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EUROPA, MEDITERRANEO E CONTINENTE AFRICANO. INTERCULTURALITÀ E FATTORE RELIGIOSO: UNA SFIDA
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- Creato: 01 Marzo 2019
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Arcivescovo Agostino MARCHETTO
1. Nel 2001, dichiarato dalle Nazioni Unite “Anno internazionale del dialogo fra le civiltà”, Giovanni Paolo II invitava tutti i credenti in Cristo e tutti gli uomini di buona volontà “a riflettere sul dialogo tra le differenti culture e tradizioni dei popoli”. Tale infatti era il tema del Suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quell’anno, e lo indicava come “la via necessaria per l'edificazione di un mondo riconciliato, capace di guardare con serenità al proprio futuro.” Sulla stessa lunghezza d'onda è stato l'invito, più centrato peraltro sulle tre religioni monoteistiche per eccellenza, nel recente incontro di Abu Dhabi.
2. In effetti, la presenza di persone di differenti culture e civiltà e religioni che vivono e interagiscono nello stesso territorio diventa sempre più frequente. Tale realtà, di cui la causa più d’immediato evidente è l’accelerazione del fenomeno migratorio, pone problemi che vanno affrontati con saggezza, pur offrendo una base di sperimentazione dell'andare insieme, almeno in un certo senso, anche di Europa, Mediterraneo e Continente Africano. Qualunque sia infatti il motivo che induce una persona a lasciare la terra natìa per vivere, almeno per un certo tempo, in altro luogo, essa troverà inevitabilmente la nuova dimora diversa dalla società in cui aveva sempre vissuto e operato: vale a dire si incontrerà-scontrerà con un modo differente di vedere e trattare le cose, una maniera diversa di reagire alle situazioni, con valori non sempre uguali e un’altra lingua. E se i nuovi arrivati sono centinaia di migliaia, provenienti dai luoghi più disparati, nessuno rimarrà indifferente di fronte alle culture altrui, diverse dalla propria, sia egli immigrato che autoctono. Ma trattasi comunque di un "brodo" già sperimentabile nella vasta visione che ci è prospettata qui oggi, ed è un punto importante da considerare.
3. Certo, in genere, ogni nazionalità rappresenta una cultura, giacché essa si riflette, “in modo più o meno rilevante, nelle persone che ne sono portatrici, in un dinamismo continuo di influssi subìti dai singoli soggetti umani e di contributi che questi, secondo le loro capacità e il loro genio, danno alla loro cultura” (così leggiamo, sempre nel Messaggio della Pace 2001, al n. 5). Ogni persona, infatti, è “segnata dalla cultura che respira attraverso la famiglia e i gruppi umani con i quali entra in relazione, attraverso i percorsi educativi e le più diverse influenze ambientali, attraverso la stessa relazione fondamentale che ha con il territorio in cui vive” (ibid.). Tale processo, però, è dinamico, dove “non c’è alcun determinismo, ma una costante dialettica tra la forza dei condizionamenti e il dinamismo della libertà”. La cultura quindi, espressione “dell’uomo e della sua vicenda storica, sia a livello individuale che collettivo” (ibid.), non è qualcosa di fisso ma è aperta a modifiche, grazie alle esperienze vissute. C'è un'apertura dunque.
4. I contatti tra le varie culture, perciò, necessariamente portano a una certa interculturalità, anche se l’incontro tra persone di cultura diversa spesso può innescare un conflitto d’identità. Il nuovo ambiente rende, cioè, l’immigrato più consapevole di chi egli è, dei valori propri, di ciò che dava senso alla sua vita nella società d’origine. Gli autoctoni, da parte loro, sono messi a confronto con l’identità altrui. Occorre dunque trovare “il giusto equilibrio tra il rispetto dell’identità propria e il riconoscimento di quella altrui” (Messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2005, n. 2). Così, da un lato, occorre saper apprezzare i valori della propria cultura, dall’altro è necessario riconoscere che ogni cultura, “essendo un prodotto tipicamente umano e storicamente condizionato, implica anche dei limiti” (Messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata Mondiale della Pace 2001, n. 7). Orbene io penso che tutto questo non valga solamente per le persone ma anche per i vari Paesi, e sia pure da tener presente trattando il tema oggetto della nostra riflessione.
5. Ma quale deve essere allora il rapporto tra la cultura della maggioranza e le culture delle minoranze, o, nella nostra "Sitz im Leben" oggi, fra i Paesi che formano l'Europa, il Mediterraneo e il Continente Africano? “La via da percorrere – afferma Giovanni Paolo II ancora per tale Giornata (n. 2), circa i migranti, – è quella della genuina integrazione, in una prospettiva aperta, che rifiuti di considerare solo le differenze tra immigrati ed autoctoni”. Si mira, infatti, a formare, con il contributo di tutti, “società e culture, rendendole sempre più riflesso dei multiformi doni di Dio agli uomini” (GMMR 2005, n. 1). Le culture, del resto, appaiono “espressioni storiche varie e geniali dell’originaria unità della famiglia umana” ed occorre salvaguardare sia le loro peculiarità che la loro reciproca comprensione e comunione, secondo il modello di Dio Uno e Trino (cf. GP 2001, n. 10). Avviene così un arricchimento reciproco e la società si trasforma in un mosaico, dove ogni cultura ha il suo posto nel comporre una figura sempre più bella, nella molteplicità delle culture, secondo il primordiale disegno d’unità della famiglia umana (cfr. ibid.).
6. Mutatis mutandis possiamo applicare ciò al nostro tema di studio. In effetti quando parliamo di integrazione non è forse un concetto che ci viene in mente all'affrontare l'oggetto della nostra riflessione odierna? Una qualche forma di integrazione, ed io aggiungerei integrale senza fare bisticcio di parole ma per aggiungere un aggettivo necessario. La vera integrazione quindi si realizza là dove l’interazione tra gli immigrati e la popolazione autoctona non si verifica soltanto in campo economico-sociale, ma altresì culturale. Ambedue le parti, comunque, devono essere disposte a farlo, giacché motore dell’integrazione è il dialogo (v. il filo rosso di tutti i documenti di People on the Move, del dicembre 2004, n. 96, pp. 37-51).
7. Continuando nel passaggio da una situazione interna a un Paese a quella internazionale, ricordo che ai migranti e ai rifugiati, il V Congresso Mondiale della pastorale specifica ad essi relativa, tenutosi a Roma nel mese di novembre 2003, fa così un appello affinché “aiutino i propri figli e nipoti nei loro sforzi verso una piena integrazione nel Paese di accoglienza, preservando nel contempo la loro identità culturale” e perché “apprezzino il Paese d'accoglienza e ne rispettino le leggi e l’identità culturale”, fino ad amarlo. Al tempo stesso, il Congresso chiama la società civile e i singoli suoi membri ad “apprezzare le origini culturali di ogni persona, e a rispettare le diverse abitudini culturali, nella misura in cui non contraddicano i valori etici universali inerenti al diritto naturale o ai diritti umani” (Gli Atti sono pubblicati in People on the Move, N. 93 del dicembre 2003.
8. L’integrazione è dunque un progetto a lungo termine, - è “progressiva” - e coinvolge tanto i migranti quanto gli autoctoni in un “clima di ‘ragionevolezza civica’, che consente una convivenza amichevole e serena” (GMMR 2005, n. 3). E’ la prima volta – notiamolo – che il Magistero usa questa espressione: “ragionevolezza civica”. Quando si riconosce il benefico contributo che la presenza dell’immigrato – con la sua cultura e i suoi talenti – può donare alla società ospitante, egli stesso è più motivato a cercare un alto grado di interazione con tale società di accoglienza. È allora che si verifica una sana integrazione interculturale. Anche in questa prospettiva, mutatis mutandis, applicare su scala internazionale e continentale il criterio della ragionevolezza civile è fondamentale.
IDENTITA' EUROPEA E INTERCULTURALITA'
9). Entrando ora più profondamente nel nucleo del nostro tema si può anzitutto chiedere se l’Europa sia pronta ad affrontare la sfida di una tale integrazione interculturale, vale a dire se essa sia consapevole della sua identità e perciò atta a dialogare con le altre culture, senza perdere la propria. Cerchiamo quindi ora di “delineare” la “cultura europea”. Cerchiamo noi stessi, sempre tenendo presenti come telone di fondo Mediterraneo e Africa e le loro "identità".
10). In un intervento intitolato “Europa. I suoi fondamenti spirituali ieri, oggi e domani”, il Cardinale Joseph Ratzinger afferma che essa non è un continente afferrabile in termini geografici, ma piuttosto un concetto culturale e storico. A questo riguardo, egli segnala tre fondamentali svolte storiche – che pure noi, come storici, accettiamo – , e cioè, la prima, la dissoluzione del vecchio continente mediterraneo ad opera del Sacrum Imperium, collocato più verso nord, in cui si forma, a partire dall’epoca carolingia, l’Europa come mondo occidentale-latino. Accanto a questo v’è la continuazione della antica Roma, a Bisanzio, con il suo protendersi verso il mondo slavo. Il secondo passo è la caduta di Bisanzio e il conseguente spostamento, da una parte, dell’Europa verso nord e verso est, e perciò dell’idea cristiana di Impero, e, dall’altra parte, l’interna divisione dell’Europa in mondo germanico-protestante e latino-cattolico. Oltre a questo, ci fu fuoruscita europea verso l’America. Il segnale, ben visibile, della terza svolta è la Rivoluzione francese: la storia non si misura più in base ad un’idea di Dio ad essa precedente e che le dà forma. Lo Stato viene ormai considerato in termini puramente secolari, fondato sulla “razionalità” e sul volere dei cittadini. Per la prima volta in assoluto, nella storia, sorge lo Stato puramente secolare e si dichiara Dio stesso affare privato, che non fa parte della vita pubblica e della civile formazione del volere. E’ un nuovo tipo di “scisma”, nasce la divisione tra cristiani e “laici”.
11). Dal canto suo lo storico Prof. Cesare Alzati, tenta di dare una definizione ad un altro concetto-chiave, per noi, per il nostro tema di oggi, quello della specificità europea nel contesto della civiltà, intesa, questa, come “una categoria ... che attinge alla sfera culturale, e nella quale i vari aspetti dell’attività dell’uomo, dalla elaborazione intellettuale alla creazione artistica, alle forme di vita istituzionalizzata, convergono in un insieme unitario e coerente, dotato di una sua irriducibile specificità” (v. La Scuola Cattolica, 1994, p. 146). In questa luce, dunque, Alzati vede “l’ Europa apparirci come il comune spazio umano, in cui realtà originariamente assai diverse sono venute confluendo e, pur senza perdere la propria individualità, si sono inserite a pieno titolo in una più vasta Koiné, facendone propri gli ideali, gli orizzonti mentali, in una parola la ‘Weltanschauung’”. Un processo più profondo, dunque, della “casa comune” europea a cui si è soliti riferirci.
12). Ma qual è la forza che ha reso popoli differenti, spesso antagonisti, cioè i latini e i germani, gli elleni e gli slavi, compartecipi di una medesima identità di fondo, di una specificità europea, nonostante le diversità di ceppo etnico-linguistico? Non ci sono dubbi per noi. Risulta evidente infatti che il Cristianesimo costituisce il comune humus in cui tutti questi popoli affondano le loro radici (ed ecco il terzo concetto chiave, le radici) e dal quale hanno tratto la linfa vitale che ha animato le rispettive culture. Per citare ancora il Prof. Alzati: “E’ la fede cristiana, in effetti, che ha comunicato loro un medesimo patrimonio ideale, che ha ad essi donato un unico linguaggio, al di là delle diverse lingue, che ha insegnato loro le forme, anche istituzionali, per un’articolata e pur sinfonica convivenza; in altri termini, che ha suscitato in loro la comune civiltà”.
13). L’unità culturale europea, prima ancora che quella economica e politica, va cercata dunque nelle sue radici, nei valori comuni, in quello stile di vita che ha un “supplemento d’umanità”, identificante appunto la civiltà europea, radicata nell’ humus cristiano. Giovanni Paolo II, all’ Angelus del 21 luglio 2003, definisce perciò il Cristianesimo “elemento centrale e qualificante” dell’Europa, un patrimonio che non va disperso.
14). E’ significativo qui ricordare che i “Padri” dell’Unione Europea erano soprattutto tre “grandi” cattolici: il francese Robert Schuman, il tedesco Konrad Adenauer e l’italiano Alcide De Gasperi. Accanto ad essi vi sono comunque pure dei “laici”. Così per Goethe “la lingua materna dell'Europa è il Cristianesimo” e anche per Kant “il vangelo è la fonte da cui è scaturita la nostra civiltà”. Marc Chagall era convinto che per secoli i pittori hanno intinto il loro pennello in quell’“alfabeto colorato della speranza” che sono le sacre Scritture. Per lo stesso Francesco De Sanctis, spirito “laico” dell'Ottocento, la radice del nostro “sentimento religioso, che è lo stesso sentimento morale nel senso più elevato”, si trova altresì nel Cristianesimo. Concludiamo questa carrellata pur veloce di pensieri di grandi europei, sulle radici dell’Europa, con quello di T. S. Eliot per il quale “senza Cristianesimo non ci sarebbe stato neppure un Voltaire o un Nietszche. Se il cristianesimo se ne va, se ne va tutta la nostra cultura, se ne va il nostro stesso volto”.
15). Preoccupa dunque “la supina omologazione delle culture a modelli culturali del mondo occidentale che, ormai disancorati dal retroterra cristiano, sono ispirati ad una concezione secolarizzata o praticamente atea della vita e a forme di radicale individualismo” (GP 2001, n. 9). Gli alti livelli raggiunti dalla moderna scienza e tecnologia tendono a generare infatti una cultura che vuol realizzare il bene dell’uomo facendo a meno di Dio. “Ma ‘la creatura – afferma Giovanni Paolo II, citando il Concilio Vaticano II, – senza il Creatore svanisce!’ Una cultura che rifiuta di riferirsi a Dio perde la propria anima e si disorienta, divenendo cultura di morte, come testimoniano i tragici eventi del secolo XX, e come stanno a dimostrare gli esiti nichilistici attualmente presenti in rilevanti ambiti del mondo occidentale” (GP 2001, n. 9).
Cosa può dire tutto ciò al Mediterraneo e al Continente Africano? Certo ogni cultura porta con sé valori radicati nella natura stessa della persona umana. Sono dunque valori in comune ad esse e si può puntare su tali valori universali per intavolare il dialogo tra le culture, strumento privilegiato per costruire la “civiltà del bene comune universale”. E ciò vale anche per Mediterraneo ed Africa.
16). “Se [poi] teniamo presente, col Card. Ruini, (v. Il Regno, N. 960 del primo gennaio 2005 p. 28) che la fede cristiana stessa, fin dalle sue origini, si rivolge anzitutto al cuore e alla coscienza dell’uomo, ma ha anche n'ineliminabile dimensione pubblica, l’atteggiamento più congeniale all’indole e alla missione del cristianesimo, oltre che meglio conforme alle necessità attuali dell’Italia, come dell’Europa e dell’intero Occidente, sembra piuttosto quello di rispondere positivamente alle richieste, implicite nel risveglio identitario, che la fede cristiana possa alimentare, in un’ottica non confessionale, ossia pienamente rispettosa della libertà religiosa e della distinzione tra Chiesa e Stato, una visione della vita e alcuni fondamentali valori etici che forniscano la base dell’identità delle nostre nazioni: si ha così, tendenzialmente, il superamento della fase storica del laicismo e del secolarismo. In questo contesto anche per la cultura cattolica l’idea della “laicità” appare da sola del tutto inadeguata alla nuova congiuntura storica… E’ essenziale [comunque] rendersi conto che la fede cristiana può svolgere in maniera efficace e duratura un simile ruolo pubblico solo se non si riduce a un’eredità culturale del passato, ma è attualmente creduta e vissuta dalle persone concrete, nella sua verità e autenticità… Vanno pertanto prese sul serio le preoccupazioni di strumentalizzazione e snaturamento della fede”.
17). Ma non v’è Cristianesimo senza Chiesa– e concludiamo –. A questo riguardo, per fugare nuovi timori e antichi ricordi negativi nelle relazioni Chiesa e Stato, basterà ricordare che – e lo ha ripetuto Papa Wojtyla nella sua citata allocuzione al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede – “la Chiesa sa ben distinguere, come suo dovere, ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio (cf. Mt 22,21); essa coopera attivamente al bene comune della società, perché ripudia la menzogna ed educa alla verità, condanna l’odio e il disprezzo ed invita alla fratellanza; essa promuove sempre –– come è facile riconoscere dalla storia, vista nel suo insieme –– le opere di carità, le scienze e le arti. Essa chiede soltanto libertà, per poter offrire un valido servizio di collaborazione con ogni istanza pubblica e privata preoccupata del bene dell’uomo” (n. 8).
E proprio in questa prospettiva è da vedere l'incontro di riflessione e spiritualità per la pace nel Mediterraneo promosso a Bari dalla C.E.I. nel prossimo anno. Il progetto, è stato ideato dal Card. Gualtiero Bassetti, suo Presidente, che ha avuto il "via libera" di Papa Francesco. Si parlerà specialmente, con i Vescovi del Mare Nostrum, di conflitti, povertà, instabilità politica e migrazioni.
A conferma dell'interesse ecclesiale così manifestato è stata annunciata la presenza di Papa Francesco a Napoli, il 22 Giugno p.v., per il Convegno promosso dalla Pontifica Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale sul tema "Culto dell'incontro e Mediterraneo".