XXX domenica del Tempo Ordinario anno B
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- Creato: 23 Ottobre 2015
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Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
accresci in noi la fede, la speranza e la carità,
e perché possiamo ottenere ciò che prometti,
fa' che amiamo ciò che comandi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...
Oppure:
O Dio, luce ai ciechi e gioia ai tribolati,
che nel tuo Figlio unigenito
ci hai dato il sacerdote giusto e compassionevole
verso coloro che gemono nell'oppressione e nel pianto,
ascolta il grido della nostra preghiera:
fa' che tutti gli uomini riconoscano in lui
la tenerezza del tuo amore di Padre
e si mettano in cammino verso di te.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...
Prima lettura
Ger 31,7-9
Riporterò tra le consolazioni il cieco e lo zoppo.
Dal libro del profeta Geremìa
Così dice il Signore:
«Innalzate canti di gioia per Giacobbe,
esultate per la prima delle nazioni,
fate udire la vostra lode e dite:
"Il Signore ha salvato il suo popolo,
il resto d'Israele".
Ecco, li riconduco dalla terra del settentrione
e li raduno dalle estremità della terra;
fra loro sono il cieco e lo zoppo,
la donna incinta e la partoriente:
ritorneranno qui in gran folla.
Erano partiti nel pianto,
io li riporterò tra le consolazioni;
li ricondurrò a fiumi ricchi d'acqua
per una strada dritta in cui non inciamperanno,
perché io sono un padre per Israele,
Èfraim è il mio primogenito».
Parola di Dio
Salmo responsoriale
Sal 125
Grandi cose ha fatto il Signore per noi.
Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion,
ci sembrava di sognare.
Allora la nostra bocca si riempì di sorriso,
la nostra lingua di gioia.
Allora si diceva tra le genti:
«Il Signore ha fatto grandi cose per loro».
Grandi cose ha fatto il Signore per noi:
eravamo pieni di gioia.
Ristabilisci, Signore, la nostra sorte,
come i torrenti del Negheb.
Chi semina nelle lacrime
mieterà nella gioia.
Nell'andare, se ne va piangendo,
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con gioia,
portando i suoi covoni.
Seconda lettura
Eb 5,1-6
Tu sei sacerdote per sempre, secondo l'ordine di Melchìsedek.
Dalla lettera agli Ebrei
Ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati.
Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell'ignoranza e nell'errore, essendo anche lui rivestito di debolezza. A causa di questa egli deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso, come fa per il popolo.
Nessuno attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato», gliela conferì come è detto in un altro passo:
«Tu sei sacerdote per sempre,
secondo l'ordine di Melchìsedek».
Parola di Dio
Canto al Vangelo (Cf 2Tm 1,10)
Alleluia, alleluia.
Il salvatore nostro Cristo Gesù ha vinto la morte
e ha fatto risplendere la vita per mezzo del Vangelo.
Alleluia.
Vangelo
Mc 10,46-52
Rabbunì, che io veda di nuovo!
+ Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va', la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
Parola del Signore
Commento
"Che vuoi che io ti faccia?".
Gesù, il Signore, sa bene di cosa abbiamo bisogno sia per il corpo che per lo spirito..
tuttavia ci pone la domanda perché sa che essa suscita la fede e il desiderio.
Suscita il cristianesimo adulto della collaborazione alla Sua grazia e all'azione del Suo Spirito.
E, in definitiva, suscita la gioia.
In verità dovremmo far nostra spesso questa preghiera: "Rabbunì, che io riabbia la vista!".
La cecità, infatti, non è dovuta solo al peccato ma anche alla nostra "quasi naturale" incapacità, nella natura ferita, di cogliere gli stimoli dello Spirito Santo e di uscire fuori dagli schemi che ci costruiamo via via, volta per volta.
Spesso questi schemi, vere e proprie proiezioni di Dio, sono di passaggio e Dio li permette per farci camminare verso di Lui ma noi ci attacchiamo ad essi con quell'avarizia del cuore che è idolatria.
Molto ci sarebbe da dire sulle "proiezioni di Dio", quelli indotti dalla Provvidenza per crescere e quelli da noi creati ad hoc per sostituire il volto del Santo con le cisterne screpolate.
Proiezioni a volte spiritualissime o fatte di alti ideali che, senza che ce ne accorgiamo, sostituiscono il Volto vero di Dio con il volto che abbiamo costruito. Ed è sopraffina idolatria.
Infatti questo attaccamento non riguarda solo i vizi, i peccati, ma anche i ministeri, i ruoli ecclesiali e addirittura le vocazioni temporanee che il Signore ci dona.
Ad esempio, posta la vocazione primaria che rimane il "binario" preferenziale dell'uomo e della donna (vita coniugata o consacrazione particolare - che tutti siamo chiamati a chiarire per onestà verso lo Spirito Santo e la nostra natura -) ci sono tutte una serie di "piccole" chiamate che il Signore ci dà nella storia; un incarico, un ministero, un servizio.
A queste cose belle e buone noi ci attacchiamo come fossero nostre rivendicando la nostra identità personale su quel servizio e confondendo la vocazione primaria con quella secondaria.
Ecco che facciamo dipendere la nostra pace di coniugati sul mantenere un servizio particolare in parrocchia senza ascoltare nell'obbedienza ciò che ci chiedono i pastori e lo Spirito di Dio; ecco che, come sacerdoti, facciamo dipendere la nostra autostima da un servizio diocesano piuttosto che ad un altro.. e via di questo passo.
Oppure ci attacchiamo, quasi morbosamente, ad un pastore, ad un parroco, ad un catechista.
Quando il Signore, per cause a lui solo note, ce lo toglie - fosse anche per cattivo discernimento dei pastori o della Chiesa istituzionale - ecco che scatta in noi un sentimento infantile di "angoscia abbandonica".
Facciamo dipendere il nostro benessere da quella persona e non da Dio che ce l'ha donata (e quindi tolta).
Dio è più grande del nostro cuore e conosce fino in fondo i nostri reali bisogni e le nostre necessità.
Se davvero avessimo un po' di fiducia e abbandono in Lui saremmo pervasi e inondati dalla gioia più radicale.
Quella che nessuno e niente può toglierci perché, questa gioia, discreta e potente, riposa e si nutre di Dio.
Sin da ora; tra difficoltà e prove.
La realtà è che non si smette mai di essere ciechi e colui che crede di vedere apertamente ha smesso di obbedire a Dio e alla Chiesa e non ascolta più la domanda di Gesù:
"Che vuoi che io ti faccia?", cioè cosa veramente vuoi? Cosa vuoi nel profondo?
Questo è il principio della tristezza: la mancanza di ascolto verso sé e, nel contempo, la scarsa apertura del cuore agli orizzonti della carità, della missione a cui lo Spirito ci chiama.
Questa è spesso la nostra cecità e la nostra poca fede.
Una ostinata e curva chiusura alla gioia.
Paul e Francesca
Segue commento e meditazione proposti dal Monastero Sacro Cuore
