Essere piccoli significa essere intimi delle processioni trinitarie
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- Creato: 19 Luglio 2018
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Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo» (Mt 11, 25-27)
Incompiutamente ed erroneamente si pensa ai “piccoli” del Vangelo pensando esclusivamente ai bambini. I piccoli per il Vangelo sono coloro che vivono abbandonati nelle mani del Padre.
In tal senso il piccolo tra i piccoli, il piccolo unico che ci rende piccoli è Lui, il Figlio.
Ma l’essere piccoli nel Piccolo ci porta ad una peculiarità unica: veniamo immersi nel rapporto Trinitario.
Egli qui si rivela.
Veniamo dunque immersi nelle processioni interne della Trinità, si diventa, per Grazia di Dio, immanenti nella SS. ma Trinità.
Non solo Dio abita nei piccoli ma rende i piccoli immersi in Sé: Egli si schiude ai piccoli, si svela, si fa comprendere.
Egli rivela il mistero di Sé ai piccoli che vengono immersi nel Suo seno.
Non è solo l'Eterno che abita nel tuo cuore ma tu che vieni immerso immanentemente nell'Eterno.
Ed ogni sforzo nella Grazia deve e può portare a questo. Questo è il "dovere nello Spirito Santo" (Rm 8, 9. 11-13).
Questo non è un dato acquisito ma habitus da custodire sommamente come l’evento più importante dell’Io e del Noi.
Quando celebriamo la santità di una sorella o di un fratello celebriamo l'azione di Dio in quella creatura amata sommamente ed unicamente, per lei e per noi.
Non si diventa santi per sé stessi ma per danzare della danza di Cristo davanti al Padre nello Spirito Santo, per il mistero che Egli compie rivelandosi nei piccoli.
La santità, dunque, è mistero ecclesiale, dove il triplice bisogno fondante, bisogno di identità, bisogno di essere amato e bisogno di amare, si compie ad immagine della Santissima Trinità.
Nulla è più grande di questo. Ed ogni Vocazione, sia fondante che specifica, sia vocazione transeunte, può essere compresa solo alla Luce di questa Luce.
La Sacra Liturgia, ad esempio, richiamata nella Sacrosanctum Concilium, compie questo, ci immette nell’Opera di Dio (Ergon tou Theou), nella Sua immanenza.
Questo è il principio e il compimento della vita cristiana.
Se la Sacra Liturgia non ha, non riprende, non rivivifica il posto che le è proprio, gli altri aspetti della Vita Cristiana, anch’essi necessari, sbiadiscono e pian piano muoiono nel culto dell’ombelico.
E non c'è alcuna Chiesa in uscita ma proprio la Chiesa che vive di isterie, di muffa o che amplifica e asseconda, per puro disordinato piacere, le vanità di questo mondo. Smettendo di salare.
E occore essere molto attenti perché anche il convenire "sinodale" può essere foriero di vanità e di fuga da questa ineludibile piccolezza.
E, se questo avviene, patinatamente, non si cerca più Dio ma le mode. Non si esce più dalle sagrestie ma vi si rientra in una forma ancor più raffinata e sostanzialmente empia.
E ben venga il caldo e doloroso rimprovero del Signore: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc. 8,33).
Vivere immersi nella SS ma Trinità, per il Battesimo, diventando figli e fratelli, è dunque “già e non ancora” da coltivare come opera e lavoro più importante della nostra vita.
Perché l’Eternità ci significa e, come diceva Chiara Corbella, evangelicamente:
“.. siamo nati e non moriremo mai più!”
PiEffe