli idoli, dal sangue, dalla carne di animali soffocati e dalla fornicazione" (At. 15,29).
L'affermazione, poi, di "separare per sempre il giudizio teorico da quello pratico" la considero altresì erronea proprio per l'"et...et", icona del cattolicesimo, che vede la presentazione di principi generali e il giudizio applicato alla persona concreta e alle circostanze, e qui interviene la carità e la misericordia.
Concludo ripetendo la formula "lo Spirito Santo e noi abbiamo deciso" (At. 15, 28) che mi ha offerta occasione di iniziare questo mio intervento con l'affermazione di alcuni per i quali la riunione di Gerusalemme in parola sarebbe il primo Concilio. "E' piaciuto allo Spirito Santo e a noi" vale anche per il Concilio Vaticano II. In ogni caso dire che "la sfera della storicità viene definitivamente distinta da quella del dogma" è profondamente erroneo.
AP: Su questo ci sarebbe naturalmente ampiamente da discutere, ma io direi di andare avanti. Da un punto di vista del buon senso, che mi sembra abbia ancora qualche valore nel cattolicesimo, sembra ad alcuni che se un Concilio è fonte di grande opportunità potrebbe anche essere fonte di grandi problemi, come ho detto in precedenza, specialmente se si svolge in tempi in cui la Chiesa è già sballottata da venti di tempesta. Quindi non è uno strumento che deve essere convocato solo quando strettamente necessario e anche quando veramente opportuno?
AM: Partiamo da un esempio concreto e il più vicino a noi, quello del Concilio Ecumenico Vaticano II, per rilevare che il proposito di una preparazione, e che fu anche effettivamente iniziata, l'hanno avuta sia Pio XI che Pio XII. Ci volle però la valutazione decisiva di Giovanni XXIII per convocare Il Vaticano II.
AP: Su questo non ci sono dubbi.
AM: Questo conferma il fatto che è prerogativa del Vescovo di Roma valutare l'opportunità o meno della realizzazione, magari di quello che era un sogno accarezzato. Con questo è detto tutto.
- Quale è il rapporto tra Papa e Concilio
AP: Visto che Lei ha introdotto il tema, sarebbe interessante capire che cosa un Concilio può aggiungere ad un Papa, che secondo il corrente diritto canonico che Lei conosce certamente meglio di me “è capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore qui in terra della Chiesa universale; egli perciò, in forza del suo ufficio, ha potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente”. Vorrei ripetere che non contesto lo strumento del Concilio ma non posso fare a meno di vederne anche i lati oscuri. Lei no?
AM: Potrei rispondere subito quasi telegraficamente, facendo memoria di quanto attestato all'inizio per il "Concilio" di Gerusalemme: voglio dire la solidarietà ecclesiale, l'essere responsabili insieme, il sostegno dell'episcopato in casu al e con il Vescovo di Roma, nell'esercizio appunto della giusta collegialità, la comunione gerarchica dell'episcopato e l'adesione del popolo di Dio. Ma procediamo gradualmente.
AP: Va bene.
AM: I miei studi su questa relazione fondamentale Papato-Episcopato vengono da molto lontano, tanto da poterla definire l’impegno di tutta la mia vita “scientifica”, e questo specialmente se si considera, come spesso si fa oggi, la generalizzazione, o fluidità, di quanto si intende per sinodalità. Comunque, anche il primato ha bisogno di precisazioni, partendo nel mio caso, all’inizio, da “Primato pontificio ed Episcopato”, titolo del resto del volume pubblicato in occasione del compiere io i settant’anni, e cioè: Primato pontificio ed Episcopato dal primo millennio al Concilio Ecumenico Vaticano II. Studi in onore dell’Arcivescovo Agostino Marchetto.
Desidero comunque subito concludere questo cenno iniziale con citazione del recente dialogo tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Ortodossa, ad Alessandria d’Egitto nei giorni 1-7/6/2023. Il Comunicato e il Documento finale su Sinodalità e Primato nel II millennio e oggi, alla quindicesima sessione della Commissione mista internazionale per il Dialogo fra Chiesa Cattolica e Ortodossa, sono per noi interessanti. Ci basta ricordare la conclusione, questa: "la interdipendenza di sinodalità e primato è fondamentale", a cui si aggiunge: "la Chiesa non può essere compresa come una piramide, con un primate governante dal vertice, ma nemmeno come una federazione di Chiese autosufficienti". "La sinodalità cattolica non è meramente consultiva e dal punto di vista ortodosso il primato non è meramente onorifico".
Sinodalità e primato -continua il documento- abbisognano di essere visti come realtà "interrelazionate, complementari e inseparabili" da un punto di vista teologico. La Chiesa è profondamente radicata nel mistero della Santissima Trinità e una ecclesiologia eucaristica di comunione è la chiave per articolare una sana teologia di sinodalità e primato. La loro interdipendenza è un principio fondamentale nella vita della Chiesa, intrinsecamente relazionato al servizio della sua unità a livello locale, regionale e universale.
Ma veniamo a un esempio concreto e vicino a noi, quello del Concilio Ecumenico Vaticano II, per rilevare che il proposito di una preparazione, che fu anche effettivamente iniziata, l'hanno avuta sia i Papi Pio XI che Pio XII. Ci volle però la valutazione decisiva di Giovanni XXIII per convocare Il Vaticano II. Sì, dunque, la convocazione di un Concilio è papale o che almeno sia successivamente accolta dal Vescovo di Roma.
Questo conferma il fatto che è sua prerogativa valutarne l'opportunità o meno della realizzazione, magari di quello che era un sogno accarezzato. Con questo è detto tutto.
Posso aggiungere peraltro che l'elemento tempi del Vaticano II, in cui la Chiesa è già sballottata da venti di tempesta -così per alcuni-, e la ragionevolezza di convocazione, porterebbero a non farla, è stata invece proprio il motivo che ha motivato la tenuta di vari Concili ecumenici. Mi riferisco per esempio a quello in cui erano in tre a dirsi Papa, o al Concilio di Firenze, o di Trento. E così siamo introdotti al nostro più propriamente secondo tema: "Quale è il rapporto tra Papa e Concilio", specialmente dopo il Vaticano I che ha rilevato il Primato del Papa nel modo da Lei richiamato, con enfasi, e che in fondo richiedeva un Vaticano II per riequilibrarne il contenuto, senza andare naturalmente contro le dichiarazioni dogmatiche da Lei citate.
A questo proposito, anche tenendo conto di stringate e obiettive pagine di Mons. Carbone, collaboratore qualificato del Arcivescovo Pericle Felici, Segretario Generale del Vaticano II, riassumo l’iter decisivo del rapporto Conciliare Primato-Episcopato in questi termini, in cui appaiono le tensioni (non direi, con sua espressione, "i lati oscuri") : “Nei primi giorni del secondo periodo ... Paolo VI, al di sopra delle parti, intervenne prontamente e sospese la votazione indetta dal Moderatore per il giorno 17 (ottobre 1963) su quattro proposizioni. La votazione suscitava problemi di contenuto del testo e di procedura che andavano chiariti, per evitare che essa assumesse un valore che in quel tempo non poteva avere, e condizionasse, quindi, la Commissione dottrinale nell’emendare lo schema e la libertà dei Padri nell’esaminarlo.
Con tenacia e pazienza Paolo VI si adoperò affinché i problemi, mediante il dibattito sereno ed approfondito, fossero chiariti e si potesse raggiungere la maggioranza più larga possibile. Con prudenza e discrezione, seguì il lavoro delle singole commissioni e, senza sostituirsi ad esse, concorse a perfezionare gli schemi. I suoi interventi fermi, ma sempre delicati e rispettosi, fecero superare i forti contrasti, favorirono l’unità dell’assemblea e il consenso moralmente unanime di essa sui documenti. Lo riconobbero gli stessi Padri delle opposte tendenze, ai quali quegli interventi in un primo momento non erano riusciti graditi.
Fu un lavoro lungo e difficile, che procurò al mite e paziente Pontefice tanta amarezza e sofferenza. Il cardinale Koenig lo ha così definito ‘il martire del Concilio’. Un momento di particolare sofferenza, (in tale visione) fu il ricevere, alla vigilia del terzo periodo Conciliare, la sera del 13 settembre 1964, una lunga Nota personalmente riservata al Santo Padre sullo schema della Chiesa, principalmente sul cap. III: La costituzione gerarchica della Chiesa e in particolare l’episcopato. Gliela inviarono diciotto cardinali, un arcivescovo e quattro superiori generali. Le dottrine, contenute nel testo, venivano dette nuove, non certe, non solidamente probabili, vaghe, l’argomentazione era giudicata debole, fallace e parziale.
Si avanzavano, poi, gravi riserve sul modo in cui si parlava del primato del Papa, della potestà e della collegialità dei vescovi, della successione del collegio episcopale al collegio apostolico. Si affermava, infine, che la Chiesa veniva mutata da monarchica in episcopaliana e il primato del Papa restava intaccato. Si suggeriva, quindi, di separare il cap. III dallo schema della Chiesa, di procedere ad una nuova redazione e di rimandarne la discussione ad altro tempo.
Paolo VI, che aveva seguito con somma attenzione il dibattito sulla collegialità e la redazione dello schema, nel leggere la ‘Nota’, provò ‘sorpresa e turbamento’, per il numero e la dignità dei firmatari, per la gravità delle contestazioni ... e per le gravi e rovinose ripercussioni, se si fossero accolti i suggerimenti che venivano dati ... Il 18 ottobre il Papa, con una nobile lettera autografa di otto fogli, senza asprezza e risentimento, rispose alle singole affermazioni della ‘Nota’.
Respinse, con serenità e garbo, le accuse contro il contenuto dello schema e le asserite manovre e pressioni nella redazione di esso. Accennò ai suoi interventi per garantire l’integrità e l’ortodossia della dottrina, ed aggiunse: ‘Noi siamo sempre sensibili al richiamo rivolto, in così straordinario momento, alla nostra somma responsabilità già resa vigilante da vive orazioni al Signore e dall’offerta a Lui fatta dell’umile nostra vita, affinché la nostra testimonianza sia fedele alla purezza dei suoi insegnamenti e al vero bene della santa Chiesa’.
Assicurò che sarebbe continuato il suo impegno nel seguire la redazione dello schema, per apportarvi gli eventuali emendamenti, richiesti dall’ortodossia della dottrina e dalla chiarezza dell’esposizione.
Prova di tale impegno fu la Nota explicativa praevia, che egli volle al cap. III dello schema sulla Chiesa”. Essa liberò il testo dalle implicazioni e potenzialità che avrebbero potuto dare origine a distorte interpretazioni, e non era in contraddizione, secondo il giudizio che più tardi ne diede lo stesso Philips, noto teologo e “ricucitore”, in parte, della Lumen Gentium, con il relativo testo Conciliare. Cessate le perplessità, nella votazione della sessione pubblica del 21 novembre si ebbe l’approvazione unanime: 2151 placet, 5 non placet. Straordinario risultato!
Poi, terminato il Concilio, Paolo VI ne iniziò subito l’attuazione: riforma liturgica, revisione del Codice di Diritto Canonico, riforma della Curia romana, istituzione di nuovi organismi, inizio delle riunioni dei Sinodi dei Vescovi. Fu quello un periodo decisivo ed oltremodo delicato. Nel susseguirsi di cambiamenti e di nuovi orientamenti, si notarono situazioni di reazione e tentativi di ritorno indietro o di fughe in avanti.
Certo, quel consenso sinodale, si può dire unanime, raggiunto in Concilio, fu messo a dura prova, perché ciascuno aveva propensione a seguire (ed è vero anche oggi) la tendenza di prendere, di esso, per sé e per la comunità, quanto collimava con la propria visione, o, peggio, ‘ideologia’, senza accettazione totale dell’insieme, del ‘corpus’, dei 16 testi Conciliari che “rappresentano ciò che il Sinodo, nel bene e nel male, fu d’accordo nel dire” ... essi sono invocati giustamente come l’espressione determinata delle sue intenzioni e decisioni.
- I Concili più significativi della Chiesa cattolica
AP: Nella sua risposta precedente, molto articolata, ci sarebbero alcune puntualizzazioni e forse ci arriveremo più tardi. Lei evoca quel necessario equilibrio che deve esistere tra Primato e collegialità senza il quale si rischia di cadere nel “Conciliarismo”, quasi che l’episcopato riunito potesse avere una prevalenza sulla potestà del Romano Pontefice.
Credo qui sia interessante dare uno sguardo ai grandi Concili ecumenici della Chiesa, se ne sono celebrati 21 nel corso della sua storia. Pensiamo a quelli del periodo del tardo impero, a cominciare da Nicea nel 325 che prese di petto la crisi ariana che riguardava la stessa natura di Cristo, un tema tra i più importanti per quanto riguarda la fede cattolica. Al Concilio fu presente lo stesso Ario che secondo la storia, fu preso a schiaffi nientemeno che da san Nicola di Bari, per dire del clima che si respirava. Una parte importante la ebbe l’imperatore Costantino, che se non sbaglio convocò il Concilio. Questo Concilio è oggi ricordato come uno dei più grandi della Chiesa cattolica. Lei pensa questa valutazione ha ancora ragione di essere?
AM: La presentazione di quattro volumi significativi, per me, sui Concili aprono il mio grosso tomo sul Vaticano II, di Contrappunto per la sua storia, come introduzione alla lunga serie di recensioni al riguardo, telone di fondo, lo chiamerei, di tutti i Concili. Mi piace ricordarne gli Autori per far risuonare almeno una volta anche in questa intervista nomi conosciuti. Penso a Aubert, Fedalto, Quaglioni, Alberigo, Schatz, e Zambarbieri.
Ripercorrendo le loro fatiche, fisso qui per voi, ascoltatori o lettori, i nomi più significativi legati a Concili ecumenici, secondo il mio personale giudizio. Si tratterebbe di tre tipi di Concili, quelli "imperiali", i magni sinodi medievali della cristianità occidentale, e i grandi sinodi della Chiesa confessionale (cattolica) dell'epoca moderna.
AP: Bene, partiamo pure.
AM: Segnalerei all'inizio Nicea, uno dei più grandi Concili della Chiesa cattolica, -e così rispondo affermativamente alla sua domanda- la sua ricezione e la battaglia attorno al dogma trinitario. In effetti di rilievo fu anche l'iter per la scelta del Vescovo, il limite dell'Italia suburbicaria, la questione del celibato e delle diaconesse, dell’"enorme pericolo che poteva rappresentare per la Chiesa l'autorità di uno stato cristiano", dell'"infallibilità" Conciliare e del suo rapporto con la S. Scrittura. Continua l'interesse nostro, dopo il Costantinopolitano, da Efeso a Calcedonia. Altro punto di studio sarebbe la controversia delle immagini, Nicea II, e la reazione dell’Occidente", chiudendosi così l'era bizantina della storia del Papato.
Per i sinodi "papali" dell'alto Medio Evo, in formula entrata ormai in uso, vi sono quelli imperiali-papali e poi della riforma gregoriana. Siamo "nel segno del governo papale della cristianità" -Concili Lateranense IV e di Lione I-, e l'illusoria unione delle Chiese al momento del II° della stessa città. Inizia quindi la crisi del potere papale a Vienne.
Periodo particolarmente significativo è quello sull'unità e riforma della Chiesa: i Concili del XV secolo (scisma e Conciliarismo: la superiorità del Concilio sul Papa, nella sua espressione moderata o estrema). L'apice e la crisi del Conciliarismo sono scandite a Pavia/Siena, Basilea e Firenze con l'unione della Chiesa. Infine "un Concilio come alibi: il Lateranese V".
E siamo a Trento nel contesto della "confessionalizzazione". Ne sono scansioni la pressante richiesta di Concilio e riforma, la prima fase del sinodo, crisi e interruzioni, l'ultima fase e influenza e importanza storica. Considerandole, il Tridentino si può collocare dopo il Vaticano II, quanto a strutturazione e trasformazione legittime del volto e dell'immagine della Chiesa cattolica. Poiché fui Nunzio, rilevo l'opinione -ci pare peraltro eccessiva- che la Riforma dipese essenzialmente dai Nunzi papali, ma vera è la conclusione che solo attraverso il papato un Concilio poteva sviluppare un'influenza duratura in grado di modellare l'intera Chiesa.
Il Sinodo Vaticano I si potrebbe porre sotto il titolo "Concilio e principio di autorità". Qualcuno giunse a dire che "nessun avvenimento più della rivoluzione francese ha preparato il terreno per la definitiva vittoria del Papato in seno alla Chiesa", combinando ciò con il giudizio che il gallicanesimo fu sconfitto non perché teologicamente sbagliato (di fatto lo è), ma perché non era più storicamente possibile. Certo è che nessun vescovo della minoranza del Concilio Vaticano I si separò da Roma.
Concludo menzionando il Magno Sinodo Vaticano II, del quale si può affermare che sia stato uno dei Concili più significativi della Chiesa Cattolica.
- Ragioni del Vaticano II, “intuizione” di Giovanni XXIII
AP: Poi venne la cosiddetta “intuizione” di Giovanni XXIII di convocare un Concilio Ecumenico, che come sappiamo venne annunciato nel 1959…
AM: La risoluzione di convocare un Concilio nacque nell’animo di Giovanni XXIII dal costatare la grave crisi che il decadimento dei valori spirituali e morali aveva causato alla società contemporanea.
A onor del vero, il ricorrere a una convocazione Conciliare era stato pure un pensiero soppesato e valutato dai suoi più immediati predecessori. Pio XI, infatti, all’inizio del suo pontificato, nell’enciclica Ubi arcano manifestò il desiderio di promuovere con tal mezzo la cooperazione di tutto l’episcopato al suo programma di “fondare” tutte le cose in Cristo e la pacificazione dei Popoli. I tempi però non erano propizi.
Anche durante il pontificato di Pio XII, nel 1948, riemerse l’idea di celebrare un Concilio. Papa Pacelli, pur conscio delle difficoltà, fece avviare la preparazione presso la Congregazione del Sant’Ufficio. Furono istituite a tale scopo una commissione centrale ed alcune sottocommissioni. Si determinarono altresì gli argomenti principali. Peraltro nel 1951 Pio XII sospese definitivamente i lavori di preparazione.
Giovanni XXIII, invece, ruppe gli antichi indugi ed annunciò, il 25 gennaio 1959, ai Cardinali riuniti nel monastero benedettino di San Paolo, la “buona nuova” Conciliare, precisando che il Sinodo avrebbe inteso principalmente promuovere l’incremento della fede, il rinnovamento dei costumi e l’aggiornamento della disciplina ecclesiastica. Esso sarebbe stato uno spettacolo di verità, unità e carità, un invito, anche per i fratelli separati, all’unità voluta da Cristo.
Il Papa pensò certo a un Concilio pastorale di aggiornamento, ecco la parola chiave ed intraducibile in molte lingue straniere, ma ciò non deve intendersi come qualcosa di pratico, dinamico, quasi separato dalla dottrina. E’ inconcepibile in effetti una pastorale senza dottrina, senza Tradizione ecclesiale.
Giovanni XXIII ne trattò chiaramente nella sua prima enciclica, Ad Petri Cathedram. Egli additava nell’ignoranza, nel disprezzo e nel disconoscimento della verità la causa e la radice di tutti i mali che avvelenano gli individui, i Popoli, le Nazioni e spesso turbano l’animo di molti. Tutti sono tenuti ad abbracciare la dottrina del vangelo; al rigettarla in effetti son messi in pericolo i fondamenti stessi della verità, dell’onestà, della civiltà.
Lo stesso Pontefice, nel discorso di apertura del Concilio, l’undici ottobre 1962, affermò che il fine principale del Concilio era di custodire ed insegnare il sacro deposito della dottrina cristiana in forma più efficace (di Tradizione, dunque, si trattava). Peraltro non si doveva soltanto custodirlo, tale deposito, né unicamente ripetere quanto trasmesso dai Padri e dai teologi, ma anche integralmente trasmettere a tutti gli uomini, nella continuità del magistero ecclesiastico, l’intera dottrina, senza attenuazione o travisamenti, tenendo conto delle deviazioni, delle esigenze e delle opportunità del nostro tempo. “Altra cosa è, infatti, il deposito stesso della fede, cioè le verità contenute nella nostra veneranda dottrina, e altra cosa è la forma in cui le medesime vengono enunciate”.
AP: Frase molto citata, in effetti.
AM: Il Papa distingueva la sostanza, l’intera, precisa ed immutabile dottrina, e la sua presentazione (formulazione). In linea con questo indirizzo pastorale Giovanni precisava il modo di opporsi agli errori. Alla severità egli preferiva “la medicina della misericordia”.
Conveniva perciò, con un insegnamento positivo, mostrare agli uomini la verità sacra, sì che essi, illuminati dalla luce di Cristo, potessero “ben comprendere quello che veramente sono, la loro eccelsa dignità, il loro fine”. L’aggiornamento, dunque, era inteso, da chi lo volle conciliare, non come rottura con il passato o contrapposizione di momenti storici, ma come crescita, perfezionamento del bene sempre in atto nella Chiesa. Il suo rinnovamento è di fatto continuo alla luce della verità che “La Chiesa cattolica si comprende, al di là dei cambiamenti avvenuti al interno della sua variegata storia, in non interrotta continuità con la Chiesa apostolica”.
AP: Da quanto Lei ha affermato e da quanto la storia ci insegna, anche altri Pontefici prima di Giovanni XXIII ebbero una “intuizione” per convocare un Concilio che, se non sbaglio, nel loro caso intendeva portare a termine i lavori del Concilio Vaticano I che era stato interrotto per le vicende italiane. Però i Papi che anche Lei ha menzionato non convocarono il Concilio per ragioni prudenziali, perché i tempi non probabilmente erano quelli giusti. In un certo senso gli anni ’60 erano tempi ancora più difficili di quelli dei Papi precedenti (ovviamente con l’eccezione della seconda guerra mondiale, che in un certo senso spiega anche molto di quello che accadde negli anni ‘60) eppure Giovanni XXIII decise di seguire la sua “intuizione”. Ad alcuni sarà sembrato come se volesse condurre la barca di Pietro nel mezzo di una tempesta. Non Le sembra che la desiderata continuità con la tradizione che anche Lei menziona era proprio in quel momento storico sotto attacco da vari fronti, anche prima del Concilio e che il Concilio poteva prestarsi a manipolazioni varie da parte degli eredi del modernismo?
AM; Nella decisione di convocare a Concilio bisogna tener conto anche della personalità di chi decide, il Papa "regnante". Quindi prevalse in Giovanni anche il suo tendenziale ottimismo, pure se era per lui chiara "la grave crisi che il decadimento dei valori spirituali e morali aveva causato alla società contemporanea". Del resto anche il giudizio del Cardinale Montini sulla situazione prometteva un Concilio non così sotto attacco. D'altra parte è comune trovare nei Concili chi cerca di far prevalere una o l'altra di due "anime" che costituiscono la maggioranza e la minoranza. Il "modernismo" infine si può dire fosse stato ben combattuto. E ritorno così al mio pensiero, non dimenticando cioè che i Concili possano essere convocati proprio per opporsi a tendenza e pericoli che minacciano e incombono sulla Chiesa.
AP: Esiste oggi una chiave di lettura riguardo il modernismo, anche da parte di storici simpatizzanti con il modernismo stesso, per cui questo movimento non fu affatto sconfitto, ma seppe andare “sott’acqua” per poi riaffiorare decenni dopo. Ovviamente questi simpatizzanti vedono favorevolmente questa risorgenza del modernismo in epoche a noi più vicine. Segnalo il libro di Giordano Bruno Guerri su uno dei rappresentanti più importanti del modernismo, Ernesto Buonaiuti (1881-1946), le cui vicende vengono lette proprio alla luce degli sviluppi più recenti.
- Dinamiche interne al Concilio Vaticano II
AP: Ma veniamo ora al Concilio Vaticano II stesso, in quanto le dinamiche che in esso si misero in moto furono certo interessanti…
AM: Grande fu l’evento Conciliare e alcuni ancora di certo lo ricordano. Vi parteciparono 3.068 Padri, provenienti da quasi tutte le Nazioni della terra. Nei quattro suoi periodi (11 ottobre 1962-8 dicembre 1965) si svolsero 168 congregazioni generali e 10 sessioni pubbliche. Furono promulgati 16 documenti: 4 costituzioni, 9 decreti e 3 dichiarazioni.
Aggiungo, per dire della vastità dell’impegno, che se penso soltanto agli “Atti” ufficiali di quel magno Sinodo, “vedo” nella mia biblioteca allineati 63 grossi volumi di un bel rosso vivo frutto dell’opera infaticabile del Prof. Vincenzo Carbone. Proprio in un passato non lontano, poi, per mia cura, è stato pubblicato il suo “’Diario’ Conciliare di Mons. Pericle Felici, Segretario generale del Concilio Ecumenico Vaticano II”.
In effetti già da molti anni inoltre sono di pubblico dominio vari diarii di “personaggi” conosciuti, o almeno attenti partecipanti in vario modo al Concilio, da sottoporsi peraltro scrupolosamente al vaglio critico incrociato. La cosa è lunga e difficile, ma essi portano sapore e ingredienti personali utili alla storia, pur sottomessi al giudizio degli Atti (fatti) ufficiali.
In effetti a tutto ciò è sottostante una problematica nell’impegno di molti a togliere importanza ai documenti Conciliari stessi, sintesi di tradizione e aggiornamento, per far prevalere un ben noto convincimento, che da sempre ho definito ideologico, il quale “punta” soltanto sugli aspetti innovativi apparsi in Concilio, sulla rottura rispetto alla Tradizione.
AP: Mi fa piacere che ha toccato questo punto, che mi sembra molto importante.
AM: In ciò, in fondo, si “ricupera” l’attuale tendenza storiografica generale, la quale privilegia l’evento, la discontinuità, il cambiamento, ovvero il mutamento traumatico, in contrapposizione all’antecedente indirizzo delle famose “Annales”, che guardava piuttosto al periodo lungo, con sottolineatura della continuità storica (per Braudel la storia è “una scienza sociale applicata che mette in luce strutture, sistemi, modelli perenni anche se a prima vista invisibili”). E non ci si avvede, o non si vuol rendersene conto, che se per evento si intende non tanto un avvenimento “degno di nota”, ma una rottura, una novità assoluta, il nascere quasi di una nuova Chiesa, “in casu”, una “rivoluzione copernicana”, il passaggio da un tipo di cattolicesimo ad un altro, che ne perde però le caratteristiche inconfondibili, detta prospettiva non potrà e non dovrà essere accettata, almeno per quanto concerne la Chiesa cattolica e la storia che tenga conto della sua specificità, della continuità della sua realtà pur misteriosa, da preservarsi anche nella interpretazione dei suoi documenti.
A questo proposito si rimane veramente sorpresi per le critiche, in fondo radicali, manifestate a tre personaggi illustri quali sono Jedin, Ratzinger e Kasper e allo stesso Poulat, al fine di portare avanti proprio l’“evento”, inteso in modo particolare, e sempre con la nota finalità “ideologica” sopra indicata.
Non è difficile rendersi conto, liberi da pregiudizi, che in tal modo quella che fu una posizione estrema al Concilio Vaticano II, nella cosiddetta sua “maggioranza”, la definirei “oltranzista”, (contraria cioè ad una costante e fattiva ricerca del “consenso”, dell’abbraccio tra Tradizione e aggiornamento), sempre più desiderosa di imporre il proprio punto di vista, sorda ai “richiami” e all’opera di “cucitura” di Paolo VI, è riuscita, dopo il Concilio, a monopolizzare, almeno per un certo tempo, la interpretazione dell’“evento”, rigettando ogni diverso procedere, che si vitupera magari di antiConciliare.
Potrei fermarmi qui perché il quadro delle dinamiche interne al Vaticano II è così abbozzato, ma si potrebbe proseguire analizzando la storiografia più recente, anche se il Concilio non è una assemblea né politica né democratica, nel senso che comunemente si dà a tale aggettivo. Potrei proseguire presentando la categoria evento, la sua mediatizzazione, la partecipazione di gruppi e organi collettivi al Vaticano II, sono corpi che mediano: insieme di Padri, atelier di periti, organi degli osservatori, gruppi di maggioranza e minoranza, conferenze continentali o di coordinamento. Vi è anche da considerare "La creazione della coscienza di un popolo latinoamericano. Il CELAM ed il Concilio Vaticano II" e "La 'squadra belga' all'interno della maggioranza Conciliare", che non fu un blocco monolitico. In essa non mancarono personalismi. (ruolo per es. del Card. Suenens). Indicativo a questo riguardo è il seguente pensiero di Philips (criticato, specie da Dossetti, per il suo sforzo di conciliazione). Per lui "non si tratta di far trionfare le nostre idee personali, ma di arrivare ad un consenso su ciò che la Chiesa intera può oggi accettare come espressione della sua fede comune", senza " accettare compromessi sui principi di fondo".
Per concludere, ormai, non dimenticherò il "Coetus Internationalis Patrum" e la minoranza Conciliare. difficile da analizzare. E' a Solesmes, in gran parte, che è stato "cotto il pane teologico" del Coetus, un gruppo dai contorni molto sfumati. Non può mancare in fine il ricordo de "Gli Osservatori del Consiglio Ecumenico delle Chiese al Vaticano II" e di quelli Ortodossi, russi compresi.
AP: Le sono grato per il ricordo del Coetus che in effetti è un gruppo non così studiato e che raccoglieva i padri Conciliari che si opponevano alle corse in avanti di quella che viene definita “Alleanza Europea”. Prima di introdurci nel tema dei documenti del Vaticano II, penso non sarebbe di troppo commentare quanto accadde il 13 ottobre, solo due giorni dopo l’apertura, quando il cardinale francese Achille Liénart chiese il rinvio delle elezioni delle commissioni, cosa che orientò il Concilio in senso diverso rispetto a quello che Roma probabilmente auspicava. Liénart che - scherzi della storia! – fu colui che ordinò sacerdote e vescovo proprio quel Marcel Lefebvre che sarà uno dei protagonisti del dopo Concilio di parte tradizionalista e che fu membro del Coetus di cui abbiamo parlato. Lei non vede quel gesto del cardinale Liénart come molto significativo?
AM: Il rinvio delle elezioni delle Commissioni certo causò sorpresa, ma non orientò il Concilio in senso diverso rispetto a quello che "Roma probabilmente" aspettava. Il Suo "probabilmente" attenua ad ogni modo di molto la affermazione. Comunque il risultato finale, con il necessario rispetto delle procedure previste per le elezioni, non soddisfece le speranze di molti. Le spiegazioni poi che il Card. Liénart offrì della sua iniziativa (la necessità di conoscersi un po' fra presenti) la rimise in un contesto non rivoluzionario e di indipendenza divisiva in relazione alla preparazione Conciliare e a chi ne fu particolarmente responsabile.
- Uno sguardo ai documenti conciliari
AP: Allora visto che ci siamo inoltrati abbastanza nel Concilio sarà il caso di dare uno sguardo ai documenti più significativi che sono stati emanati dall’assise Conciliare.
AM; Come già dissi, grande fu l’avvenimento Conciliare. Vi parteciparono 3.068 Padri, provenienti da quasi tutte le Nazioni della terra. Nei quattro suoi periodi (11 ottobre 1962- 8 dicembre 1965) si svolsero 168 congregazioni generali e 10 sessioni pubbliche. Furono promulgati 16 Documenti: 4 Costituzioni, 9 Decreti e 3 Dichiarazioni. Per capirne la diversità d'importanza ricordo che Papa Francesco ha raccomandato, in vista del Giubileo, di riprendere lo studio delle Costituzioni, dando ad esse il giusto rilievo rispetto agli altri documenti.
Mi oriento nella risposta considerando i periodi di svolgimento dell'avvenimento, perché ciascuno può prendere facilmente in mano i testi pubblicati, e scorrendoli trovare titoli e argomenti solo con una semplice lettura. Scelgo invece di raccogliere il tutto nei vari periodi Conciliari, dando così testimonianza del progresso di tali testi fino all'approvazione.
AP: Bene, procediamo in questo modo.
AM: Il primo periodo inizia con il famoso discorso di apertura (e buon rilievo di Mons. G. Zannoni "un silenzioso ed ignorato protagonista") con il regolamento (Ordo Concili Oecumenici Vaticani II celebrandi , modellato in misura considerevole su quello del Vaticano I). Tale esatta osservazione vale per molti altri aspetti Conciliari, come potrebbe confermare voce autorevole e testimone-attore della Segreteria di Stato, ai primissimi inizi della preparazione, quando si andò a consultare la documentazione del Concilio Vaticano I. L'analisi continua con la "fisionomia" dell'assemblea, l'avvio dei lavori, la discussione sullo schema De Liturgia, le divergenze sul tema della Rivelazione, le questioni ecclesiologiche e, finalmente, le "valutazioni e prospettive".
E si va Verso il secondo periodo, con l'illustrazione del piano di lavoro e della revisione degli schemi. Tale periodo è scandito, nella ricerca, dal pensiero di Paolo VI sul Concilio e la nuova edizione del regolamento, nonché dalle discussioni sulla Chiesa, l'episcopato e l'ecumenismo e dall'approvazione finale della costituzione De Liturgia e del decreto De instrumentis communicationis socialis. Infine appare una disanima della formula di approvazione e promulgazione Conciliare, ad opera del pontefice, frutto di un approfondito studio. Tra il secondo e il terzo periodo si tratta del ridimensionamento e della rifusione degli schemi, di problemi procedurali e di tensioni ideali.
Segue Il terzo periodo, con la scansione dal titolo: "La nutrita articolazione dei dibattiti"; "la collegialità"; "la discussione su altri argomenti" ; "una 'settimana' difficile" (con aggiunta del aggettivo "nera", da parte di alcuni, per definirla, ingiustamente); "la costituzione della Chiesa" , e "i decreti sull'ecumenismo e sulle Chiese orientali cattoliche".
E siamo a La fase preparatoria all'ultimo periodo, una inquieta vigilia, che illustra l'opera di vescovi e periti nella rielaborazione degli schemi, e precede appunto l'ultimo periodo. Qui devono essere visitati con ordine, divergenze, dibattiti e votazioni, il riesame dello schema XIII, la promulgazione di "decreti" e dichiarazioni e l'intenso finale
La conclusione del Vaticano II va posta dunque tra i segni della "modernità" e della Parola di Dio, con relativa problematica e le difficoltà per la ricerca storica. I tentativi quindi per giungere ad un'ermeneutica organica ed adeguatamente approfondita del Concilio incontrano molti problemi ancora irrisolti. Da ciò l'importanza del dialogo intraecclesiale, in cui negli ultimi tempi mi sono fortemente impegnato.
AP: Credo sia lodevole che Lei manifesti vivo interesse nel mantenere vivo il dialogo intraecclesiale in un tempo in cui sembra che questo dialogo manchi e non si ascoltino coloro che, con ragioni ponderate e circostanziate da un vivo interesse per la propria fede, manifestano sofferenza per la attuale situazione nella Chiesa cattolica e per certe direzioni che si sono intraprese, ma a questo penso, o spero, arriveremo più tardi.
- Il problema dell’ermeneutica Conciliare
AP: La sua sintetica presentazione dei documenti è certamente importante e se avessimo avuto più spazio ci saremmo potuti occupare di alcuni di loro, come per esempio la Dignitatis Humanae che ha provocato un certo sconcerto in non pochi cattolici e che per molti nel mondo tradizionalista viene considerato uno spartiacque fra la Chiesa prima del Concilio e quella che viene dopo il Concilio.
Ma ora vorrei in realtà introdurre il tema dell’ermeneutica del Concilio di cui Lei viene riconosciuto come un Maestro anche per approvazione dell’autorità terrena suprema, cioè il Sommo Pontefice. Solitamente quando ci si riferisce a questo tema si richiama il famoso discorso che il papa Benedetto XVI fece alla Curia Romana per gli auguri natalizi il 22 dicembre 2005, in cui affrontava proprio il tema ermeneutico. Egli in quel famoso discorso citava un passaggio – direi drammatico – di san Basilio, questo: “Il grido rauco di coloro che per la discordia si ergono l’uno contro l’altro, le chiacchiere incomprensibili, il rumore confuso dei clamori ininterrotti ha riempito ormai quasi tutta la Chiesa falsando, per eccesso o per difetto, la retta dottrina della fede …”. Un testo interessante per introdurre il tema dell’ermeneutica del Concilio, non crede?
AM: Direi che è questo il punto fondamentale della discussione o del travaglio post-Conciliare, quello della ermeneutica (spiegazione, si potrebbe dire) di quel magno avvenimento.
Si tratta del secondo dei tre gradini di conoscenza sinodale. Il primo è la sua storia, il secondo è appunto l’ermeneutica e il terzo è la ricezione (realizzazione, accoglienza). Sono tre gradini nessuno dei quali può essere saltato.
AP: Dicevamo del primo gradino…
AM: Orbene a proposito del primo gradino, quello storico, di storia della Chiesa peraltro si tratta, è rimasto il grave condizionamento iniziale storico-ideologico della visione del Vaticano II come evento (v. la storiografia francese, per la sua visione, specialmente, dopo Les Annales, diciamo così), che porta fuori strada la interpretazione corretta. A questo riguardo -come ho potuto presentare a suo tempo nella prima storia della storiografia del Concilio (v. il mio Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Contrappunto per la sua storia)- è risultato che l'opera della "Scuola di Bologna" sul Concilio è stata in gran parte pubblicata con grandi lacune storiche e ideologiche, sia per quel che riguarda i Diari Conciliari privati, ma soprattutto perché compiuta senza il sostegno di Documenti ufficiali fondamentali per la comprensioni del Magno Sinodo, quali gli Atti dei suoi Organi direttivi e della Segreteria Generale. Oggi poi, possiamo ricorrere a quella fonte straordinaria di conoscenza del Papa Paolo VI che è il Diario Felici, Segretario del Concilio, pubblicazione da me curata.
Aggiungo, e dilato la questione. Dai miei studi in effetti (oltre al volume appena citato, vedasi pure quello dal titolo Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Per la sua corretta ermeneutica), traggo la convinzione che anche chi richiama, lodandole, altre tendenze ermeneutiche, quella di Peter Huenermann, per es, o di John W. Malley, di Gilles Routhier, o di Christoph Theobald, di fatto portano acqua ermeneutica allo stesso mulino bolognese.
In effetti la crisi attuale di cui soffre la Chiesa Cattolica penso sia causata appunto dall’abbandono della sua corretta ermeneutica, quella di tutti i Papi Conciliari e post, annunziata con precisione finale da Papa Benedetto XVI, e cioè "non della rottura e della discontinuità, ma della riforma e del rinnovamento nella continuità del unico soggetto Chiesa".
Orbene a tale proposito oggi piuttosto si tace sulla necessità di non rottura (accettata invece dalle posizioni estreme radicalizzatisi dopo il Vaticano II, con indebolimento della interpretazione intermedia -quella, per intenderci, del et...et, della ermeneutica cioè dei cosiddetti tradizionali-, una ben altra categoria rispetto a coloro che son chiamati tradizionalisti), e poco rilievo inoltre della continuità dell'unico soggetto Chiesa. Non è questione di lana caprina ma di essere e rimanere cattolici. Nella Chiesa vi è certo la possibilità di uno sviluppo finanche del dogma, ma esso deve essere organico ed omogeneo, cioè senza rottura.
Tale problema, quello della concreta interpretazione Conciliare, esiste dovunque in molti, anche se negli Stati Uniti d’America si rivela maggiormente per la “consistenza”, a tutt’oggi, della Chiesa
Cattolica in quel Paese e per forze che sostengono coloro che in Concilio formavano maggioranza e minoranza, ma che trovarono, grazie altresì alla mediazione straordinariamente efficace di Paolo VI, – ispirazione di cui si servì lo Spirito Paraclito – la grazia di dialogare e approvare tutti i documenti sinodali quasi all’unanimità.
E fu l'Enciclica di Paolo VI Ecclesiam suam, sul dialogo, il contributo suo fondamentale al Concilio, in questo campo per rimuovere la situazione di stallo creatasi nella discussione in vista della Gaudium et Spes (relazione Chiesa-mondo).
Orbene la felice conclusione del Magno Sinodo – come l’ho sempre chiamato – purtroppo incontrò quasi subito difficoltà a continuare in tale atteggiamento di “koinonia” (Comunione) per un servizio alla famiglia umana, rimanendo comunque “Chiesa Cattolica”, identità necessaria non solo per se stessa ma anche per il movimento ecumenico. Lo ricordò Cullmann ai
suoi fratelli luterani facendo menzione al “genio” del Cattolicesimo, quello di saper mettere insieme (et... et) realtà che per altri rimangono aut... aut, cioè o...o (v. Agostino Marchetto, Il
Concilio Ecumenico Vaticano II. Per la sua corretta ermeneutica, p. 324, fine nota 8).
E ci fu chi pensò addirittura che le divisioni nacquero nel Popolo di Dio a causa del Concilio in parola (cfr. J. Ratzinger, Opera Omnia, vol. VII/2, pp. 433-500). L’eminente Teologo, sul
fatto che i fedeli sono, dopo il Concilio, meno uniti di prima, così delineò la situazione: per alcuni, esso ha fatto ancora troppo poco, si è arenato ovunque nel suo slancio, è risultato un conglomerato di prudenti compromessi, una vittoria della tattica diplomatica sull’impeto dello Spirito Santo che non vuole sintesi complicate ma la semplicità del Vangelo; per altri, è invece uno scandalo, un cedimento della Chiesa allo spirito malvagio di un’epoca in cui
l’offuscamento del senso di Dio è conseguenza del suo selvaggio attaccamento a ciò che è terreno (p. 433). I suoi termini sono così tratteggiati da Ratzinger già nel ’66, che aggiunge: «Qui si può solo cercare di cogliere un po’ più precisamente, in alcuni punti, quel malessere che abbiamo constatato come situazione presente della Chiesa dopo il Concilio, formulando così con maggiore chiarezza il compito impostoci dall’ora presente» (p. 434).
Dopo aver indicato i campi del malessere, bisogna affrontare nella sua essenza la missione della Chiesa Cattolica per realizzare l’evangelizzazione e la promozione umana integrale,
che richiede pure un dialogo intraecclesiale fra due sue tendenze ugualmente legittime, in sè, quella più sensibile alla fedeltà alla Parola di Dio e alla Sacra Tradizione e quella più attenta alla incarnazione, diciamo così, nel mondo di oggi, ma che debbono essere e rimanere Chiesa Cattolica, in comunione entrambe.
Questo significa applicare la corretta ermeneutica, finalmente espressa - lo ripetiamo - come riforma “non nella rottura e discontinuità, ma, con il rinnovamento, nella continuità dell’unico soggetto Chiesa”.
Per questo concludo che non si può accettare il Vaticano II se non si accettano anche il Vaticano I e quello di Trento, e nemmeno dire di accogliere Trento e il Vaticano I e non accettare il Concilio Vaticano II.
AP: Eminenza, Lei parla molto, e giustamente del ruolo di Paolo VI, ma questo tema vorrei riservarlo a qualche riflessione un poco più avanti e desidererei rimanere sul tema ermeneutico che Lei ha delineato nella sua risposta precedente.
Innanzitutto vorrei sapere la sua opinione su alcuni testi importanti che hanno inteso commentare il Concilio Vaticano II o riportarne una viva memoria.
Per quello che riguarda i commenti, oltre ai suoi testi che riporteremo alla fine di questo dialogo, ci sono come ha detto quelli della cosiddetta “Scuola di Bologna” che fa capo allo storico Giuseppe Alberigo e che oggi ha come suo rappresentante più visibile un altro storico, Alberto Melloni.
Ma ci sono stati altri testi che hanno cercato di delineare un quadro del Concilio, penso a Il Concilio Vaticano II: Una storia mai scritta dello storico Roberto de Mattei, Vaticano II: Che cosa è andato storto? di Ralph McInerny, autore americano e professore alla Notre Dame University, a Il Reno si getta nel Tevere: Storia interna del Vaticano II, al testo dirompente dell’allora cardinale Joseph Ratzinger scritto in collaborazione con lo scrittore Vittorio Messori, Rapporto sulla Fede, testi più o meno critici con gradazioni diverse del Concilio o delle sue conseguenze. Ha tenuto presente questi testi nei suoi studi? Per quanto riguarda le memorie e i diari, vorrei riservarmi una domanda dopo il suo commento.
AM: Dopo un cenno alla mia critica storica ed ermeneutica della "Scuola di Bologna, i cui "testi riporteremo alla fine di questo dialogo" - mi dice e non capisco la cosa - rimando a più tardi l'analisi specifica del pensiero e l'opera di Paolo VI e di "tenerlo in panchina", quasi si possa fare ermeneutica Conciliare separatamente da lui. In effetti Lei aggiunge: "Il ruolo di Paolo VI vorrei riservarlo a qualche riflessione un poco più avanti e desidererei rimanere sul tema ermeneutico".
Mi domanda altresì se ho tenuto presente altri testi nei miei studi. Questione, a onor del vero, abbastanza strana se rivolta a uno storico. Ma a tale riguardo, per il caso di Una storia mai scritta riporterò solo l'inizio di un mio lungo articolo, molto particolareggiato, che invio qui compiegato, apparso su A.H.C., Jahrgang 42, Heft 1 (2010):
"Lettura interessante, opera frutto di un lungo studio, di uno sforzo notevole di ricerca, ma tendenziosa. Anche in questo caso i talenti dell'A. avrebbero meritato l'impegno, finalmente, per una storia più obiettiva e non ideologica, polarizzata, di parte, su un Concilio Ecumenico Vaticano II, che alla fine de Mattei presenta come modernista. Siamo qui di fronte in effetti a una storia del Magno Sinodo simile a quella orchestrata dalla "Scuola di Bologna”, ma di segno contrario. Il prodotto non cambia, di rottura si tratta rispetto alla Tradizione, e lo conferma il frequente richiamo analogica del A. alla Rivoluzione francese. Anzi diremmo che de Mattei si serve della critica storica, per noi ideologica, della citata Scuola per quanti da essa concertati -ed è il colmo- per appoggiare il suo procedere storico di polo contrario. Là era espressione-principe del cosiddetto progressismo estremo, qui del tradizionalismo, e non dico -si badi bene- del tradizionale. In entrambi i casi non si accoglie l'aggiornamento, il rinnovamento nel contesto della Tradizione, voluto dai Papi Giovanni e Paolo VI e confluito nei testi Conciliari, approvati quasi all'unanimità, finalmente, dai Padri Conciliari...Abbiamo ora dunque due storie fatte da estremisti in cui l'uno (tradizionalista) pesca in quella orchestrata dall’altro e giunge allo stesso giudizio di rottura che non è approvato dal Magistero, né di Giovanni XXIII, di Paolo VI, di Giovanni Paolo I e II e di Benedetto XVI." E vi posso aggiungere ora di Papa Francesco. Esorto chi legge o ascolta a continuare la lettura perché non posso farlo, ora tenendo presente l'ammonimento del nostro dirimpettaio nel dialogo, ad essere breve.
Passo dunque a fare altrettanto per il volume di Ralph McInerny, ben diverso, e anche di questo allego il testo della mia recensione al suo libro, pubblicato nel mio volume Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Per la Sua corretta ermeneutica, a. 2012, p. 295-298.
"Nell'introduzione l'A. delinea, anzitutto, la Sitz im Leben pre-Conciliare, con visione della Chiesa negli anni cinquanta, della sua forza", affermando pure che "Kennedy e Giovanni XXIII non erano quello che sembravano". Lo sguardo qui si posa con compiacenza sulla Chiesa negli Stati Uniti in tale periodo. Per contrasto, subito dopo, si delinea "il declino della Chiesa dopo il Concilio" e si pone la domanda come appare nel titolo del libro: "che cosa è andato storto?", anche perché "sorprendentemente questo declino è giunto sotto lo stendardo del Vaticano II", mentre "si tratta dell’avvenimento più importante della storia della Chiesa della nostra epoca. Senza dubbio esso è stato un fatto provvidenziale. I suoi sedici documenti, sebbene con forza diversa, sono la misura della fede dei cattolici. Correttamente inteso, esso è stato una grande benedizione per la Chiesa. Correttamente inteso". Anche se qui mi fermo nella citazione avete certamente compreso che McInerny non comparte la posizione del precedente A. nel delineare il quadro del Concilio.
Per quanto concerne poi l'allora Card. Joseph Ratzinger, rimando al testo che su di lui pronuncerò successivamente, basato sulla sua "Opera Omnia", che deve essere tenuto in debita considerazione e fa superare ogni eventuale precedente punto di vista.
A questo punto viene ragionevole trattare di papa Paolo VI, che trovo giusto vedere come "martire" del Concilio, come lo definì il Cardinal Koenig,
AP: Bene come crede...
- Un Papa nella tormenta o “martire” del Concilio? S. Paolo VI
AP: Abbiamo una certa differenza fra noi nell’inquadrare il ruolo di Paolo VI, io l’ho definito “un Papa nella tempesta” e Lei “martire del Concilio”. Come ben sa, la figura di Paolo VI è stata vista da molti come estremamente controversa per il suo ruolo proprio in merito al Concilio. Se da una parte cercava di frenare le forze più progressiste, dall’altra sembrava in alcuni casi favorirle. Egli fu comunque consapevole di quello che si era scatenato dopo il Concilio, una sorta di “vaso di pandora”. Mi permetto di citare un discorso che Lei conosce bene, pronunciato esattamente 55 anni fa, il 7 dicembre 1968, al Pontificio Seminario Lombardo: “La Chiesa attraversa, oggi, un momento di inquietudine. Taluni si esercitano nell’autocritica, si direbbe perfino nell’autodemolizione. È come un rivolgimento interiore acuto e complesso, che nessuno si sarebbe atteso dopo il Concilio. Si pensava a una fioritura, a un’espansione serena dei concetti maturati nella grande assise Conciliare. C’è anche questo aspetto nella Chiesa, c’è la fioritura. Ma poiché «bonum ex integra causa, malum ex quocumque defectu» , si viene a notare maggiormente l’aspetto doloroso. La Chiesa viene colpita pure da chi ne fa parte: allora vi lasceremo leggere fino in fondo al Nostro animo e intravedere i due sentimenti che ci stanno nel cuore, davanti a questo tumulto che tocca la Chiesa e, com’è logico, si ripercuote soprattutto sul Papa. Un sentimento di gioia, per essere fatti degni di soffrire per il nome di Gesù. Le prove sono difficili e talvolta dure. Ma la realtà del nostro sacerdozio ci fa benedire il Signore di queste prove. Il cristiano conosce la gioia che sgorga dalla prova. È la certezza di essere col Signore, di camminare nella sua via, di verificare in sé la realizzazione delle sue predizioni e delle sue promesse, anche se dure per la nostra natura di esseri umani. E un sentimento di grande confidenza e fiducia. Tanti si aspettano dal Papa gesti clamorosi, interventi energici e decisivi. Il Papa non ritiene di dover seguire altra linea che non sia quella della confidenza in Gesù Cristo, a cui preme la sua Chiesa più che non a qualunque altro. Sarà Lui a sedare la tempesta. Quante volte il Maestro ha ripetuto: «Confidite in Deum. Creditis in Deum, et in me credite!». Il Papa sarà il primo ad eseguire questo comando del Signore e ad abbandonarsi, senza ambascia o inopportune ansie, al gioco misterioso della invisibile ma certissima assistenza di Gesù alla sua Chiesa”. Come vede in questo discorso viene combinato il mio “Papa nella tempesta” con il suo “martire del Concilio”. Secondo Lei Paolo VI si aspettava quello che sarebbe accaduto una volta che il Concilio sarebbe passato alla fase dell’attuazione?
AM: Alla Sua domanda in questi termini: "secondo Lei Paolo VI si aspettava quello che sarebbe accaduto una volta che il Concilio sarebbe passato alla fase di attuazione?"
Prima di rispondere ricordo che, anteriormente a tale sua domanda, chiedevo un'altra volta di esporre finalmente -come previsto- il mio pensiero sulla posizione ermeneutica di Papa Montini, mentre è Lei che comincia a farlo, a rispondere a se stesso, con un discorso di Paolo VI nel '68. Comincia così: “Come Lei sa..." Sì, lo so, ma per questo ricordo anche, a fine Concilio, quanto scriveva Felici, nel suo Diario, da me edito, del 8 dicembre 65, da cui apprendo che "sono stato invitato a pranzo dal Papa. Sono pure invitati gli Ecc.mi Mons. C. Colombo e Mons. Willebrands. Il Papa è molto soddisfatto". Certo una cosa è un giudizio proprio a fine Concilio o tre anni dopo.
AP: Su questo non credo ci sia dubbio, a tre anni dal Concilio si ha una visione più chiara di quello che si va delineando. Comunque non volevo interromperla.
AM: Orbene, posso dire che a domande del genere da Lei presentate rispondo con la frase biblica "non sono profeta, né figlio di profeti". Ma certo dalla atmosfera di quell’8 dicembre '65, che ho richiamata poco fa, direi di no.
E a questo punto torno a dire che è giusto e ragionevole vedere Paolo VI come "martire" del Concilio Vaticano II, come lo definì il Card. Koenig.
AP: Ho capito, allora La invito ad esporre la sua opinione sul ruolo di Paolo VI in merito al Concilio…
AM: Fedele interprete del pensiero del suo predecessore, Papa Montini nella allocuzione ai Padri Conciliari del 18 Novembre 1965 affermò: “Giovanni XXIII a questa parola programmatica (aggiornamento) non voleva attribuire il significato che qualcuno tenta di darle, quasi essa consenta di relativizzare secondo lo spirito del mondo ogni cosa nella Chiesa (dogmi, leggi, strutture, tradizioni), mentre fu così vivo e fermo in lui il senso della stabilità dottrinale e strutturale della Chiesa da farne cardine del suo pensiero e della sua opera”.
In effetti, Paolo VI, di formazione e carattere diversi dal suo predecessore, mantenne la sua stella polare dello “sviluppo nella continuità”: il Concilio proseguì con le stesse finalità (pastorali) e speranze. Non sarebbe dunque nel vero - affermò Paolo VI- chi pensasse che il Concilio Vaticano II rappresenti un distacco, una rottura o una liberazione dall’insegnamento della Chiesa, o autorizzi o promuova un conformismo alla mentalità del nostro tempo, in ciò che essa ha di effimero e di negativo.
A conferma ricordo che, proprio nel giorno della sua incoronazione, (così si chiamava a quel tempo l’inizio del ministero pastorale del Papa) Egli attestò: “Riprenderemo ...l’opera dei nostri predecessori: difenderemo la santa Chiesa dagli errori di dottrina e di costume, che dentro e fuori dei suoi confini ne minacciano l’integrità e ne velano la bellezza; cercheremo di conservare ed accrescere la virtù pastorale della Chiesa”.
E rimase fedele al suo impegno. Il 29 giugno 1978, in un bilancio, quasi, del suo pontificato, ormai alla fine, dichiarò: “Ecco l’intento instancabile, vigile, assillante che ci ha mossi in questi quindici anni di pontificato: ‘Fidem servavi’! Possiamo dire oggi con l’umile e ferma coscienza, di non aver mai tradito il santo vero”. Il santo vero!
Ebbene quello che il Papa Paolo VI attribuisce a sé, nel senso della fedeltà, lo si deve di certo anche attribuire al Concilio Vaticano II, il quale proseguì con spirito pastorale il cammino di promozione della fede cattolica e di rinnovamento dei costumi e della disciplina ecclesiastica intrapreso dai Concili che lo precedettero. A conferma di tale convinzione ricordo che l’otto marzo 1964 Paolo VI, nella basilica di S. Pietro, ai pellegrini di Trento disse: “Lo spirito del Concilio di Trento riaccende e rianima quello del presente Concilio Vaticano II, che vi si collega e da quello prende le mosse per affrontare i vecchi ed i nuovi problemi rimasti allora insoluti, o insorti nel volgere dei tempi nuovi”.
AP: Il buon vecchio Concilio di Trento…
AM: Certamente, il Vaticano II, per volere di Giovanni XXIII, è stato un grande Sinodo pastorale ed ha perseguito un aggiornamento che voleva essere non rottura con il passato o contrapposizione di momenti storici -come anche dicevo rispondendo alle altre domande che mi sono state poste-, ma crescita e perfezionamento del bene sempre in atto nella Chiesa. Il suo rinnovamento è dunque continuo per l’azione creatrice e santificatrice dello Spirito e, in armonia con la precedente tradizione dottrinale e disciplinare, il Vaticano II ne ha additati vasti orizzonti nei documenti sulla Chiesa, la Rivelazione, la Liturgia, le Chiese orientali, i Vescovi, i Sacerdoti, i Religiosi, le Missioni, ecc. Ma non si può ammettere una loro interpretazione semplicistica, che presenti il magno Sinodo stesso come luogo di scontro tra “conservatori” e “progressisti”.
A questo riguardo mi sembra degna di considerazione, per usare un linguaggio che sappia meno di parte, la proposta di ormai parlare, in modo più rispettoso di tutti, di “conservatori” (nei confronti dell’esistente) e di “innovatori”, sempre rispetto a una data situazione, anche se poi costoro possono far valere il fatto di un ritorno, in effetti, a una tradizione magari più antica. Si supererebbero così indicazioni imprecise e confusioni tra tradizionalisti, tradizionali, integristi, integrali e progressisti, fra i quali -va notato, comunque- vi sono anche gli oltranzisti, come del resto tali furono al Concilio vari “conservatori”. Ma le forme di espressione migliori sono “maggioranza” e “minoranza” in Concilio. E’ un modo più neutro di dire.
AP: Gli oltranzisti mi sembra ci furono da tutte le parti ma comprendo il suo voler chiamare “maggioranza” e “minoranza” quelle che erano le anime del Concilio.
AM: Rimane giusto terminare da parte mia illustrando un aspetto caratteristico del modo particolare di procedere della guida Conciliare di Papa Montini, la sua ricerca, cioè, del maggior numero di consensi da parte dei Padri. La sua assenza o debolezza, infatti, è un qualcosa che si deve poi “pagare” a caro prezzo, come insegna la storia. Di fatto l’esempio di molti Concili importanti – da quello di Calcedonia al Vaticano II, passando per il Concilio di Trento ‒, che si sono preoccupati faticosamente di raggiungere il consenso, è una testimonianza della sua grande importanza e del suo carattere di segno, soprattutto nel senso che la verità non viene “decisa” (mediante votazione), ma “attestata” (mediante il consenso).
E qual è il cammino per raggiungerlo se non quello del dialogo? Conoscendo la ricchezza e le contraddizioni della cultura moderna, le aspirazioni, le speranze, le gioie e le tristezze, le
delusioni e le difficoltà dell’uomo contemporaneo, Paolo VI, seguendo l’interiore impulso di carità, cercò quindi di calarsi in esse. Egli fu assiduo banditore e promotore del dialogo con tutti gli uomini di buona volontà: con i cristiani separati, con i non cristiani, con i non credenti. «La Chiesa – attestò – deve venire a dialogo con il mondo in cui si trova a vivere; la Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio».
Egli, in seguito, affermò espressamente: «A noi specialmente, pastori nella Chiesa, incombe la cura di ricercare con audacia e saggezza, in piena fedeltà al suo contenuto, i modi più adatti e più efficaci per comunicare il messaggio evangelico agli uomini del nostro tempo».
Trattasi del dialogo della salvezza, che incontra la sua origine trascendente nella intenzione stessa di Dio. Ne sono caratteri la chiarezza, la mitezza, la fiducia e la prudenza. «Nel dialogo, così condotto, si realizza l’unione della verità con la carità, dell’intelligenza con l’amore».
AP: Il dialogo, già il dialogo…che però nasconde dei pericoli specialmente se fine a sé stesso. Che ne pensa?
AM: Con forza, Paolo VI affermò che il dialogo deve restare immune dal relativismo, che intacchi l’immutabile dottrina della fede e della morale: «La sollecitudine di accostare i fratelli non deve tradursi in un’attenuazione, in una diminuzione della verità»; «il nostro dialogo non può essere una debolezza rispetto al impegno verso la nostra fede»; «Non si può transigere con i principi teorici e pratici della nostra professione cristiana».
Percepisce chi ci legge o ascolta, tutti i legami che qui vi sono, parlando di sinodalità, con il Vaticano II, con il suo procedere, con il primato, con la collegialità, con la ricerca di un dialogo all’interno anche della Chiesa Cattolica, con la procura costante e fervida del consenso, con il desiderio continuamente rinnovato, e attuato, affinché rinnovamento e Tradizione dialoghino tra di loro e ci sia una saldatura tra l’antico e il nuovo? Tra sinodalità, il procedere insieme, collegialità e primato?
Il Vaticano II si trovò a sancire l’avvenuto sviluppo teologico e a tradurlo nella azione pastorale, in risposta alle esigenze dei tempi, nella continuità della dottrina.
Sulla questione circa il testo originario di questo importante discorso, vedasi V. CARBONE , “Il Concilio Vaticano II. Preparazione della Chiesa al Terzo Millennio”, Città del Vaticano 1998, p. 35-39. L’A. così conclude la sua analisi: “l’identità sostanziale del testo italiano con quello latino è certa, perché le differenze non toccano il senso”. Inoltre Giovanni XXIII citò egli stesso la forma del “testo italiano a suo tempo pubblicato da L’Osservatore Romano, che veniva così autorevolmente accreditato” ( ib ., p. 39). L’importanza del discorso è data anche dal riferirsi ad esso sia da parte di Paolo VI che di Giovanni Paolo II (ib ., p. 33).
MONS. CAPOVILLA , in una intervista al Corsera (3 Agosto 1999), p. 27, VIII col., ha affermato che la sintesi del pontificato giovanneo si trova nel binomio “fedeltà e rinnovamento”. Papa Giovanni “non aveva smanie di innovazione ... ‘Non si piega neppure un lembo della bandiera’ disse. Ma sapeva che la sola ‘fedeltà’ avrebbe ridotto la Chiesa a museo, mentre il solo ‘rinnovamento’ l’avrebbe condotta alla anarchia. Cercò d’ispirare il Concilio all’equilibrio fra questi due principi” (ib.). Lo stesso fece Paolo VI cosa che, del resto, era “caratteristica della linea scelta dai belgi di conservare gli schemi preparatori (Conciliari) come base di lavoro” (v. “L’evento e le decisioni”, op. cit., p. 187 e 186, p. 152, 162 e 340). Indicativo a questo riguardo è il seguente pensiero del Philips (criticato, specie da Dossetti per il suo sforzo di Conciliazione: p. 154): “non si tratta di far trionfare le nostre idee personali, ma di arrivare a un consenso su ciò che la Chiesa intera può oggi accettare come espressione della sua fede comune” (ib..), e ciò senza “accettare compromessi sui principi di fondo”. Non dispiaccia se concludo qui ricordando anche la “presenza Conciliare” di Oscar Cullmann, “che incarna un atteggiamento molto più pragmatico, teso a sottolineare un certo rispetto verso la tradizione teologica e il ‘genio’ del cattolicesimo” (op. cit., p. 257), perché ritengo che il suo pensiero in fatto di cammino ecumenico ci può essere oltremodo utile.
AP: Prima di proseguire e dedicarci all’opera di san Giovanni Paolo II in merito al Concilio, vorrei riprendere quanto da Lei appena detto citando Oscar Cullmann, teologo luterano francese. La presenza dei protestanti al Concilio è ancora oggi un argomento molto controverso, in quanto secondo alcuni tra i “conservatori”, per usare la Sua definizione, ritengono che essi ebbero una influenza molto importante nel senso di aver contribuito alla protestantizzazione della Chiesa, in special modo in riferimento alla liturgia. Mi sembra appropriato sentire la sua opinione in merito a questa affermazione.
AM: Non ho qui intenzione di affrontare il tema generale della "presenza dei Protestanti al Concilio", ma posso attestare che i testi approvati dal Magno Sinodo non sono protestanti, né atti a protestantizzare la Chiesa Cattolica, espressione fra l'altro molto vaga.
Ciò non toglie che la loro presenza, su invito, abbia offerto ai Padri Conciliari elementi che hanno portato un nuovo spirito, quello ecumenico, all'interno della Chiesa stessa. Sulla Liturgia, poi, nel testo Conciliare approvato dall'Assemblea sinodale e confermato dal Papa, non vedo "influenza molto importante", nel senso di protestantizzazione della Chiesa, al quale Lei si riferisce.
AP: Prendo senz’altro atto della sua opinione. Passiamo dunque a parlare di Giovanni Paolo II.
- L’opera di S. Giovanni Paolo II
AM: Così scriveva un noto giornalista (rubrica ‘Risponde’ del Corsera 14/2/19): “chiudere i Papi nelle gabbie delle definizioni laiche di destra e sinistra è sbagliato. Anche solo definirli conservatori o progressisti è complesso. Prenda Giovanni Paolo II. Lo incontrai due volte, a Parigi e ad Assisi, ed è senz’altro la personalità più carismatica che abbia mai visto; però non saprei come definirla. Poteva avere tratti reazionari e tratti rivoluzionari. Poteva sembrare ora un mistico medievale, ora un uomo di straordinaria modernità; come quando chiese perdono per le colpe della Chiesa, un gesto che solo un Papa forte poteva concepire”. Personalità carismatica dunque, San Giovanni Paolo II. Pure uno storico-teologo ancora sulla bocca di tutti i “progressisti” di oggi, Yves Congar, così lo presentava in Concilio, non ancora Cardinale, riferendosi al progetto Wojtyla per lo schema “Chiesa e mondo contemporaneo” “concepito” e redatto – scrive il Congar – “dal punto di vista della Chiesa stessa, che formula i suoi principi e dà le sue giustificazioni”. Esso non può prevalere come base delle nostre discussioni, su quello che è stato elaborato per mandato della commissione mista, ma bisognerà tenerne conto, anche se testo privato” (Yves Congar, Mon Journal du Concile, Vol. II, Les Ed. du Cerf, Paris 2002, p. 309 II). Sempre sul tema anzidetto, mons. Wojtyła “fa alcune osservazioni di una estrema gravità (sull’insieme del capitolo II). Si considerano solamente, egli dice, le questioni poste dalla nuova situazione del mondo descritta dal cap. I: ma questo mondo moderno dà anche delle risposte a tali questioni. Ebbene bisognerebbe rispondere a queste risposte” (ibidem, p. 312II). Ciò offre occasione al Congar di rivelare i propri pensieri su Daniélou, dopo una breve considerazione di apprezzamento di chi sarà Giovanni Paolo II: “Wojtyła fa una grandissima impressione. La sua personalità s’impone. Si sprigiona da essa un fluido, un attirare, una certa forza profetica calmissima, ma irrecusabile... Daniélou sembra essersi già proposto: dovrà redigere qualcosa con mons. Wojtyła. Ma, alla pausa, quasi tutti gli esperti dubitano che Daniélou, rapido e superficiale, sia l’uomo adatto a ciò... mons. Wojtyła dice che a suo avviso non si è marcata a sufficienza la dimensione soteriologica o salvifica” (ibidem, e anche p. 313s. II, nonché Agostino Marchetto, Cum Petro et sub Petro, Riforme ecclesiali per la missione, Chorabooks, Hong Kong 2019, p. 54s).
Troviamo qui dunque conferma del giudizio del giornalista menzionato d’inizio circa la straordinaria impressione che produce Mons. Wojtyła. Ne abbiamo conferma anche da parte di un Papa, il Vescovo di Roma che si riferisce a lui, mettendolo assieme a Giovanni XXIII, in questi termini: “Sono stati sacerdoti, vescovi e papi del XX secolo. Ne hanno conosciuto le tragedie, ma non ne sono stati sopraffatti. Più forte, in loro, era Dio; più forte era la fede in Gesù Cristo Redentore dell’uomo e Signore della storia; più forte, in loro, era la misericordia, più forte era la vicinanza materna di Maria. [nel] servizio al Popolo di Dio, San Giovanni Paolo II è stato il Papa della famiglia. Così lui stesso, una volta disse che avrebbe voluto esser ricordato, come il Papa della famiglia. Mi piace sottolinearlo mentre stiamo vivendo un cammino sinodale, sulla famiglia e con la famiglia, un cammino che certamente dal Cielo lui accompagna e sostiene” (testo dell’Omelia di Papa Francesco, il 27/5/14, per la S. Messa di canonizzazione dei Beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II).
AP: Allora ci dica pure di questo “Papa della famiglia”…
AM: Anche a voler delineare solo per sommi capi il pensiero e l’opera di Giovanni Paolo II al riguardo mi è – scusate – impossibile.
Così il cireneo che si è preso la briga di balbettare qualcosa su questo radicato titolo si limiterà a presentarvi, d’inizio, un aspetto significativo di un lunghissimo pontificato, cioè le catechesi delle Udienze generali che vanno dal settembre 1979 al novembre’ 84, contenenti quella che alcuni definiscono teologia del corpo, in ogni caso sull’amore umano.
Certamente vi erano stati a ciò dei prodromi significativi prima del Pontificato e penso a La Bottega dell’Orefice e ad Amore e responsabilità del 1960, nonché alla partecipazione alle riunioni della Commissione per lo studio della popolazione, della famiglia e della natalità, assieme a chi divenne suo amico, e poi Cardinale, il Vescovo Jean Margéot, di Port-Louis (Mauritius).
Mi soffermo sulle Catechesi accennate, con citazione dettagliata dei vari cicli (come da www.careware.it), perché le reputo massimamente indicative del nostro tema, un po’ come lo sono, per Papa Francesco, le Omelie sue, a braccio, di ogni mattina, a rappresentanti a turno fondamentalmente di fedeli di varie parrocchie romane, del suo gregge diocesano insomma. E il fatto costituisce per me uno dei grandi e costanti e faticosi “segni” dell’attuale Pontificato francescano.
Ecco dunque la Teologia del Corpo, cominciando dal primo ciclo su L’unità originaria del uomo e della donna, Catechesi sul libro della Genesi (5/9/1979 – 2/4/1980).
1) A colloquio con Cristo sui fondamenti della famiglia (5 settembre 1979), 2) Nel primo racconto della creazione l’oggettiva definizione dell’uomo (12 settembre 1979), 3) Nel secondo racconto della creazione la definizione soggettiva del uomo (19 Settembre 1979), 4) Legame tra innocenza originaria e redenzione operata da Cristo (26 Settembre 1979), 5) L’uomo alla ricerca della definizione di se stesso (10 Ottobre 1979), 6) L’uomo dalla originaria solitudine alla consapevolezza che lo fa persona (14 Ottobre 1979), 7) Nella definizione stessa dell’uomo l’alternativa tra morte ed immortalità (31 Ottobre 1979), 8) L’unità originaria del uomo e della donna nella umanità (7 Novembre 1979), 9) Anche attraverso la comunione delle persone l’uomo diventa immagine di Dio (14 Novembre 1979), 10) Valore del matrimonio uno e indissolubile alla luce dei primi capitoli della Genesi (21 Novembre 1979), 11) I significati delle primordiali esperienze del uomo (12 dicembre 1979), 12) Pienezza personalistica della innocenza originale (19 dicembre 1979), 13) La creazione come dono fondamentale e originario (2 gennaio 1980), 14) La rivelazione e la scoperta del significato sponsale del corpo (9 gennaio 1980), 15) L’uomo-persona diventa dono nella libertà del amore (16 gennaio 1980), 16) Coscienza del significato del corpo e innocenza originaria (30 gennaio 1980), 17) Il dono del corpo crea un’autentica comunione (6 febbraio 1980), 18) L’innocenza originaria e lo stato storico del uomo (13 febbraio 1980), 19) Con “il sacramento del corpo” l’uomo si sente soggetto di santità (20 febbraio 1980), 20) Il significato biblico della conoscenza nella convivenza matrimoniale (5 marzo 1980), 21) Il mistero della donna si rivela nella maternità (12 marzo 1980), 22) Il ciclo della conoscenza-generazione e la prospettiva della morte (26 marzo 1980), 23) Gli interrogati (non va il senso) sul matrimonio nella visione integrale dell’uomo (2 aprile 1980).
Secondo ciclo: La redenzione del cuore
Teologia del corpo dell’uomo decaduto e redento (16/4/ 1980-6/5/1981).
1. Cristo fa appello al “cuore” dell’uomo (16 aprile 1980); 2. Il contenuto etico e antropologico del comandamento “non commettere adulterio”; 3. La concupiscenza è il frutto della rottura dell’alleanza con Dio (30 aprile 1980); 4. Radicale cambiamento del significato della nudità originaria (14 maggio 1980); 5. Il corpo, non sottomesso allo spirito minaccia l’unità dell’uomo-persona (28 maggio 1980); 6. Significato della vergogna originale nei rapporti interpersonali uomo-donna (4 giugno 1980); 7. Il dominio “su” l’altro nella relazione interpersonale (18 giugno 1980); 8. La triplice concupiscenza limita il significato sponsale del corpo (25 giugno 1980); 9. La concupiscenza del corpo deforma i rapporti uomo-donna (23 luglio 1980); 10. Nella volontà del dono reciproco la comunione delle persone (30 luglio 1980); 11. Il discorso della Montagna agli uomini del nostro tempo (6 agosto 1980); 12. Il contenuto del comandamento “non commettere adulterio” (13 agosto 1980); 13. L’adulterio secondo la legge e nel linguaggio dei profeti (20 agosto 1980); 14. L’adulterio secondo Cristo: falsificazione del segno e rottura dell’alleanza personale (27 agosto 1980); 15. Il significato dell’adulterio trasferito dal corpo al cuore (3 settembre 1980); 16. La concupiscenza come distacco dal significato sponsale del corpo (10 settembre 1980); 17. Il desiderio, riduzione intenzionale dell’orizzonte della mente e del cuore (17 settembre 1980); 18. La concupiscenza allontana l’uomo e la donna dalle prospettive personali e “di comunione” (24 settembre 1980); 19. Costruire il nuovo senso etico attraverso la riscoperta dei valori (1 ottobre 1980); 20. Interpretazione psicologica e teologica del concetto di concupiscenza (8 ottobre 1980); 21. Valori evangelici e doveri del cuore umano (15 ottobre 1980); 22. Realizzazione del valore del corpo secondo il disegno del Creatore (22 ottobre 1980); 23. La forza originaria della creazione diventi per l’uomo forza di redenzione (29 ottobre 1980); 24. “Eros” ed “Ethos” si incontrano e fruttificano nel cuore umano (5 novembre 1980); 25. La spontaneità è veramente umana quando è il frutto maturo della coscienza (12 novembre 1980); 26. Cristo ci chiama a ritrovare le forze vive dell’uomo nuovo (3 dicembre 1980); 27. Tradizione antico testamentaria e nuovo significato di “purezza” (10 dicembre 1980); 28. Vita secondo la carne e giustificazione in Cristo (17 dicembre 1980); 29. La contrapposizione tra carne e spirito e la “giustificazione” nella fede (7 gennaio 1981); 30. La vita secondo lo spirito, fondata nella vera libertà (14 gennaio 1981); 31. Santità e rispetto del corpo nella dottrina di San Paolo (28 gennaio 1981); 32. Descrizione paolina del corpo e dottrina sulla purezza (4 febbraio 1981); 33. La virtù della purezza attua la vita secondo lo spirito. (11 febbraio 1981); 34. Dottrina paolina della purezza come “vita secondo lo spirito” (18 marzo 1981); 35. La funzione positiva della purezza di cuore (1 aprile 1981); 36. Pedagogia del corpo, ordine morale, manifestazioni affettive (8 aprile 1981); 37. Il corpo umano “tema “ dell’opera d’arte (15 aprile 1981); 38. L’opera d’arte deve sempre osservare la regolarità del dono e del reciproco donarsi (22 aprile 1981); 39. I limiti etici nelle opere d’arte e nella produzione audiovisiva (29 aprile 1981); 40. Responsabilità etica dell’artista nella trattazione del tema del corpo umano (6 maggio 1981).
Terzo ciclo: La risurrezione della carne.
Teologia del corpo dell’uomo risorto, pienamente redento e ri-creato (11/11/ 1981 – 10/2/ 1982).
1. Le parole del “colloquio con i sadducei” essenziali per la teologia del corpo (11 novembre 1982); 2. Il Dio vivente, stringendo l’alleanza con gli uomini, rinnova continuamente la realtà stessa della vita (18 novembre 1981); 3. La dottrina sulla Risurrezione e la formazione dell’antropologia teologica (2 dicembre 1981); 4. La risurrezione realizzerà perfettamente la persona (9 dicembre 1981); 5. Le parole di Cristo sulla risurrezione completano la rivelazione del corpo (16 dicembre 1981); 6. Le parole di Cristo sul matrimonio, nuova soglia della verità integrale sull’uomo (13 gennaio 1981); 7. L’interpretazione paolina della dottrina della risurrezione (27 gennaio 1982); 8 La concezione paolina dell’umanità nella interpretazione della risurrezione (3 febbraio 1982); 9. La spiritualizzazione del corpo fonte della sua incorruttibilità (10 febbraio 1982).
Quarto ciclo: La verginità cristiana (10/3/1982-21/7/1982)
Con l'indicazione di questo vasto scenario di identità cristiana mi fermerei qui, ma voi potrete proseguire. Vi segnalo comunque i titoli dei seguenti cicli: il quinto: il matrimonio cristiano; il sesto: amore e fecondità, con rilettura e approfondimenti di "Humanae Vitae" e abbozzi di spiritualità familiare e luce dell'enciclica.
Sarete forse sorpresi da questo lungo elenco di temi legati all’amore umano e cristiano, fondante la famiglia, ma lo considero la pietra angolare, che regge un insegnamento durato tutto un Pontificato. Esso assurgerà anche a livelli più elevati di Magistero, ma queste catechesi al popolo di pellegrini, d’inizio di pastorale pontificia, manifestano la più impressionante vastità e unità, e, in una parola, la base rilevante l’importanza che se ne attribuisce e ci fa così concludere: San Giovanni Paolo II è stato il Papa della Famiglia. Il fondamento dunque è la teologia dell’amore, la teologia del corpo e della grazia sanante ed elevante.
AP: Vedo che è particolarmente interessato a sottolineare il ruolo del Papa polacco, quindi La invito a proseguire.
AM: La sommità dell’insegnamento Wojtyliano nel nostro tema è comunque raggiunto dalla Esortazione Apostolica "Familiaris Consortio", del 22 Novembre 1981, che considera la famiglia come comunione di persone, Chiesa domestica e santuario della vita. Il documento è legato alla riunione del Sinodo dei Vescovi del 1980, appunto sulla famiglia, sintesi della dottrina della Chiesa sulla vita, i compiti e le responsabilità del matrimonio e della famiglia nel mondo attuale.
Prima di farvi ascendere al terzo ed ultimo picco della catena di montagne dedicata alla famiglia da San Giovanni Paolo II, e cioè la Lettera Wojtylana alle Famiglie di tutto il mondo, "Gratissimam Sane", dell’anno 1994, desidero qui accennare ad alcuni altri interventi magisteriali che confermano lo zelo pastorale e la profondità dottrinale del Papa Polacco per la famiglia e che lo rendono degno del titolo con il quale lo stiamo onorando. Ma non senza aver in apertura ricordato i quattro incontri mondiali delle famiglie da lui voluti a partire da quello del 8-9 ottobre 1994, a Roma, che fu il primo, nell’anno internazionale della Famiglia dichiarato dalle Nazioni Unite. Introdotto, come lo sarà poi sempre, da un Congresso teologico-pastorale internazionale, fu concluso, alla presenza del Papa, con una Veglia-festa della famiglia e con una grande Celebrazione eucaristica finale. Quella di Roma si celebrò nel contesto dell’Anno della famiglia “cuore della civiltà dell’Amore”.
Seguirono i Congressi con la presenza di Papa Wojtyla, nel ’97 a Rio de Janeiro, nel 2000 a Roma e nel 2003 a Manila (collegamento TV).
I documenti papali che -come avevamo detto- debbono esser qui menzionati sono la Enciclica Evangelium Vitae sul valore e l’inviolabilità della vita umana (specialmente i NN. 44-47; 58-63 e 92-94) del 25/3/1995, la Lettera Apostolica Mulieris Dignitatem (particolarmente i NN. 18-19) del 15/8/88 e le Lettere “Ai bambini nel anno della famiglia” del 13/12/94 “Ad paucos dies” e alle Donne, del 29/6/95 “A ciascuna di voi”. Farei un’aggiunta, cioè alcune citazioni del Catechismo della Chiesa Cattolica sul matrimonio e sulla famiglia, e voi capite il perché: N. 1601- 1666, 1691-1698, 2331-2359, 2514-2533, 2360-"2400. Perché? Fu un dono del Papa, il Catechismo, a tutti noi con la Costituzione Apostolica Fidei depositum" dell’undici ottobre ’92. Sono questioni di fede e di morale, che Papa Giovanni Paolo II, il Papa della Famiglia, ha curato nella carità nel suo magistero papale.
- Benedetto XVI e l’ermeneutica della continuità
AP: Bene, immagino che dopo aver delineato queste sue linee di interpretazione del pensiero di san Giovanni Paolo II, vorrà ora riprendere il tema dell’ermeneutica della continuità di Benedetto XVI, a cui anche Lei ha dedicato molto tempo e studio e che molto hanno fatto parlare e scrivere in riferimento al Concilio.
AM: Prima di affrontare il tema vorrei ricordare che per me la conoscenza di questo grande avvenimento ecclesiale in sé e per il mondo (non dico “evento” per ragioni storiografiche che più volte ho già presentate nei miei libri) comprende tre gradini, nessuno dei quali può essere saltato. Si tratta della sua storia, la più obiettiva e fedele possibile, la corretta sua interpretazione (chiamiamola questione ermeneutica) e finalmente la ricezione (accoglienza, accettazione, realizzazione...).
Dirò poi subito che mi servo nel mio procedere di un'opera fondamentale per la presentazione post-Conciliare di Joseph Ratzinger costituita dal vol. VII/2 della di lui Opera Omnia (L’insegnamento del Concilio Vaticano II, L.E.V. 2019, nella sua III Parte -F- dedicata alla “Recezione”, p. 431-586).
AP: Bene, procediamo allora in questa direzione.
AM: Inizio con una Conferenza del Prof. Ratzinger dal titolo “Il Cattolicesimo dopo il Concilio”, rilevando subito qui il mio interesse particolare per la dimensione propriamente cattolica della ermeneutica Conciliare, per la mia profonda convinzione che se essa mancasse ne soffrirebbe non solo la Chiesa Cattolica stessa ma anche il movimento ecumenico, affermazione ampiamente da me fondata in altro luogo (v. Cullmann).
Ma vengo subito al nocciolo della questione, per il prof. Ratzinger, e cioè il fatto che i fedeli sono meno uniti di prima: per alcuni, il Concilio ha fatto ancora troppo poco, si è arenato ovunque nel suo slancio, è risultato un conglomerato di prudenti compromessi, una vittoria della tattica diplomatica sull’impeto dello Spirito Santo che non vuole sintesi complicate ma la semplicità del vangelo; per altri, è invece uno scandalo, un cedimento della Chiesa allo spirito malvagio di un’epoca in cui l’offuscamento del senso di Dio è conseguenza del suo selvaggio attaccamento a ciò che è terreno (p. 433). I suoi termini sono così per me delineati dal teologo in parola già nel '66, che aggiunge: “Qui si può solo cercare di cogliere un po’ più precisamente, in alcuni punti, quel malessere che abbiamo constatato come situazione presente della Chiesa dopo il Concilio, formulando così con maggiore chiarezza il compito impostoci dalla ora presente”. (p. 434)
Mi limito peraltro ad indicare solamente i campi del “malessere”, vale a dire, per primo, “la situazione del rinnovamento liturgico”, “divenuto per molti un segno di contraddizione”, e mi occupo solo qui di alcune citazioni di critica che iniziano con un “E chi potrebbe negare l’esistenza di esagerazione e unilateralità che sono scandalose e non appropriate? È proprio necessario che ogni Messa sia celebrata versus populum? È proprio così importante poter guardare in faccia il sacerdote, o non è più salutare spesso pensare che anche egli è un cristiano fra gli altri e ha tutti i motivi per rivolgersi a Dio insieme a loro e per dire con loro “Padre nostro?” (p. 442). Non continuo con altre osservazioni degne almeno di essere conosciute, visto il tema, ma lascio alla vostra eventuale iniziativa, non tralasciando però un rigo di particolare importanza con l’esortazione a “non dimenticare che celebrare la cena del Signore, per natura sua, significa fare una festa” (p. 444) e che “Esiste una legge della continuità la quale non si può impunemente trasgredire”, cosa che “richiede all'interno della Chiesa un alto grado di tolleranza…, il sopportarsi a vicenda, e la longanimità dell'amore, poiché la liturgia più autentica della cristianità è l'amore” (p.445).
AP: Argomento interessante, potendo sarebbe stato bello approfondirlo. Certo la liturgia è stata ed è uno dei temi più caldi per quello che riguarda il rinnovamento promosso dal Concilio Vaticano II. Io ne ho molto scritto e parlato e devo constatare che il declino della stessa è inarrestabile, sia per quello che riguarda la partecipazione che per quello che riguarda la sua qualità. Ma prego, continui con la sua esposizione.
AM: Un altro campo di “malessere” il Prof. Ratzinger lo racchiude sotto il titolo “Chiesa e mondo”, “ambito in cui si avverte con chiarezza la nuova mentalità del Concilio” (ib.). E qui si attesta che “Contrariamente a ciò che l’ottimismo dell’idea di incarnazione aveva talvolta esplicitamente garantito, c’è nel Nuovo Testamento una chiara precedenza del tema della croce rispetto al tema dell’incarnazione, anzi, la tematica dell’incarnazione è nella Bibbia già di per sé teologia della croce, poiché l’incarnazione già significa darsi di Dio ed è dunque il primo e decisivo passo verso la croce (p. 449). Vi fu qui una semplificazione che “conduce a una teologia della speranza che sembra quasi ai limiti di un ingenuo ottimismo”, la quale divenne “una ragione fondamentale di confusione spirituale che conduce non di rado a un fraintendimento del Concilio” (p. 451). Una cosa comunque va detta a tale proposito, -aggiunge Ratzinger - un rivolgersi della Chiesa al mondo che dovesse rappresentare un suo allontanamento dalla croce non porterebbe a un rinnovamento della Chiesa, ma alla sua fine (ib.). “Detto con altre parole: la fede cristiana è uno scandalo per l’uomo di ogni tempo, lo scandalo che il Dio eterno si occupi di noi uomini e ci conosca, che l’Inafferrabile sia divenuto percepibile nell’uomo Gesù, che l’Immortale abbia patito sulla croce, che a noi mortali siano promesse risurrezione e vita eterna: credere questo è per l’uomo un’impresa sconcertante. Il Concilio non ha potuto e non ha voluto eliminare questo scandalo cristiano. Ma dobbiamo aggiungere: questo scandalo primario, che è ineliminabile se non si vuole eliminare il cristianesimo stesso” (p.452).
L'ultimo campo di malessere è “la svolta ecumenica” (p.454). E anche in questo ambito Ratzinger si domanda “Chi avrebbe osato sperare che sarebbe sorta una ricerca così appassionata delle opportunità di prossimità e di comprensione, una così viva disponibilità a rivedere ciò che fino a quel momento era ovvio e sembrava l’unica cosa possibile, per trovare il modo di superare la pura e semplice richiesta di un ritorno e giungere così alla possibilità di un’unione che non significasse assorbimento, ma incontro reale nella verità e nell’amore del Signore, che sta al di sopra di noi tutti e tutti abbraccia e sostiene? (ib.). Il Teologo così continua: “È naturale peraltro che nella realtà di tutti i giorni queste cose incontrino delle difficoltà...C'è da parte protestante...una certa sfiducia. E c'è naturalmente anche quella fretta ingenua che dichiara esaurita la teologia controversista, che non vuole più vedere nessuna differenza, che banalizza tutto, riportando ogni cosa a puri e semplici malintesi dietro i quali emerge ora d’un tratto la grande intesa di fondo; questa fretta ingenua, troppo semplicisticamente, vede ormai solo il plurale “le Chiese” e dimentica di prendere sul serio l’ardua pretesa per cui la Chiesa cattolica, pur entro l’adozione del plurale, osa e deve osare tuttavia il paradosso di attribuirsi, in un modo unico nel suo genere, il singolare “la Chiesa”. E questo progressismo acritico ridesta poi a sua volta il contraltare, e cioè l’integrismo, che sospetta l’ecumenismo di non essere cattolico e trova tanto più facilmente aderenti quanto più superficialmente viene trattata qua e là la questione ecumenica (p. 455s.). “E così anche qui, la forma concreta della gratitudine deve restare la pazienza. Essa è la forma quotidiana dell’amore, in cui sono presenti al tempo stesso la fede e la speranza” (p. 456).
AP: Già, l’ecumenismo, altro tema caldo del Concilio. Certo sarebbe stato più utile poter parlare di questi temi in modo più pacato rispetto a quello cui siamo stati abituati negli ultimi decenni. Purtroppo l’animosità ha di certo oscurato quello che dovrebbe essere l’obiettivo comune, dell’instaurazione della civiltà Cristiana fra tutti noi.
AM: Altro punto di coagulo significativo per la nostra questione è l'intervento di Ratzinger a partire da una affermazione dell'allora Card. Montini, questa: “A differenza di molti altri Concili, il Vaticano II si riunisce in un momento di tranquillità e di fede ardente della vita della Chiesa”. Ne è titolo “A dieci anni dall'inizio del Concilio: a che punto siamo?” (p. 467- 504).
Ratzinger si domanda invece cosa sia accaduto e si chiede altresì se non sia stato forse il Concilio a generare la crisi, dato che esso non ne aveva nessuna da superare, come Montini aveva attestato. Dopo aver fornito alcuni elementi da considerare, il futuro Cardinale e Papa delinea un cristallizzarsi di due modelli opposti di superamento della realtà: quello neo-positivista e quello neomarxista. In ogni caso il nuovo movimento significa distacco dalla storia e distacco dalla metafisica. Magari su sfondo di una concezione spirituale. “Le asserzioni ed attenzioni del Vaticano II sono potute [così] risultare superate, per essere sostituite prima dall'utopia di un prossimo Vaticano III e poi dai sinodi, che del Vaticano II hanno accettato lo 'spirito' ma non i testi” (p. 469s.).
Ne risultano vari orientamenti, ma faccio cenno qui solo “a quelle forze che hanno propriamente reso possibile e preparato il Vaticano II, ma sono state subito travolte da un’ondata di modernità con cui potevano esser confuse solo per un errore madornale. Si tratta di una teologia e di una pietà che si fondano essenzialmente sulla Sacra Scrittura, sui Padri della Chiesa e sul grande patrimonio liturgico della Chiesa universale. Al Concilio, questa teologia si era adoperata perché la fede attingesse non solo al pensiero dell’ultimo secolo, ma alla grande corrente di tutta quanta la Tradizione, così da rendere quella fede più ricca e più viva, e al tempo stesso anche più semplice e più aperta. Per il momento questo tentativo sembra fallito; esso è rimasto impotente di fronte a più facili programmi che da allora gli si sono sostituiti. Malgrado ciò, crescenti indizi fanno pensare che l’impulso di questa teologia non sia andato a vuoto. Molti sono i sintomi che fanno sospettare una sua ripresa e qui, a mio giudizio, sta la speranza della nostra situazione presente”.(p. 473-474)
AP: Mi sembra che avesse presentato delle osservazioni molto lucide.
AM: Prima di giungere alla successiva questione, in continuità, con il tema “la recezione a dieci anni dall'inizio del Concilio”, desidero ricordare un bouquet di giudizi di valore del Prof. Ratzinger nel rapporto Conciliare Chiesa - mondo, che sono: “il settarismo non può essere accettato, ma non deve nemmeno essere eluso quell'esame di coscienza necessario, specialmente nei riguardi di una sempre maggiore fusione con ciò che si denomina progresso. (p.495-496) Quando lo spirito del Concilio è rivolto contro la sua parola ed è solo vagamente distillato dal processo che va verso la Costituzione pastorale, quello spirito diventa un fantasma e porta all’assurdo. Le distruzioni che ha causato un tale atteggiamento sono talmente evidenti che non ci può essere seriamente discussione al riguardo. Allo stesso modo è divenuto chiaro che il mondo nella sua moderna configurazione non rappresenta più da lungo tempo una realtà unitaria. Il progresso della Chiesa – va detto una volta per tutte – non può consistere in un tardivo abbraccio della modernità: questo ci ha irrevocabilmente insegnato la teologia dell’America Latina, e in questo consiste il diritto al suo grido di liberazione. Se la descrizione critica degli ultimi dieci anni porta a queste conclusioni, se essa fa emergere con chiarezza come sia necessario leggere il Vaticano II per intero, vale a dire orientati ai suoi testi teologici centrali, e non viceversa, allora questa riflessione potrebbe essere fruttuosa per tutta la Chiesa e aiutare al consolidamento con una sobria riforma. Non è la Costituzione pastorale a rinunciare alla Costituzione sulla Chiesa, né questa tanto meno è l’intenzione, presa isolatamente, dei paragrafi iniziali, ma al contrario: spirito del Concilio è in realtà solo tutto l’insieme nella sua giusta centratura. Questo significa che va annullato il Concilio stesso? Assolutamente no. Significa solo che l’autentica recezione del Concilio non è ancora iniziata”. “Certo non possiamo tornare al passato, e nemmeno lo vogliamo. E tuttavia dobbiamo essere disposti a riflettere nuovamente su ciò che, nel mutare dei tempi, è quel che sostiene davvero. Cercarlo in modo fermo e osare senza sconti la follia del vero con cuore lieto mi sembra essere il compito per oggi e per domani: è l’autentico nocciolo del servizio della Chiesa al mondo, la sua risposta alle ‘gioie e alle speranze, alle tristezze e alle angosce degli uomini d’oggi’” (p. 500).
AP: Insomma, mi sembra che tentasse di approdare ad una posizione molto equilibrata in cui non prendeva di certo le distanze dal Concilio ma cercava di prenderle dalle tante interpretazioni in senso progressista che poi, inutile girarci intorno, sono divenute prevalenti. La prego, continui.
AM: Ma siamo ancora “A dieci anni dal Vaticano II” con “Tesi sul tema” (p.501-504) e “Un bilancio del Post Concilio: fallimenti, compiti, speranze” (p.505-522).
Per quell'“unità dell'unico soggetto Chiesa”, parte finale della formula di ermeneutica corretta di Ratzinger, pienamente dispiegata al suo giungere al sommo pontificato, egli attestava che “il Vaticano II oggi sta sotto una luce crepuscolare. Dalla cosiddetta ala progressista, già da molto tempo, è ritenuto completamente superato e di conseguenza come un fatto del passato ormai non più rilevante. Dalla parte opposta, al contrario – come emerge in misura crescente, per esempio, da molti interventi dei lettori del “Deutsche Tagespost” – è ritenuto la causa prima dell’attuale decadimento della Chiesa cattolica ed è giudicato come un rinnegamento del Vaticano I e del Concilio di Trento: è sospettato di eresia. Di conseguenza si pretende la sua revoca o una revisione che equivale alla revoca.
Riguardo a entrambe le posizioni va precisato innanzitutto che il Vaticano II è supportato dalla stessa autorità del Vaticano I e del Tridentino, cioè dal papa e dal collegio dei vescovi in comunione con lui; e che, anche dal punto di vista dei contenuti, si pone strettamente in continuità con i due Concili precedenti e in punti decisivi li riprende alla lettera, tanto che ne vengono ripetute proprio le formule particolarmente caratteristiche e acute: «pari pietatis affectu», «ex sese, non ex consensu ecclesiae». Da qui derivano due tesi:
- a) È impossibile schierarsi a favore del Vaticano II e contro il Tridentino e il Vaticano I. Chi dice sì al Vaticano II, così come esso ha chiaramente espresso e concepito se stesso, dice sì con ciò alla intera vincolante Tradizione della Chiesa cattolica, in particolare anche ai due precedenti Concili.
- b) Allo stesso modo è impossibile schierarsi a favore del Tridentino e del Vaticano I, ma contro il Vaticano II. Chi nega il Vaticano II nega l’autorità che supporta gli altri due Concili e così li annulla a partire dal loro principio fondante. Ogni scelta, in questo caso, distrugge tutto l’insieme, che sussiste solo come unità indivisibile”. (p. 501 s.)
Ma riprendiamo l'analisi di “Un bilancio del Post Concilio” con attenzione iniziale ai primi giorni Conciliari in cui si fece esperienza della reale cattolicità con la sua speranza pentecostale, cosa non più caratterizzante il “post Concilio 50 anni dopo”. Tralasciando noi il resto dell'analisi storica dell'A., egli giunge alla critica evoluzione che è seguita al Vaticano II, la sua situazione di crisi, in cui restano certamente gli effetti positivi del Magno Sinodo (v. la sintesi di p. 509). Essi non impediscono però la costatazione “che il clima nella Chiesa a tratti sia diventato non semplicemente più gelido, ma ormai solo velenoso ed aggressivo e che atteggiamenti di parte lacerino la comunità ...Vedere i fatti non è pessimismo ma obbiettività” (p. 510). Orbene quali le cause e quale la giusta risposta? E come si è giunti all'evoluzione post-Conciliare?
AP: Delle questioni in cui ci dibattiamo da molti, troppi decenni…
AM: La nostra crisi è anzitutto coincisa con quella globale dell'umanità per cui osserviamo, a conferma, che “senza il Concilio la cristianità evangelica ha affrontato una crisi simile”. (p. 511) Inoltre l'esame di coscienza Conciliare fece giungere all'idea di “una Chiesa fondamentalmente e radicalmente peccatrice… il che portò a un'insicurezza riguardo alla propria identità, mentre dovremmo sapere che il pentimento cristiano non significa negazione di se stessi, bensì ritrovarci”. (p. 513) “Ora è necessario -conclude Ratzinger- che si risvegli nuovamente la gioia per l'ininterrotta realtà in essa della comunità di fede che proviene da Gesù Cristo” (p. 514).
Che cosa bisogna dunque fare? Ratzinger si limita a due aspetti importanti, e cioè anzitutto la corretta collocazione e valutazione dei Concili che portano a considerarli “di tanto in tanto come una necessità”, ma che rappresentano sempre una situazione eccezionale nella Chiesa e non possono essere considerati in generale come il modello della sua vita, o addirittura come il contenuto ideale della sua esistenza. I Concili sono una medicina, non un nutrimento. (p. 516)
Il secondo aspetto poi è la “questione [fondamentale] della giusta recezione del Vaticano II” che per il Prof. Ratzinger, nel 1975, non era ancora iniziata. Per semplificare egli fa riferimento a due motivi di fondo del Concilio. Il primo è la collegialità, il procedere insieme, istituendo consessi (v. p. 517). L’idea di fondo è giusta, ma “la loro moltiplicazione incontrollata ha condotto a un eccesso di duplicazioni, a una insensata proliferazione di carte e a un girare a vuoto nel quale le forze migliori si consumano in discussioni infinite che in realtà nessuno vuole ma che, sulla base delle nuove forme, sembrano divenute ineludibili”. [Però] È divenuto evidente che se da un lato c’è la collegialità, dall’altro c’è la responsabilità personale e l’intuizione personale che non può essere sostituita né soffocata. (p. 518) Il secondo motivo, poi, è quello della semplicità, uno dei termini fondamentali della Costituzione sulla Liturgia. A questo riguardo l’A. ricorda che “’l’uomo non comprende solo con la ragione, ma anche con i sensi e con il cuore e che la potatura va distinta dal taglio” (p. 519), ed inoltre “quando la fede si ribalta in un messianismo terreno si tradisce il cristianesimo e si tradisce l'uomo”. “Dall'altra parte vediamo oggi sorgere un nuovo integralismo che solo apparentemente preserva quel che è rigorosamente cattolico, ma in realtà lo distrugge dalle fondamenta” (p. 520).
Alla fin fine “Il giudizio definitivo sul valore storico del Concilio Vaticano II dipende dal fatto che degli uomini siano in grado di sopportare in se stessi il dramma della divisione di grano e zizzania, conferendo in tal modo a tutto l’insieme quella chiarezza che esso non può acquisire solo sulla base delle parole. (p. 521) “L’ultima parola sul valore storico del Vaticano II, nonostante tutto il buono che si trova nei suoi testi, ancora non è stata detta. Se alla fine potrà essere annoverato fra i punti luminosi della storia della Chiesa dipende dagli uomini che tramutano la parola in vita” (p. 522).
AP: Mi sembra che il professor Ratzinger avesse ben visto alcune criticità della situazione della Chiesa.
AM: Altro punto di coagulo del volume si rivela nel successivo “Un programma: 'Communio'” [la rivista], di cui appare il primo numero al principio del 1972 (p. 555-570).
A leggere oggi queste pagine (di Hans Urs von Balthasar), dopo vent’anni, si resta stupiti della loro intatta attualità: quanto lì viene detto mantiene tutta la sua forza anche nell’odierno panorama teologico per cui Ratzinger ne rinfresca la memoria a tutti noi. Qui però non lo potremo seguire passo passo per i limiti di spazio che abbiamo, ricordando però che il nome della rivista racchiude in sé un programma. Mi permetto comunque di citare soltanto alcune forti espressioni Ratzingheriane, le seguenti: “Le prime risultano essere una risposta a quanti pensano che il Vaticano II, con il concetto di ‘popolo di Dio’, ha eliminato l’ecclesiologia gerarchica del Vaticano I sostituendola con una di communio. Orbene “una simile ermeneutica del Magno Sinodo la può concepire unicamente chi si rifiuta di leggerne i testi, oppure chi li ripartisce fra testi progressisti accettabili e inaccettabili testi démodés. Infatti, nel documento del Concilio sulla Chiesa, il Vaticano I e II sono indissolubilmente collegati l’uno al altro; non si può parlare di sostituzione di un’ecclesiologia anteriore errata grazie a un’ecclesiologia diversa e nuova...La Chiesa non ha il diritto di cambiare la fede e di pretendere nel contempo che i fedeli le restino a fianco. I Concili non possono quindi inventare o sconfessare ecclesiologie o altre dottrine. Giacché la Chiesa, come dice il Vaticano II, non sta sopra la Parola di Dio, ma la serve e insegna, quindi, soltanto ciò che è tramandato. L’intelligenza della Tradizione cresce, tuttavia, in ampiezza e profondità, perché lo Spirito Santo amplia e approfondisce la memoria della Chiesa, per «introdurla a tutta la verità» (Gv 16,13). Questa crescita nella «percezione» (perceptio) di quanto è custodito nella Tradizione avviene, secondo il Concilio, mediante la riforma e lo studio dei credenti; mediante interiore intelligenza derivante dalla esperienza spirituale; e mediante l’annuncio di coloro «che con la successione apostolica hanno ricevuto il sicuro carisma della verità” (p. 563). Allora “Se il Concilio Vaticano II ha posto al centro il concetto di communio, non l’ha fatto per creare un’altra ecclesiologia o addirittura un’altra Chiesa, ma perché lo studio e l’intelligenza spirituale dei fedeli proveniente dalla esperienza rendono possibile esprimere la Tradizione in questo o quel punto in modo più completo e comprensivo”. (p. 564)
AP: In effetti quella tentazione de “l’altra Chiesa” sembra sempre più viva e presente nei recenti dibattiti ecclesiali.
AM: Prima della Parte G di questo volume dell’Opera Omnia, composta di “Recensioni e Prefazioni”, in cui segnalo con pietra bianca quella sul volume di Leo Scheffczyk dal titolo “La Chiesa. Aspetti della crisi postConciliare e corretta interpretazione del Concilio Vaticano II” (p. 615-618), - dove si esprime la posizione ermeneutica con la quale mi identifico di più (v. Agostino Marchetto, Per una corretta interpretazione del Concilio Vaticano II. A proposito di un recente volume (di Leo Scheffczyk) in “Chiesa e Papato, nella storia e nel diritto. 25 anni di studi critici, L.E.V., 2002, p. 325-330) -, troviamo – dicevo – un Omaggio al Card. Koenig, per il suo novantesimo genetliaco, intitolato “La responsabilità della Chiesa e il mondo in questo tempo” (è un'Omelia sul “Cristocentrismo del Concilio Vaticano II” o dell'attualità del Cristianesimo, con bellissimo “apologo” finale) e “L'Appello alla giustizia”, pure del genere omiletico, sull’eredità della Gaudium et Spes quarant’anni dopo.
- Francesco e la sinodalità
AP: Nell’ultimo decennio assistiamo al Pontificato di papa Francesco, e se è vero che è amato da alcuni, è anche vero che è non amato affatto da altri. Lei lo conosce, lo frequenta. Le lascio volentieri la parola.
AM: Sono passati dieci anni dalla prima Esortazione apostolica, pubblicata alla chiusura dell’Anno della Fede, da Papa Francesco, e consacrata all'annuncio del Vangelo nel mondo contemporaneo. Il suo titolo? "Evangelii Gaudium", la Gioia dell’Evangelo ne fa un testo programmatico del Pontificato francescano.
In diretta continuità spirituale con Paolo VI, il Papa vi sviluppa alcune idee forza come la Chiesa in uscita, l'inculturazione della fede, meglio, la sua incarnazione, assieme alla dimensione sociale della Buona Nuova, e ancora la rivoluzione della tenerezza, nella speranza di indicare a tutti le strade per "ritrovare la freschezza originale del Vangelo".
In questo testo, che invita a una Chiesa missionaria "decentrata" da se stessa, il Papa si è basato, fra l'altro, sul contributo offerto dai lavori del Sinodo sulla "nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana" che si era svolto in Vaticano dal 7 al 28 ottobre 2012.
Rilevo a tale proposito che Papa Francesco scrive: "L'annuncio del Vangelo nel mondo di oggi continua a esigere da noi una resistenza profetica contro-culturale all'individualismo edonista pagano".
Ecco qui un appello alla conversione pastorale e missionaria indissociabile dalla gioia, alla quale il Papa ha dedicato qualche catechesi alla fine del 2023 consacrato alla "passione per l'evangelizzazione", lo zelo apostolico del credente, in occasione delle udienze generali del mercoledì, perché "senza zelo apostolico la fede appassisce. La missione è l'ossigeno della vita cristiana: essa la tonifica e la purifica" (meditazione del 11 gennaio).
Seguendo ora qualche pista offerta da Mons. Rino Fisichella, Pro-Prefetto del Dicastero per la Evangelizzazione, che ha accompagnato da vicino il rinnovamento portato dal messaggio francescano, grazie a una intervista sulla eredità e sulla attualità del "Evangelii Gaudium", direi che anche l'ultimo Sinodo, da poco concluso nella sua penultima fase, attesta che non possiamo delegare l'evangelizzazione. Ciascuno è responsabile del suo battesimo, della sua vocazione e responsabile di viverla ovunque, in famiglia, parrocchia e società, passando per i movimenti e le comunità. Tutto quel che appartiene alla grande famiglia della Chiesa diventa una catechesi che annuncia l'Evangelo. L'evangelizzazione non può arrestarsi alle strutture, ma deve incontrare il cuore delle persone e deve, là, suscitare la forza della fede, della speranza e dell'amore.
Vorrei ora peraltro dare una qualche indicazione della “metamorfosi”, o “fluidità”, della sinodalità dal Vaticano II a oggi, del suo concetto, se così si può dire, domandandomi, a vostro beneficio, se è cambiato nel tempo il senso di questo termine. Affrontò già tale questione un illustre canonista, C. Fantappiè, nel saggio "Metamorfosi della Sinodalità, dal Vaticano II a papa Francesco".
L’Autore – si capisce – ricostruisce anzitutto una storia dello stile sinodale del procedere nella Chiesa Cattolica, ricordando, K. Rahner, Y. Congar, R.M. Tillard e H. Legrand. Sono autori ai quali diedi, pure io stesso, forte attenzione anche perché non sempre li trovai consonanti con l’altro polo della relazione, e cioè il primato. Per l’interessato lettore basterà consultare fondamentalmente due miei volumi, dal titolo Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Contrappunto per la sua storia, pp. 17-50, 270, 346, 353, e Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Per la sua corretta ermeneutica, voce Sinodo dell’Indice, p. 377. Il concetto che ci interessa risulta così confermato come intrecciato, nel tempo, a “doppio filo”, con i termini “collegialità” e “Conciliarità” non potendosi poi dimenticare come la stessa pratica sinodale debba far fronte altresì agli attuali dibattiti sulla democrazia rappresentativa, diciamo così. E qui l’autore pone un interrogativo fondamentale anche per noi, e cioè: «con la nuova sinodalità Papa Francesco si propone di rispondere alla attuale crisi sistemica della Chiesa mediante una nuova e più radicale forma di ricezione del Vaticano II, oppure intende attuare il transito di una 'Chiesa gerarchica' a una 'Chiesa sinodale' in stato permanente, e quindi modificarne la struttura di governo facente perno da un millennio sul Papa, sulla Curia romana e sul Collegio cardinalizio?»
«In seno a queste pagine -possiamo leggere su un commento al saggio in parola - non vengono dimenticati tentativi di ricerca di una nuova “sinodalità” impressa nel Post-Concilio da Giovanni Paolo II e dal suo successore Benedetto XVI, come viene ribadita l’importanza di salvaguardare il senso della fede della gente semplice e di custodire, da parte dei vescovi, il carisma che è lo specifico del loro ministero: cioè quello di «vegliare (episkopéin) a che tutto avvenga per il maggior bene della comunione». E proprio oggi (29/11/23) il Card. Grech, in un discreto messaggio ai Vescovi europei CCEE, riuniti a Malta, affronta il tema del ruolo del Vescovo in una Chiesa sinodale.
Ma ancora Fantappiè sposa la tesi... di Hervé Legrand che in fondo la sinodalità non si improvvisa. Per realizzarla sono necessarie regole, principi, pesi e contrappesi, per garantire a tutti i partecipanti le “informazioni necessarie” per prendere in fondo delle “decisioni realistiche”. Che caduta di stile! Mi si permetta di esclamare. Non nego la necessità di essere realisti, ma secondo Dio e il mistero pasquale, non dimenticando che la caratteristica essenziale deve essere la combinazione di sinodalità e primato, affinché ci sia vera sinodalità. La mancanza del rilievo di questo punto manifesta quello che rimane il problema ecclesiale oggi, di mettere cioè insieme, “zusammen”, essenziale anche per la sinodalità, affinché sia cattolica e altresì per la corretta ermeneutica del Concilio Vaticano II.
Mi permetto qui di ricordare che pure noi, al Pontificio Consiglio di Pastorale della mobilità umana, nella Istruzione Erga Migrantes Caritas Christi, affermavamo che essa non comportava solo l'accoglienza ma bisognava giungere ad instillare una cultura dell'accoglienza.
Naturalmente va tenuto presente anche la odierna Sitz im Leben, la situazione in cui ci troviamo per far valere la luce che si sprigiona ancora da Evangelli Gaudium. "Il Papa usa la parola gioia ogni giorno, e la pensa come contenuto fondamentale della fede e noi non possiamo dimenticare che annunciamo questa buona novella". Mons. Fisichella a questo punto ricorda un testo del primo secolo in cui si asserisce: "La preghiera dell'uomo triste non raggiunge l'altare di Dio" perché "non si può essere tristi davanti a Dio. Ciò significherebbe infatti non avere speranza. Invece è là la certezza che Dio ci ama. Certamente bisogna vedere il dolore, la sofferenza, il dramma causato dagli avvenimenti di violenza, ma tutto ciò deve essere superato dalla gioia nel senso spirituale del termine, dell'intimo, non dalla gioia come sentimento. La gioia dà serenità, e offre la certezza della presenza del Santo Spirito in ciascuno di noi".
Nell'intervista a cui ci riferiamo si fa anche la domanda in che discendenza più larga si inserisca questa "passione del Papa per l'evangelizzazione". E troviamo quel che anche noi pensavamo, e cioé l'esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi" (8 dicembre 1975) di Paolo VI, tante volte citata e lodata da Papa Francesco. Vi si dice, per es., che "la Chiesa esiste per evangelizzare". "Se non c' è evangelizzazione non c' è Chiesa. Essa è la prima mediazione della evangelizzazione, dell'annuncio della Buona Novella del Vangelo che è la Risurrezione".
Ricordiamo pure che l'ultima sezione della Evangelii Gaudium é dedicata alla dimensione sociale della evangelizzazione. Noi siamo abituati ad ascoltare la Parola di Dio che ci invita ad "annunziare l'Evangelo ai poveri". Il Papa, Lui, ci dice: "i poveri ci evangelizzano". Non è una contraddizione, ma la volontà di mostrare che i poveri ci danno la possibilità di andare alla essenza stessa della verità del Vangelo.
- Il Concilio e una Chiesa divisa
AP: Attraverso il discorso sulla sinodalità mi pare saggio ritornare al tema del Concilio per constatare che comunque, come veniva detto anche in testi da Lei citati, ci troviamo di fronte ad una Chiesa molto divisa, specialmente negli ultimi anni di questo Pontificato. Lei come vive tutto questo?
AM: D'inizio varrà fare memoria del pensiero di Newman, quello che considera la Chiesa, come ogni organismo vivente, in continua crescita, all’interno e all’esterno, pur rimanendo sé stessa. Orbene, un tale sviluppo, di certo, implica molteplici problemi, che riguardano la dottrina, il culto, la morale, la disciplina e l’apostolato. In genere – come si sa – alla loro soluzione provvede il Magistero (l’insegnamento) ordinario dei Pastori, coadiuvato dai teologi uniti a tutto il Popolo di Dio, in comunione con essi.
A volte, peraltro, la complessità della materia o la gravità delle circostanze storiche suggeriscono interventi straordinari. Tra questi sono da considerarsi i Concili, i quali promuovono, nella fedeltà alla Tradizione, lo sviluppo dottrinale, le riforme liturgiche e disciplinari e le scelte apostoliche, in considerazione altresì delle esigenze dei tempi (i famosi “segni dei tempi”, che non costituiscono però una nuova Rivelazione). I sinodi risultano essere, in tale prospettiva, le pietre miliari del cammino della Chiesa nella storia e purtroppo anche testimonianze di divisioni e separazioni. Credo non ci sia bisogno di illustrarveli qui, perché l'opinione al riguardo è diffusa: viviamo in una Chiesa i cui membri appaiono divisi in tante cose e opinioni e credenze e opposizioni, anche dopo il Vaticano II, o -alcuni anche lo dicono- proprio per sua causa. Non ci meravigliamo, perché la storia è fatta pure di dolori, ma almeno dobbiamo cercare di attenuare questa situazione, di essere fattori di comunione e unità.
Contemporaneamente (è forse un aiuto?) ecco ora nascere il pensiero che la sinodalità non sia espressione soltanto di un evento episodico nella vita della Chiesa ma la permei tutta, trasformandola in sinodale, e così si domanda che il Popolo di Dio “cammini insieme”, in consenso sinodale, come espressione de “la Cattolica”, per noi “incarnazione” del combinarsi di Tradizione e rinnovamento come avvenne al Magno Sinodo Vaticano nei suoi testi e nel suo spirito.
Ricordiamo comunque l’opportunità e l’importanza e la necessità di raggiungere il consenso, come giusto modo di procedere Conciliare e sinodale, per superare i contrasti. La sua assenza, o carenza, sono, infatti, un qualcosa che si deve poi “pagare” a caro prezzo, come insegna la storia. Di fatto l’esempio di molti Concili importanti – da quello di Calcedonia al Vaticano II, passando per il Concilio di Trento ‒, che si sono preoccupati faticosamente di raggiungere il consenso, è una testimonianza della sua grande importanza e del suo carattere di segno, soprattutto nel senso che la verità non viene “decisa” (mediante votazione), ma “attestata” (dal consenso).
E qual è il cammino per raggiungerlo se non quello del dialogo? Conoscendo la ricchezza e le contraddizioni della cultura moderna, le aspirazioni, le speranze, le gioie e le tristezze, le
delusioni e le difficoltà dell’uomo contemporaneo, Paolo VI, seguendo l’interiore impulso di carità, cercò quindi di calarsi in esse.
Egli fu assiduo banditore e promotore del dialogo con tutti gli uomini di buona volontà: con i cristiani separati, con i non cristiani, con i non credenti. «La Chiesa – attestò – deve venire
a dialogo con il mondo in cui si trova a vivere; la Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio». Egli, in seguito, affermò espressamente: «A noi specialmente,
pastori nella Chiesa, incombe la cura di ricercare con audacia e saggezza, in piena fedeltà al suo contenuto, i modi più adatti e più efficaci per comunicare il messaggio evangelico agli uomini del nostro tempo».
Trattasi del dialogo della salvezza, che incontra la sua origine trascendente nell’amore stesso di Dio. Ne sono caratteri la chiarezza, la mitezza, la fiducia e la prudenza. «Nel dialogo, così condotto, si realizza l’unione della verità con la carità, dell’intelligenza con l’amore».
Percepisce chi ci legge, tutti i legami che qui vi sono, parlando di sinodalità, con il Vaticano II, con il suo procedere, con il primato, con la collegialità, con la ricerca di un dialogo all’interno anche della Chiesa Cattolica, con la procura costante e fervida del consenso, con il desiderio continuamente rinnovato, e attuato, affinché rinnovamento e Tradizione dialoghino tra di loro e ci sia una saldatura tra l’antico e il nuovo? Tra sinodalità, il procedere insieme, collegialità e primato? Il Vaticano II si trovò a sancire l’avvenuto sviluppo teologico e a tradurlo nella azione pastorale, in risposta alle esigenze dei tempi, nella continuità della dottrina.
A questo proposito non posso tralasciare almeno di citare due mie pubblicazioni edite assieme al Prof Angelo Federico Arcelli, dal titolo "RIFLESSIONI per un dialogo intraecclesiale" e "DIALOGO. Riflessioni aperte in una fase di transizione". Impegnato nella stessa linea fu un mio dialogo con il Prof. Leo Declerck, non proprio sulle mie posizioni nell'ermeneutica del Vaticano II, ma con il quale il dialogo ha portato i suoi frutti (v. Leo Declerck, "Vatican II: Concile de transition et de renouveau..." e il mio "Concilio Ecumenico Vaticano II. Archivio della Segreteria di Stato", Sommario a cura di A. Marchetto, p. 7-16)
Ma intanto ci è stato consegnato l’Instrumentum laboris sinodale che è «il frutto di questi due [ultimi] anni, ma non vuole essere la bozza di un documento finale». Lo attesta, fra altre precisazioni utili che qui appresso riporto, Padre G. Costa, Consultore della Segreteria generale del Sinodo, in un’intervista rilasciata ad «Avvenire» del 23 giugno 2023. Egli non è rimasto anzitutto sorpreso che “i media” («era prevedibile») si sarebbero interessati ai temi più “pruriginosi”, che non costituiscono però il nocciolo del documento. «Il documento poi è quello che è, “uno strumento di lavoro”», un sussidio pratico che aiuterà l’Assemblea di ottobre «anche ad affrontare, a livello di Chiesa universale, questioni riguardo alle quali, pur desiderando tutti essere fedeli al Vangelo, fatichiamo a trovare una strada che permetta non solo di riconoscere e rispettare le differenze (di cultura, spiritualità, comprensioni ecclesiali, ecc.), ma anche di procedere insieme come unica Chiesa di Cristo».
D’altra parte, l’Instrumentum laboris «non è una ricetta già pronta, pur essendo questo un sinodo metodologico, che però investe contenuti concreti. Esso non è un sinodo sulla sinodalità, ma sulla Chiesa sinodale, su quale stile dobbiamo adottare per camminare insieme, cercando di riconoscere la presenza dello Spirito anche in posizioni differenti dalla propria».
Ma, aggiunge l’intervistatore (G. Cardinale), giustamente, «comunque l’elenco delle domande è infinito...» E Padre Costa risponde candidamente che in realtà «gli interrogativi fondamentali sono tre». E li riferisco per non scoraggiarci di fronte alla... marea. «Il primo: come crescere nel camminare tutti insieme, nella accoglienza – di tutti senza esclusioni – e nella ospitalità reciproca. Il secondo: come valorizzare il contributo di ciascuno – anche delle donne – per la missione di annuncio del Vangelo, che è un compito di tutti i battezzati, non solo di sacerdoti e consacrati. Il terzo: come articolare partecipazione e servizio dell’autorità in questa Chiesa sinodale. Tutte le altre domande presenti nel testo servono ad aiutare a collegare questi tre interrogativi alla vita concreta della Chiesa nelle diverse parti del mondo... E questo non si può fare con i documenti, ma lavorando insieme. In ogni caso il Sinodo non è un cavallo di Troia per arrivare a chissà quale rivoluzione». A questo punto G. Cardinale domanda: «Quindi la sinodalità non va a scapito della collegialità episcopale?» «Assolutamente no – è la risposta- anzi l’autorità dei Pastori ne esce riconosciuta e rafforzata in una prospettiva evangelica».
Pur non potendo dilatarmi sull’approfondimento di questa fase appena terminata del Sinodo in corso, almeno debbo citare Il volume apparso di "Sinodo 2021, 2024. Per una Chiesa sinodale: comunione/ partecipazione/ missione. Il PROCESSO SINODALE DOCUMENTI, con l'intervista dal titolo: "Ecco l'eredità del Sinodo" ("Avvenire" 25/XI/23) su questa penultima sua fase, di don Bozzolo, e il rimando a un'altra, mia, al National Catholic Register del 29/10/23/, con il riassunto che se ne fece, il seguente: "We can't subvert the doctrinal and moral tradition of the Church to please the world: We look at the cross of Christ -glorious, yes, but a cross nonetheless...". Ciò trovo ora in linea con il discorso del Papa ai membri della Commissione Teologica, il 30/11/23, con forte richiamo di riferimento al Vaticano II "che tuttora guida il nostro cammino ecclesiale" grazie a queste impegnative parole: "Oggi siamo chiamati a dedicarci con ogni energia del cuore e della mente a una «conversione missionaria della Chiesa» (Evangelii gaudium, 30). Essa risponde alla chiamata di Gesù a evangelizzare, fatta propria dal Concilio Vaticano II, che tuttora guida il nostro cammino ecclesiale: lì lo Spirito Santo ha fatto sentire la sua voce per i nostri tempi. Il Concilio ha enunciato il suo proposito proprio affermando che «desidera ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura, illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo» (Lumen gentium, 1). E, come ha osservato la vostra Commissione, «la messa in atto di una Chiesa sinodale è presupposto indispensabile per un nuovo slancio missionario che coinvolga l’intero Popolo di Dio» (La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, 9): uno slancio missionario che sappia comunicare la bellezza della fede".
Mi spiacerebbe, in questo mio tentativo di presentazione della Chiesa sinodale, tralasciare almeno di segnalare brevemente anche un denso e critico intervento di R. Cristiano, per il quale «il pontificato di Francesco si avvicina a uno dei momenti decisivi» poiché «il sinodo di ottobre si occuperà di come rendere sinodale tutta la Chiesa» e nel documento di lavoro appena pubblicato emergono domande, pure con certezze, e anche ulteriori domande. In questo contesto, l’Autore cita due temi che gli sembrano più scottanti, cioè «come possiamo far risuonare una voce profetica nello svelare le cause del male senza frammentare ulteriormente le nostre comunità?» e «come possiamo diventare una Chiesa che non nasconde i conflitti e non ha paura di salvaguardare spazi per il disaccordo?»
Tralascio ogni commento a un giudizio che non trovo storicamente fondato, andando agli inizi della vita della Chiesa e dimenticando il da lui chiamato paradigma romano, di epoca medievale, formulando altresì le seguenti domande: in che modo va esercitato il servizio dell’unità affidato al Vescovo di Roma quando istanze locali dovessero assumere atteggiamenti fra loro difformi? Quali spazi vi sono per una varietà di orientamenti tra regioni diverse?
Credo che la comunione gerarchica su questo punto, per la Chiesa Cattolica, dovrà continuare a essere la base delle risposte a tale proposito anche della Chiesa sinodale e mi riferisco allo stesso titolo da me dato, a questo saggio, prendendone lo spunto dal recente documento cattolico-ortodosso, col titolo "Sinodalità e Primato. "et...et" ancora una volta è la risposta.
AP: Grazie Eminenza, e che Dio ci aiuti.
Sua Eminenza Agostino Marchetto è nato a Vicenza il 28 agosto 1940. Entrato nel Seminario della Diocesi di nascita, fu ordinato presbitero il 28 giugno 1964. Eletto Arcivescovo titolare di Astigi (Ecija, in Andalusia) e Nunzio Apostolico il 31 agosto 1985, riceve nella Cattedrale di Vicenza l’ordinazione episcopale presieduta dal conterraneo Cardinale Sebastiano Baggio il 1° novembre 1985. Creato cardinale diacono, del titolo di Santa Maria Goretti, il 30 settembre 2023.
Come membro del corpo diplomatico pontificio ha servito in vari incarichi nelle nunziature in Zambia e Malawi, Cuba, Algeria, Tunisia, Marocco e Libia, Portogallo, Zimbabwe e, poi, come Capo Missione o Nunzio Apostolico, in Mozambico, Madagascar, Mauritius, La Réunion, Mayotte, Isole Comore, Tanzania e Bielorussia. E’ poi stato Nunzio Apostolico a disposizione della Segreteria di Stato, e quindi Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Organizzazioni e gli Organismi delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (F.A.O., I.F.A.D., P.A.M.). Dal 6 novembre 2001 è stato Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, mantenendo l’incarico per circa un decennio fino al 25 agosto 2010, quando Papa Benedetto XVI ne accettò la rinuncia per raggiunti limiti di età.
È storico conosciuto e fecondo di opere specialmente sul Concilio Ecumenico Vaticano II, nonché studioso della sua “ermeneutica della riforma e del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto Chiesa”. Il Santo Padre Francesco ha definito pubblicamente e per iscritto mons. Marchetto come «il migliore ermeneuta del Concilio Vaticano II». Lo stesso Sommo Pontefice, in data 13 settembre 2014, lo nomino' membro della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.”.
Le più citate pubblicazioni di Agostino Marchetto
- Chiesa e papato nella storia e nel diritto. 25 anni di studi critici, Libreria Editrice Vaticana, 2002;
- Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Contrappunto per la sua storia, Libreria Editrice Vaticana, 2005 (tradotto in inglese e spagnolo e, parte, in francese e in russo);
- (con Walter Brandmüller e Nicola Bux), Le «chiavi» di Benedetto XVI per interpretare il Vaticano II, Edizioni Cantagalli, 2012;
- Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Per una sua corretta ermeneutica, Libreria Editrice Vaticana, 2012;
- Primato pontificio ed Episcopato dal primo millennio al Concilio Ecumenico Vaticano II. Studi in onore dell'Arcivescovo Agostino Marchetto, a cura di J. Ehret. L.E.V. 2013;
- Chiesa e migranti. La mia battaglia per una sola famiglia umana, Intervista con Marco Roncalli. La Scuola SEI, 2014;
- Nel tunnel della speranza. La terapia antitumorale. Ed. Camilliane 2000
- La libertà religiosa tra Stato e Chiesa, con D. Trabucco. Edizioni Solfanelli, 2014;
- Riflessioni a 50 anni dal Concilio Vaticano II, con Giovanni Parise, Solfanelli 2016.
- La Riforma e le riforme nella Chiesa. Una risposta, Libreria Editrice Vaticana, 2017;
- Giovanni Paolo II. Il Papa della famiglia, Edizioni Solfanelli, 2020;
- Il diario conciliare di Mons. P. Felici. Addendum L.E.V. 2017;
- Il "Diario" conciliare di Mons. Pericle Felici, a cura di Agostino Marchetto, con base su opera incompiuta di Vincenzo Carbone.
Pubblicazioni recenti:
MARCHETTO, A. F. ARCELLI, Riflessioni per un dialogo intraecclesiale, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ), 2021.
MARCHETTO (a cura di),Concilio Ecumenico Vaticano II. Archivio della Segreteria di Stato. Sommario, Marcianum Press, Venezia 2022.
MARCHETTO, Ancora sul Vaticano II. Studi storici ed ermeneutici in tempo di lockdown, Marcianum Press, Venezia 2021.
MARCHETTO, A. F. ARCELLI, “COMMUNION”. “Reflections for an intraecclesial dialogue”, CLE, 2021.
MARCHETTO, A. F. ARCELLI, Dialogo. Riflessioni aperte in una fase di transizione, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ), 2023.
MARCHETTO, A. F. ARCELLI, Dialogue, CLE, 2023.
Il M° Aurelio Porfiri è compositore, direttore di coro, educatore ed autore. Nato a Roma, ha vissuto per molti anni in Asia dove ha insegnato a livello universitario e di scuola secondaria. Le sue composizioni sono pubblicate in Italia, Cina, Stati Uniti, Francia e Germania.
Ha pubblicato più di 60 libri, alcuni dei quali tradotti in varie lingue, e numerosissimi articoli che spaziano su vari temi come la liturgia e la musica sacra, la Cina, questioni attuali della Chiesa cattolica e altro.
La rivista americana Inside the Vatican lo ha inserito tra le 10 persone più influenti dell’anno 2021.
Tra le sue numerose pubblicazioni ricordiamo Cantiamo il tuo nome (2007, Centro eucaristico), Abisso di luce (2010, Edizioni san Paolo), Il canto dei Secoli (2013, Marcianum Press), Uscire nel mondo (Chorabooks, 2019), The Catholic Mass (con Mons. Athanasius Schneider, 2022, Sophia Institute Press).