Rassegna stampa formazione e catechesi
Chi è cattolico?
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- Creato: 15 Febbraio 2025
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Definire dei confini non significa di certo, specie in questo caso, creare dei limiti rigidi piuttosto riconoscere un dono che sorpassa ogni intelligenza e, nel contempo, aiutarci a comprendere come e dove si sta camminando.
Il Cattolico, perché sia tale anzitutto deve essere un Cristiano, battezzato. E qui già diciamo molto, anzi tutto. Il Battesimo non è infatti una realtà statica ma una realtà data che immette in un dinamismo (Rm. 8,1ss). Un dinamismo teandrico in cui la Grazia chiama, abilita e stimola il fedele a rispondere secondo il dono ricevuto, di Grazia in Grazia. Purtroppo ci può essere un sacramento del Battesimo correttamente amministrato ma che permane legato, non vivificato, rattrappito. Per tanti motivi. Ne elenchiamo solo alcuni.
Il cattolico non vive una esperienza di Chiesa monca.
Il Battesimo è dono di Cristo, anzi è Cristo che battezza e lo fa per la Chiesa e nella Chiesa. Ora, benché definendo “cattolica” rischiamo di circoscrivere ad una confessione cristiana in realtà dicendo Cattolica diciamo Universale, un luogo veramente aperto a tutti, anzi a ciascuno. Nel senso che Cristo, per la Chiesa attende ciascuno, ama ciascuno, bussa a ciascuno, cura ciascuno, valorizza ciascuno. E questo è dono ed impegno che Cristo regala, con il Battesimo, a tutti i fedeli, sia i fedeli della gerarchia divinamente istituita sia i fedeli laici. La Chiesa non è proprietà del Clero ma, in tal senso, proprio perché di Cristo, è di ogni fedele e ciascuno è responsabile di ciascuno, con l’appartenenza che Cristo genera proprio nel Battesimo. Non esiste il fai-da-te e neanche il penso-agli-affari-miei. Pertanto non maturare questa appartenenza con sacche di solipsismo indica che in noi c’è qualcosa di a-cattolico che attende di convertirsi, di ri-orientarsi. Questo apre al significato esteso di “cattolico”, non solo universale ma aperto alla missione, continuamente, ad-intra e ad-extra. La prima missione dunque è cura dell’altro, dell’ineludibile altro. Proprio così, ineludibile. È l’altro che ci conferma nell’ontologia Personale (in quanto Persone) e che ci conferma nell’Ontologia filiale in quanto fratelli e sorelle.
L’amore e il rispetto per la Chiesa gerarchica ri-conosce il segno visibile dell’unità cattolica nel triplice significato che dicevamo, di Cristo e Sua proprietà, universale e missionaria.
Ricorda il CCC al numero 882:
“Il Papa, Vescovo di Roma e Successore di san Pietro, «è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli». «Infatti il Romano Pontefice, in virtù del suo ufficio di Vicario di Cristo e di Pastore di tutta la Chiesa, ha sulla Chiesa la potestà piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente.”
Non è dunque concepibile l’essere cattolico senza il segno visibile del papato. Non è un legame “affettivo” ma “effettivo” in tutto ciò di cui il Papa è custode. Sacche di solipsismo che possano toccare, talvolta, sia i contenuti di contenuti di Fede ma anche l’antropologia che precede e che segue tali contenuti sono dunque altamente dissonanti e spezzano di fatto la comunione in sé del fedele, in maniera più o meno cosciente.
Per capirci, ad esempio, credere che esista un terzo polo sessuato non è solo un errore della mente umana, una tara antropologica, ma coinvolge anche le midolla della fede. Chi dunque afferma questo, cioè, ad esempio, un terzo polo sessuato, non è, in questo, cattolico pur non toccando esplicitamente uno dei cardini dei dogmi ri-conosciuti e definiti di Fede.
E, deve essere chiaro, nel credo proclamato ogni domenica c’è tutto, anche le questioni antropologiche oggetto di sfida culturale dei nostri tempi anche se non esplicitate direttamente nella medesima Professio Fidei.
Allo stesso modo si vive in maniera imperfetta o gravemente imperfetta da Cattolici tutte le volte che siamo sostenitori di pratiche contrarie al Bene della vita, come l’aborto, la tratta, l’usura, il mancato soccorrere ogni Persona in difficoltà. Questo perché si considera l’essere umano concepito, oppure il malato, oppure l’anziano, oppure la Persona con disabilità o la Persona in disagio o in povertà, meno Persona di quanto essa sia. Il Principio di Persona (perché è appunto un Principio) ci viene dal Cristianesimo, sapienziale e speculativo, ed è qui, nel Cristianesimo, che il Principio di Persona prende luce, viene svelato e si comprende. Altrove si parcellizza e si distorce. Questa evidenza del pensiero i cattolici, ad esempio, specie chi opera nella cosa pubblica, dovrebbe averlo ben chiaro, cristallino.
L’Incarnazione del Credo proclamato intende proprio questo, il rispetto assoluto della Persona, il cercare il Bene per Lei alla Luce del Vangelo.
Ogni volta che chiniamo il capo in questa parte del Credo annunciamo il Kerygma dell’Incarnazione e, nel contempo, la nostra chiara adesione al Principio di Persona che qui prende luce ontologica, spirituale e normativa.
Principi e valori
Papa Francesco in una intervista al Corriere della Sera del 2014, un po’ confusamente, ma efficacemente, ha ribadito una volta che non comprendeva bene i Valori non negoziabili se questi intendevano, per contro, valori negoziabili:
“I valori sono valori e basta, non posso dire che tra le dita di una mano ve ne sia una meno utile di un'altra. Per questo non capisco in che senso vi possono essere valori negoziabili.”
L’errore logico, per conservare la buona intuizione di Papa Francesco (e il suo carattere pedagogico) è quello di comprendere che ci sono Principi e Valori che da essi derivano. Ci sono Principi e ci sono Valori che sono, in questo Papa Francesco ha pienamente ragione, strettamente legati ma sono due piani distinti. Peccato che nessuno, nemmeno chi gli è vicino (ad esempio i confratelli gesuiti) ha mai avuto la carità e il rispetto (vero) di aiutare Pietro a comprendere questa necessaria distinzione etimologica e logica. Il Principio sorregge un valore e come tale non può essere negoziato. A sua volta, semplicemente, un valore che viene negoziato non è un valore e spostare la stele del Principio non aiuta il Valore ad essere tale. Il Principio del rispetto assoluto della Vita umana comporta che tale Principio fermo (non negoziabile) sia applicato e valga (Valore) sempre, in ogni circostanza ogni qual volta in cui tale Principio viene minato per negoziazione opportunistica. Persino dalla legge umana che, come tale, è imperfetta e talvolta terribilmente erronea. E talvolta è erronea perché vuole unire il rispetto della Vita umana e la negazione del medesimo rispetto. È il caso, ad esempio, della legge 194, la quale è un obbrobrio giuridico mischiando piani che non possono essere né mischiati né confusi. La Chiesa ha il dovere di ribadirlo proprio perché Credendo, come Cattolica, ogni domenica, annuncia proprio tale Principio e tutto ciò che di Valore ne deriva.
E qui, su questo terreno della distonia mortale e avvelenatrice ci avventuriamo in quello che vi è di più triste, un cattolico veramente tale, perché battezzato, che tradisce i Principi e i Valori che precedono e preparano il Vangelo e da esso vengono illuminati. Tale Cristiano dunque, vive, in forma più o meno grave e più o meno prassica, una distonia che lo può rendere cattolico alla maniera di un non-cattolico, per usare una parafrasi felice ratzingeriana. È il mistero del male, del disordine, più o meno grave e strutturato che crea scandalo (inciampo) in sé e nei fratelli. E, occorre drammaticamente rilevare, che talvolta un tale cattolico alla maniera di un a-cattolico è ben più dannoso di un cattolico che ha scelto di non essere più tale, tanto è il danno che genera nella comunità e nel sociale, dando realmente scandalo. Lo scandalo non è prurito da gossip, intralcio al consenso ma, piuttosto, il gravissimo abuso che si fa ai piccoli. E non c’entra di certo l’età ma la fede di ogni fedele che è comunque piccolo o debole. Ed è, tale abuso, gravissimo; spesso compiuto per vanità e politicamente corretto.
Beato chi, nella via della cattolicità a-cattolica incontra un fratello o una sorella che lo richiama al vero, al senno, all’armonia interiore. Perché possa ri-centrarsi nella cattolicità che proclama ogni domenica. Qui risiede il vero servizio dell'apologetica, da fare con fermezza in ginocchio.
Ricorda l'apostolo Paolo nella Lettera ai Galati cap. 6,1-10
"Fratelli, qualora uno venga sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con dolcezza. E vigila su te stesso, per non cadere anche tu in tentazione. Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo. Se infatti uno pensa di essere qualcosa mentre non è nulla, inganna se stesso. Ciascuno esamini invece la propria condotta e allora solo in se stesso e non negli altri troverà motivo di vanto: ciascuno infatti porterà il proprio fardello. Chi viene istruito nella dottrina, faccia parte di quanto possiede a chi lo istruisce. Non vi fate illusioni; non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna. E non stanchiamoci di fare il bene; se infatti non desistiamo, a suo tempo mieteremo. Poiché dunque ne abbiamo l'occasione, operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede"
La correzione fraterna
Quando la comunità vive l’accoglienza senza il servizio della correzione fraterna smette di essere cattolica e diventa una lobby tra le tante, un circolo di morte. Un accogliere senza amare, senza Vangelo, senza Bene, manipolando il dono ricevuto compie il più terribile dei danni, il deicidio, dentro di sé e nel cuore del fratello e della sorella, patinatamente accolti per giustificare la propria vanità e il proprio ladrocinio. Sentirsi buoni, sentirsi a posto (e quindi giusti) perché accoglienti è quanto di più contorto, vanesio e a-cattolico possa esserci perché ci si nutre dell’inganno e lo si alimenta, con gravissimo danno pastorale.
Si smette di essere missionari e si porta nel mondo, uscendo dalle sagrestie, le proprie isterie e le proprie contraddizioni, magari gravi. Tutti condizionamenti umani (e abusi) che portano disumanità e non la freschezza rinnovante l’umano del Santo Vangelo. Si proietta fuori di noi un disordine ad immagine e somiglianza delle nostre malattie interiori. Inganniamo ingannandoci; pensiamo di servire ma stiamo fagocitando.
Non si parla qui di questioni oggetto di dibattito pastorale, di modalità e di prospettive che, dialetticamente potrebbero (pur con sofferenza) integrarsi, crescere, ma di scelte di pensiero e di vita che fanno sì che uno, nei fatti, smetta di essere Cristiano e dunque Cattolico. Costruendosi un dio che lo garantisca, che lo rassicuri, che lo confermi nelle proprie piccinerie, nelle isterie nei disordini e negli errori diventando a tutto tondo un idolatra: un cattolico idolatra. Idolatra di sé, dell’avarizia, dell’ego-riferimento. E questo colpisce tutti noi che cerchiamo di seguire Gesù, fedeli chierici e fedeli laici.
E la ricerca del “potere” degli spazi, dei ruoli, dei serpeggiamenti politici, è un veleno che espande questa contraddizione di a-cattolicità a livelli sopraffini, dal santuario alla parrocchietta, dal piccolo gruppo di preghiera al movimento ecclesiale. Tutti a garantirsi un posto di abuso del Bene ricevuto, diventando sterili. Una sorta di peto reiterato e quelli che vivono del medesimo male-odore annusano il tanfo e dicono: “che bel profumo!”, perché la congrega dei malati tende a giustificarsi e a fuggire (con ogni mezzo) la propria conversione a Cristo.
ET-ET e non AUT-AUT
Altra caratteristica del cattolico è l’orchestrazione delle differenze secondo il paragone del Corpo di scrittura Paolina (1Cor. 12) e legato al Principio dell’Incarnazione. Il Principio dell’Incarnazione, nato nel pudore dell’annuncio a Nazaret (Lc. 1,26-38), è il discrimine storico e cognitivo in cui la Grazia entra nella storia e immette il movimento necessario della discesa e della risalita, della kenosi e della trasfigurazione nel contempo.
Le opposizioni polari di Guardini prendono spunto da qui non per una mera dialettica ma per una polisemanticità dell’azione dello Spirito. È un errore, un grave errore, ribadire monotematicamente un solo aspetto nella pastorale quando sono importanti veramente tutti e l’uno all’altro, ricordando tra l’altro l’esempio sui “valori” fatto da Papa Francesco nell’intervista al Corriere. Grave disgiungere Carità, Catechesi e Liturgia. Gli accenti, talvolta necessari o transeunti o dovuti ad uno specifico carisma va sempre armonizzato in questa triplice dimensione della Liturgia, la Catechesi e la Carità.
Poiché puntiamo tutto sulla Catechesi dimentichiamo la cura della Sacra Liturgia e il suo legame con l’Opera di Dio che è mistero, cioè l’inaccessibile che si rende accessibile, pur con gradualità e cammino.
Oppure reputiamo nulla l’Apologetica pensando che quello che conta è il Servizio operativo della Carità. Tutte spaccature, forme costanti di aut-aut che non rendono armonioso e propedeutico l’Et-Et cattolico. E, purtroppo, tanti pastori nelle Parrocchie e talvolta Vescovi nelle Diocesi, si rendono complici di questa mentalità a-cattolica di Aut-Aut invece di coltivare il Buono dove sorge con l’Et-Et.
Anche perché l’Et-Et è fatica, è incarnazione, è formazione permanente ed evita di incamminarsi nella via facile degli slogan, del tranchant, della superficialità pastorale. Non cerca il piacere del piacere (raffinatissima forma di mondanità spirituale e rinnovata via di clericalismo) ma il piacere, talvolta senza soddisfazione alcuna, che nasce dal servire Dio e i fratelli e le sorelle in Lui. È uscire fuori da sé e non uscire fuori di sé; non cerca il sé ma il Tu e qui, per il paradosso della Carità, trova veramente tutto, ogni Bene, tutto il Bene, il Bene e finalmente trova il sé.
Ricordava Papa Francesco nella veglia di Pentecoste del 2013:
"Quando la chiesa diventa chiusa, si ammala. Pensate ad una stanza chiusa per un anno, una chiesa chiusa è ammalata, la chiesa deve uscire verso le periferie esistenziali, qualsiasi esse siano. Preferisco mille volte una Chiesa incidentata, piuttosto che chiusa e malata"
Purché, senza dubbio, sia appunto un "uscire fuori da sé" e non "uscire fuori di sé". Chi esce da sé è mosso dalla Gioia che ha ricevuto, chi esce fuori di sé è mosso dal narcisismo che cerca conferme e repliche delle malattie che porta dentro, creando, nell'apparenza della missione, dei veri e propri circuiti settari, lobbistici, mondani, luoghi dove regna lo sguardo sull'ombelico di chi ne fa parte. Spezza l'Et-Et e sostiene l'Aut-Aut dell'autoreferenzialità.
"L'Uscire fuori di sé conserva sempre il sé malato ma uscire fuori da sé, grazie a Dio,
guarisce il sé profondo perché lo significa nel Noi di Dio e nel noi della Chiesa" (vd USCIRE FUORI DA SÉ A CAUSA DELLA GIOIA)
Il carisma della rinuncia ad ogni carisma
L’azione dello Spirito, veramente cattolica, poi, si esprime anche in un altro paradosso, tutto esistenziale che è ben oltre del paradosso dato dal semantico.
Lo Spirito conduce il fedele cattolico ad un carisma per poi magari chiederne una rinuncia.
È la peregrinatio fidei ed è qui che si misura l’obbedienza della Fede. Ed è qui che si misura la bontà del Dono ricevuto. Il cattolico riconosce così profondamente l’azione dello Spirito che non cerca di distinguer-si ma di donar-si, questo perché cammina nella restituzione e nell’espropriazione di sé. Non ha bisogno di affermar-si, di vincolar-si ad una intuizione ma di radicar-si in Cristo, come minore (Regola non bollata, cap VI-VII, Fonti Francescane, 23-24), dinamicamente, ed è questa la più alta forma di povertà, di castità e di obbedienza. E, occorre ribadirlo, non è per qualcuno ma, in forma univoca e prismatica, per ogni battezzato. Ed è stupore degli angeli e per i cuori che cercano Cristo. Qui, in questo paradosso dello Spirito Santo si sperimenta la più ampia libertà possibile all'uomo che, se l'accoglie, si struttura nello Stupore e, solo in questo, realmente fecondo. E questo perché si radicalizza il dono ricevuto nel Battesimo appartenendo finalmente a Cristo ed immersi, per quanto possibile, sin d'ora, nella Vita Divina Trinitaria.
"Μακάριοι οἱ πτωχοὶ τῷ πνεύματι, ὅτι αὐτῶν ἐστιν ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν
Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli." (Mt. 5,3)
E qui ci precede, ci spinge, ci sostiene il dono dello Spirito per essere veramente di Cristo, veramente cattolici.
"Ἄρα οὖν, ἀδελφοί, ὀφειλέται ἐσμέν, οὐ τῇ σαρκὶ τοῦ κατὰ σάρκα ζῆν,
PiEffe