Sacra e umana conversazione

Piero Pala di Brera di JEAN-PIERRE DERYCKE
La Pala di Brera di Piero della Francesca, chiamata anche Pala di Monefeltro dal nome del suo committente, Federico d’Urbino, è il prolungamento della Flagellazione dello stesso artista. I due capolavori si coniugano attraverso la sovrapposizione costante del simbolo divino (sacro) e della storia umana (profano). Il tema della Redenzione è il loro comune denominatore.
Nel dipinto dalle dimensione in-solitamente monumentali per Piero, la rappresentazione mistica assume l’aspetto di quella che viene chia-mata “sacra conversazione”. Questo tipo iconografico indica qui la riu-nione solenne di un gruppo di an-geli e di santi (Giovanni Battista, Bernardino, Girolamo, Francesco, Pietro martire e Giovanni apostolo) attorno alla Vergine che troneggia al centro di una luminosa abside ecclesiale di ordine classico. Il simbolo si prolunga forse nella visualizzazione dell’uovo di struzzo sostenuto da una corda d’oro so-spesa alla conchiglia absidale che, secondo un’antica tradizione della liturgia bizantina, potrebbe riman-dare al tema dell’Immacolata Con-cezione della Vergine Maria, simil-mente alla perla che si forma in modo naturale e “miracoloso” all’interno della conchiglia che la ospita. Ma quest’allusione si può anche collegare al concepimento dello stesso Figlio, insolitamente adagiato sulle ginocchia di sua Ma-dre. Ed è qui che il dramma sacro si ricongiunge una prima volta alle circostanze della vita. La sorpren-dente posizione diagonale di Gesù è in effetti probabilmente condizio-nata dal gesto di preghiera del duca d’Urbino inginocchiato ai piedi della Vergine, le cui mani unite — che non sono opera di Piero — so-no il prolungamento del Bambino. Come nell’Agnello mistico di Gand, l’annuncio del martirio di Cristo e della redenzione che ne consegue, nella rappresentazione di Brera è in un certo senso supporta-to dalla presenza ai due estremi del dipinto dei due santi Giovanni, il Battista e l’Evangelista, che indica-no «l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo». La presenza del duca Federico da Montefeltro rivestito della sua ar-matura magistralmente dipinta “alla maniera fiamminga”, si spiega inve-ce con il suo statuto di committente dell’opera, ma le ragioni particolari della sua devozione nei confronti di Maria e di Gesù evocano anche di-versi episodi della sua vita che co-stellarono l’anno 1472, sorta di apo-teosi nella carriera e nell’esistenza personale del signore di Urbino. Il 24 gennaio di quell’anno, sua moglie Battista Sforza dava final-mente alla luce il primo erede ma-schio di Federico, Guidobaldo. Una tradizione molto antica di Ur-bino afferma che Maria e il Bambi-no nel quadro hanno proprio i trat-ti della duchessa e di suo figlio. Questa felicità familiare e dinasti-ca fu seguita alcuni mesi dopo (il 18 giugno) dall’eclatante vittoria del condottiero, allora al soldo dei fio-rentini, sui ribelli di Volterra. Rite-nuto sicuramente il suo più impor-tante fatto d’arme, questo episodio valse all’autore di essere accolto in trionfo nella capitale della Toscana da Lorenzo il Magnifico. In segno di rispetto e di profon-da riconoscenza per questo duplice beneficio, lo stratega ha deposto ai piedi della Vergine i suoi guanti di ferro, il suo elmo lucido come uno specchio dai riflessi cangianti e il suo bastone di comando, rigida-mente allineati di fronte a lui, e che sono forse sia un’allusione al suo successo militare sia il segno più impercettibile di una capitolazione o di una rinuncia. Il profilo perfet-to del suo volto rivela un leggero invecchiamento, che si traduce so-prattutto in una calvizie avanzata, rispetto al celebre dipinto degli Uf-fizi. Sembra in realtà che la sua azione di grazie e il profondo rac-coglimento che esprime rechino ugualmente l’impronta della malin-conia e forse anche del rimorso per-sonale. Spossata dalle gravidanze troppo ravvicinate, Battista muore ad appena venticinque anni, il 7 lu-glio 1472, ossia meno di un mese dopo il trionfo di suo marito, rima-sto inconsolabile. Ultimo probabile omaggio al sa-crificio della moglie che gli lasciò un erede al prezzo della sua vita, il dipinto fonde intimamente il dram-ma umano e il simbolo cristiano in un’armonia formale globale che ce-lebra la vittoria finale della vita così come l’esaltazione della trascendenza divina.

© Osservatore Romano - 8 dicembre 2012