V DOMENICA DI PASQUA Anno A
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- Creato: 17 Maggio 2011
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O Padre, che ci hai donato il Salvatore e lo Spirito Santo, guarda con benevolenza i tuoi figli di adozione, perché a tutti i credenti in Cristo sia data la vera libertà e l'eredità eterna.
Prima Lettura At 6, 1-7
Elessero sette uomini pieni di Spirito Santo.
Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, mentre aumentava il numero dei discepoli, sorse un malcontento fra gli ellenisti verso gli Ebrei, perché venivano trascurate le loro vedove nella distribuzione quotidiana.
Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense. Cercate dunque, fratelli, tra di voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza, ai quali affideremo quest'incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola».
Piacque questa proposta a tutto il gruppo ed elessero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timòne, Parmenàs e Nicola, un proselito di Antiochia. Li presentarono quindi agli apostoli i quali, dopo aver pregato, imposero loro le mani.
Intanto la parola di Dio si diffondeva e si moltiplicava grandemente il numero dei discepoli a Gerusalemme; anche un gran numero di sacerdoti aderiva alla fede.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 32
Volgiti a noi, Signore: in te speriamo.
Esultate, giusti, nel Signore:
ai retti si addice la lode.
Lodate il Signore con la cetra,
con l'arpa a dieci corde a lui cantate.
Retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
Egli ama il diritto e la giustizia,
della sua grazia è piena la terra.
Ecco, l'occhio del Signore veglia su chi lo teme,
su chi spera nella sua grazia,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.
Seconda Lettura 1 Pt 2, 4-9
Voi stirpe eletta, sacerdozio regale.
Dalla prima lettera di san Pietro apostolo
Carissimi, stringetevi a Cristo, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo. Si legge infatti nella Scrittura: "Ecco io pongo in Sion una pietra angolare, scelta, preziosa e chi crede in essa non resterà confuso".
Onore dunque a voi che credete; ma per gli increduli "la pietra che i costruttori hanno scartato è divenuta la pietra angolare, sasso d'inciampo e pietra di scandalo".
Loro v'inciampano perché non credono alla parola; a questo sono stati destinati. Ma voi siete "la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose" di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce.
Canto al Vangelo Gv 14,6
Alleluia, alleluia.
Io sono la via, la verità, la vita, dice il Signore:
nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.
Alleluia.
Vangelo Gv 14, 1-12
Io sono la via , la verità, la vita.
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via».
Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere.
Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre.
COMMENTO
"....che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce" (Pt.2,9)
Un uomo che lavorava ogni giorno scendendo nella terra per scavare sale portava sempre con se un piccone ed una lampada, ma una sera la lampada gli cadde rompendosi.
All'inizio ne fu contento, si sentiva più libero con ingombro in meno, sentendosi sicuro della sua conoscenza del luogo, ma ben presto si accorse che non riusciva a trovare la via di uscita; andava a tentoni e continuava a sbattere contro le pareti, finchè si accorse con le lacrime agli occhi di trovarsi sempre nello steso punto. Gli venne una grande nostalgia di quella lampada, di quella luce e attese umiliato che qualcuno scendesse a cercarlo, magari con una candela per riportarlo su, alla vita. (B.Ferrero)
Quante volte la nostra vita ci sembra avvolta dalle tenebre e ci troviamo a girare a vuoto; il nostro cuore non trova pace se si lascia indurire dall'egoismo e l'anima appesantita dalle nostre miserie vive un vero e proprio accecamento più forte anche della cecità fisica.
Ma come S. Paolo dice nella lettera ai Colossesi (1,13) "il Padre ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto" che è la Luce.
"Io sono la luce del mondo, chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita" (Gv.8,12)
S. Giovanni usa la parola luce per raffigurare il Cristo, Luce soprannaturale del mondo.
Egli illumina ogni uomo come un sole che rischiara la strada verso Dio.
Con la sua morte e Risurrezione, con il suo donarsi totalmente e una volta per sempre, ha dissipato l'oscurità che è il simbolo delle potenze del male.
Compiendo pienamente la Volontà del Padre che è quella di riabbracciare tutti i suoi figli nel Figlio.
Figli nel Figlio, e se il Figlio è la Luce noi siamo figli della Luce, tutti, nessuno escluso... se non si esclude da se stesso.
Figli della Luce, figli della Sapienza, figli della Verità; Cristo è la Verità di Dio che si è manifestata interamente ed ha mostrato il suo Volto agli uomini: un volto di amore e di misericordia.
"Chi ha visto me ha visto il Padre" (Gv.14,9) dice Gesù. Nel suo volto, nelle sue opere, nella sua vita è manifestata ogni azione del Padre perché tutto in loro è comunione costante ed eterna, comunione in cui e di cui hanno voluto far partecipe l'umanità intera, perchè l'Amore perfetto non può lasciar fuori nessuno dalla sua essenza.
Ed entrare in questo circolo d'amore ci fa essere quelle pietre viventi ed edificanti di cui parla S.Pietro nella prima lettera (1Pt.2,5), discepoli sotto la Grazia di Dio, guidati dal suo Spirito infuso in noi, lo seguiamo, ci mettiamo nella sua Via con la nostra vita, la nostra storia, la nostra quotidianità; ci stringiamo a Cristo pietra viva e palpitiamo con Lui e in Lui e ri-diventiamo quel popolo di Dio, quella nazione eletta e santa da sempre amata.
"Dirò:Popolo mio ed egli mi dirà:Mio Dio" (Os.2,25). Nulla ci allontana da Lui se non noi stessi, che nella libertà che Lui ci ha donato possiamo scegliere di rigettare Cristo Luce o camminare nella divina Verità; possiamo credere di sentirci più liberi e rinnegare il fine della nostra esistenza, possiamo illuderci di vivere senza accorgerci del bisogno radicale in noi di comunione, di amore puro, di gesti di reciproca carità. Possiamo dire di non voler "perdere tempo" in una illusione sull'eternità e voler vivere godendo della vita come fosse un osso da spolpare, un tesoro da sperperare; vestendoci di una sicurezza che non ci appartiene perchè nessuno può dire di essere padrone del tempo,della vita e invece tutti, tutti possiamo dire che ogni ora, ogni momento vissuto con la consapevolezza di viverlo nella maniera giusta, nella verità, da un senso di pienezza che sazia l'anima.
Nulla ci allontana dalla sua Luce se non le ombre che noi stessi mettiamo nel nostro cuore quando siamo preda del nostro egoismo o del "nemico dell'uomo".
Ma il Signore è sempre attento e veglia anche in questi momenti perché non può farne a meno; il suo sguardo di amore è su di noi in attesa che ci accorgiamo che con la lampada rotta non possiamo trovare l'uscita dal buio.
Senza la sua Parola, la Sua Grazia, la Sua Chiesa, non possiamo ritrovare la via.
"Lampada dei miei passi è la tua Parola, luce sul mio cammino" (Sal.119,105).
Egli sente il grido di aiuto nella nostra sofferenza, nel nostro annaspare e si fa presente attraverso i fratelli, attraverso una Chiesa che è sempre pronta, senza giudizio, ad accogliere, ascoltare, curare, indirizzare, infondere coraggio e mettersi a servizio per rendere di nuovo i figli al Padre e perché rinnovati nello Spirito Santo, con la Parola e i Sacramenti diventiamo noi stessi fratelli curati e curanti di altri fratelli.
C'è buio in me
in Te c'è luce
Sono solo ma Tu non mi abbandoni
Non ho coraggio ma Tu mi sei d'aiuto
Sono inquieto ma in Te c'è pace
C'è amarezza in me in Te pazienza
Non capisco le Tue vie ma Tu sai qual è la mia via... (Dietrich Bonhoeffer)
Marilena, Edda
Sussidio proposto dal Monastero del Sacro CuoreAnno_A_V_Pasqua.pdf
In questa quinta domenica del tempo pasquale, la Chiesa ci propone, come la scorsa settimana, un brano dell’evangelista Giovanni nel quale il Signore Gesù svela ai propri discepoli alcune verità profonde sulla propria identità.
Però il motore, ciò che fa sì che il discorso si sviluppi tra gli interlocutori protagonisti del testo odierno, non è più un generico desiderio di felicità, ma il cuore stesso delle aspettative più profonde proprie di ogni uomo: il desiderio di poter vedere Dio, faccia a faccia! «Gli disse Filippo: “Signore, mostraci il Padre”» (cfr. Gv 14,8).
L’atteggiamento di coloro che parlano con Gesù, potrebbe diventare per noi motivo di scandalo: infatti, l’inciso di Filippo – “e ci basta” – come anche le parole attraverso cui Tommaso afferma di non sapere quale sia la via per giungere al luogo nel quale il Signore andrà (cfr. Gv 14,5), pongono in cattiva luce i due Apostoli, così da farci prendere istintivamente le distanze da loro; in verità, quante volte, nelle nostre giornate, lasciamo che il torpore della nostra fede ci porti ad un appesantimento dello spirito, per cui gli occhi della nostra mente divengono come ciechi di fronte alle “opere” che il Signore compie nella vita di ciascuno di noi? È così che lasciamo cadere anche l’estremo invito di Gesù: «Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse» (cfr. Gv 14,11).
È una verità innegabile: noi spesso diciamo di seguire il Signore, e lo diciamo con verità; ma tale sequela potrebbe essere solo ad un livello intellettuale. Questo è dovuto al fatto che non lasciamo sedimentare in noi la sua Parola, non la lasciamo germogliare attraverso la preghiera (cfr. At 6,4), ma soprattutto non ci rendiamo disponibili affinché, rigenerati dai sacramenti, Cristo si renda presente attraverso la nostra umanità «per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio» (1Pt 2,5).
Il Signore Risorto, vincendo la morte, ci ha offerto un esempio e ci ha aperto le porte del Paradiso, mostrandoci così non solo di essere la via che conduce al Padre, ma anche la verità e la vita:«Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9).
Chiediamo dunque al Padre di donarci sempre il suo Spirito perché sia più chiaro in noi che solo attraverso Cristo è possibile conoscere il disegno buono che la provvidenza ha pensato per la nostra vita, così da fondare la nostra certa speranza e le nostre azioni solo in Lui. Diverrà così più semplice accorgersi che il Signore è sempre accanto a noi, anzi: potremo essere strumento efficace perché Lui si manifesti al mondo intero!
È un compito che nasce dalla preferenza di Dio: per i primi discepoli, come abbiamo letto nella seconda lettura, era chiaro il fatto di essere stati preferiti: «Voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa» (cfr. 1Pt 2,9); noi dobbiamo riappropriarci di questa coscienza, perché sperimentando la nuova vita in Cristo, possiamo cantare con il salmista: «per gli uomini retti è bella la lode»(Sal 32,1).
A cosa pensiamo quando sentiamo la parola “Chiesa”? Ad un’istituzione, che guardiamo – speriamo – con simpatia, ma dall’esterno? Ad un edificio, che magari ci è caro per tante ragioni? Ma quanto volte invece ci capita di pensare a noi in relazione alla Chiesa, a noi battezzati come parti integranti e membra di essa? E «quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale», ci ha appena ricordato la seconda lettura.
La comunità cristiana, prima di ogni forma di organizzazione istituzionale, seppure utile, è un insieme di persone concrete, radunate da Cristo e che di Cristo fanno memoria, nell’ascolto della Sua parola e nella celebrazione dell’Eucarestia. Per questo è bello pensare alla parrocchia come ad una vera scuola di vita, o meglio, di amore alla vita. Così la desideriamo, così proviamo a raccontarla seguendo la liturgia odierna, attraverso tre parole: vocazione, famiglia, carità.
La parrocchia è una comunità di chiamati, non ci scegliamo, non siamo uniti da interessi o propositi comuni, come un “club” qualsiasi; oggi come sempre è accaduto, siamo insieme perché Gesù ci ha riuniti, per stare con Lui e, nello stesso tempo, per stare tra noi. La comunità cristiana è quindi il luogo della vocazione, quella fondamentale, che ci viene donata – spesso – quando nemmeno ce ne rendiamo conto, nel battesimo, ma anche quella cui rispondiamo coscientemente, da adulti. È nel rapporto con Gesù, ed attraverso la preghiera e l’esempio degli altri membri della comunità, che siamo aiutati a scoprire e a seguire generosamente la nostra vocazione, in modo che essa possa divenire un dono per tutti.
Da questo “sì” detto al Signore nascono le nuove famiglie, che vengono accolte in quella famiglia più grande che è la parrocchia. Infatti, la stessa comunità che ha aiutato la famiglia a formarsi, la sostiene poi con l’amorevole abbraccio di tutti i suoi membri. Se la società oggi facilmente produce «una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata» (EG, n. 2), come ha ricordato Papa Francesco, la parrocchia permette di costruire “gioia comunitaria”, fatta del sentirci partecipi e responsabili gli uni della vita degli altri. Come in una famiglia, facciamo esperienza della bellezza del sostenerci, dell’aiutarci ed anche del fare festa insieme, uniti come siamo da quel Gesù che è ben più forte e fedele di ogni mutevolezza di umore e situazioni.
Non vivendo soli, ma camminando insieme ad altri, che sono partiti prima di noi, ci è facile vedere le fatiche e, soprattutto, la bellezza che la vita riserva. L’appartenenza ad una comunità parrocchiale concreta, in qualunque forma si realizzi, è un prezioso strumento, con il quale il Signore ci chiama ad uscire da noi stessi, dai nostri “orticelli” egoisticamente coltivati, per vivere in mezzo agli altri con amore e generosità e per portare agli altri i frutti dei doni che Dio ci ha dato. Così, con gioia, una comunità fa festa per ogni suo membro che scopre la vocazione a formare una nuova famiglia nel matrimonio, o a seguire il Signore in maniera speciale, nel sacerdozio o nella vita consacrata, o a spendersi per qualcosa, dando forma al Vangelo con la propria vita.
Alla fine, tutto si riassume nell’amore di Dio, nella carità. Pensiamo alla prima lettura; persone diverse, anche per nazionalità e cultura, attraverso Gesù, costituiscono una comunità, non ideale, ma concreta, nella quale si presta attenzione ai bisogni di ogni giorno. È una comunione di vita, che porta coloro che hanno di più ad accorgersi ed a farsi carico dei bisogni dei più deboli, le vedove, in quel particolare contesto storico. Si tratta di un buon esempio di chiamata di Dio e risposta dell’uomo, attraverso il linguaggio comune dell’amore. Nei bisogni dei più deboli Dio si fa presente, su di essi richiama l’attenzione di coloro che credono in Lui. Chi vede, sente di essere chiamato e nel nome di Dio si attiva, per un’«assistenza quotidiana». Di fronte ai bisogni della comunità non tutti fanno le stesse cose, ma nell’esercizio della carità si differenziano le vocazioni, secondo i carismi propri di ognuno; non si tratta di mettere in antitesi “servizio alle mense”, da una parte, e preghiera e predicazione, dall’altra, ma di articolarli in un giusto rapporto e di considerarli come parti inseparabili dell’unica comunità dei credenti.
È bella questa immagine della Chiesa e della parrocchia, intesa come comunità operosa nell’amore, che cerca il bene dei suoi membri, soprattutto dei più deboli, all’interno, e testimonia all’esterno un modo nuovo di vivere, possibile e veramente umano, perché appreso da Cristo, tramite la preghiera personale e l’incontro con Lui, nella celebrazione comunitaria dell’Eucaristia.
Oggi, possiamo ripensare alla comunità in cui siamo cresciuti e nella quale abbiamo ricevuto il dono della fede, pensiamo anche a tutte quelle persone, quelle “pietre vive”, che hanno sostenuto il nostro cammino verso il Signore, con l’esempio, l’affetto e la preghiera. E per loro eleviamo la nostra preghiera di ringraziamento a Dio, augurando che chiunque incontra o appartiene a questa comunità possa fare in essa una reale e gioiosa esperienza di Cristo.