Rassegna stampa formazione e catechesi

Ogni vivente che respira dia lode al Signore

canto della ranaGianfranco Ravasi - tratto da Il Canto della Rana

Salmo 150

1 Alleluia.

Lodate Dio nel suo santuario,

lodatelo nel suo maestoso firmamento.

2 Lodatelo per le sue imprese,

lodatelo per la sua immensa grandezza.

3 Lodatelo con il suono del corno, lodatelo con l’arpa e la cetra.

4 Lodatelo con tamburelli e danze, lodatelo sulle corde e con i flauti.

5 Lodatelo con cimbali sonori, lodatelo con cimbali squillanti.

6 Ogni vivente dia lode al Signore. Alleluia.


Il nostro lungo itinerario nel mondo del Salterio giunge ora al suo approdo. L’ultimo Salmo, il150, è infatti un suggello apposto al libro delle “lodi” (in ebraico i Salmi sono chiamati Tehillim, "lodi") oranti dell’Israele biblico. Si tratta appunto di una solenne e festosa dossologia musicale, un inno scandito da una vera e propria cascata di alleluia che sembrano non finire mai, simili alla spirale vocale e sonora dell’esaltante "Alleluia" incastonato nel Messia di Handel.

L’ultima parola del Salterio è, dunque, quella della lode pura, dell’adorazione, della poesia e della musica. L’inno ha lo scopo di siglare in finale non solo l’Hallel dei Salmi 146-150, non solo il quinto libro del Salterio (Sal 107 -150) ma l’intera collezione salmica. Il filo teologico di questi 150 carmi fatti spesso di lamenti, intrisi di scarse gioie e di molte lacrime, percorsi dal respiro della vita, dal brusio del mondo e persino dalle urla delle battaglie, è sempre quello della celebrazione libera e serena di Dio. A questa celebrazione è convocata l’orchestra del tempio con sette strumenti: il corno (sofar), l’arpa (nebel), la cetra o lira verticale (kinnor), il tamburello (top)’ gli strumenti vari a corda (minnim), il

flauto (‘ugab) e i cembali (selselim). Ma a questa celebrazione è convocato anche «ogni essere che respira» - come si dice nell’originale ebraico- (v. 6) e in particolare l’uomo che con la cascata innica dei dieci alleluia del Salmo dà voce a tutto il cosmo. È per questa armonia di fondo che il Salmo 150 è diventato un brano classico nella musica religiosa: da Benedetto Marcello a César Franck, da Anton Bruckner a Igor Stravinskij (Sinfonia dei Salmi), a Benjamin Britten ecc. E questo anche l’addio gioioso che il Salterio a tutti coloro che l’hanno visitato, letto e amato.

Noi ora ci soffermeremo sulla cornice del Salmo 150. Essa è innanzitutto contrassegnata dal "santuario" (v. l), la sede in cui si dipana il filo musicale e orante dell’inno. L’originale ebraico parla letteralmente dell’area “sacra”, pura e trascendente in cui Dio dimora. E, quindi, un riferimento all’orizzonte celeste e paradisiaco, ove, come ci insegna il libro dell’Apocalisse, si celebra l’eterna e perfetta liturgia dell’Agnello. Il mistero di Dio nel quale i santi vengono accolti per una comunione piena è un ambito di luce e di gioia, di rivelazione e di adorazione. Non per nulla, sia pure con qualche libertà, le antiche traduzioni - greca dei Settanta e latina della Vulgata- hanno proposto invece di "santuario", la parola "santi": «Lodate il Signore tra i suoi santi».

Tuttavia al santuario celeste è idealmente connesso il tempio terrestre: la liturgia che i fedeli compiono nella storia e nello spazio è già una prefigurazione di quella eterna e infinita. E per questo che alla trascendenza di Dio che è sopra il firmamento si associa la sua presenza in mezzo a noi.

Quel Signore che non può essere contenuto dai cieli (cf l Re 8,27) si rende vicino e presente nella realtà limitata delle sue creature. Ecco, allora, il riferimento alle "opere forti", come dice l’originale ebraico, cioè ai suoi "prodigi" potenti (v. 2) che Dio dissemina nella storia della salvezza. La lode è, perciò, soprattutto professione di fede nella creazione e nella redenzione, è celebrazione festosa dell’amore divino che si dispiega creando e salvando, donando la vita e la libertà.

C’è un’altra componente nella cornice del Salmo: essa è rintracciabile nell’ultimo verso (v. 5c):

«Ogni vivente dia lode al Signore». Il vocabolo ebraico usato per indicare i "viventi" che lodano  Dio è, come si diceva, quello che rimanda al respiro ma anche a qualcosa di intimo e profondo, insito soprattutto nell’uomo. Allora, se è vero che si può pensare che tutta la vita del creato sia un inno di lode al Creatore, è però più preciso ritenere che una posizione di primato in questo coro venga riservata alla creatura umana. Attraverso essa tutti i viventi lodano il Signore; è l’uomo il portavoce dell’intera creazione vivente. Il nostro respiro di vita (in ebraico nesamah), che dice anche autocoscienza, consapevolezza e libertà (cf Proverbi 20,27), diventa canto e preghiera di tutta la vita che pulsa e respira nell’universo. Perciò noi tutti «intratteniamoci a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il nostro cuore» (cf Efesini 5, 19-20).

Tuttavia la nostra lode sia sempre elevata a Dio con umiltà. Proprio come suggerisce questo bell’apologo nel Sefer ha-haggadah, il libro giudaico dei racconti omiletici esemplari: «Si racconta che, quando Davide ebbe finito il libro dei Salmi, si sentì molto orgoglioso. Egli disse a Dio: "Padrone del mondo, chi fra tutti gli esseri che hai creato canta più di me la tua gloria?". In quel momento sopraggiunse una rana che gli disse: "Davide, non inorgoglirti! Io canto più di te in onore   di Dio"».