LA PRESENZA DELL’ITINERARIUM MENTIS IN DEUM NEGLI STUDI INERENTI SAN BONAVENTURA DI JOSEPH RATZINGER - Parte Prima
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- Creato: 05 Giugno 2013
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A cura di P. Pietro Messa
un estratto da un lavoro di Andrea Ballandi:
San Bonaventura, Itinerarium mentis in Deum: la ricezione nel secolo XX. Atti dell’Incontro di Studio (Santuario La Verna - Arezzo, settembre 009; Pontificia Università Antonianum - Roma, ottobre 009), Firenze 00
il testo completo, anche di note, si trova nella indicazione bibliografica
Parte Prima
1. Sguardo introduttivo
Quello che espongo qui [l’Autore si riferisce specificamente al rapporto ‘fede-teologia’, ma potremmo allargare tale osservazione all’intera sua riflessione teologica, ndr.] non è solo teoria, anche se ho appreso tutto questo anzitutto dai grandi maestri come Agostino, Bonaventura, Tommaso d’Aquino e, per la prima volta, sono stato introdotto a questi maestri dal mio maestro Gottlieb Söhngen (...). Questo «essere prima» della parola di Dio, a cui vogliamo star dietro con la nostra riflessione, è divenuto per me un’esperienza sempre più personale.
In questa breve affermazione troviamo sintetizzato tanto il percorso intellettuale, quanto quello spirituale del già docente, quindi Arcivescovo, poi Prefetto della Congregazione della Fede ed infine Successore di Pietro Joseph Ratzinger; ma prima di tutto e all’interno di ogni incarico cui la Provvidenza divina lo ha chiamato, semplicemente un grande uomo di fede.
Certamente è ormai nota ai più l’influenza che la figura di Agostino ha esercitato sulla sua vita di teologo e di Pastore – come lui stesso ha avuto più volte occasione di rimarcare, anche recentemente; del resto, è stata proprio l’ecclesiologia del dottore di Ippona l’argomento del suo primo lavoro scientifico in occasione del conseguimento del dottorato, seguito da numerosi articoli dedicati al pensiero agostiniano non limitati all’ambito ecclesiologico. Meno noto è l’apporto della riflessione bonaventuriana sul pensiero dello studioso bavarese, anche se la recentissima pubblicazione degli studi ratzingeriani concernenti il Doctor seraphicus – compresi i capitoli, finora inediti, dedicati al suo studio in vista dell’abilitazione all’insegnamento – ha iniziato a colmare tale lacuna. E’ vero, peraltro, che non sono molti gli scritti dedicati da Ratzinger all’illustre santo francescano e tutti risalenti al primissimo periodo della sua attività accademica. Oltre il già menzionato lavoro per l’abilitazione, di cui era stata a suo tempo pubblicata la parte dedicata alla ‘teologia della storia’ bonaventuriana, essi riguardano cronologicamente: l’influsso degli ordini mendicanti sullo sviluppo del primato universale petrino; il rapporto ‘Rivelazione-Scrittura-Tradizione’ in Bonaventura; il ruolo giocato dalla sua dottrina dell’illuminazione nella riflessione culturale europea; l’uomo e la concezione del tempo; l’idea di auctoritased infine la particolare applicazione del concetto di ‘natura’ alla realtà antropologica[8]. Tuttavia – ci sentiremmo di affermare – l’influenza del Maestro medievale sull’impianto teologico dello studioso bavarese è stata ed è più ampia di quanto i riferimenti diretti all’opera bonaventuriana potrebbero far pensare.
Lo stesso dicasi, a maggior ragione, per quanto riguarda la presenza dell’Itinerarium mentis in Deum – come richiama il titolo del presente studio – nella riflessione ratzingeriana; sono pochissimi, infatti, i rimandi diretti del nostro Autore a tale scritto bonaventuriano e quasi tutti all’interno della sua ricerca giovanile concernente la teologia della storia. D’altra parte, la prospettiva teologico-spirituale complessiva, che emerge nel testo ricordato del santo francescano, appare senz’altro riecheggiare nelle coordinate fondamentali che contraddistinguono lo sforzo teologico dell’attuale Pontefice.
2. La ricerca sulla ‘teologia della storia’ bonaventuriana
In questa prima parte cercherò di sintetizzare i maggiori e durevoli contributi che il lavoro svolto in occasione del conseguimento dell’abilitazione ha portato nella formazione teologica di Ratzinger.
a. Contestualizzazione storica: tema e difficoltà incontrate
Per inquadrare storicamente circostanze e oggetto di quella ricerca su cui l’allora giovane teologo dovette cimentarsi, lascio la parola all’Autore che, nel suo testo autobiografico, così le ricorda brevemente:
Gottlieb Söhngen stabilì che, dal momento che la mia tesi di dottorato aveva affrontato un argomento di patristica, dovessi ora rivolgermi al medioevo. Venendo io poi da sant’Agostino, gli parve naturale che lavorassi su Bonaventura, di cui egli si era occupato piuttosto approfonditamente. E dal momento che la mia tesi aveva trattato un tema di ecclesiologia, ora dovevo pensare al secondo grande nucleo tematico della teologia fondamentale, il concetto di rivelazione. A quel tempo l’idea di storia della salvezza era al centro dei dibattiti interni alla teologia cattolica, che ora guardava in una nuova prospettiva all’idea di rivelazione, che nella neoscolastica si era troppo cristallizzata sul livello intellettuale: la rivelazione appariva ora non più semplicemente come la comunicazione di alcune verità alla ragione, ma come l’agire storico di Dio, in cui la verità si svela gradatamente. Dovevo quindi verificare se in qualche forma ci fosse in Bonaventura un corrispondente del concetto di storia della salvezza e se questo motivo –qualora fosse riconoscibile –si ponesse in rapporto con l’idea di rivelazione.
Quando Ratzinger iniziò a lavorare intorno a questo tema, la teologia cattolica nel mondo di lingua tedesca, a contatto particolarmente con la teologia protestante, aveva come preoccupazione dominante la relazione tra storia della salvezza e metafisica; infatti, il pensiero protestante vedeva nello sviluppo dell’impianto metafisico una deviazione dallo specifico della fede cristiana, ritenuta centrata unicamente sul Dio che opera nel tempo e nella storia. A tale riguardo – annota l’Autore nella sua chiarificatrice Prefazione all’edizione americana del 9 e ristampata nella recente riedizione italiana – sorsero interrogativi di carattere differente e di diverso ordine:
Come può divenire storicamente presente ciò che è avvenuto? Come può avere significato universale ciò che è unico e irripetibile? Ma, d’altra parte, la ‘ellenizzazione’ della cristianità, che tentò di vincere lo scandalo del particolare attraverso una miscela di fede e metafisica, non ha forse portato ad uno sviluppo in direzione sbagliata? Non ha creato uno stile statico di pensiero che non è in grado di rendere giustizia al dinamismo dello stile biblico? Queste domande esercitarono su di me un forte influsso ed io intendevo dare il mio contributo per rispondere ad esse.
Il nodo problematico era costituito quindi dalla triade ‘rivelazione-storia-metafisica’. Il giovane studioso Ratzinger si gettò con entusiasmo sul lavoro, affrontando anzitutto la nozione di rivelazione e la sua terminologia, così come veniva espressa dal Dottore Serafico in consonanza con tutta la teologia medievale del suo tempo. La scoperta si rivelò tanto affascinante, quanto rivoluzionaria nei confronti dell’allora dominante concezione in ambito cattolico; lo stesso correlatore Michael Schmaus – allora docente particolarmente noto e influente – espresse tutta la propria contrarietà nei confronti delle tesi ivi esposte. Che cosa era emerso di così sconvolgente? Lasciamo ancora la parola al nostro Autore:
Avevo constatato che in Bonaventura (e, anzi, nei teologi del secolo XIII in generale) non c’era alcuna corrispondenza con il nostro concetto di ‘rivelazione’, che eravamo soliti usare per definire l’insieme dei contenuti rivelati, tanto che anche nel lessico si era introdotta l’abitudine di definire la Sacra Scrittura semplicemente come la ‘rivelazione’. Nel linguaggio medievale una tale identificazione sarebbe stata impensabile. In esso, infatti, la ‘rivelazione’ è sempre un concetto di azione: il termine definisce l’atto con cui Dio si mostra, non il risultato oggettivizzato di questo atto. E dato che le cose stanno così, del concetto di ‘rivelazione’ fa sempre parte anche il soggetto ricevente: dove nessuno percepisce la rivelazione, lì non è avvenuta nessuna rivelazione, dato che lì nulla è stato svelato. L’idea stessa di rivelazione implica un qualcuno che ne entri in possesso (...). Questo significa inoltre che la rivelazione è sempre più grande del soloscritto. Se ne deduce, di conseguenza, che non può esistere un mero Sola Scriptura (‘solamente attraverso la Scrittura’), che alla Scrittura è legato il soggetto comprendente, la Chiesa, e con ciò è già dato anche il senso essenziale della tradizione.
Quello che oggi, dopo la Costituzione conciliare Dei Verbum, sembra pacificamente acquisito in ambito cattolico – almeno teoricamente, mentre qualche fondato interrogativo emerge quando si tratta dell’ambito pastorale – allora si scontrava tanto con le posizioni tradizionali manualistiche, tanto con quelle più ‘innovatrici’ in ambito tedesco, che troveranno nelle tesi del Geiselmann circa la sufficienza materiale della Scrittura un’eco nello stesso dibattito conciliare e che saranno oggetto di critica da parte dello stesso Ratzinger durante la stessa assise vaticana. Il prof. Schmaus trovò quindi inaccettabili le conclusioni del giovane ricercatore, che fu quindi costretto – per ottenere l’abilitazione – a ripresentare il lavoro in forma ridotta, espunto cioè delle due prime parti e limitato ad una terza, di fatto allora non contestata dal severo correlatore, e che prende direttamente in esame la teologia della storia del santo dottore francescano.
Nella Premessa al volume recentemente uscito, dedicato ai suoi lavori su Bonaventura, egli – a distanza di cinquant’anni – annota a proposito di quella ricerca giovanile, allora ‘contestata’:
Nel mio studio ho cercato di spiegare in che modo Bonaventura (...) mise in rapporto la ‘storia della salvezza’ con la ‘Rivelazione’. Dal 9 non avevo più ripreso in mano lo scritto. Quindi per me è stato entusiasmante rileggerlo dopo così tanto tempo. È chiaro che l’impostazione del problema così come il linguaggio del libro sono influenzati dalla realtà degli anni Cinquanta. Oltre tutto per le ricerche linguistiche non esistevano i mezzi tecnici che abbiamo ora. Per questo motivo l’opera ha i suoi limiti ed è evidentemente influenzata dal periodo storico in cui è stata concepita. Tuttavia, rileggendola ho ricavato l’impressione che le sue risposte siano fondate, sebbene superate in molti dettagli, e che ancora oggi abbiano qualcosa da dire. Soprattutto mi sono reso conto che la questione dell’essenza della Rivelazione e il fatto di riproporla, che è il tema del libro, hanno ancora oggi una loro urgenza, forse anche maggiore che in passato.
In effetti, vi si ritrovano alcuni dei temi – quali il rapporto ‘rivelazione-storia della salvezza’, ‘verità-storia’, ‘Scrittura-Tradizione’ – che rimarranno punti di riferimento permanenti nella riflessione del teologo bavarese, fino a costituire la base portante di quelle osservazioni ermeneutiche che fanno da guida al recente libro Gesù di Nazaret, pubblicato successivamente alla sua elezione pontificia, e che sintetizzano la modalità con cui l’Autore interpreta ed utilizza il dato scritturistico. Non solo, ma come ha notato acutamente il patriarca di Venezia Angelo Scola, in un’intervista rilasciata all’indomani della elezione di Ratzinger al soglio petrino, «l’idea che la rivelazione non è separabile dal Dio vivente perché interpella sempre la persona cui si propone» e che quindi Gesù Cristo è «la realtà effettiva che si fa evento nella Rivelazione cristiana» ovvero l’unicum veramente sufficiente – e non la Scrittura – rappresenta in fondo «la caratteristica metodologica che fa da filo di Arianna attraverso tutti gli scritti di Joseph Ratzinger. Qui sta – afferma sempre Scola – l’origine della continuità e dell’evoluzione del suo pensiero, della sua intrinseca apertura all’ecumenismo e al dialogo interreligioso»
San Bonaventura, Itinerarium mentis in Deum: la ricezione nel secolo XX. Atti dell'Incontro di Studio, Santuario la Verna (AR), 26 settembre 2009 - Pontificia Università Antonianum (RM), 27 ottobre 2009 ; Studi francescani 107 (2010) 343-505
un estratto da un lavoro di Andrea Ballandi:
San Bonaventura, Itinerarium mentis in Deum: la ricezione nel secolo XX. Atti dell’Incontro di Studio (Santuario La Verna - Arezzo, settembre 009; Pontificia Università Antonianum - Roma, ottobre 009), Firenze 00
il testo completo, anche di note, si trova nella indicazione bibliografica
Parte Prima
1. Sguardo introduttivo
Quello che espongo qui [l’Autore si riferisce specificamente al rapporto ‘fede-teologia’, ma potremmo allargare tale osservazione all’intera sua riflessione teologica, ndr.] non è solo teoria, anche se ho appreso tutto questo anzitutto dai grandi maestri come Agostino, Bonaventura, Tommaso d’Aquino e, per la prima volta, sono stato introdotto a questi maestri dal mio maestro Gottlieb Söhngen (...). Questo «essere prima» della parola di Dio, a cui vogliamo star dietro con la nostra riflessione, è divenuto per me un’esperienza sempre più personale.
In questa breve affermazione troviamo sintetizzato tanto il percorso intellettuale, quanto quello spirituale del già docente, quindi Arcivescovo, poi Prefetto della Congregazione della Fede ed infine Successore di Pietro Joseph Ratzinger; ma prima di tutto e all’interno di ogni incarico cui la Provvidenza divina lo ha chiamato, semplicemente un grande uomo di fede.
Certamente è ormai nota ai più l’influenza che la figura di Agostino ha esercitato sulla sua vita di teologo e di Pastore – come lui stesso ha avuto più volte occasione di rimarcare, anche recentemente; del resto, è stata proprio l’ecclesiologia del dottore di Ippona l’argomento del suo primo lavoro scientifico in occasione del conseguimento del dottorato, seguito da numerosi articoli dedicati al pensiero agostiniano non limitati all’ambito ecclesiologico. Meno noto è l’apporto della riflessione bonaventuriana sul pensiero dello studioso bavarese, anche se la recentissima pubblicazione degli studi ratzingeriani concernenti il Doctor seraphicus – compresi i capitoli, finora inediti, dedicati al suo studio in vista dell’abilitazione all’insegnamento – ha iniziato a colmare tale lacuna. E’ vero, peraltro, che non sono molti gli scritti dedicati da Ratzinger all’illustre santo francescano e tutti risalenti al primissimo periodo della sua attività accademica. Oltre il già menzionato lavoro per l’abilitazione, di cui era stata a suo tempo pubblicata la parte dedicata alla ‘teologia della storia’ bonaventuriana, essi riguardano cronologicamente: l’influsso degli ordini mendicanti sullo sviluppo del primato universale petrino; il rapporto ‘Rivelazione-Scrittura-Tradizione’ in Bonaventura; il ruolo giocato dalla sua dottrina dell’illuminazione nella riflessione culturale europea; l’uomo e la concezione del tempo; l’idea di auctoritased infine la particolare applicazione del concetto di ‘natura’ alla realtà antropologica[8]. Tuttavia – ci sentiremmo di affermare – l’influenza del Maestro medievale sull’impianto teologico dello studioso bavarese è stata ed è più ampia di quanto i riferimenti diretti all’opera bonaventuriana potrebbero far pensare.
Lo stesso dicasi, a maggior ragione, per quanto riguarda la presenza dell’Itinerarium mentis in Deum – come richiama il titolo del presente studio – nella riflessione ratzingeriana; sono pochissimi, infatti, i rimandi diretti del nostro Autore a tale scritto bonaventuriano e quasi tutti all’interno della sua ricerca giovanile concernente la teologia della storia. D’altra parte, la prospettiva teologico-spirituale complessiva, che emerge nel testo ricordato del santo francescano, appare senz’altro riecheggiare nelle coordinate fondamentali che contraddistinguono lo sforzo teologico dell’attuale Pontefice.
2. La ricerca sulla ‘teologia della storia’ bonaventuriana
In questa prima parte cercherò di sintetizzare i maggiori e durevoli contributi che il lavoro svolto in occasione del conseguimento dell’abilitazione ha portato nella formazione teologica di Ratzinger.
a. Contestualizzazione storica: tema e difficoltà incontrate
Per inquadrare storicamente circostanze e oggetto di quella ricerca su cui l’allora giovane teologo dovette cimentarsi, lascio la parola all’Autore che, nel suo testo autobiografico, così le ricorda brevemente:
Gottlieb Söhngen stabilì che, dal momento che la mia tesi di dottorato aveva affrontato un argomento di patristica, dovessi ora rivolgermi al medioevo. Venendo io poi da sant’Agostino, gli parve naturale che lavorassi su Bonaventura, di cui egli si era occupato piuttosto approfonditamente. E dal momento che la mia tesi aveva trattato un tema di ecclesiologia, ora dovevo pensare al secondo grande nucleo tematico della teologia fondamentale, il concetto di rivelazione. A quel tempo l’idea di storia della salvezza era al centro dei dibattiti interni alla teologia cattolica, che ora guardava in una nuova prospettiva all’idea di rivelazione, che nella neoscolastica si era troppo cristallizzata sul livello intellettuale: la rivelazione appariva ora non più semplicemente come la comunicazione di alcune verità alla ragione, ma come l’agire storico di Dio, in cui la verità si svela gradatamente. Dovevo quindi verificare se in qualche forma ci fosse in Bonaventura un corrispondente del concetto di storia della salvezza e se questo motivo –qualora fosse riconoscibile –si ponesse in rapporto con l’idea di rivelazione.
Quando Ratzinger iniziò a lavorare intorno a questo tema, la teologia cattolica nel mondo di lingua tedesca, a contatto particolarmente con la teologia protestante, aveva come preoccupazione dominante la relazione tra storia della salvezza e metafisica; infatti, il pensiero protestante vedeva nello sviluppo dell’impianto metafisico una deviazione dallo specifico della fede cristiana, ritenuta centrata unicamente sul Dio che opera nel tempo e nella storia. A tale riguardo – annota l’Autore nella sua chiarificatrice Prefazione all’edizione americana del 9 e ristampata nella recente riedizione italiana – sorsero interrogativi di carattere differente e di diverso ordine:
Come può divenire storicamente presente ciò che è avvenuto? Come può avere significato universale ciò che è unico e irripetibile? Ma, d’altra parte, la ‘ellenizzazione’ della cristianità, che tentò di vincere lo scandalo del particolare attraverso una miscela di fede e metafisica, non ha forse portato ad uno sviluppo in direzione sbagliata? Non ha creato uno stile statico di pensiero che non è in grado di rendere giustizia al dinamismo dello stile biblico? Queste domande esercitarono su di me un forte influsso ed io intendevo dare il mio contributo per rispondere ad esse.
Il nodo problematico era costituito quindi dalla triade ‘rivelazione-storia-metafisica’. Il giovane studioso Ratzinger si gettò con entusiasmo sul lavoro, affrontando anzitutto la nozione di rivelazione e la sua terminologia, così come veniva espressa dal Dottore Serafico in consonanza con tutta la teologia medievale del suo tempo. La scoperta si rivelò tanto affascinante, quanto rivoluzionaria nei confronti dell’allora dominante concezione in ambito cattolico; lo stesso correlatore Michael Schmaus – allora docente particolarmente noto e influente – espresse tutta la propria contrarietà nei confronti delle tesi ivi esposte. Che cosa era emerso di così sconvolgente? Lasciamo ancora la parola al nostro Autore:
Avevo constatato che in Bonaventura (e, anzi, nei teologi del secolo XIII in generale) non c’era alcuna corrispondenza con il nostro concetto di ‘rivelazione’, che eravamo soliti usare per definire l’insieme dei contenuti rivelati, tanto che anche nel lessico si era introdotta l’abitudine di definire la Sacra Scrittura semplicemente come la ‘rivelazione’. Nel linguaggio medievale una tale identificazione sarebbe stata impensabile. In esso, infatti, la ‘rivelazione’ è sempre un concetto di azione: il termine definisce l’atto con cui Dio si mostra, non il risultato oggettivizzato di questo atto. E dato che le cose stanno così, del concetto di ‘rivelazione’ fa sempre parte anche il soggetto ricevente: dove nessuno percepisce la rivelazione, lì non è avvenuta nessuna rivelazione, dato che lì nulla è stato svelato. L’idea stessa di rivelazione implica un qualcuno che ne entri in possesso (...). Questo significa inoltre che la rivelazione è sempre più grande del soloscritto. Se ne deduce, di conseguenza, che non può esistere un mero Sola Scriptura (‘solamente attraverso la Scrittura’), che alla Scrittura è legato il soggetto comprendente, la Chiesa, e con ciò è già dato anche il senso essenziale della tradizione.
Quello che oggi, dopo la Costituzione conciliare Dei Verbum, sembra pacificamente acquisito in ambito cattolico – almeno teoricamente, mentre qualche fondato interrogativo emerge quando si tratta dell’ambito pastorale – allora si scontrava tanto con le posizioni tradizionali manualistiche, tanto con quelle più ‘innovatrici’ in ambito tedesco, che troveranno nelle tesi del Geiselmann circa la sufficienza materiale della Scrittura un’eco nello stesso dibattito conciliare e che saranno oggetto di critica da parte dello stesso Ratzinger durante la stessa assise vaticana. Il prof. Schmaus trovò quindi inaccettabili le conclusioni del giovane ricercatore, che fu quindi costretto – per ottenere l’abilitazione – a ripresentare il lavoro in forma ridotta, espunto cioè delle due prime parti e limitato ad una terza, di fatto allora non contestata dal severo correlatore, e che prende direttamente in esame la teologia della storia del santo dottore francescano.
Nella Premessa al volume recentemente uscito, dedicato ai suoi lavori su Bonaventura, egli – a distanza di cinquant’anni – annota a proposito di quella ricerca giovanile, allora ‘contestata’:
Nel mio studio ho cercato di spiegare in che modo Bonaventura (...) mise in rapporto la ‘storia della salvezza’ con la ‘Rivelazione’. Dal 9 non avevo più ripreso in mano lo scritto. Quindi per me è stato entusiasmante rileggerlo dopo così tanto tempo. È chiaro che l’impostazione del problema così come il linguaggio del libro sono influenzati dalla realtà degli anni Cinquanta. Oltre tutto per le ricerche linguistiche non esistevano i mezzi tecnici che abbiamo ora. Per questo motivo l’opera ha i suoi limiti ed è evidentemente influenzata dal periodo storico in cui è stata concepita. Tuttavia, rileggendola ho ricavato l’impressione che le sue risposte siano fondate, sebbene superate in molti dettagli, e che ancora oggi abbiano qualcosa da dire. Soprattutto mi sono reso conto che la questione dell’essenza della Rivelazione e il fatto di riproporla, che è il tema del libro, hanno ancora oggi una loro urgenza, forse anche maggiore che in passato.
In effetti, vi si ritrovano alcuni dei temi – quali il rapporto ‘rivelazione-storia della salvezza’, ‘verità-storia’, ‘Scrittura-Tradizione’ – che rimarranno punti di riferimento permanenti nella riflessione del teologo bavarese, fino a costituire la base portante di quelle osservazioni ermeneutiche che fanno da guida al recente libro Gesù di Nazaret, pubblicato successivamente alla sua elezione pontificia, e che sintetizzano la modalità con cui l’Autore interpreta ed utilizza il dato scritturistico. Non solo, ma come ha notato acutamente il patriarca di Venezia Angelo Scola, in un’intervista rilasciata all’indomani della elezione di Ratzinger al soglio petrino, «l’idea che la rivelazione non è separabile dal Dio vivente perché interpella sempre la persona cui si propone» e che quindi Gesù Cristo è «la realtà effettiva che si fa evento nella Rivelazione cristiana» ovvero l’unicum veramente sufficiente – e non la Scrittura – rappresenta in fondo «la caratteristica metodologica che fa da filo di Arianna attraverso tutti gli scritti di Joseph Ratzinger. Qui sta – afferma sempre Scola – l’origine della continuità e dell’evoluzione del suo pensiero, della sua intrinseca apertura all’ecumenismo e al dialogo interreligioso»
San Bonaventura, Itinerarium mentis in Deum: la ricezione nel secolo XX. Atti dell'Incontro di Studio, Santuario la Verna (AR), 26 settembre 2009 - Pontificia Università Antonianum (RM), 27 ottobre 2009 ; Studi francescani 107 (2010) 343-505