Identikit di Abramo

di Angelo Passaro
In che modo i diversi testi biblici utilizzano le tradizioni su Abramo, e come questo personaggio, al quale si richiamano giudaismo, cristianesimo e islam, viene presentato e riletto soprattutto, ma non esclusivamente, all'interno del canone cristiano?
È il patriarca delle tre religio-ni monoteiste il protagonista della Setti-mana Biblica Nazionale dell’Asso ciazio-ne Biblica Italiana che è in corso a Ro-ma, fino al 14 settembre, presso il Ponti-ficio Istituto Biblico. «Abramo tra sto-ria e fede»: questo il titolo del conve-gno che ha come obiettivo lo studio delle tradizioni su Abramo nei testi bi-blici dell’Antico del Nuovo Testamento, con alcune incursioni all’interno della letteratura giudaica intertestamentaria o peritestamentaria, ma anche della lette-ratura cristiana antica. Si tratta di riconsiderare il ciclo di Abramo nella sua complessa formazio-ne, in modo tale che possa emergere il percorso che, nello spazio di circa due secoli, definisce “l’identità di Abramo” come antenato “ecumenico” per certi versi — almeno nelle tradizioni più anti-che — in contrapposizione alla figura di Mosè e alla teologia deuteronomistica. La figura di Abramo testimonia cioè il problema della “scrittura” delle origi-ni di Israele, in altri termini della defi-nizione della identità nazionale di Israe-le in epoca esilica e durante il periodo del secondo Tempio. Con un’indagine di tipo sincronico sul testo di Genesi, 12–25, nel corso degli interventi si cercherà di indagare la coe-renza narrativa di un racconto da più parti messa in discussione: si tratta di una serie di scene giustapposte senza al-cun criterio unitario, o la narrazione ri-vela un complesso intreccio di temi che non sono solo quelli della promessa del-la terra e della promessa della discen-denza? In effetti un’indagine accurata potrà determinare che più fili si intrec-ciano in un ordito narrativo complesso. Particolare attenzione sarà data alla figura di Abramo a Qumran (oltre che nella letteratura apocrifa) e nel giudai-smo alessandrino. I manoscritto ebraici e aramaici rinvenuti nelle grotte del de-serto di Giuda, conoscono i testi biblici che parlano di Abramo, e presentano Abramo come modello per gli esseni e depositario di una serie di caratteristi-che che rivelano precise intenzionalità: egli è, a seconda dei testi, profeta, mae-stro di saggezza, esorcista e guaritore, astrologo istruito della scienza dei libri dei suoi antenati, e via dicendo. È mo-dello dell’uomo stabile nel tempo della prova, perciò è amico di Dio, destinata-rio dell’alleanza divina, ma anche capo-stipite di una discendenza sacerdotale. Questa caleidoscopica rilettura della figura di Abramo domanda di essere in-dagata in vista del significato che essa viene ad assumere per il giudaismo del secondo Tempio. Le diverse caratteristiche con cui Abramo viene presentato nella Settanta, soprattutto nei libri composti in greco che presentano scelte linguistiche che non disdegnano echi omerici e dei tragici, costituiscono la base su cui si svilupperà l’esegesi fi-loniana e patristica. Indaga-re questi ambiti aiuterà a di-segnare un percorso di iden-tificazione etnica oltre che riflessione teologica che ab-braccia secoli. Infatti ci si chiede se l’Abramo della setanta conserva tutte le caratteristiche che gli assegna il Talmud o se venga ridisegnato una sorta di identi-kit che testimonia in modo chiaro l’inte-resse a ridisegnare l’identità giudaica in epoca ellenistica, in terra straniera, in un tempo di cosmopolitismo culturale. Abramo infatti diviene il prototipo dell’emigrante, il capostipite dell’èthnos giudaico, il destinatario delle promesse giurate e della diathèkedivine, di cui il Signore è sollecitato a ricordarsi, l’og-getto della scelta e dell’amore di Dio, il modello della theosèbeia e della disponi-bilità totale a Dio. Abraam non ispira solo l’onomastica, ma la vita tra gli èthne nella diaspora e in patria, le invocazioni e le confessioni delle preghiere più accorate nei momen-ti tragici della vita personale e del po-polo d’Israele perseguitato per la fedel-tà alla sua identità giudaica. Per certi versi facciamo nostro l’invito indicato da Gian Luigi Prato nel 1984: quello di esaminare con attenzione la valutazione che le fonti riservano a figu-re delle quali possediamo una parallela tradizione giudaica. Abramo è visto po-sitivamente come cultore di astrologia in Pseudo-Eupolemo e in Pseudo-Eca-teo, mentre già per Clemente Alessan-drino (Stròmata) e poi per Eusebio egli ha seguito un certo cammino di con-versione, passando dal culto degli astri all’adorazione del vero Dio: da fusiòlogos è diventato filòtheos. Ciò concorda con quanto la tradi-zione successiva afferma su Abra-mo, a cominciare da Filone. E d’altra parte, in un quadro di cosmopolitismo culturale e di autoi-dentificazione etnica, che riguarda per così dire il tempo dell’Antico Testamen-to come quello degli inizi del cristiane-simo, così come ci sono testimoniati da-gli scritti del Nuovo Testamento, divie-ne necessario cercare di decifrare gli ele-menti caratterizzanti di una “figura” mentre se ne definiscono legami di in-terdip endenza. Come Mosè, anche Abramo, da fon-datore del popolo diviene eroe benefat-tore che ha diffuso la civiltà presso i grandi popoli antichi nella storiografia giudaica ellenistica. Così variegati sono i ritratti di Abramo che gli scritti cristia-ni del I e del II secolo ci consegnano: gli autori che maggiormente si soffer-mano su Abramo sono Paolo, Matteo, Luca, Giovanni, Giacomo e la L e t t e ra agli Ebrei, ma con prospettive diverse e, per alcuni studiosi, contrastanti fra loro. Sono tante dunque le questioni che l’articolazione della settimana pone. Non vogliamo dimenticare però che le letture storico-teologiche non possono ignorare quelle “f r a t t u re ” presenti all’in-terno dell’ordine simbolico adottato nel ciclo dei patriarchi e in quello di Abra-mo in specie. La tessitura della trama biblica conosce infatti frammentazioni, lacune, gap e notizie incongrue di cui non si conosce la provenienza e che il compilatore finale non ha saputo o po-tuto espungere o emendare. Queste fratture non sono infortuni, ma chances ermeneutiche che possono dischiudere orizzonti di conoscenza inattesi. Si deve perciò comprendere il senso della loro presenza in una costruzione storico-teo-logica pianificata. L’indagine storico-antropologica può studiare con metodo queste discrepanze che possono dare accesso a frammenti d’informazioni storiche attendibili.

(©L'Osservatore Romano 13 settembre 2012)