Rassegna stampa formazione e catechesi
Quella malata che consolava i malati
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- Creato: 20 Agosto 2019
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Anticipiamo uno stralcio della nuova edizione del libro Oggi è la mia festa. Benedetta Bianchi Porro nel ricordo della madre, di Carmela Gaini Rebora, in libreria dal 22 agosto (Bologna, Edb edizioni, 2019, pagine 176) preparata in occasione della beatificazione di Benedetta, il prossimo 14 settembre. Il libro è introdotto da una presentazione del postulatore, Guglielmo Camera. Benedetta visse la malattia come occasione di configurazione al Cristo sofferente; l’autrice, amica di famiglia, ne traccia nel volume un ritratto semplice e commovente, leggendo il suo diario e ascoltando i racconti della madre
Che cosa si prova a essere la madre di una “santa”? Cosa ha significato per Elsa la sua vita di madre accanto a quella creatura segnata da un destino eccezionale? Al di là delle testimonianze dei fratelli e degli amici chi, più della mamma, ha conosciuto la vita intima della fanciulla?
Forse soltanto la mamma, che Benedetta amava con tanta tenerezza, è stata consapevole delle sue battaglie, del suo travagliato cammino di fede. (...) Chiedo a Elsa di parlarmi dei pellegrinaggi a Lourdes. Lei acconsente con piacere: «Da tempo Benedetta desiderava pregare la Madonna nel luogo dove la Vergine era apparsa a Bernadette. Il viaggio però era lungo e le condizioni di mia figlia erano molto critiche. Avrebbe dovuto sopportare disagi, fatiche, forse correre dei rischi... Ma lei ci teneva tanto! Non mi sembrò vero, quel Capodanno del 1962, poterle annunciare: “Sai, Benedetta, il pellegrinaggio a Lourdes è fissato per il mese di maggio. Il medico ti permette di partecipare. Tu accetti?”. Sapevo che la mia era una domanda inutile. Benedetta rispose con entusiasmo: “È la cosa che più desidero al mondo! La Madonna mi aiuterà e mi darà le forze necessarie”». Elsa continua commossa: «Quel giorno mia figlia mi disse che, se avesse ricuperato la salute, si sarebbe consacrata a Dio. Voleva farsi suora al servizio dei poveri e dei bambini, delle creature più piccole e bisognose. Da quel momento ogni pensiero di Benedetta fu proteso verso quell’incontro con la Madonna. Si preparava spiritualmente con la meditazione e la preghiera. Lei che provava per la sua mamma un amore tanto tenero, tanto dolce, attendeva l’abbraccio con l’altra Mamma, quella del cielo, con una fiducia e una serenità commoventi. Giunse finalmente il giorno fissato per la partenza, il 24 maggio. Il treno dell’Unitalsi era pronto alla stazione di Milano. Benedetta, quando fu sistemata nella carrozza, mi chiese di recitare insieme a lei il rosario. Poi volle sapere chi viaggiava con noi, si interessò agli altri ammalati. Come sempre pensava agli altri, prima che a se stessa. Mi pregò di rivolgere la parola alle persone vicine, forse bisognose di conforto. In breve tempo si sparse in tutto il treno la storia di quella studentessa in medicina, così gravemente inferma e così altruista. All’arrivo a Lourdes, Benedetta si trovò circondata da tante persone che volevano salutarla, stringerle la mano. C’erano medici, sacerdoti, pellegrini... Tutti avevano per lei una parola gentile. Benedetta era felice, ma anche un po’ stupita. Nella sua profonda umiltà non si spiegava il motivo di un’accoglienza tanto calorosa. Seguì tutte le cerimonie con raccoglimento. Durante la messa io le traducevo la predica, con l’aiuto del barelliere. Ma il momento più atteso da Benedetta era la visita alla grotta, l’incontro con la Madonnina bianca e celeste. Nel silenzio che scese sul piazzale antistante la grotta, parlavano solo i cuori. Poi si levarono al cielo le suppliche e i canti. Più tardi, dopo il tramonto, partecipammo a un’altra cerimonia struggente, la fiaccolata davanti alla cattedrale. Sembrava che tutte le stelle del cielo fossero discese in quel punto della terra per rendere omaggio alla Madre del Signore. Accanto al letto di Benedetta all’Asile c’era una ragazza, Maria, paralizzata da due anni. Era disperata. Aveva la madre inferma e bisognosa, come lei, di assistenza. Nessuna delle due poteva assistere l’altra. La situazione delle due donne era drammatica. La ragazza piangeva sconsolata. Benedetta le disse: “Maria, ricordati che hai un’altra mamma in cielo. Pregala tanto! Ti aiuterà”. Il giorno della partenza ci fu una grande confusione. Benedetta mi aveva incaricato di acquistare dei rosari, dei ricordini da portare alla famiglia e alle amiche. Io volli prendere anche dell’acqua benedetta. Così giunse il momento dell’ultima visita alla grotta e dell’ultima recita del rosario davanti alla Madonna. Vicino a mia figlia, Maria singhiozzava. Ormai non sperava più nella guarigione. Non c’era più speranza nemmeno per la sua mamma, privata per sempre dell’aiuto dell’unica figliola. Benedetta ascoltava addolorata le parole della ragazza che io le traducevo per mezzo dell’alfabeto muto. Le disse: “Prega ancora, Maria, non disperarti! Anch’io pregherò per te!”. Maria tese le mani verso quelle di Benedetta. Le due ragazze, stringendosi le mani, pregarono insieme. Passò del tempo?... Io non me ne resi conto... A un tratto vidi Maria lasciare le mani di Benedetta, alzarsi di scatto dalla barella e gridare di gioia. Dapprima si appoggiò al barelliere, poi rimase in piedi da sola, dritta e sicura. La gente accorse, tutti volevano toccarla, farle domande, sapere come era successo... Lei si avvicinò a mia figlia. Stava per dirle qualcosa, ma non riuscì a parlare. Del resto, anche se l’avesse atto, io non sarei stata in grado di trasmettere a Benedetta le sue parole, né Benedetta mi avrebbe capito. Eravamo tutte e tre come stranite. Ci abbracciammo strette strette e piangemmo di gioia insieme». Mi immedesimo nella scena. Penso che qualsiasi parola avrebbe sciupato la grandezza di quel momento. Nel silenzio di quell’abbraccio erano concentrati tutti i sentimenti di tre anime, sentimenti diversi per ognuna di loro. Non posso trattenermi dal chiedere a Elsa: «Ma tu cosa hai pensato mentre ringraziavate tutte e tre la Madonna? Non hai provato un’ombra di delusione, di amarezza perché a tua figlia la guarigione era stata negata? È un sentimento umano, naturale in una madre». Elsa mi guarda negli occhi e risponde: «È vero, quel pensiero mi ha sfiorato. Come dici tu, era troppo naturale fare un confronto. Anche se sappiamo che il Signore ha dei disegni a noi sconosciuti, delle ragioni che lui solo conosce. Noi non dobbiamo chiederci “p erché?”. Dobbiamo soltanto affidarci a lui, che sa qual è il nostro bene. Ma non fu questo ragionamento a darmi pace. Fu l’espressione radiosa di Benedetta. Sembrava emanare una uce, una felicità soprannaturale. E in quel momento compresi che un miracolo per lei era comunque avvenuto». Benedetta, con grande semplicità, descrisse il fatto a Nicoletta: «Sono andata a chiedere la guarigione, ma il criterio di Dio supera il nostro ed egli agisce sempre per il nostro bene. Desidero guarire per farmi suora. Ho fatto il voto. Al ritorno ho letto, per prima cosa, le parole di Gesù in croce a san Giovanni: “ Ecce Mater tua ”: che dolcezza! Nel nostro pellegrinaggio c’è stata una miracolata: una umile ragazza di ventidue anni, che da due anni non camminava; che bellezza, ne sono ancora scossa!» A Maria Grazia scrisse: «Ho fatto a Lourdes un bellissimo pellegrinaggio. Lì la gente ha molta fede (come si prega con fervore!) e carità. Quanto verde e pace vicino alla nostra Madonna celeste! È tutto così bello e prezioso! Nel nostro pellegrinaggio abbiamo avuto una miracolata: che emozione e che gioia! La misericordia di Dio è senza limiti». Elsa racconta ancora: «Quando partimmo da Lourdes, sul pullman che ci portava alla stazione, c’era con noi un signore, cassiere alla Banca d’Italia. Aveva aiutato i barellieri a sistemare Benedetta sulla corriera. Mentre viaggiavamo, stava in piedi vicino a lei, distesa sulla barella. La guardava. Vedendola così... non poté trattenere le lacrime. E le sue lacrime scendevano sulle mani di Benedetta. Lei gli prese una mano e disse: “Non pianga! Sursum corda !”».
© Osservatore Romano - 21 agosto 2019