Rassegna stampa formazione e catechesi

Misericordia non è parola astratta

accoglienza 2di STEPHEN WALFORD

«Nel corso dell’esortazione vengono affrontati problemi attuali e concreti: la famiglia nel mondo di oggi, l’educazione dei bambini, la preparazione al matrimonio, le famiglie in difficoltà, e così via. Questi argomenti sono trattati con un’ermeneutica che viene dall’intero documento, e che è l’ermeneutica magisteriale della Chiesa, sempre in continuità (e senza fratture), e pur sempre in corso di maturazione».
Con queste parole, tratte dalla prefazione scritta per il mio libro Pope Francis, the family and divorce. In Defense of Truth and Me rc y (Paulist Press), il Pontefice ribadisce come Amoris laetitia sia saldamente al centro di un ricco corpo di insegnamento magisteriale sulla famiglia che si può far risalire all’enciclica Arc a n u m di Leone XIII . Una delle cose più significative dette da Papa Francesco nella sua prefazione è che Amoris laetitia deve essere letta per ordine, dall’inizio alla fine, altrimenti «non sarà compresa o la comprensione sarà distorta». Senz’altro fin troppi commentatori sono andati subito al famoso capitolo ottavo; fare questo, però, significa perdersi uno «sviluppo di riflessione teologica» vitale che emerge in tutti i capitoli precedenti. Amoris laetitia colpisce per diverse ragioni. Essa, infatti, cerca di esplorare la verità delle situazioni individuali attraverso il discernimento, riconoscendo la miriade di problemi che le famiglie comuni incontrano ogni giorno. Respinge, inoltre, un’applicazione astratta della dottrina che non tiene conto della verità che solo l’incontro con il Cristo risorto può provocare una metanoia autentica. Si allontana da una mentalità del “loro e noi” applicata alle situazioni familiari, ricordandoci che siamo tutti peccatori e tutti bisognosi della misericordia divina. Insegna la responsabilità di mostrare comprensione dinanzi alle sofferenze degli altri — specialmente di coloro che vivono un secondo matrimonio civile — e che, di conseguenza, dobbiamo «toglierci i sandali dai piedi sulla terra santa altrui» ( Esodo , 3, 5). Papa Francesco fonda l’i n t e ro testo sull’invito ad accogliere, accompagnare, discernere e integrare ogni famiglia nel grembo della Chiesa. Sogna una Chiesa di tenerezza materna che va costantemente incontro; una Chiesa che imiti l’amore e la compassione della beata Vergine, che è Odighítria, la Madre che apre la strada verso Gesù. Come vediamo noi, dunque, questo sviluppo teologico di cui parla il Papa? Come può aiutarci a comprendere la complessità della vita familiare contemporanea e, soprattutto, come può aiutarci ad aprire sempre più il nostro cuore alle famiglie sofferenti e spezzate? Senz’altro i capitoli quarto e quinto vanno considerati come il centro dell’intera esortazione e costituiscono un progetto luminoso per le coppie sposate e per quelle che si stanno preparando al matrimonio. Il Papa dà prova di una saggezza alimentata indubbiamente dai decenni trascorsi non solo alla presenza orante del Signore, ma anche nella vita del suo gregge a Buenos Aires. Papa Francesco ci insegna ciò che implica il vero amore, prendendo come punto di partenza la grande visione cristologica di san Paolo. Una meditazione sobria e a cuore aperto su questi importanti capitoli aiuterà tutti a riconoscere in umiltà le proprie mancanze e servirà da invito ad abbracciare l’agape, quell’a m o re divino che è sacrificale e puro di natura. Letta insieme a Gaudete et exsultate , mi pare che i laici dispongano di un ricco patrimonio di insegnamento magisteriale che può aprire il cammino verso la santità pur vivendo «nel mondo». È nei capitoli sesto e settimo che iniziamo a vedere emergere la cura pastorale nell’insegnamento del Papa. Egli insiste sul fatto che non basta che i sacerdoti, i seminaristi e i religiosi abbiano una formazione meramente sacerdotale, e che per poter apprezzare la realtà della vita familiare devono essere sottoposti a una formazione pastorale adeguata che apra i loro cuori alle differenti situazioni affrontate dalle persone comuni. L’accompagnamento non è mai possibile stando seduti dietro a una scrivania con un manuale di teologia morale; deve giungere dall’entrare nella vita di chi soffre; dall’abbassarsi al suo livello e offrire la tenerezza di Gesù. Il realismo di Papa Francesco e il suo uso della teologia morale autentica — che riconosce che il grado di imputabilità può essere fortemente ridotto o perfino rimosso per peccati di grave entità — lo ha portato a discernere che possono esserci anime coinvolte in unioni irregolari che trarranno beneficio dai sacramenti della confessione e della santa Comunione come medicina divina per la loro guarigione spirituale. Ciò comprende non solo coloro che riescono a vivere come fratello e sorella, ma anche coloro che — forse per paura che altro peccato travolga la casa familiare e i loro figli — ancora non riescono a raggiungere tale obiettivo. Il Papa propone come solido fondamento per quelle anime la legge della gradualità insegnata da san Giovanni Paolo II , che le incoraggia a iniziare una crescita passo a passo nella loro vita spirituale che, per grazia di Dio, alla fine le aiuti ad abbandonare l’elemento peccaminoso della loro unione. L’ultimo ambito di grande importanza riguarda l’aspetto dello sviluppo dottrinale; un ambito del quale Papa Francesco ha parlato spesso sin dai primi giorni del suo pontificato, e che è stato tanto gentile da menzionare nella sua prefazione. In verità, avevo accennato a tale questione in una lettera consegnata al Pontefice, collegando l’insegnamento di san Vincenzo di Lerino con il principio secondo cui «il tempo è più grande dello spazio». Non vi è alcun dubbio che si tratta di un ambito che i teologi devono esplorare di più come modo per aiutare i laici ad apprezzare in che maniera le dottrine possono maturare nel tempo e perché il magistero ha ragione ad affinarle, quale via per avvicinarsi maggiormente a come Gesù desidera che la Chiesa le intenda. È un processo che deve proseguire nella vita della Chiesa fino a quando il Signore ritornerà. Il capitolo ottavo di Amoris laetitia deve essere visto non come una rottura — come Papa Francesco ha ormai insegnato chiaramente — bensì in totale continuità e armonia con l’insegnamento magisteriale del passato. Come possiamo essere certi che sia proprio così? Anzitutto perché non è stata alterata nessuna dottrina: l’indissolubilità del matrimonio rimane, la dottrina sul peccato mortale rimane; l’orrore dinanzi alla ricezione sacrilega della santa Comunione rimane (cfr. 1 Corinzi , 11, 27, 29), e rimane anche la gravità di tutti gli atti di adulterio. Acconto a ciò, abbiamo un’estensione e un’applicazione autentica della misericordia ai peccatori che, riconoscendo la propria situazione di peccato, sono consapevoli di avere bisogno del Signore. Fanno proprie le parole di san Giovanni Paolo II : «Se trascurassimo l’Eucaristia, come potremmo rimediare alla nostra indigenza?» ( Ecclesia de eucharistia , 60). Non può esserci rottura quando gli istinti materni della santa madre Chiesa cercano di salvare anime che sono sincere nel loro desiderio di cambiare e quando questa tenerezza materna è manifesta nella volontà del «dolce Cristo in terra» (santa Caterina da Siena). Semplicemente non è possibile. Papa Francesco, possiamo dire, sposa tre elementi spirituali fondamentali nel suo insegnamento sul reintegrare le persone divorziate e risposate civilmente nella vita della Chiesa: il discernimento ignaziano; la dottrina tomista sulla moralità; l’amore francescano per i poveri (spiritualmente). Rivela anche una bella manifestazione del carisma di Pietro: è maestro e pastore, di quelli che piuttosto che permettere alla dottrina di diventare stantia su qualche scaffale, utilizza ogni mezzo a sua disposizione per andare alla ricerca delle pecorelle smarrite e riportarle a casa. A mio parere Amoris laetitia è un documento magisteriale di grande bellezza, nonché un documento necessario perché la Chiesa possa affrontare i crescenti problemi della disgregazione della famiglia e del divorzio. Perché tutti noi, vescovi, sacerdoti, religiosi e laici, dobbiamo mettere da parte l’o rg o glio e l’ostilità e accettare con umiltà che lo Spirito santo sta invitando la Chiesa a prendere ancora più il largo; a vivere questo tempo straordinario di misericordia divina in un modo più radicale che parli solo di amore, di amore autentico per questi fratelli e sorelle in difficoltà. Se vogliamo davvero imitare Gesù — divina misericordia incarnata — allora dobbiamo agire in piena conformità con la sua volontà e il suo esempio. Ciò include l’obbedienza e la lealtà al suo vicario in terra e l’umile accettazione del suo magistero; significa evitare giudizi sulla vita spirituale interiore altrui e riconoscere che siamo tutti peccatori e che tutti dipendiamo dalla misericordia di Dio. Se riusciamo a fare ciò che chiede Papa Francesco e a liberarci dall’ipocrisia, allora forse riusciremo poco a poco a vedere Amoris laetitia per quello che è: un’esortazione a rendere ogni chiesa domestica un mattone della comunione dei santi.

© Osservatore Romano - 12 settembre 2018


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