Entrare nel Riposo di Dio
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- Creato: 18 Gennaio 2013
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Dalla prima lettura del girono Eb. Eb 4,1-5.11
“Fratelli, dovremmo avere il timore che, mentre rimane ancora in vigore la promessa di entrare nel suo riposo, qualcuno di voi ne sia giudicato escluso.”
L’Inferno, di cui purtroppo per motivi di politicamente corretto si parla poco, non è tanto un luogo in sé quanto piuttosto uno stato nella scelta disobbediente di “non entrare nel Riposo di Dio”.
La categoria del Timore è stata confusa con quella del terrore e pertanto si è perso quello stato costante e continuo di vigilanza sulla nostra povertà e sulla nostra natura ribelle che porta sovente alla disobbedienza. Però mentre il terrore paralizza e obbliga – per difesa psichica – al fiorire del politicamente corretto, il Timore al contrario fa vedere la realtà creaturale personale per quale essa è: bisognosa dell’Amore provvidente del Padre. Anche la paura, in certo qual modo si distingue dal terrore, perché la paura rende vigili, attenti, fa fare tesoro dell’esperienza. E se uno si è scottato non si avventurerà più per sentieri che possano danneggiarlo. Anzi chiederà al Padre la forza e la sapienza per non incorrere più in simili bugie. Non tutto fa bene, non tutto edifica, non tutto nutre, non tutto fa crescere. Ritenersi più forti di quello che si è significa mancare di temperanza e contristare lo Spirito che è in noi. Chi sta in piedi, dunque veda di non cadere e non fugga da se stesso.
Il Suo riposo, il riposo di Dio, però non è una condizione passiva ma sottintende lotta e fatica. E’ luogo finale che “pesa” ogni nostro passo e che merita ogni nostra fatica. Pertanto non entrerà nel riposo di Dio non solo chi si rifugia nel politicamente corretto ma anche coloro che non avranno lottato con le unghie e con i denti per ottenere il dono di grazia che porta al Cielo. L’accidia e anche l’accidia vocazionale è preambolo all’Inferno tanto quanto la superbia.
Non solo. Qui l’autore della lettera agli Ebrei ricorda che occorre preoccuparsi anche per i fratelli, perché anche loro non cadano nella prova e non entrino nel riposo di Dio. Avere coscienza dell’Inferno è sapienza personale ed ecclesiale. Siamo responsabili dei nostri fratelli. Accoglienza sempre e comunque ma per il cammino verso il Suo riposo, verso la trascendenza e nella rinuncia e il taglio netto delle opere della carne.
“Le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio.” Gal. 5, 19-21)
Ereditare il Regno di Dio significa entrare nel Suo riposo.. e non da soli.
“Fratelli, dovremmo avere il timore che, mentre rimane ancora in vigore la promessa di entrare nel suo riposo, qualcuno di voi ne sia giudicato escluso.”
L’Inferno, di cui purtroppo per motivi di politicamente corretto si parla poco, non è tanto un luogo in sé quanto piuttosto uno stato nella scelta disobbediente di “non entrare nel Riposo di Dio”.
La categoria del Timore è stata confusa con quella del terrore e pertanto si è perso quello stato costante e continuo di vigilanza sulla nostra povertà e sulla nostra natura ribelle che porta sovente alla disobbedienza. Però mentre il terrore paralizza e obbliga – per difesa psichica – al fiorire del politicamente corretto, il Timore al contrario fa vedere la realtà creaturale personale per quale essa è: bisognosa dell’Amore provvidente del Padre. Anche la paura, in certo qual modo si distingue dal terrore, perché la paura rende vigili, attenti, fa fare tesoro dell’esperienza. E se uno si è scottato non si avventurerà più per sentieri che possano danneggiarlo. Anzi chiederà al Padre la forza e la sapienza per non incorrere più in simili bugie. Non tutto fa bene, non tutto edifica, non tutto nutre, non tutto fa crescere. Ritenersi più forti di quello che si è significa mancare di temperanza e contristare lo Spirito che è in noi. Chi sta in piedi, dunque veda di non cadere e non fugga da se stesso.
Il Suo riposo, il riposo di Dio, però non è una condizione passiva ma sottintende lotta e fatica. E’ luogo finale che “pesa” ogni nostro passo e che merita ogni nostra fatica. Pertanto non entrerà nel riposo di Dio non solo chi si rifugia nel politicamente corretto ma anche coloro che non avranno lottato con le unghie e con i denti per ottenere il dono di grazia che porta al Cielo. L’accidia e anche l’accidia vocazionale è preambolo all’Inferno tanto quanto la superbia.
Non solo. Qui l’autore della lettera agli Ebrei ricorda che occorre preoccuparsi anche per i fratelli, perché anche loro non cadano nella prova e non entrino nel riposo di Dio. Avere coscienza dell’Inferno è sapienza personale ed ecclesiale. Siamo responsabili dei nostri fratelli. Accoglienza sempre e comunque ma per il cammino verso il Suo riposo, verso la trascendenza e nella rinuncia e il taglio netto delle opere della carne.
“Le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio.” Gal. 5, 19-21)
Ereditare il Regno di Dio significa entrare nel Suo riposo.. e non da soli.