Ardenti di luce
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- Creato: 05 Gennaio 2013
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Vorremmo sapere di più su questa laboriosa e inattesa venuta di Magi, intrepidi e in apparenza ingenui, che d’improvviso si affacciano, per subito allontanarsi e scomparire sulla strada del ritorno al loro Paese. Ameremmo conoscerne la provenienza e l’identità, sapere cosa significa la stella, così docile e benigna, sorta ai loro occhi e poi quieta e intelligente guida e compagna nel cammino.
E, ancora, desidereremmo conoscere la natura e il senso di quei doni estratti dagli scrigni.
"Ma l’evangelista - chiosa Inos Biffi - non si sogna affatto di soddisfarci in queste nostre curiosità, così come ci lascia ai nostri interrogativi sui contenuti storici precisi di quella venuta". Egli intende illustrarci un messaggio: quando nasce Gesù si accende una stella che è una chiamata silenziosa e irresistibile di uomini lontani ma disponibili e attenti a Cristo. Predicava san Bernardo: «Guardate e vedete quale vista penetrante abbia la fede; considerate con molta attenzione che occhi di lince abbia chi riconosce il Figlio di Dio mentre succhia il latte, chi lo riconosce sospeso a una croce e morente. Il ladrone lo confessa sul patibolo, i Magi nella stella; quello confitto coi chiodi, questi avvolto nei panni. Non vi dà fastidio, o Magi, l’umile dimora della stalla, la povera culla della mangiatoia? Non vi scandalizza la presenza di una povera madre, né l’infanzia di un bambino che succhia il latte?». C’è sempre sproporzione tra quello che la fede immediatamente vede e quello che, confidentemente, crede. E la gioia messianica, che incomincia quaggiù e che può stranamente convivere con la passione. Teresa di Lisieux ha questa singolare riflessione sulla stella: «Talvolta, quando il cielo è coperto di nuvole, la sera senza luci è triste per Gesù, nell’ombra. Per rallegrare Gesù Bambino, fatti ardente di luce, brilla di tutte le tue virtù, come una stella»
Dei Magi non conosciamo in realtà neanche il numero; Matteo, riferendo l’episodio dell’adorazione ricorda soltanto che «alcuni Magi giunsero da Oriente» (2, 1) senza specificarne il numero. Il fatto che nell’iconografia tradizionale e nella letteratura più tarda, essi propongano un numero ternario dipende presumibilmente dai doni che recarono al Bambino: «Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra» (2, 11). Se, infatti, già in età antica, le rappresentazioni iconografiche raffigurano tre Magi, come nella celebre cappella greca di Priscilla del iii secolo, non mancano casi in cui gli offerenti variano in numero di due, quattro e persino sei, forse per ragioni di pura simmetricità. Attorno a queste figure si è creata, nel medioevo, e, segnatamente, nel XII secolo, un’affabulazione leggendaria che attribuisce i nomi di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre ai re, anche se un graffito rinvenuto nel complesso monastico egiziano di Kellia, riferibile al VII-VIII secolo, pare già menzionare i nomi Gaspar, Belchior e Bathesalsa.
di INOSBIFFI
L’ avvenimento del Fi-glio di Dio che diven-ta uomo — il mistero, come lo chiama Paolo — è destinato alla ma-nifestazione: deve farsi annunzio ed epifania, poiché Gesù è assoluta-mente l’unico Salvatore di tutti. Non esistono altre vie di redenzione. Cri-sto è «luce per illuminare le genti». Su Israele, che personifica il messia, brilla la gloria del Signore e Isaia può dire: «Alla tua luce cammine-ranno i popoli, e i re allo splendore del tuo sorgere». L’evangelista Mat-teo vede nella venuta dei Magi da oriente avverarsi l’apparizione della Luce del Messia oltre i confini d’Israele e l’inizio dell’adorazione universale e della proclamazione del-la gloria del Signore. Vorremmo sapere di più su questa laboriosa e inattesa venuta di Magi, intrepidi e in apparenza ingenui, che d’improvviso si affacciano, per subi-to allontanarsi e scomparire sulla strada del ritorno al loro Paese. Ameremmo conoscerne la provenien-za e l’identità, sapere cosa significa la stella, così docile e benigna, sorta ai loro occhi e poi quieta e intelli-gente guida e compagna nel cammino. E, ancora, desidereremmo cono-scere la natura e il senso di quei do-ni estratti dagli scrigni. Ma l’evangelista non si sogna af-fatto di soddisfarci in queste nostre curiosità, così come ci lascia ai nostri interrogativi sui contenuti storici precisi di quella venuta. Egli intende illustrarci un messaggio: quando na-sce Gesù si accende una stella che è una chiamata silenziosa e irresistibile di uomini lontani ma disponibili e attenti a Cristo: «Abbiamo visto sor-gere la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». Ora è la Chiesa ad accendere la stella di Cristo, a farsi vocazione me-diante il suo annunzio e la sua stessa vita, che predica il Signore a tutti gli uomini, perché tutti — com’è detto da Paolo agli Efesini — p re n d a n o parte alla stessa eredità, formino lo stesso corpo e partecipino alla pro-messa per mezzo del Vangelo. L’es-sere missionaria non è una delle ca-ratteristiche della Chiesa, ma è la sua stessa definizione. Se la Chiesa è appassionata del Signore, l’unico e insostituibile redentore del mondo non può rinunziare a rivelarlo. Sa-rebbe un falso e nefasto ecumenismo quello che livellasse ogni religione sul medesimo piano, o ritenesse che l’evangelizzazione compiuta dalla Chiesa sia lesiva delle coscienze od offensiva delle espressioni religiose dei popoli. Il Vangelo, che è per tut-ti obiettivamente liberante, non dev’essere mai imposto in nessuna forma a nessuno. Ma questo non rende la Chiesa né inerte, né indiffe-rente: essa stessa, d’altronde, proviene sia dall’ebraismo, che con gli apostoli s’è compiuto nel riconosci-mento di Gesù di Nazaret, Figlio di Dio, sia dal paganesimo, cioè dai «Gentili chiamati in Cristo Gesù». Sarebbe allo stesso modo un ecu-menismo inaccettabile quello che fa-cesse coincidere tra di loro le varie Chiese o comunità cristiane; né que-sta inaccettabilità equivale ad arro-ganza per la Chiesa cattolica: essa dice invece la sua dedizione a che l’annunzio e l’originalità di Cristo non perdano nulla dei tratti da lui voluti. La Chiesa non esibisce se stessa, ma Gesù Cristo nella sua in-tegralità. Una indifferenza al riguardo sarebbe semplice-mente disinteresse verso il Signore. Tanto oggi si parla di inculturazione del Vangelo, essa sareb-be però deleteria se comportasse un dissol-versi o un annebbiarsi dell’originalità e della necessità di Gesù Cristo, che devono risaltare nella for-mulazione della fede, nel linguaggio, nella liturgia, e nei suoi segni. Si di-mentica talora che nessun uomo e nessuna cultura sono dispensati dal-la conversione e dall’adesione all’av-venimento preciso e concreto di Ge-sù Cristo. Capita che disavveduti pa-stori, in fondo poco confidenti in Cristo, creino smarrimenti nei fedeli e confusione nella loro fede per un concordismo tutto sommato facile e disimp egnato. Il cammino dei Magi per l’adora-zione del re dei Giudei non trova fa-cilitazione ma ostacoli, e stranamente da chi dovrebbe essere al servizio di questo re. Erode — il nuovo farao-ne persecutore — rimane turbato dall’interrogativo di quei Magi: egli immagina che la regalità ricercata per l’adorazione sia una regalità di questo mondo, concorrenziale alla sua. Con Erode è presa da smarri-mento tutta Gerusalemme, e quanto ai sommi sacerdoti e agli scribi: co-noscono le Scritture e sanno, ma non riconoscono. Matteo prefigura così il dramma del rigetto di Gesù che un giorno sarà consumato proprio a Gerusa-lemme. La ricerca di Cristo, l’acco-glienza della vocazione, in una paro-la la fede, non sono mai facili e pa-cifici. Domandano sempre una co-raggiosa decisione della libertà, che tocca l’intimo della coscienza, dove il Vangelo si iscrive e diviene luce e attrattiva, senza essere costrizione. A completare il discorso sopra accen-nato sulla missione occorre aggiun-gere che — per le vie che Dio cono-sce e che non è tenuto a rivelarci — nella coscienza di ogni uomo si ac-cendono i segni di Dio, che esigono consenso e conversione, elezione e distacco, poiché nessuno uomo — che dall’eternità è predestinato in Cristo — è dal Padre abbandonato a se stesso, alle proprie tenebre natura-li, e alle proprie impossibilità e di-savventure. Dio non ama parzial-mente: ogni uomo nasce prevenuto dall’immenso amore del Padre. Toc-cherà ai credenti predicare come tale amore abbia preso forma storica in Gesù. Predicava san Bernardo: «Guarda-te e vedete quale vista penetrante abbia la fede; considerate con molta attenzione che occhi di lince abbia chi riconosce il Figlio di Dio mentre succhia il latte, chi lo riconosce so-speso a una croce e morente. Il la-drone lo confessa sul patibolo, i Ma-gi nella stella; quello confitto coi chiodi, questi avvolto nei panni. Non vi dà fastidio, o Magi, l’umile dimora della stalla, la povera culla della mangiatoia? Non vi scandaliz-za la presenza di una povera madre, né l’infanzia di un bambino che suc-chia il latte?». Forse allora Gesù non era già più in una stalla, ma certo non risiedeva in una reggia. C’è sempre spropor-zione tra quello che la fede imme-diatamente vede e quello che, confi-dentemente, crede. Dei Magi Matteo dice che al rive-dere la stella «provarono una gran-dissima gioia». La fede, che ancora aspetta e desidera la visione beatifi-ca, sa far pregustare la gioia, della quale è intessuto il Vangelo: una gioia interiore, di là dal turbamento, capace di dominare le penose ricor-renti vicissitudini con la certezza della speranza nella Provvidenza. È la gioia messianica, che incomincia quaggiù e che può stranamente con-vivere con la passione. Teresa di Li-sieux ha questa singolare riflessione sulla stella: «Talvolta, quando il cie-lo è coperto di nuvole, la sera senza luci è triste per Gesù, nell’ombra. Per rallegrare Gesù Bambino, fatti ardente di luce, brilla di tutte le tue virtù, come una stella».
(©L'Osservatore Romano 6 gennaio 2013)
E, ancora, desidereremmo conoscere la natura e il senso di quei doni estratti dagli scrigni.
"Ma l’evangelista - chiosa Inos Biffi - non si sogna affatto di soddisfarci in queste nostre curiosità, così come ci lascia ai nostri interrogativi sui contenuti storici precisi di quella venuta". Egli intende illustrarci un messaggio: quando nasce Gesù si accende una stella che è una chiamata silenziosa e irresistibile di uomini lontani ma disponibili e attenti a Cristo. Predicava san Bernardo: «Guardate e vedete quale vista penetrante abbia la fede; considerate con molta attenzione che occhi di lince abbia chi riconosce il Figlio di Dio mentre succhia il latte, chi lo riconosce sospeso a una croce e morente. Il ladrone lo confessa sul patibolo, i Magi nella stella; quello confitto coi chiodi, questi avvolto nei panni. Non vi dà fastidio, o Magi, l’umile dimora della stalla, la povera culla della mangiatoia? Non vi scandalizza la presenza di una povera madre, né l’infanzia di un bambino che succhia il latte?». C’è sempre sproporzione tra quello che la fede immediatamente vede e quello che, confidentemente, crede. E la gioia messianica, che incomincia quaggiù e che può stranamente convivere con la passione. Teresa di Lisieux ha questa singolare riflessione sulla stella: «Talvolta, quando il cielo è coperto di nuvole, la sera senza luci è triste per Gesù, nell’ombra. Per rallegrare Gesù Bambino, fatti ardente di luce, brilla di tutte le tue virtù, come una stella»
Dei Magi non conosciamo in realtà neanche il numero; Matteo, riferendo l’episodio dell’adorazione ricorda soltanto che «alcuni Magi giunsero da Oriente» (2, 1) senza specificarne il numero. Il fatto che nell’iconografia tradizionale e nella letteratura più tarda, essi propongano un numero ternario dipende presumibilmente dai doni che recarono al Bambino: «Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra» (2, 11). Se, infatti, già in età antica, le rappresentazioni iconografiche raffigurano tre Magi, come nella celebre cappella greca di Priscilla del iii secolo, non mancano casi in cui gli offerenti variano in numero di due, quattro e persino sei, forse per ragioni di pura simmetricità. Attorno a queste figure si è creata, nel medioevo, e, segnatamente, nel XII secolo, un’affabulazione leggendaria che attribuisce i nomi di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre ai re, anche se un graffito rinvenuto nel complesso monastico egiziano di Kellia, riferibile al VII-VIII secolo, pare già menzionare i nomi Gaspar, Belchior e Bathesalsa.
di INOSBIFFI
L’ avvenimento del Fi-glio di Dio che diven-ta uomo — il mistero, come lo chiama Paolo — è destinato alla ma-nifestazione: deve farsi annunzio ed epifania, poiché Gesù è assoluta-mente l’unico Salvatore di tutti. Non esistono altre vie di redenzione. Cri-sto è «luce per illuminare le genti». Su Israele, che personifica il messia, brilla la gloria del Signore e Isaia può dire: «Alla tua luce cammine-ranno i popoli, e i re allo splendore del tuo sorgere». L’evangelista Mat-teo vede nella venuta dei Magi da oriente avverarsi l’apparizione della Luce del Messia oltre i confini d’Israele e l’inizio dell’adorazione universale e della proclamazione del-la gloria del Signore. Vorremmo sapere di più su questa laboriosa e inattesa venuta di Magi, intrepidi e in apparenza ingenui, che d’improvviso si affacciano, per subi-to allontanarsi e scomparire sulla strada del ritorno al loro Paese. Ameremmo conoscerne la provenien-za e l’identità, sapere cosa significa la stella, così docile e benigna, sorta ai loro occhi e poi quieta e intelli-gente guida e compagna nel cammino. E, ancora, desidereremmo cono-scere la natura e il senso di quei do-ni estratti dagli scrigni. Ma l’evangelista non si sogna af-fatto di soddisfarci in queste nostre curiosità, così come ci lascia ai nostri interrogativi sui contenuti storici precisi di quella venuta. Egli intende illustrarci un messaggio: quando na-sce Gesù si accende una stella che è una chiamata silenziosa e irresistibile di uomini lontani ma disponibili e attenti a Cristo: «Abbiamo visto sor-gere la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». Ora è la Chiesa ad accendere la stella di Cristo, a farsi vocazione me-diante il suo annunzio e la sua stessa vita, che predica il Signore a tutti gli uomini, perché tutti — com’è detto da Paolo agli Efesini — p re n d a n o parte alla stessa eredità, formino lo stesso corpo e partecipino alla pro-messa per mezzo del Vangelo. L’es-sere missionaria non è una delle ca-ratteristiche della Chiesa, ma è la sua stessa definizione. Se la Chiesa è appassionata del Signore, l’unico e insostituibile redentore del mondo non può rinunziare a rivelarlo. Sa-rebbe un falso e nefasto ecumenismo quello che livellasse ogni religione sul medesimo piano, o ritenesse che l’evangelizzazione compiuta dalla Chiesa sia lesiva delle coscienze od offensiva delle espressioni religiose dei popoli. Il Vangelo, che è per tut-ti obiettivamente liberante, non dev’essere mai imposto in nessuna forma a nessuno. Ma questo non rende la Chiesa né inerte, né indiffe-rente: essa stessa, d’altronde, proviene sia dall’ebraismo, che con gli apostoli s’è compiuto nel riconosci-mento di Gesù di Nazaret, Figlio di Dio, sia dal paganesimo, cioè dai «Gentili chiamati in Cristo Gesù». Sarebbe allo stesso modo un ecu-menismo inaccettabile quello che fa-cesse coincidere tra di loro le varie Chiese o comunità cristiane; né que-sta inaccettabilità equivale ad arro-ganza per la Chiesa cattolica: essa dice invece la sua dedizione a che l’annunzio e l’originalità di Cristo non perdano nulla dei tratti da lui voluti. La Chiesa non esibisce se stessa, ma Gesù Cristo nella sua in-tegralità. Una indifferenza al riguardo sarebbe semplice-mente disinteresse verso il Signore. Tanto oggi si parla di inculturazione del Vangelo, essa sareb-be però deleteria se comportasse un dissol-versi o un annebbiarsi dell’originalità e della necessità di Gesù Cristo, che devono risaltare nella for-mulazione della fede, nel linguaggio, nella liturgia, e nei suoi segni. Si di-mentica talora che nessun uomo e nessuna cultura sono dispensati dal-la conversione e dall’adesione all’av-venimento preciso e concreto di Ge-sù Cristo. Capita che disavveduti pa-stori, in fondo poco confidenti in Cristo, creino smarrimenti nei fedeli e confusione nella loro fede per un concordismo tutto sommato facile e disimp egnato. Il cammino dei Magi per l’adora-zione del re dei Giudei non trova fa-cilitazione ma ostacoli, e stranamente da chi dovrebbe essere al servizio di questo re. Erode — il nuovo farao-ne persecutore — rimane turbato dall’interrogativo di quei Magi: egli immagina che la regalità ricercata per l’adorazione sia una regalità di questo mondo, concorrenziale alla sua. Con Erode è presa da smarri-mento tutta Gerusalemme, e quanto ai sommi sacerdoti e agli scribi: co-noscono le Scritture e sanno, ma non riconoscono. Matteo prefigura così il dramma del rigetto di Gesù che un giorno sarà consumato proprio a Gerusa-lemme. La ricerca di Cristo, l’acco-glienza della vocazione, in una paro-la la fede, non sono mai facili e pa-cifici. Domandano sempre una co-raggiosa decisione della libertà, che tocca l’intimo della coscienza, dove il Vangelo si iscrive e diviene luce e attrattiva, senza essere costrizione. A completare il discorso sopra accen-nato sulla missione occorre aggiun-gere che — per le vie che Dio cono-sce e che non è tenuto a rivelarci — nella coscienza di ogni uomo si ac-cendono i segni di Dio, che esigono consenso e conversione, elezione e distacco, poiché nessuno uomo — che dall’eternità è predestinato in Cristo — è dal Padre abbandonato a se stesso, alle proprie tenebre natura-li, e alle proprie impossibilità e di-savventure. Dio non ama parzial-mente: ogni uomo nasce prevenuto dall’immenso amore del Padre. Toc-cherà ai credenti predicare come tale amore abbia preso forma storica in Gesù. Predicava san Bernardo: «Guarda-te e vedete quale vista penetrante abbia la fede; considerate con molta attenzione che occhi di lince abbia chi riconosce il Figlio di Dio mentre succhia il latte, chi lo riconosce so-speso a una croce e morente. Il la-drone lo confessa sul patibolo, i Ma-gi nella stella; quello confitto coi chiodi, questi avvolto nei panni. Non vi dà fastidio, o Magi, l’umile dimora della stalla, la povera culla della mangiatoia? Non vi scandaliz-za la presenza di una povera madre, né l’infanzia di un bambino che suc-chia il latte?». Forse allora Gesù non era già più in una stalla, ma certo non risiedeva in una reggia. C’è sempre spropor-zione tra quello che la fede imme-diatamente vede e quello che, confi-dentemente, crede. Dei Magi Matteo dice che al rive-dere la stella «provarono una gran-dissima gioia». La fede, che ancora aspetta e desidera la visione beatifi-ca, sa far pregustare la gioia, della quale è intessuto il Vangelo: una gioia interiore, di là dal turbamento, capace di dominare le penose ricor-renti vicissitudini con la certezza della speranza nella Provvidenza. È la gioia messianica, che incomincia quaggiù e che può stranamente con-vivere con la passione. Teresa di Li-sieux ha questa singolare riflessione sulla stella: «Talvolta, quando il cie-lo è coperto di nuvole, la sera senza luci è triste per Gesù, nell’ombra. Per rallegrare Gesù Bambino, fatti ardente di luce, brilla di tutte le tue virtù, come una stella».
(©L'Osservatore Romano 6 gennaio 2013)