Apologetica

La tentazione di un Gesù fatto su misura

vitello dorodi ROBERTO CUTAIA

Il deficit nell’uomo odierno nel “fa-re esperienza” dell’amicizia con Ge-sù è tale che, per dirla con sant’An-selmo d’Aosta, homo perdidit beatitu-dinem ad quam factus est, et invenit miseriam propter quam factus non est(l’umo ha perso la felicità per la quale era fatto e ha trovato la mise-ria per la quale non era stato fatto). Abbiamo fatto qualche domanda su questo tema a Karl-Heinz Menke, dell’università di Bonn. Il suo volume del 2008 Jesus ist Gott der Sohnè stato citato da Pa-pa Benedetto nella seconda parte del libro Gesù di Nazaret.
Con l’ultima edizione riveduta della mia cristologia ho voluto ri-spondere al fenomeno del nostro tempo, che il Papa ha definito fin dall’inizio del suo pontificato come relativismo. Un tratto caratterizzan-te la cosiddetta post-modernità è la tesi delle molte verità collegata alla cosiddetta teologia pluralista delle religioni. Secondo la visione relati-vista e pluralista Dio è il trascen-dente al quale si riferiscono tutte le religioni in modi diversi, senza che nessuna di loro possa rivendicare più verità rispetto alle altre. Questo punto di vista è particolarmente po-polare perché permette alle persone di identificare la verità con le pro-prie visioni. Il cristianesimo è dia-metralmente opposto a questa ten-denza. Per il Nuovo Testamento Cristo è ciò che è espresso nelle forme del C re d o della tradizione cri-stiana: non è semplicemente uno tra altri interpreti del Dio trascen-dente, ma l’auto-comunicazione del Dio trinitario. Da qui il richiamo del Papa al ritor-no della comprensione dell’ultima cena e della morte in croce di Gesù? L’origine dell’Eucaristia dopo la Pasqua — secondo quanto scrive Pa-pa Benedetto — non si spieghereb-be senza che lo stesso Gesù sia of-ferto come vittima nel sacrificio. Chi poteva permettersi di farsi ve-nire in mente una cosa simile? E la cosa ancora più sorprendente è che i primi cristiani — chiaramente già negli anni Trenta — abbiano accet-tato senza protestare una cosa simi-le, senza considerarla affatto tale in-venzione. Le parole di Marco, 14, Matteo, 26, Luca, 22e i Corinzi,2 spiegano, con tutte le differenze, nei dettagli, le sofferenze e la morte di Gesù come una trasformazione della morte violenta in un atto libe-ro di auto-sacrificio. Solo così Egli può servire nella Cena in modo proattivo. Nel capitolo intitolato «La morte di Gesù come espiazione e salvezza», Papa Benedetto ha di-chiarato che la sua cristologia di espiazione non ha nulla in comune con la cosiddetta teoria della soddi-sfazione. La crocifissione di Gesù non è necessaria perché Dio lo im-pone, ma perché il peccato non può altrimenti essere sconfitto. Poi-chè dunque Gesù è l’opposto del peccato, egli attira l’odio del pecca-to. E perché Egli è veramente uo-mo, non lo è solo simbolicamente, ma in realtà vittima di questo odio. Dal Gesù di Nazaret emerge un Fi-glio di Dio reale come solo i santi hanno saputo sperimentare nei se-coli. Mentre i cristiani in ogni tempo rischiano di costruirsi un Gesù “como-do”, a propria immagine e somi-glianza. Il primo volume su Gesù di Na-zaret scritto da Papa Benedetto lo ribadisce quasi in ogni pagina: gli scritti del Nuovo Testamento cerca-no di evitare tutti i fraintendimenti che risultano dalla separazione di un Gesù storico dal Gesù delle in-terpretazioni. Tutti i tentativi di tro-vare fatti come tali o parole autenti-che di Gesù sono illusorie. Gli scritti del Nuovo Testamento sono l’espressione della fede dei credenti del primo secolo. La verità non è il Gesù passato e sepolto, ma il Cri-sto vivente; e i credenti di tutti i se-coli sono in comunicazione con il Cristo vivente. Il singolo credente può errare, ma non la comunità to-tale di tutti i credenti. Tra le cristologie da riscoprire nel no-stro tempo quella rosminiana rivela un’affinità sorprendente con la conce-zione ebraica del tempo e della Torah. Dunque nuova linfa al dialogo ebrai-co-cristiano? La cristologia del beato Antonio Rosmini, a mio avviso, è senz’a l t ro lungimirante, perché a differenza della teologica scolastica contempo-ranea valuta a fondo anche l’umani-tà di Gesù, la sua anima radical-mente ebraica. Rosmini presenta una riflessione molto simile a quella di Papa Benedetto. Per lui, l’umani-tà del Redentore non è solo un’espressione, un simbolo, un esempio o una traccia dell’azione di redenzione divina, ma ciò che acca-de nello spazio e nel tempo. Le co-munità cristiane dovrebbero trovare la forza come diceva san Giacomo a discorrere su Dio piuttosto che con o contro i fratelli stessi, provo-cando così divisioni. La preghiera come antidoto da con-trapporre a una erudizione vuota? Il cristianesimo non è una reli-gione del libro. Perché la verità non è un libro, ma una persona. La Scrittura rende testimonianza alla verità che è Cristo. Solo i credenti possono con il Cristo nell’Eucari-stia, nella preghiera e nella comu-nione nella Chiesa non cadere fuori della verità. Anche la Bibbia deve essere letta e interpretata in comu-nione con Cristo. La riflessione cri-tica è necessaria per la fede e se non sono in contraddizione, sono reciprocamente fruttuose. Ma la radice di tutta la cristologia è la preghiera.

© Osservatore Romano - 8 agosto 2012