Rassegna stampa etica

La verità sulla Ru486, e le donne non la vorranno

Se fossero informate in modo esauriente sugli effetti della Ru486, le donne che intendono abortire «non la prenderebbero mai». Ne è convinto James McGregor, ostetrico e docente di Ostetricia e ginecologia all'Università della California del Sud, dove ha studiato le morti legate all'assunzione della pillola abortiva. La preoccupazione di McGregor - che tiene a sottolineare come la sua conclusione sia puramente scientifica e non dettata da riserve morali - è che il modo in cui la Ru486 sopprime il sistema immunitario non sia stato esaminato a sufficienza. E, soprattutto, che il silenzio che circonda gli effetti del mifepristone (il principio attivo della pillola) comprometta il diritto delle donne di sapere con esattezza a quali rischi si espongono.

Professor McGregor, stando alle sue ricerche, che cosa viene detto e cosa taciuto sulla Ru486 alle donne americane che intendono sottoporsi ad aborto chimico?
«Le cliniche cui si presentano sono solo tenute a informarle che se dopo aver preso la pillola dovessero avere sintomi simili a quelli dell'influenza devono assolutamente tornare alla clinica o recarsi al pronto soccorso più vicino. Quello che non si sentono spiegare è che il mifepristone bloccherà per una settimana intera i loro recettori gluco-corticoidi, vale a dire gli ormoni dello stress responsabili di scatenare una reazione di difesa in caso di infezione. Di fatto sono assolutamente indifese all'attacco di batteri letali. E non lo sanno».

Quali requisiti impone la Fda - l'agenzia americana responsabile della sicurezza dei farmaci e degli alimenti in commercio negli Usa - ai medici e alle cliniche che prescrivono la Ru486?
«Dal punto di vista dell'informazione la Fda richiede solo che la Danco Labarotories, che distribuisce la pillola negli Usa, stampi sulla confezione un avvertimento sui rischi di infezione. Poi chiede che le donne siano informate dei sintomi da tenere d'occhio. E basta. Ma questo non risponde alle tante domande ancora aperte sui casi di infezione da Clostridium sordellii, il batterio responsabile della morte di quattro donne solo negli Stati Uniti».

Non pensa che la casistica sia stata esaminata a sufficienza?
«Assolutamente no. Nel maggio 2006 il Centro per il controllo della malattie americano (il Cdc) ha convocato una giornata di studio sulle infezioni da Clostridium sordelli, e tutti i partecipanti hanno concordato che la sua incidenza negli Usa è più alta di quella di qualsiasi altro batterio letale preso individualmente. Il fatto poi che la maggior parte dei casi siano legati alla somministrazione di mifepristone non può essere una coincidenza. Come scienziati ci siamo persino chiesti se non si fosse trattato di una fornitura di pastiglie avariate, ma la risposta è stata negativa».

Qual è la sua conclusione?
«Che il mifepristone riduce pericolosamente e in modo assolutamente non necessario il sistema immunitario e che per questo non dovrebbe essere prescritto. È un punto che continuo a ripetere e che spero venga preso in considerazione. Il rischio di morte in caso di aborto chirurgico è uno su un milione. Per l'aborto chimico è di uno su 80mila. Una differenza enorme che è stata finora assurdamente sottovalutata dalla Fda. La stessa Fda recentemente è stata anche accusata di non essere abbastanza vigile sulla produzione della Ru486. È emerso che la società farmaceutica cinese che produce la pillola abortiva per gli Stati Uniti ha venduto medicinali contaminati in Cina, causando la paralisi di 200 persone».

Cosa si dovrebbe fare, allora?
«Il monitoraggio della Fda dovrebbe comprendere ispezioni microbiologiche nelle fabbriche dove vengono preparati i farmaci distribuiti negli Usa, così come dovrebbe essere necessaria l'analisi periodica di campioni casuali di medicinali in arrivo dall'estero, per verificare che contengano davvero quello che dicono di contenere e che non siano avariati. Ma questo, purtroppo, non succede per nessun medicinale».