Messaggio del Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale per la 64.ma Giornata Mondiale di Lotta alla Lebbra
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- Creato: 28 Gennaio 2017
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Pubblichiamo di seguito il Messaggio del Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, l’Em.mo Card. Peter Kodwo Appiah Turkson, in occasione della 64.ma Giornata Mondiale di Lotta alla Lebbra (Morbo di Hansen) che si celebra domenica, 29 gennaio 2017:
Messaggio del Card. Peter Kodwo Appiah Turkson
Eradicazione della lebbra e reinserimento delle persone colpite dall’hanseniasi:
una sfida non ancora vinta
La messa a punto di efficaci terapie farmacologiche e il forte impegno a livello planetario profuso da molti organismi e realtà nazionali ed internazionali, con la Chiesa Cattolica in prima linea, hanno inferto, negli ultimi decenni, un colpo durissimo al Morbo di Hansen, più noto come Lebbra. L’hanseniasi, che ancora nel 1985 affliggeva nel mondo oltre 5 milioni di persone, oggi annovera circa 200mila nuovi casi l’anno ma c’è ancora molto, moltissimo da fare.
Come fra l’altro evidenziato nel giugno scorso, a conclusione del Simposio “Per una cura olistica delle persone affette dal Morbo di Hansen rispettosa della loro dignità”, organizzato dall’allora Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari: ogni nuovo caso di malattia di Hansen è di troppo, lo è anche ogni forma residua di stigma per questa malattia. Di troppo è ogni legge discriminante i malati affetti dal morbo di Hansen, così come ogni tipo di indifferenza. Nell’ambito dell’iniziativa, realizzata in collaborazione con la Nippon Foundation-Sasakawa Health Foundation e col contributo dell’Ordine di Malta e delle fondazioni Raoul Follereau e Il Buon Samaritano, è stato inoltre sottolineato che: dato il loro ruolo, è importante che i leader di tutte le religioni, nei loro insegnamenti, scritti e discorsi contribuiscano all'eliminazione della discriminazione contro le persone colpite dal Morbo di Hansen. È d’altro lato necessario, come anche ribadito successivamente dall’OMS durante il Forum Mondiale sull’hanseniasi tenuto a Seul nel mese di novembre, garantire cure fisiche e psicologiche ai pazienti durante e dopo la fine del trattamento.
Dobbiamo inoltre impegnarci tutti e a tutti i livelli perché, in tutti i Paesi, vengano modificate le politiche familiari, lavorative, scolastiche, sportive e di ogni altro genere che discriminano direttamente o indirettamente queste persone; perché i Governi mettano a punto piani attuativi che coinvolgano le persone malate.
Infine è fondamentale rafforzare la ricerca scientifica per sviluppare nuovi farmaci e ottenere migliori strumenti diagnostici così da aumentare le possibilità di diagnosi precoce. In larga parte, infatti, i nuovi casi vengono identificati solamente quando l’infezione ha già provocato delle lesioni permanenti e segnati, oramai a vita, l’adulto e il bambino o la bambina ammalatisi. D’altro lato accade che, specialmente nelle aree più remote, sia difficile garantire l’assistenza necessaria a terminare la cura oppure che gli stessi pazienti possano comprendere l’importanza o dare comunque la priorità al proseguimento del trattamento farmacologico eventualmente iniziato.
Ma le cure non bastano. Bisogna reinserire a pieno titolo la persona guarita nel tessuto sociale originario: nella famiglia, nella comunità, nella scuola o nell’ambiente di lavoro. Per promuovere e contribuire a tale processo di reintegrazione, peraltro ancora quasi impossibile in molte realtà, è necessario sostenere e incoraggiare ulteriormente l’associazionismo tra gli ex-malati; al contempo, insieme a loro, promuovere la diffusione delle comunità che, come già realizzato ad esempio in India, in Brasile e in Ghana, diventano delle vere famiglie che comprendono e accolgono le persone, offrendo un terreno fertile al mutuo aiuto, ad un’autentica fratellanza.
Anche riflettendo sulla guarigione operata da Gesù su di un malato di lebbra, come riportato nel capitolo 1 del Vangelo di Marco, il Cristo, “mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, guarisci!». Subito la lebbra scomparve ed egli guarì”. Poi “gli disse: «Guarda di non dir niente a nessuno, ma va’, presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro».
Ecco che Gesù, dunque, non solamente sana la persona nella sua interezza ma sollecita l’uomo da Lui guarito a presentarsi a colui che poteva decretarne il pieno reinserimento nella società, la riammissione nel ‘consorzio umano’.
È forse questo, oggi come oggi, l’ostacolo maggiore da superare per chi è stato segnato dall’hanseniasi e chi opera in suo favore. Le disabilità, i segni inconfondibili lasciati dalla malattia sono ancora oggi simili a dei marchi a fuoco. La paura del Morbo, tra i più temuti nella storia umana, vince sulla ragione, la mancanza di conoscenza della patologia da parte della comunità esclude i guariti che, a loro volta, a causa della sofferenza e delle discriminazioni subite hanno perso il senso della dignità che gli è propria, inalienabile anche se il corpo presenta mutilazioni. “Per” loro e, soprattutto, “con” le persone rimaste vittime della lebbra dobbiamo impegnarci ancora più a fondo affinché possano trovare accoglienza, solidarietà, giustizia.
© http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino.html - 28 gennaio 2017