Una questione seria

nataledi INOS BIFFI

La questione perennemente seria e in fondo unica-mente importante per la Chiesa è quella della sin-golarità di Gesù di Naza-ret, ossia della sua divinità. Come la confessione di Cristo Figlio di Dio fu il traguardo e il vertice della fede dell’apostolo Pietro, e su tale fede venne fondata la Chiesa, così essa resterà sempre la sostanza e il crite-rio distintivo dell’essere cristiano.
Certamente Gesù è vero uomo, in tutto simile a noi, a eccezione del peccato. Egli possiede integralmente la natura umana, ma è la natura umana assunta da Colui che è per-sonalmente Figlio di Dio. La sua di-vinità non assorbe la sua umanità, non la riduce a labile apparenza. D’altronde, ciò che incominciò a sorprendere a Nazaret non è che egli fosse il figlio del carpentiere, così come non suscitava stupore che avesse «fratelli» e «sorelle» (Ma t t e o , 13, 55). Al contrario, tutto questo en-trava nella normalità ed era scontato per chi conoscesse e frequentasse Gesù. La meraviglia sorge quando si constatano in lui parole e gesti ina-spettati, che oltrepassano il consueto livello umano. È allora che sorge l’interrogativo: «Da dove gli vengo-no tutte queste cose?» (v. 56). Anzi, la stessa umanità di Gesù acquista tutto il suo significato quando egli — grazie all’illuminazione e alla rive-lazione del Padre (Ma t t e o , 16, 17) — viene riconosciuto come «il Figlio del Dio vivente». Essa appare allora non come l’umanità di un qualsiasi uomo, ma come l’umanità che ap-partiene personalmente all’Unigeni-to di Dio. E, infatti, il Credo cristia-no definisce vero uomo uno della Trinità: il Verbo che «si fece carne» (Giovanni, 1, 14). Solo con questa enunciazione risalta tutto il mistero di Gesù: Figlio di Dio che si fa uo-mo, e uomo che è Figlio di Dio. Oggi è corrente parlare di cristo-logia «dal basso», ma l’e s p re s s i o n e non mi sembra affatto una trovata particolarmente illuminata e felice. Incominciamo, anzitutto, a notare che, se si parte «dal basso», cioè dall’umanità di Cristo, non si arrive-rà mai, grazie a una sua evoluzione o a una sua intrinseca esigenza, alla sua divinità. Gesù non ha incomin-ciato a essere puramente uomo, per poi diventare Dio, ma, essendo dall’eternità “preesistemente” Dio, nel tempo è diventato uomo e ha offerto i segni del suo essere «nella condizione di Dio» (Filippesi, 2, 4). Nessuna prerogativa della sua umanità spiegherebbe il suo essere vero Dio, mentre il suo essere pre-ventivamente personalmente Figlio di Dio può spiegare come sia potuto diventare uomo. Già nel simbolo di Nicea professiamo che «il Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, per noi uomini e per la nostra salvezza, si è incarnato e si è fatto uomo». E aggiungiamo: un’umanità di Gesù, che non sia stata inscindibil-mente e storicamente l’umanità dell’Unigenito del Padre, non è mai esistita. Ecco perché al teologo che ne tratta dev’essere chiaro che quell’umanità perfettamente identica alla nostra, è insieme affatto unica e incomparabile. Ora, in ogni con-fronto o dialogo religioso ciò che deve primariamente risaltare è la di-scriminante dell’identità divina di Cristo, che rifiuta qualsiasi volonte-roso concordismo che anche mini-mamente la attenui. Tutte le lodi che si possano fare di Gesù e tutti gli elogi che se ne possano tessere risulterebbero alla fine vani e incon-cludenti, se venisse posto in parente-si il suo essere — come ancora affer-ma il concilio di Nicea — «Dio da Dio, luce da luce», cioè se si pre-scindesse e non si giungesse al suo riconoscimento di Figlio di Dio. La conseguenza è che tutto l’im-pegno dei cristiani, e quindi della Chiesa, deve mirare a predicare la confessione di Pietro: «Tu sei il Cri-sto, il Figlio dei Dio vivente» e a suscitare la fede in lui. Ossia a con-vertire gli uomini, secondo l’ammo-nimento di Gesù: «Convertitevi e credete al Vangelo» (Ma rc o , 1, 15). Quando ci si dedica a questo, — in obbedienza al mandato missiona-rio dello stesso Signore: «Andate e fate discepoli tutti i popoli» (Ma t -teo, 28, 19) — è assicurato il dono della grazia, cioè la forza miracolosa della Parola divina e la luce dello Spirito che illumina i cuori e che apre gli occhi interiori. Parrebbe che, dopo il concilio Va-ticano II, non si debba più parlare di Chiesa impegnata a convertire gli uomini. Ma se la conversione altro non è che l’adesione a Cristo, che cosa deve stare più a cuore alla Chiesa, se non che tutti gli uomini credano in lui, Figlio e unico salva-tore? In altri termini, che cosa deve starle più a cuore, se non quello che premeva a Gesù Cristo, ossia che gli uomini credano in lui e si salvino? Andrebbe aggiunto che sul cardine della divinità di Gesù poggia tutta la Rivelazione cristiana e tutto l’edi-ficio della fede. Lo si può constatare sperimentalmente: quando quella verità si appanni, o ci si giri incon-cludentemente intorno, la Trinità, il disegno della grazia, il destino dell’uomo, la Chiesa, i sacramenti. In breve: l’intero contenuto del Cre-do diviene incerto e quel che conta di più, il mistero, viene smarrito.

© osservatore Romano - 16 dicembre 2012