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SAN GIOVANNI BOSCO, SACERDOTE, FONDATORE DEI SALESIANI, PADRE E MAESTRO DEI GIOVANI

vita di san giovanni boscoFondatore dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice, Giovanni Bosco è il santo dei giovani. Canonizzato nel 1934, a chiusura dell’anno della Redenzione, è ricordato il 31 gennaio. Patrono di educatori, giovani, studenti e editori.   (Vaticannews.va)

Giovanni Bosco nasce il 16 agosto 1815 in una modesta cascina nella frazione collinare “I Becchi” di Castelnuovo d’Asti (oggi Castelnuovo Don Bosco): è figlio dei contadini Francesco Bosco (1784-1817) e Margherita Occhiena (1788-1856).

Quando Giovanni aveva due anni, il padre contrasse una grave polmonite che lo condusse alla morte il 12 maggio 1817, a soli 33 anni. Francesco Bosco lasciò la moglie vedova a 29 anni, con tre figli da crescere: Antonio (1808-1849, figlio della prima moglie), Giuseppe (1813-1862) e Giovanni; inoltre la madre dovette provvedere al mantenimento e all’assistenza della suocera: Margherita Zucca (1752-1826), anziana e inferma.
Erano anni di carestia e “Mamma Margherita”, come sarà sempre chiamata dai Salesiani, dovette lottare e lavorare i campi con grande sacrificio per assicurare il sostentamento alla famiglia e anche per assecondare i talenti scolastici di Giovanni, malvisto dal fratellastro Antonio, il quale considerava tempo e denaro gettati quell’occuparsi di libri, mentre lui era costretto a zappare la terra.
A nove anni il piccolo Giovanni fece un sogno e da allora, fino alla fine dei suoi giorni, continuerà ad essere visitato da sogni-rivelazioni che gli indicheranno la sua strada e lo faranno portavoce di profezie dirette ai singoli, alle società, ai suoi amati giovani, alla Congregazione salesiana, alla Chiesa. Lui stesso definì “profetico” quello dei nove anni e che più volte raccontò ai ragazzi del suo Oratorio: gli pareva di essere vicino a casa, in un cortile molto vasto, dove si divertiva una gran quantità di ragazzi. Alcuni ridevano, altri giocavano, non pochi bestemmiavano. Al sentire le bestemmie, egli si lanciò in mezzo a loro, cercando di arrestarli usando pugni e parole. Ma in quel momento apparve un uomo maestoso, nobilmente vestito: il suo viso era così luminoso che egli non riusciva a guardarlo. Lo chiamò per nome e gli ordinò di mettersi a capo di tutti quei ragazzi. Giovanni gli chiese chi fosse colui che gli comandava cose impossibili: “Io sono il figlio di colei che tua madre ti insegnò a salutare tre volte al giorno”. In quel momento apparve, vicino a lui, una donna maestosa, e in quell’istante, al posto dei giovani, c’era una moltitudine di capretti, cani, gatti, orsi e parecchi altri animali. La Madonna gli disse: “Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Cresci umile, forte e robusto, e ciò che adesso vedrai succedere a questi animali, tu lo dovrai fare per i miei figli”. Fu così che, al posto di animali feroci, comparvero altrettanti agnelli mansueti, che saltellavano, correvano, belavano, facevano festa.
Proprio dopo questo sogno (i sogni, come don Bosco li chiamava, possono definirsi anche “visioni”, come ha dichiarato il suo primo biografo, Giovanni Battista Lemoyne S.D.B., 1839-1916), nel giovane Bosco si accese la vocazione.
Per avvicinare i ragazzini alla preghiera e all’ascolto della Santa Messa imparò i giochi di prestigio e le acrobazie dei saltimbanchi, attirando in tal modo coetanei e contadini, i quali venivano da lui invitati a recitare il Santo Rosario e alla lettura del Vangelo. Il 26 marzo 1826 Giovanni prese la Prima Comunione.
Divenuta insostenibile la convivenza con Antonio Bosco, Margherita fu costretta ad allontanare il figlio dai Becchi, mandandolo a vivere, come garzone, a Moncucco Torinese, presso la cascina dei coniugi Luigi e Dorotea Moglia, dove rimase dal febbraio 1827 al novembre 1829. Nel settembre di quello stesso 1829 era arrivato a Morialdo il cappellano don Giovanni Melchiorre Calosso (1759-1830), sacerdote settantenne, il quale, dopo aver constatato quanto intelligente e desideroso di studiare fosse il giovane, decise di accoglierlo nella propria casa per insegnargli la grammatica latina e prepararlo così alla vita sacerdotale. Un anno dopo, precisamente il 21 novembre del 1830, don Calosso fu colpito da apoplessia e, moribondo, diede al giovane amico la chiave della sua cassaforte, dove erano conservate 6000 mila lire, che avrebbero permesso a Giovanni di studiare ed entrare in Seminario. Ma il giovane preferì non accettare il regalo del maestro e consegnò l’eredità ai parenti del defunto.
Quando il 21 marzo 1831 il fratellastro si sposò, la madre decise di dividere l’asse patrimoniale affinché Giovanni potesse  tornare a casa e riprendere da settembre gli studi a Castelnuovo, con la possibilità di una semi-pensione presso Giovanni Roberto, sarto e musicista del paese, dal quale apprese tali arti. Imparò anche altri mestieri, come quello del falegname e del fabbro, e con queste abilità riuscirà a fondare diversi laboratori artigianali per i ragazzi dell’Oratorio di Valdocco.
Per continuare a studiare a Chieri lavorò come garzone, cameriere, addetto alla stalla. Alla scuola chierese fondò la “Società dell’Allegria”, attraverso la quale, in compagnia di alcuni bravi giovani, tentava di far avvicinare alla preghiera i coetanei, divertendoli con i suoi giochi di prestigio e i suoi numeri acrobatici.
In quegli anni strinse forte amicizia con Luigi Comollo (1817-1839), nipote del parroco di Cinzano. Il giovane era sovente oggetto, per bontà e innocenza, dei maltrattamenti dei compagni: veniva insultato e picchiato, ma egli accettava con un sorriso o una parola di perdono queste sofferenze. Il giovane Bosco, dal canto suo, non sopportava di vedere l’amico subire in questo modo, perciò con la sua notevole forza fisica, lo difendeva, azzuffandosi con gli aggressori. L’amicizia d’anima che si stabilì fra Luigi e Giovanni divenne fondamentale per la santità di quest’ultimo. Don Bosco stesso affermerà nelle sue Memorie: «Posso dire che da lui ho cominciato a imparare a vivere da cristiano» e comprese quanto fosse essenziale la salvezza dell’anima, tanto che il suo programma di vita, ispirato a Gn. 14,21, fu sempre: «Da mihi animas, coetera tolle» (“Dammi le anime, prenditi tutto il resto”) e questo motto era scritto a grossi caratteri su un cartello che teneva nella sua camera a Valdocco.
Nell’autunno del 1832 iniziò la terza Grammatica. Nei due anni seguenti frequentò le classi di Umanità (1833-34) e Retorica (1834-35), dimostrandosi un allievo eccellente, di sorprendente memoria e appassionato di libri. Nel marzo 1834, mentre si avviava a terminare l’anno di Umanità, presentò ai Francescani la domanda per essere accettato nel loro ordine, ma cambiò idea prima di andare in convento, seguendo sia un sogno, contrario a questa scelta,  sia il consiglio di don Giuseppe Cafasso (1811-1860); perciò il 30 ottobre 1835 si presentò nel Seminario di Chieri. dove rimase fino al 1841, studiando Dogmatica (lo studio delle verità cristiane), Morale (la legge che il cristiano deve osservare), Sacra Scrittura (la parola di Dio), Storia ecclesiastica (storia della Chiesa dalle origini del Cristianesimo all’età contemporanea).
In Seminario Giovanni Bosco incontrò nuovamente il carissimo amico Comollo, ma questi, il 2 aprile del 1837, già debole fisicamente, si spense a soli 22 anni. Nella notte fra il 3 e il 4 aprile, secondo una testimonianza diretta di Giovanni Bosco e dei suoi venti compagni di camera, alunni del corso teologico, l’amico apparve, come un rombo di tuono e sotto forma di una luce che, per tre volte consecutive, disse: “Bosco! Bosco! Bosco! Io sono salvo!”. Il giovane chierico, profondamente scosso e turbato, da quel momento in poi decise di porre la salvezza eterna al di sopra di tutto.
Il 29 marzo 1841 ricevette l’ordine del diaconato e il 5 giugno 1841 venne ordinato sacerdote nella Cappella dell’Arcivescovado di Torino. Don Bosco, dopo aver rifiutato una serie di incarichi, su invito di colui che continuerà ad essere suo stimato e amato direttore spirituale, don Cafasso, decise di entrare, i primi di novembre del 1841, nel Convitto Ecclesiastico di San Francesco d’Assisi di Torino, fondato nel 1817 da don Luigi Guala (1775-1848) e dal venerabile Pio Brunone Lanteri (1759-1830), perché, constatando gli errori seminati fra il clero dal Giansenismo e il vuoto formativo in cui erano lasciati i neo-sacerdoti, essi desideravano offrire una sana formazione ecclesiastica. La linea teologica adottata da Lanteri e da Guala era di stampo ignaziano ed alfonsiano, più benigna, misericordiosa e positiva rispetto a quella rigorista insegnata alla Facoltà teologica dell’Università di Torino. Gli allievi del Convitto, nel quale don Cafasso entrò nel 1834, venivano anche avviati all’attività pastorale con diverse esperienze nelle parrocchie della città. Si curavano poi, in modo particolare, la vita spirituale e la preghiera.
Nella terra subalpina prendono vita i moti risorgimentali e la Chiesa, duramente perseguitata sotto Napoleone (1769-1821), ora si appresta, dopo il Regno del cattolico Carlo Alberto (1798-1849), salito al trono nel 1831 (molto attento alla riforma del clero, avendo stabilito un fecondo accordo con Papa Gregorio XVI, 1798-1849) a ricevere feroci attacchi dal governo liberale e massonico. (continua su Santiebeati.it)