Rassegna stampa formazione e catechesi

Quell'«ignobile macchia» agli albori del Reich

Il 5 e il 6 marzo si svolgerà all'École française de Rome il seminario internazionale "Le gouvernement pontifical sous Pie xi:  pratiques romaines et gestion de l'universel". Pubblichiamo stralci di una delle relazioni.

di Thomas Brechenmacher
Università di Potsdam
Cesare Orsenigo (1873-1946) succedette a Eugenio Pacelli come nunzio apostolico presso il Reich tedesco a Berlino nell'aprile 1930. In precedenza, il 25 giugno 1922 era stato ordinato vescovo titolare di Ptolemais, e già nel luglio seguente aveva assunto l'incarico di internunzio nei Paesi Bassi - senza neppure aver ricevuto delle istruzioni relative alle sue nuove mansioni, e neppure la necessaria preparazione linguistica. Ciononostante dovette svolgere i suoi compiti in un modo soddisfacente per il Papa, se nella primavera del 1925 era stato nominato nunzio apostolico in Ungheria, per passare cinque anni dopo all'importante sede di Berlino.
A paragone dell'opera del suo predecessore in Germania, Eugenio Pacelli, il diplomatico modello formatosi presso la curia, Orsenigo non raggiunse neanche lontanamente gli stessi livelli. Evidentemente bastavano la fiducia e la personale stima di Pio XI per affidare all'inesperto amico, conosciuto a Milano, delle missioni diplomatiche di tale importanza.
Nella ricerca storiografica prevalgono i giudizi critici e negativi su Cesare Orsenigo nunzio a Berlino, anche se si riconosce in linea di massima che il suo compito fu assai difficile. Si dice che egli spesso non mostrò sufficiente rigore nelle trattative, abbandonando troppo facilmente le posizioni della Chiesa pur riconoscendo che il fallimento della sua missione non era dovuto alla sua incapacità, ma al vigore della ferma politica antiecclesiastica condotta da partito e Stato sotto la guida di Hitler.
Con l'apertura degli archivi vaticani per il periodo del pontificato di Pio XI (1922-1939) la situazione è cambiata profondamente. Ora il fondo dei rapporti di Orsenigo è consultabile per intero - almeno fino alla primavera del 1939. In questa maniera si può ricostruire un complesso flusso di informazioni di cui fanno parte, accanto ai rapporti del nunzio, anche le istruzioni della segreteria di Stato e del suo responsabile, Eugenio Pacelli, a Orsenigo, le rispettive corrispondenze intrattenute dal nunzio e da Pacelli con altri uffici curiali, come pure le relative carte interne alla stessa segreteria.
Per gli anni finora accessibili dal 1930 al 1939 si conservano nell'archivio vaticano circa 1.500 rapporti di Orsenigo. Insieme alle altre carte rilevanti in questo contesto, in particolare le lettere scritte da Pacelli a Orsenigo, il materiale ammonterà complessivamente a circa 2.000 unità - e ulteriori 2.000, se si considera anche il periodo fino al 1945. La prima parte dell'edizione, qui pubblicata e corredata di dettagliati commenti, copre l'intero anno 1933.
Le corrispondenze di Orsenigo - e del suo collaboratore, l'uditore Carlo Colli - si rivelano straordinariamente dense in tutti gli anni; durante le fasi politiche particolarmente esplosive - come ad esempio nel periodo della "presa di potere" da parte dei nazionalsocialisti tra gennaio e aprile 1933 - Orsenigo scriveva o telegrafava talvolta ogni giorno a Roma. I suoi rapporti documentano la fine della Repubblica di Weimar e la storia della dittatura nazionalsocialista dall'angolo visuale degli interessi e delle percezioni specifici di un diplomatico curiale, mentre risalta la sua provenienza dalla cura pastorale orientata verso l'azione caritativa e la politica sociale. Tuttavia il nunzio esaminava in dettaglio non solo le tematiche di diretta rilevanza per la Chiesa - concordato, lotta tra Stato e Chiesa, questione scolastica, assistenza giovanile, processi per illeciti valutari e per atti contro la moralità, assegnazione di sedi vescovili e così via - ma anche le grandi questioni politiche del tempo - nazionalsocialismo e comunismo, crisi economica, instaurazione della dittatura, antisemitismo e persecuzione degli ebrei, politica estera tedesca.
I rapporti di Orsenigo costituivano evidentemente solo una delle basi decisionali importanti per la politica della Santa Sede nei confronti della Germania nazionalsocialista. Difficilmente potrà essere mantenuta l'ipotesi secondo cui il nunzio fosse "isolato"; dall'altra parte si desumono dai rapporti in tutta chiarezza il ruolo che gli era stato assegnato, e i limiti che gli erano stati posti. Diversamente da Pacelli, Orsenigo non fu mai un attore politico, e mai pretese di rivestire una tale posizione. Egli fu il portavoce della Santa Sede; fu anche suo corrispondente - ma non l'unico in quanto il segretario di Stato Pacelli si era creato, durante la sua lunga permanenza in Germania, una serie di contatti personali che evidentemente continuava a utilizzare, e di cui i suoi stretti rapporti con i vescovi Faulhaber e Preysing costituiscono solo gli esempi più noti.
Tenuto conto della personalità del nunzio e della struttura specifica dei suoi compiti, i rapporti di Orsenigo da Berlino rappresentano una fonte che copre quasi senza lacune un periodo di 15 anni tra i più decisivi per la storia del XX secolo; senza l'approfondita conoscenza di questo materiale non sarà più possibile esprimere un giudizio scientificamente fondato sul rapporto tra la Santa Sede e la Germania nazionalsocialista. Determinante per lo studio di questa fonte sarà però la constatazione che soprattutto all'inizio le valutazioni degli avvenimenti oscillavano fortemente, e che il nunzio e i vertici del Vaticano giungevano solo lentamente a una corretta analisi del nazionalsocialismo.
Proprio durante le vicende turbolente del 1933 il nunzio era spesso costretto a mandare rapidamente a Roma informazioni e considerazioni sulla situazione. In questo contesto gli errori non erano pochi, come quando in un rapporto sull'orientamento elettorale dei cattolici relativo alle elezioni del 5 marzo 1933 Orsenigo sopravvalutò di circa 1, 5 milioni il numero dei cattolici votanti per i nazionalsocialisti. Solo chi terrà conto del fondo complessivo dei rapporti, constaterà che vi si alternano, soprattutto durante la prima fase del regime nazionalsocialista, giudizi pertinenti e sbagliati, informazioni vere e false, valutazioni basate su una grande sensibilità psicologica e riflessioni che mancano l'obiettivo. Una chiara posizione nei confronti del regime doveva ancora formarsi e non era affatto scontata inizialmente. Affermazioni come quella di Orsenigo dell'11 aprile 1933, secondo cui la storia del nazionalsocialismo svoltasi fino a quel momento non era stata priva di qualche benemerenza, non vanno interpretate quale consenso di fondo del nunzio al regime, e lo stesso discorso vale per il testo originario della sua prolusione del capodanno 1934 che Pacelli gli restituì con l'istruzione di scegliere magari un tono un po' meno euforico.
I rapporti di Orsenigo contengono dall'altra parte valutazioni della situazione di grande perspicacia, a dimostrazione che il nunzio imparava progressivamente a riconoscere e comprendere il vero volto del nazionalsocialismo. Orsenigo criticò apertamente la svolta dei vescovi tedeschi dopo la dichiarazione governativa pronunciata da Hitler il 23 marzo 1933. Egli ritenne precipitosa la parziale rinuncia alla posizione di inconciliabilità dei principi cattolici con l'ideologia nazionalsocialista; tale concessione era avvenuta senza trattative, e senza la sicura prospettiva di ottenere qualcosa in cambio:  "Forse si poteva, e si doveva - a mio avviso - esigere (...) qualche impegno preciso circa la libertà delle organizzazioni cattoliche, ma l'Episcopato ha preferito formulare la sua dichiarazione - piena di speranze - senza prendere alcun contatto, neppure segreto, col Governo:  mancata così ogni trattativa, non era possibile pensare a concessioni a titolo di contra-partita".
Nel rapporto dell'11 aprile 1933, in cui Orsenigo riconobbe ancora delle benemerenze al nazionalsocialismo, egli aggiunse sul tema dell'antisemitismo:  "Purtroppo il principio antisemita fu accettato e sanzionato dall'intero Governo, e questo fatto purtroppo resterà come un'ignobile macchia proprio sulle prime pagine della storia (...) che sta scrivendo il nazionalsocialismo germanico!".
Sull'antibolscevismo dei nazionalsocialisti Orsenigo si espresse il 14 settembre 1935 nel contesto della sua relazione sul congresso nazionale del partito nazionalsocialista, svoltosi il 1935 a Norimberga:  "Questo Congresso, che pare tenda a suscitare in ogni nazione una guerra senza quartiere al bolscevismo, facendone responsabili solo i giudei. Questi discorsi, ricchi di numeri, di nomi e di fatti, producono sul popolo tedesco, data la sua speciale mentalità inclinata all'indagine, al calcolo e alla statistica, un'impressione profonda e anche terribilmente eccitatrice. Non è a meravigliarsi, se la caccia antisemita riprenderà, dopo il Congresso, con maggior ardore. D'altra parte essa viene così abilmente legittimata agli occhi del popolo dall'accusa di bolscevismo, che qui torna difficile trovare un tedesco non semita, che osi disapprovarla completamente".
Tre giorni dopo, il 17 settembre 1935, Orsenigo adoperò tra l'altro queste parole per inquadrare il discorso che Hitler aveva tenuto durante il congresso:  "Il discorso [di Hitler] tenuto lunedì sera (...) è una esposizione di una strana, per non dire irriverente, filosofia della storia del popolo tedesco considerato anche nei suoi contatti con il cristianesimo; purtroppo si fa palese ogni mancanza di fede sia cristiana che semplicemente religiosa, il disconoscimento di ogni utile collaborazione della religione per la grandezza del popolo tedesco, che viene attribuita solo al nazionalsocialismo ed attesa unicamente dal partito e dalle armi".
Estremamente chiaro fu anche il rapporto del 9 novembre 1938 sul vandalismo antisemita:  "Mi faccio un dovere di aggiungere qualche notizia a quanto i giornali hanno già pubblicato circa il vandalismo antisemita del giorno 9 e 10 corrente in Germania. 1) Le distruzioni si sono iniziate, come su una parola d'ordine, nella notte immediatamente successiva alla notizia della morte in Parigi del giovane diplomatico, caduto sotto i colpi del giovane giudeo [cioè l'assassinio del segretario di legazione Ernst von Rath per mano di Herschel Grynszpan], i cui genitori erano stati espulsi dalla Germania verso la Polonia pochi giorni prima. La cieca vendetta popolare seguì un identico metodo dovunque:  nella notte si frantumarono tutte le vetrine e si incendiarono le sinagoghe; il giorno seguente furono saccheggiati i negozi, che erano privi di ogni difesa, inutilizzando selvaggiamente le merci anche le più costose. 2) Solo verso il pomeriggio del giorno 10, dopo una giornata in cui la plebe aveva sfogato i più selvaggi sentimenti, frenata da nessun poliziotto, il Ministro Göbbels (sic!) diede ordine di cessare, qualificando l'avvenuto come sfogo del "popolo tedesco". Bastò questa parola a ristabilire la calma. Tutto ciò lascia facilmente intuire che l'ordine o l permesso di agire veniva molto dall'alto.
Per questa frase di Göbbels, che la così detta "reazione antisemita" [all'assassinio del segretario di legazione vom Rath a Parigi] fosse opera del "popolo tedesco", ha molto sofferto il vero e sano popolo tedesco, che è certo la major pars".
Sulla base dei rapporti, spediti a Roma, l'immagine finora dominante di Cesare Orsenigo come nunzio debole, incapace e troppo ben disposto verso il nazionalsocialismo, va almeno differenziata se non rivista.


(©L'Osservatore Romano - 5 marzo 2010)

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