Rassegna stampa formazione e catechesi

Innamorato della Parola

Padre Alessandro Coniglio che ha lasciato il cuore in Terra Santa ·

Gerusalemme, agosto 2019. «Sono entrato tra i francescani della Custodia di Terra Santa, senza aver mai messo piede in Terra Santa», sorride sotto la lunga barba padre Alessandro. «Ma della Terra Santa conoscevo già ogni angolo, ogni luce, perfino gli odori. Li avevo frequentati nella Parola». Alessandro Coniglio ha 45 anni, da sedici è frate minore e vive a Gerusalemme, dove è professore al prestigioso Studium Biblicum Franciscanum, presso il convento della Flagellazione. Ma il destino che gli era stato disegnato era ben altro. La Parola gli ha cambiato la vita. Una storia bella, per una faccia bella, che merita di essere raccontata.

Alessandro, nato a Milano, viene da una famiglia borghese, non particolarmente orientata in senso religioso: padre magistrato, buone scuole, frequentazioni esclusive, un certo rigore etico. «Mi sentivo un po’ diverso in casa, perché ho sempre avvertito fin da giovanissimo un bisogno di spiritualità. Mi affascinavano le filosofie orientali, mi sentivo cristiano in senso molto generico, del cattolicesimo mi affascinavano le ritualità che sapevano di antico». Nel 1992 si iscrive a medicina al «Gemelli», a Roma, dove studia con profitto, e dove è lambito appena dalla pastorale universitaria. Ma quattro anni dopo il percorso trova innanzi a sé un punto interrogativo grande quanto un macigno: la mamma si ammala e rapidamente muore. Non c’è solo un dolore immenso, ma anche si sgretola la certezza della scelta: «La medicina davanti al destino perde la sua potenza, davanti alla sconfitta si perde quel senso di onnipotenza che a volte contorna la scienza. E poi la sconfitta ti riporta all’essenziale: incrocio quella frase del Vangelo di Marco “Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde l’anima?”». L’orizzonte di un prestigio professionale nella medicina comincia traballare. Cerca altro. E nel cercare altro sempre più si affida quotidianamente alla Parola, che diviene un’autentica compagna di vita. Ma il percorso è a buon punto, e Alessandro è uno che sa comunque bilanciare senso spirituale e senso pratico, non vive sulle nuvole, e le cose le porta fino in fondo. Così nel 1998 si laurea in medicina: «Ho un ricordo vivo del giorno della mia laurea, un sentimento agrodolce, felicità da un lato e nell’intimo una consapevolezza: io non sarò mai un medico». L’orizzonte va oltre: «Dopo la scomparsa di mia madre, la speranza nell’immortalità diviene il nuovo paradigma, il mio scopo era “solo” cercare una certezza dell’immortalità». E la trova nel Risorto, in quella tomba vuota a Gerusalemme, vicino alla quale un giorno si sarebbe trovato a vivere e che sarebbe divenuta la ragione della sua vita. 

di Roberto Cetera



© Osservatore Romano - 23 agosto 2019