Laeti bibamus sobriam profusionem Spiritus

family of god“Non ubriacatevi di vino, il quale porta alla sfrenatezza, ma siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore” (Ef 5,18-19)

C’è differenza. “Uscire fuori di sé” non è come “uscire fuori da sé”. In entrambi le situazioni si appare extatici, talvolta febbricitanti.

Ma mentre la prima situazione nasce dall’ubriacatura del vino delle passioni. Di qualunque passione, persino alcune passioni sane, magari le passioni che nascono dal sapere e saper argomentare, possono essere pervertite e pervertire il "da sé" trasformandolo nel "di sé". Ogni passione rischia la ferita nell'involuzione dello sguardo. Compresa l'ubriacatura dei mezzi affascinanti, di per sé neutri, come internet ed i social. L’altra invece, l'uscire fuori "da sé" ripercorre quel moto inaugurato da Dio nella Sacra Liturgia, cioè quella sobria extasi che porta fuori da sé per guardare il Tu ed il tu e riporta la persona a comprendere chi essa è. E spesso nasce e si compie a Betlemme ed a Nazareth. Senza alcun riflettore e con scarne informazioni.
Anzi chi comprende questo, o perlomeno lo intuisce, ricerca il nascondimento non per fragilità dell'io e per quella falsa umiltà che è una truffa (un rubare sopraffino) ma pe coscienza del proprio sé malato e si espone solo per obbedienza, con l'unico scopo cosciente di dare gloria Dio e a Dio solo.
È uno sguardo non sul sé ma sul Tu di Dio e sul tu del fratello e della sorella.
Non cerca il trend dell'autodeterminazione ma cerca di farsi fare da Dio che solo compie l'umano da Lui tanto amato e desiderato.

Senza questo sguardo sanamente estatico, sobrio, reale, attento, presente (“Non hanno più vino!”), che si prende cura, persino della gioia altrui, non vi è bellezza.
È questo sguardo che beve alla sobrietà del vino dello Spirito (come indicato nel testo proposto a titolo di S. Ambrogio) che ci apre al rendere viva la vita battesimale che scorre in noi.
Ci si apre al Bene.
Al Bene comune e dunque, anche alla vita politica, intesa come carità effettiva per il bene della Polis.

Attenzione a discernere bene, specie le ipocrite mascherate spirituali che il nostro cuore compie, rivestendosi superficialmente di “fuori da sé” quando invece siamo ancora nella fase, animale e legata alla terra, dell’uscire “fuori di sé”.
Perché l’io comanda e si maschera affannosamente, una vita intera, con mille strategie, pur di non perdere le proprie fallacie certezze e non farsi "scarnificare" dal Padre.
Volentieri inganna sé stesso pur di non rischiare fino in fondo per Cristo ed i suoi misteri.

Arriva persino a "bruciare il proprio corpo" con molteplici impegni, conferenze, libri, scritti, immagine pubblica e notorietà, pur di sostenere le stampelle corrotte dell'io.

Ripetiamo, uscire fuori di sé per ubriacatura non è come uscire fuori da sé per ebbrezza spirituale.

Nel primo caso ci si perde e ci si riempie di vuoto sotto l’apparenza di soddisfazione.
Nel secondo caso uscendo da sé, per Lui, con Lui, in Lui, nella ferialità scardinante di Nazareth, ci si riempie dell’unico cibo che sazia.

Infatti, come ricorda il Vangelo
“.. colui che mangia me vivrà per me”. (Gv. 6,57)

Ed qui la vera allegria e gioia;
che nessuno e niente può togliere.

PiEffe


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