Omelie quotidiane Santo Padre

I PASTORI ACCOMPAGNINO IL POPOLO DI DIO

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«In questi giorni ci uniamo agli ammalati, alle famiglie, che soffrono questa pandemia. E vorrei anche pregare oggi per i pastori che devono accompagnare il popolo di Dio in questa crisi». Sono le parole che Papa Francesco ha pronunciato, a braccio, all’inizio della messa celebrata nella cappella di Casa Santa Marta venerdì mattina, 13 marzo, giorno del settimo anniversario della sua elezione.

«Che il Signore», ha pregato il Pontefice, dia ai pastori «la forza e anche la capacità di scegliere i migliori mezzi per aiutare. Le misure drastiche non sempre sono buone, per questo preghiamo: perché lo Spirito Santo dia ai pastori la capacità e il discernimento pastorale affinché provvedano misure che non lascino da solo il santo popolo fedele di Dio. Che il popolo di Dio si senta accompagnato dai pastori e dal conforto della Parola di Dio, dei sacramenti e della preghiera».

Il Papa ha dato ancora più forza alle sue parole, anche sulla «perversione del clericalismo», leggendo l’antifona d’ingresso — «In te mi rifugio, Signore, che io non resti confuso in eterno; mi salverai dalla rete che mi hanno teso i miei nemici, perché tu sei la mia difesa» — tratta dal salmo 31 (2-5).

La celebrazione, come avviene da lunedì 9 marzo, è stata trasmessa in diretta video in modo che tutti possano sentire la vicinanza del vescovo di Roma in questo periodo di particolare preoccupazione. Per la sua meditazione, il Pontefice ha preso spunto dalle letture proposte dalla liturgia: la prima, tratta dal Libro della Genesi (37, 3-4.12-13.17-28) e la seconda dal Vangelo di Matteo (21, 33-43.45). «Ambedue le letture sono una profezia della Passione del Signore» ha subito fatto presente il Papa: «Giuseppe venduto come schiavo per venti sicli d’argento, consegnato ai pagani, e la parabola di Gesù che chiaramente parla, in simbolo, dell’uccisione del Figlio».

Matteo nel Vangelo racconta, appunto, la parabola — ha spiegato Francesco — di «“un uomo che possedeva un terreno, vi piantò una vigna”, la cura con cui l’aveva fatto, “la circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre”, l’aveva fatta bene, poi “la diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano”».

«Questo è il popolo di Dio: il Signore scelse quel popolo, c’è una elezione di quella gente, è il popolo dell’elezione» ha insistito il Papa. E «c’è anche una promessa: andate avanti. Tu sei il mio popolo. È una promessa fatta ad Abramo e anche c’è un’alleanza fatta con il popolo nel Sinai». Sì, «il popolo deve sempre custodire nella memoria l’elezione, che è un popolo eletto, la promessa per guardare avanti con speranza e l’alleanza per vivere ogni giorno la fedeltà».

Ma nella parabola evangelica «succede — ha affermato Francesco — che quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti» quegli uomini si erano dimenticati «che non erano i padroni: “I contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo”».

«Certamente Gesù fa vedere qui come i dottori della legge — e il Papa ha fatto notare che Matteo ci dice che sta parlando proprio a loro — hanno trattato i profeti». Infatti, ha ripetuto Francesco con le parole dell’evangelista: «Da ultimo mandò loro il proprio figlio», pensando che avrebbero avuto rispetto per lui. «Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”».

Dunque «hanno rubato l’eredità, che era un’altra». Questa, ha proseguito, è «una storia di infedeltà, di infedeltà alla elezione, di infedeltà alla promessa, di infedeltà all’alleanza, che è un dono». Perché «l’elezione, la promessa e l’alleanza sono un dono di Dio».

«Infedeltà al dono di Dio», dunque, è «non capire che era un dono e prenderlo come proprietà». E così, ha spiegato Francesco, «questa gente si è appropriata del dono e ha tolto questo essere dono per trasformarlo in proprietà “mia”». E «il dono che è ricchezza, è apertura, è benedizione, è stato chiuso, ingabbiato in una dottrina di leggi, tante. È stato ideologizzato». Ma, ha meso in guardia il Pontefice, «così il dono ha perso la sua natura di dono, è finito in una ideologia, soprattutto in un’ideologia moralistica piena di precetti, anche ridicola perché scende alla casistica per ogni cosa». Insomma, ha proseguito il Papa, «si sono appropriati del dono» e «questo è il grande peccato: è il peccato di dimenticare che Dio si è fatto dono Lui stesso per noi, che Dio ci ha dato questo come dono. E, dimenticando questo, diventare padroni». Di conseguenza, ha fatto notare il Papa, «la promessa non è già promessa, l’elezione non è già elezione: l’alleanza va interpretata secondo il mio parere, ideologizzata».

«Qui, in questo atteggiamento, io vedo forse l’inizio, nel Vangelo, del clericalismo, che è una perversione, che rinnega sempre l’elezione gratuita di Dio, l’alleanza gratuita di Dio, la promessa gratuita di Dio» ha rimarcato il Pontefice.

Il clericalismo «dimentica la gratuità della rivelazione, dimentica che Dio si è manifestato come dono, si è fatto dono per noi e noi dobbiamo darlo, farlo vedere agli altri come dono, non come possesso nostro». Ma «il clericalismo non è una cosa solo di questi giorni, la rigidità non è una cosa di questi giorni, già al tempo di Gesù c’era» ha detto Francesco.

In conclusione dell’omelia, il Papa ha ricordato che «Gesù andrà avanti nella spiegazione delle parabole — questo è il capitolo 21 —, andrà avanti fino ad arrivare al capitolo 23 con la condanna, dove si vede l’ira di Dio contro coloro che prendono il dono come proprietà e riducono la sua ricchezza ai capricci ideologici della loro mente».

E proprio in questa prospettiva Francesco ha invitato a chiedere «oggi al Signore la grazia di ricevere il dono come dono e trasmettere il dono come dono non come proprietà, non di un modo settario, di un modo rigido, di un modo clericalista».

Al termine della messa, come di consueto, il Pontefice ha sostato in preghiera davanti all’immagina della Madre di Dio accanto all’altare della cappella di Santa Marta, accompagnato dal canto dell’antifona mariana. Successivamente, a mezzogiorno, nella basilica Vaticana, il cardinale arciprete Angelo Comastri ha guidato un momento di preghiera mariana, davanti all’altare della Cattedra, con la recita dell’Angelus e del rosario.


*da: www.osservatoreromano.va

L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLX, n. 61, 14-15/03/2020

 
 


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