Rassegna stampa formazione e catechesi
“ATTI INTRINSECAMENTE DISORDINATI”. ANATOMIA DI UN’AFFERMAZIONE CRISTALLINA IN UNA CONFERENZA STAMPA A TRATTI PERMEATA DI AUTODIFESA
- Dettagli
- Creato: 16 Aprile 2024
- Hits: 1019
Brevi riflessioni a margine della conferenza stampa di presentazione (8 aprile 2024) della Dichiarazione Dignitas infinita, circa la dignità umana”
di Paul Freeman
Credo, onestamente e serenamente, nonostante i malumori tra alcuni detti “conservatori” ed altri detti “progressisti” che dobbiamo essere grati per la dichiarazione Dignitas infinita. Per più motivi. Non entro in una analisi sistematica perché purtroppo non ne ho modo, in questi giorni. Rilevo anzitutto che la cifra di cui ringraziare la Provvidenza per Papa Francesco, per Pietro, è quella di aver saputo unire (magari non sempre felicemente ed approfonditamente e talvolta con cadute superficiali) aspetti legati ai “principi non negoziabili” e i “valori” della Dottrina Sociale della Chiesa. Un et-et necessario di cui non si deve mai cessare l’orchestrazione, però alla luce della Legge Morale Naturale. Sia i “principi” che i “valori” che da essi derivano sono tutti presenti assieme, come le dita di una mano.
Chiarezza sul principio di dignità
Alcuni, tra i fedeli “conservatori” hanno rilevato che tale dichiarazione proprio nell’affermazione che fornisce il titolo del documento, mutuata da un Angelus di San Giovanni Paolo II (Osnabrück - Domenica, 16 novembre 1980) abbia dei presupposti errati. Quasi una concezione “illuminista” fondante il delirio antropocentrico dell’umano. Delirio che nega ad incipit la ferita del peccato originale. Eppure basti leggere l’Angelus di San Giovanni Paolo II e comprendere il senso di questa dignità ontologica per partecipazione e dono:
“Dio ci ha mostrato con Gesù Cristo in maniera insuperabile come egli ama ciascun uomo e gli conferisce con ciò una dignità infinita. […] Per noi cristiani conta poco se uno è ammalato o sano; quel che conta in definitiva è questo: Sei tu pronto a realizzare con coscienza e fede la dignità conferitati da Dio in ogni tua situazione di vita e nel tuo comportamento da vero cristiano, o vuoi tu perdere questa tua dignità in una vita superficiale e irresponsabile, nel peccato e nella colpa davanti a Dio?”
La Dignità infinita dell’uomo c’è per due motivi intimamente legati ed inscindibili: l’Incarnazione (in vista della quale è pensata la creazione) e la Redenzione. Come ricordava la buona teologia scolastica (che evidentemente diversi sembrano non ricordare) la Dignità ontologica partecipata non è corrotta dal Peccato ma terribilmente e drammaticamente ferita. Siamo cattolici e quindi l’essere umano non è corrotto ma drammaticamente ferito e, in alcune situazioni, terribilmente, disordinato, ma capace di Bene. La scolastica classica interpretava la lirica retorica ebraica del bə-ṣal-mê-nū e del kiḏ-mū-ṯê-nū (Gn. 1,26) distinguendo Immagine e Somiglianza. L’Immagine rappresenta la condivisione ontologica partecipata, la somiglianza l’operatività volitiva di adesione a questa Immagine. L’Immagine è incorruttibile, la Somiglianza è “corrotta” proprio nell’ambito della Volontà nella sua dimensione operativa. Il Redentore viene proprio a toccare la Somiglianza, terribilmente ferita, per “adeguarla” il più possibile all’Immagine che Dio stesso ha donato e che conferisce, per partecipazione e dono, una Dignità infinita, sin dall’eternità (Ef. 1,2ss), dalla quale siamo pensati ed amati.
Tuttavia, ed è qui il dramma, è proprio l’incorruttibile Dignità dell’Immagine che può essere “foriera” dell’Inferno perché, per un mistero che ci sfugge ma senza la quale non siamo né realisti né capaci di intelligere il senso delle cose (come in parte diceva Pascal), possiamo non aderire all’Immagine che abbiamo ricevuto e vivere nel cortocircuito della “seconda morte” con una Somiglianza che è perduta e che si perde in un habitus di comportamenti, atti e scelte mortifere.
“Nel cuore dell'empio parla il peccato,
davanti ai suoi occhi non c'è timor di Dio.
Poiché egli si illude con sé stesso
nel ricercare la sua colpa e detestarla.” (Sl. 36,2-3)
Fatti per Dio, ricevuta da Lui la Dignità, la calpestiamo senza rimedio e definitivamente. Ed è questo l’Inferno, una terribile ma realistica possibilità. Non ha senso altresì parlare di “Bene possibile” quanto piuttosto di “Bene presente” e di “male possibile” come di un Bene disordinato o di una privazione del medesimo Bene.
Anche il Card. Fernandez prova a spiegare (dal min. 58 della conferenza) rispondendo alla domanda confusa della giornalista (al minuto 54) inerente l’Imago Dei. Ma la spiegazione evade un punto centrale importante, posto comunque nella domanda… nel documento Dignitas infinita non si tratta in maniera adeguata del Peccato Originale preferendo non affrontare un punto decisivo di come questa Dignità, comunque presente, possa essere drammaticamente obnubilata, negata, macchiata.
È curiosa e pericolosa questa dimenticanza perché senza la presa di coscienza di questa realtà la Dignità non può essere scoperta, slegata, e arricchita e si perde totalmente l’autentico senso pastorale a cui è finalizzato l’avere “l’odore delle pecore”, cioè la nostra salvezza eterna. Qui e ora.
La conoscenza gnoseologica di questa dignità non salva. Sarebbe intellettualismo Gnostico, ed anche Pelagianesimo. Piuttosto la drammatica realtà di una Dignità e nel contempo di una ferita dovuta al Peccato Originale e dai Peccati Personali è consapevolezza esistenziale decisiva. La Redenzione offre la via adeguata alla Salvezza e il risplendere della Dignità infinita ricevuta con l’Incarnazione.
Persona con disabilità e non diversamente abile
Un breve appunto. In Dignitas infinita non si chiamano le “Persone con disabilità” nell’accezione usata secondo la Convenzione delle Nazioni Unite ma come “diversamente abili” (Dignitas infinita, 53). È altamente dissonante usare questa definizione con l’impianto personalistico che comunque ha il documento e di fatto è, anche alla luce dell’autocoscienza normativa, piuttosto obsoleta. Premesso che ogni stichwort in merito è comunque riduttivo quando parliamo di “Persona”, certamente la definizione più consona è Persona “con” disabilità, proprio perché la Persona non “è” la sua disabilità ma “ha” una disabilità e la sua dignità è intangibile; come ricordava l’Angelus di San Giovanni Paolo II. E, certamente, una “Persona con disabilità” può essere anche diversamente abile ma definirla solo “diversamente abile” apre a derive stigmatizzanti che cortocircuitano il pensiero stesso sulla Persona e aprono al “ghetto”, alla “categorizzazione”, alla “disinclusione”. Cosa che, evidentemente, il documento non vuole in alcun modo visto che desidera, giustamente e provvidenzialmente, combattere la “cultura dello scarto”.
Una revisione della Dichiarazione qui, in questo punto, è auspicabile.
Gli atti intrinsecamente disordinati
Entrando nell’argomento del titolo cioè gli “atti intrinsecamente disordinati”, colpisce come nella conferenza vengano definiti dal Cardinale Fernandez a 1:29:22:
“Sull’espressione intrinsecamente disordinati è vero che è una espressione molto forte e che bisogna spiegarla molto, magari potessimo trovare una espressione che sia ancora più chiara, per quello che vogliamo dire. Ma quello che vogliamo dire è che di fronte alla bellezza immensa dell’incontro tra umo e donna, con quella differenza che è la più grande che può esserci nel mondo. Tra uomo e donna. Che possano incontrarsi, essere insieme ed avere un rapporto così intimo. E che da questo incontro possa nascere una nuova vita. Questa non è una cosa che può essere comparata con un’altra. Allora di fronte a questa realtà gli atti omosessuali hanno questa caratteristica, che non può rispecchiare nemmeno da lontano questa bellezza immensa. È quello che si vuole dire. Però è vero che l’espressione potrebbe trovare altre parole più adatte per esprimere questo mistero.”
Occorre rilevare che la risposta del Cardinale è stata riportata da Vatican News con una descrizione abbastanza ambigua che la precede, introduzione tradotta poi in tutte le lingue. Leggiamo infatti su Vatican News(https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2024-04/cardinale-fernandez-dignitas-infinita-conferenza-vaticano.html):
A chi faceva notare che forse bisognerebbe cambiare il Catechismo della Chiesa cattolica che reputa gli atti omosessuali “intrinsecamente disordinati” (cosa che, a parere di molti, alimenterebbe la violenza contro i gay), il capo Dicastero ha risposto che “intrinsecamente disordinati” è effettivamente “una espressione forte… Bisogna spiegarla molto, magari trovassimo un’espressione più chiara”.
Una intro curiosa questa di Vatican News così scritta che non permette di comprendere cosa si intende con i “molti” tra parentesi. Il parere dei presenti sala? Il parere personale del giornalista che redige un articolo? Oppure una preparazione guidata di alcune domande per parlare di determinati argomenti?
Ascoltando bene la domanda della giornalista Nicole Winfield (AP) si comprende che è un parere riportato dalla giornalista:
“Vista la chiamata di cambiare le leggi che penalizzano omosessualità che lei sostiene il Vaticano vuole decriminalizzare l’omosessualità, mi domando se lei anche pensa che è arrivato il momento di cambiare l’insegnamento del Dicastero suo, cioè che le azioni omosessuali sono intrinsecamente disordinate, che molti sostengono alimentano questa violenza contro i gay”.
Decisamente Vatican News, visto il grave ruolo che ha, poteva scrivere meglio questa domanda, almeno in parte, per contestualizzare. È noto, purtroppo, che da almeno due decenni correnti di teologia morale e di canonisti provano a destrutturare questa parte scomoda del catechismo. Nel contempo l’esempio fornito dal Cardinale, per quanto vero, ne coglie purtroppo solo una parte.
Quello che il Catechismo dice, richiamando il documento Persona Humana al numero 8 è che ci sono atti che non sono solo distanti dal Bene, magari immensamente, ma ci sono atti che disordinano il Bene e lo tradiscono nella Sua intima essenza, ferendo la Dignità sia del Bene, sia della Persona che del Bene Comune.
Vale la pena riportare per intero questa parte del magistero:
“Ai nostri giorni, contro l’insegnamento costante del magistero e il senso morale del popolo cristiano, alcuni, fondandosi su osservazioni di ordine psicologico, hanno cominciato a giudicare con indulgenza, anzi a scusare del tutto, le relazioni omosessuali presso certi soggetti. Essi distinguono - e sembra non senza motivo - tra gli omosessuali la cui tendenza, derivando da falsa educazione, da mancanza di evoluzione sessuale normale, da abitudine contratta, da cattivi esempi o da altre cause analoghe, è transitoria o, almeno, non incurabile, e gli omosessuali che sono definitivamente tali per una specie di istinto innato o di costituzione patologica, giudicata incurabile.
Ora, per ciò che riguarda i soggetti di questa seconda categoria, alcuni concludono che la loro tendenza è a tal punto naturale da dover ritenere che essa giustifichi, in loro, relazioni omosessuali in una sincera comunione di vita e di amore, analoga al matrimonio, in quanto essi si sentono incapaci di sopportare una vita solitaria.
Certo, nell'azione pastorale, questi omosessuali devono essere accolti con comprensione e sostenuti nella speranza di superare le loro difficoltà personali e il loro disadattamento sociale. La loro colpevolezza sarà giudicata con prudenza; ma non può essere usato nessun metodo pastorale che, ritenendo questi atti conformi alla condizione di quelle persone, accordi loro una giustificazione morale. Secondo l'ordine morale oggettivo, le relazioni omosessuali sono atti privi della loro regola essenziale e indispensabile. Esse sono condannate nella sacra Scrittura come gravi depravazioni e presentate, anzi, come la funesta conseguenza di un rifiuto di Dio. Questo giudizio della Scrittura non permette di concludere che tutti coloro, i quali soffrono di questa anomalia, ne siano personalmente responsabili, ma esso attesta che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati e che, in nessun caso, possono ricevere una qualche approvazione.”
Ora affermare come fa il Cardinale che vi è una distanza immensa tra gli atti omosessuali, di due Persone con omo-affettività, e due Persone, un uomo e una donna, è pericolosamente riduttivo perché porta, in una maniera o nell’altra, a voler “normalizzare” il “disordine” degli atti omosessuali.
Lo ricordava la Dichiarazione del 15 marzo 2021:
“La presenza in tali relazioni di elementi positivi, che in sé sono pur da apprezzare e valorizzare, non è comunque in grado di coonestarle e renderle quindi legittimamente oggetto di una benedizione ecclesiale, poiché tali elementi si trovano al servizio di una unione non ordinata al disegno del Creatore.” (Dal Responsum della Congregazione per la Dottrina della Fede ad un dubium circa la benedizione delle unioni di persone dello stesso sesso, 15.03.2021)
La definizione data dal catechismo è invece proprio chiara, cristallina e, a meno di non chiamare bene ciò che è male, è adeguata, perfettamente. Non si afferma che le Persone con omo-affettività, più o meno radicata, siano disordinati ma che gli atti vissuti in quel modo disordinano il Bene presente e che, se esercitati, lo orientano a grave compromissione della Dignità sia della Persona che del Bene presente.
Per quel che mi riguarda una Persona con omo-affettività può essere ben più vicina a Dio del sottoscritto che è padre di famiglia con tre figli.
Quello che probabilmente andava rilevato (e questo sì rispondeva alla catechesi sulla virtù della Fortezza fatta nella recente udienza dal Santo Padre) è che nel catechismo si citano altri “atti intrinsecamente disordinati” e che non riguardano solo le Persone con omo-affettività ma tutti noi. Ad esempio la masturbazione al CCC 2352, ma, soprattutto, poteva essere il luogo per sottolineare la bellezza della castità. Che è un “dovere” battesimale per tutti, bene presente per rendere possibile la maturazione della Persona. Ricordava il Santo Padre nell’Udienza generale di mercoledì 10 aprile:
“La fortezza è una virtù fondamentale perché prende sul serio la sfida del male nel mondo. Qualcuno finge che esso non esista, che tutto vada bene, che la volontà umana non sia talvolta cieca, che nella storia non si dibattano forze oscure portatrici di morte. Ma basta sfogliare un libro di storia, o purtroppo anche i giornali, per scoprire le nefandezze di cui siamo un po’ vittime e un po’ protagonisti: guerre, violenze, schiavitù, oppressione dei poveri, ferite mai sanate che ancora sanguinano. La virtù della fortezza ci fa reagire e gridare un “no”, un “no” secco a tutto questo. Nel nostro confortevole Occidente, che ha un po’ annacquato tutto, che ha trasformato il cammino di perfezione in un semplice sviluppo organico, che non ha bisogno di lotte perché tutto gli appare uguale, avvertiamo talvolta una sana nostalgia dei profeti. Ma sono molto rare le persone scomode e visionarie. C’è bisogno di qualcuno che ci scalzi dal posto soffice in cui ci siamo adagiati e ci faccia ripetere in maniera risoluta il nostro “no” al male e a tutto ciò che conduce all’indifferenza. “No” al male e “no” all’indifferenza; “sì” al cammino, al cammino che ci fa progredire, e per questo bisogna lottare.”
La deriva nel minimizzare gli atti gravemente disordinati è il pegno che paghiamo per una scarsa formazione al pensiero e per confondere l’impantanamento pastorale con l’Incarnazione la quale, solo quest’ultima, nel suo moto contemporaneamente discendente e trascendente, e secondo principio di gradualità, ci dona “l’odore delle pecore” e rende fecondo, secondo Dio, il nostro stare nel mondo per la salvezza di tutti, ma veramente tutti. Una “Chiesa in uscita” che porta i suoi deliri e le sue ideologie, vecchie o nuove, errori passati o attuali, è come Giuda di Keriot, ladra di Bene e rischia di essere clericale. Il voler non essere o comportarsi da clericale, per ogni fedele, non è solo un “flatus vocis”; ricordava Papa Benedetto XVI nella “abrenuntiatio”:
“non solum agendo et loquendo exsequi debere, sed non minus patiendo et orando”. (https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2013/02/11/0089/00244.html)
Orazioni per un cammino di conversione
L’esempio fatto da Pietro, Papa Francesco, qualche tempo addietro, sulla “benedizione” degli imprenditori (su cui mai nessuno ha avuto da obiettare) occorre affermare, in parresia, che è anzitutto un esempio “illogico”. Perché fare l’imprenditore non è di certo un disordine in sé. Lo è nella misura in cui si compiono degli “atti gravemente disordinati” di sfruttamento, di abuso, di ladrocinio, di ingiustizia sociale. Ma non è detto che ciò avvenga o debba avvenire. Anzi.
“Benedire” una Persona con omo-affettività che venga con un proprio compagno davanti al sacerdote rischia di essere ambiguo perché non aiuta la Grazia (proprio quella che giustamente e legittimamente non si vuole mortificare: “Chi sono io per giudicare?”, nel lavorio personale) a trasformare il senso di colpa (che inevitabilmente una Persona che vive quello stato ha sperimentando una dissonanza) in una coscienza di colpa e dunque in un cammino di conversione, libero e liberante, ma piuttosto in un cammino di legittimazione delle proprie scelte e dei propri atti gravemente disordinati. E noi siamo tutti, ma proprio tutti, abilissimi in questo, nel voler trovare una giustificazione o “spiritualizzazione” alle nostre scelte e ai nostri atti.
Ricorda C. S. Lewis “Non riesco, cioè, a osservare sempre la legge naturale, e appena qualcuno mi fa notare che non la osservo, nella mia mente nasce una sfilza di scuse lunga da qui a lì. La questione non è se siano o meno scuse valide: è che queste scuse sono la riprova di quanto profondamente, ci piaccia o no, crediamo alla legge naturale. Se non crediamo che bisogna comportarsi bene, perché ci affanniamo tanto a scusarci per non averlo fatto?” (C.S.Lewis, Il cristianesimo così com’è, Adelphi, 1997, pp.25-31)
Noi siamo responsabili del Bene dei fratelli, con appartenenza. Perché loro, proprio loro, ciascuno di loro, fratelli e sorelle, Persone con omo-affettività, sono la nostra carne; sono parte di noi. E chi mai aiuterebbe una parte di sé che compie atti disordinati incentivandola nel suo disordine quanto piuttosto non invocherebbe la Grazia già presente perché sia “slegata” e porti castamente frutto, a beneficio di tutti? Quale fiume di santità è presente nelle Persone con omo-affettività e noi rischiamo di mortificarla condannando loro e noi legittimando scelte disordinate?
Sebbene l’intenzione lodevole e comprensibile è quella di fornire un aiuto pastorale che "non sancisca, non consacra, non giustifica" (come ricordato dal Card. Fernandez nella conferenza), se amo i fratelli e rispetto il mandato che ho per loro davanti a Dio (Dio, infatti, chiede e dona l’amore presente, vd anche Dt. 30,14 e Rm. 8,1ss) non posso in alcun modo legittimare la percezione che essi hanno di quella “benedizione”.
Se, come dice il Cardinal Fernandez (al min. 14:53), “(queste benedizioni) sono solo una preghiera del ministro per esprimere l’aiuto di Dio per continuare a vivere… come ha spiegato Francesco al nostro Dicastero queste benedizioni fuori dal loro carattere liturgico non esigono una perfezione morale per essere ricevute”.
Ma allora non era meglio chiamarle “orazioni di aiuto, di sostegno, di presenza”?
In tal modo si sarebbero cautelati meglio diversi episcopati, senza creare inutili frizioni, si sarebbe rispettata la natura della “benedizione” che, biblicamente intesa, è sempre una lode che rispetta la creazione e gli atti che rispettano la creazione in tutti i suoi momenti.
Così sono nate le Berakà, dallo Shemà (Dt. 6,4-9).
Avrebbe rispettato il “culmen et fons” del Concilio che ricorda che non ci sono atti privati o non liturgici ma che anche la paraliturgia o le orazioni spontanee per il Bene di una situazione o di una Persona sono un “conductus”, per dirla con un linguaggio caro ai medievali, e che legittimano la vera devozione di ogni tempo.
E, soprattutto, ed è quello che mi sta veramente a cuore, avrebbe responsabilizzato i Presbiteri e le comunità che tale occasione non è momento di “pochi secondi”, a rischio di “animismo” e di “magia devozionale”, ma l’incipit di una riconosciuta appartenenza, di una compagnia autentica e di una concreta inclusione di ogni Persona e di ogni situazione:
“Su venite discutiamo” (Is. 1,18).
Anche qui si spera una revisione adeguata del documento Fiducia supplicans, non modificando le preziose intenzioni ma integrando meglio le modalità e i termini.
A tal proposito fornisco di seguito qualche semplice suggerimento a mo’ di esempio (e dunque non esaustivo) in forma sinottica:
Fiducia supplicans testo originale |
Fiducia supplicans testo suggerito |
FS 25. Perciò, quando le persone invocano una benedizione non dovrebbe essere posta un’esaustiva analisi morale come precondizione per poterla conferire. Non si deve richiedere loro una previa perfezione morale. |
FS 25. Perciò, quando le persone invocano una richiesta orante, di sostegno ed aiuto, non dovrebbe essere posta un’esaustiva analisi morale come precondizione per poter svolgere un momento di preghiera. Non si deve richiedere loro una previa perfezione morale ma si colga l’occasione per svolgere un percorso di compagnia pastorale, nella forma dell’orazione e dell’accompagnamento, che possa precludere, stante le condizioni e secondo discernimento, un fecondo percorso di catecumenato. |
FS 31. Nell’orizzonte qui delineato si colloca la possibilità di benedizioni di coppie in situazioni irregolari e di coppie dello stesso sesso, la cui forma non deve trovare alcuna fissazione rituale da parte delle autorità ecclesiali, allo scopo di non produrre una confusione con la benedizione propria del sacramento del matrimonio. |
FS 31. Nell’orizzonte qui delineato si colloca la possibilità di momenti di preghiera per coppie in situazioni irregolari e di coppie dello stesso sesso, la cui forma non deve trovare alcuna fissazione rituale da parte delle autorità ecclesiali, allo scopo di non produrre una confusione con momenti di preghiera propri del sacramento del matrimonio. |
FS 33. In fondo, la benedizione offre alle persone un mezzo per accrescere la loro fiducia in Dio. La richiesta di una benedizione esprime ed alimenta l’apertura alla trascendenza, la pietà, la vicinanza a Dio in mille circostanze concrete della vita, e questo non è cosa da poco nel mondo in cui viviamo. È un seme dello Spirito Santo che va curato, non ostacolato. |
FS 33. In fondo, la richiesta orante è il riconoscere il Bene presente nel proprio cuore ed offre alle persone un mezzo per accrescere la loro fiducia in Dio. La richiesta sincera di un momento di preghiera esprime ed alimenta l’apertura alla trascendenza, la pietà, la vicinanza a Dio in mille circostanze concrete della vita, e questo non è cosa da poco nel mondo in cui viviamo. È un seme dello Spirito Santo che va curato, non ostacolato. Nel contempo si abbia cura di non ostacolare il seme della Grazia con l’avallo diretto ed indiretto di scelte e condotte contrarie all’azione dello Spirito. Su tutto prevalga il volto accogliente del Padre che, nel contempo, promuove a cambiamento di vita. |
FS 35. Perciò, la sensibilità pastorale dei ministri ordinati dovrebbe essere educata anche ad eseguire spontaneamente benedizioni che non si trovano nel Benedizionale. |
FS 35. Perciò, la sensibilità pastorale dei ministri ordinati dovrebbe essere educata sia al discernimento sia ad eseguire spontaneamente orazioni di biblica fondatezza che facciano trasparire il camminare di Dio vicino al Suo popolo. |
FS 39. Ad ogni modo, proprio per evitare qualsiasi forma di confusione o di scandalo, quando la preghiera di benedizione, benché espressa al di fuori dei riti previsti dai libri liturgici, sia chiesta da una coppia in una situazione irregolare, questa benedizione mai verrà svolta contestualmente ai riti civili di unione e nemmeno in relazione a essi. Neanche con degli abiti, gesti o parole propri di un matrimonio. Lo stesso vale quando la benedizione è richiesta da una coppia dello stesso sesso. |
FS 39. Ad ogni modo, proprio per evitare qualsiasi forma di confusione o di scandalo, non solo pubblico ma anche di impedimento alla grazia che lavora nella Persona e nella sua storia personale, quando la richiesta orante, benché espressa al di fuori dei riti previsti dai libri liturgici, sia chiesta da una coppia in una situazione irregolare, questo momento di preghiera non sia svolto contestualmente ai riti civili di unione e nemmeno in relazione a essi. Neanche con degli abiti, gesti o parole propri di un matrimonio. Lo stesso vale quando il desiderio di un'orazione è richiesto da una coppia dello stesso sesso. Il criterio è quello di essere facilitatori della Grazia non un suo impedimento. |
“Il Signore completerà per me l'opera sua.
Signore, la tua bontà dura per sempre:
non abbandonare l'opera delle tue mani” (Sl. 138,8)
Paul Freeman