Famiglia

Natura e funzione del matrimonio, un excursus sul tema

anima gemella

La seguente riflessione è in continua fase di aggiornamento.

Premessa di argomento e di metodo

Sarebbe estremamente fruttuoso ed interessante trattare il nostro discorso tenendo conto dei contributi dell’antropologia e sociologia delle religioni. Degni di nota i contributi di Mircea Eliade. Tuttavia, per esigenze di spazio e di tempo e anche per non voler annoiare il lettore ci dedichiamo esclusivamente alla dimensione biblica.

Per tale approccio occorre una necessaria premessa. Per comprendere l’uomo della Bibbia occorre pensare come l’uomo della Bibbia. Per comprendere la Sacra Scrittura occorre pensare come chi l’ha scritta e redatta, divinamente ispirato.

La Sacra Scrittura nasce non dà una dettatura ispirata divinisticamente ma divinamente. Meglio ancora, la Sacra Scrittura nasce, quasi sempre, come necessità di rendere scritto ed oggettivo ciò che è accaduto, in fatti, opere e parole, utili alla Salvezza. L’incontro di Dio con l’uomo. La sua Teofania e la risposta dell’uomo a questo evento. Ecco perché, in tal senso, la Tradizione, intesa come esperienza viva di Dio e come “traditio”, consegna, di questo evento teandrico è precedente la Sacra Scrittura. Non si può comprendere la Scrittura se non da un vissuto che la precede.

Il vissuto storico, potremmo dire epifanico ed esperienziale, di un singolo e di un popolo, chiede  ad un certo punto la “sedimentazione” scritta di questi eventi salvifici.

Successivamente questi eventi fondamentali ispireranno una riflessione sapienziale (“alla Tua Luce vediamo la luce”, sl. 35,10) che darà risposta alle grandi domande che segnano il cammino dell’uomo. Cioè gli eventi forniranno le chiavi di lettura per comprendere la realtà come essa si presenta con evidenza.

Non deve stupire la lettura midrashica di Benigni sul canale nazionale. Il termine midrash (al plurale: midrashim) viene dal verbo ebraico «darash» («cercare») (A. Spreafico “Il Midrash: una lettura spirituale della Bibbia”).

La Bibbia è midrashica per natura e si distanzia da una visione più analitica e tecnica che viene usata nella catechesi del catechismo.

E la lettura midrashica sapienziale dei fatti della salvezza veniva fatta nel contesto delle piccole comunità, anzitutto la famiglia, come luogo in cui ci si riuniva davanti ai fatti della salvezza.

Per il nostro discorso è importante ricordare che per l’ebreo esistevano dunque tre luoghi in cui far risuonare gli eventi della Salvezza. La famiglia, la sinagoga, il tempio. L’uno non poteva esistere senza l’altro.

Ma portiamo qualche esempio. Andiamo al capitolo 12 del libro del Genesi.

Abramo viveva probabilmente una situazione di scetticismo verso le divinità presenti nel suo popolo caldeo. Era sanamente scettico e disincantato. Divinità che, come d’uso, erano fortemente antropomorfizzate. Rispondevano ad una richiesta di esigenza sui bisogni naturali e di magia dell’uomo. Avere greggi numerose, buona coltivazione della terra, fertilità, ecc. Dio usa questa fruttuosa insoddisfazione di Abramo per rivelarsi in maniera straordinaria ma nel contempo gli chiede un qualcosa che è al di fuori di ogni logica. Gli chiede di lasciare la sua casa, il padre, la madre, i fratelli, la sua terra. Per noi questo potrebbe voler dire un cambiamento, magari significativo ed importante. Ma per uno di quel contesto e periodo di Abramo significa un taglio drammatico fatto alle radici con una logica radicale: un vero e proprio taglio del cordone ombelicale ed un salto nel vuoto.

Abramo sa di non essersi ingannato e di non essere ingannato e si fida di ciò di cui ha fatto esperienza e con la sua famiglia esce fuori dalla sua terra.

Questo evento lo porterà a comprendere che Dio è “totalmente altro” e che, come tale, Egli può chiedere qualcosa che è al di fuori degli ordinari schemi.

La santità di Dio, espressa poi nel termine ebraico Cadosh, cioè separato, probabilmente, prende forma proprio da questa esperienza di taglio del cordone ombelicale (Cadash in ebraico significa taglio del cordone ombelicale). Dio è totalmente altro, chiede altro e porta ad una nuova nascita. Nuova nascita che chiede di passare per l’incertezza e la precarietà. L’uomo non domina un dio con la magia, come avviene con il paganesimo, ma è soggiogato dalla fiducia e dall’amore in Lui. Nasce la Fede.

Facendo un salto più avanti, sempre nel libro del Genesi al capitolo 22.

Abramo riceve da Dio la promessa di una posterità senza misura, come i granelli di sabbia sulla spiaggia e come il numero insindacabile delle stelle del Cielo.

Se si è avuta la grazia di andare in Terra Santa, nel deserto, si comprende bene cosa significhi una promessa del genere nel cielo stellato che sembra coperto quasi da un manto bianco di puntini luminosi. Dio esagera. L’inizio di questa posterità è data da Isacco. Il figlio della promessa, il figlio unico.

Dio cosa fa?

Gli chiede il sacrificio del figlio unico.

Non senza una fatica di vero e proprio lutto dell’anima, spirituale, psichico ed intellettivo, Abramo non esita a compiere la richiesta di Dio salendo sul monte Moriah, con una escalation drammatica. Resa ancora più acuta dalle domande del figlio Isacco. “Padre.. Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov'è l'agnello per l'olocausto?” (Gn. 22,7) Abramo facendo violenza a se stesso ma confidando (come ricorderà S. Paolo Rm. 4,17.18) che Dio può togliere e dare la vita a piacimento risponde “Dio stesso provvederà l'agnello per l'olocausto, figlio mio!” (Gn. 22,8)

E così accadrà ma non finché Abramo è oramai disposto a compiere il sacrificio fino alla fine.

Qui Abramo comprende due cose:

la prima che Dio è Signore della vita, ed è in grado di fare ogni cosa, anche di resuscitare i morti.

In secondo luogo che Dio provvede sempre a chi in Lui confida. Dio è provvidenza amorevole ed onnipotente.

Ecco dunque che con alcuni esempi abbiamo chiarito come la teologia dell’uomo della Bibbia non parta da un’analisi concettuale, da una riflessione filosofica, ma dalla presa visione della realtà, dall’esperienza di un evento, da una irruzione straordinaria di Dio nella storia che comporta un cammino tra la creatura e il Creatore.

Questa corretta chiave di lettura, non astratta, ma sapienziale, ci aiuterà a comprendere meglio il significato del Matrimonio e della relazione uomo–donna nella Sacra Scrittura e poi nel Magistero ecclesiastico.

 

Visione biblica

Il libro del Genesi illumina il significato e la relazione uomo-donna. Anche in questo caso l’autore sacro e la redazione di tale testo divinamente ispirato parte da alcuni dati. Il dato di realtà dell’uomo e della donna e la loro relazione. Un dato che l’autore trova non calato dall’alto ma impresso nella natura. Per natura l’uomo biblico non intende di certo, solo, quello che noi chiameremmo, con linguaggio attuale, il dato biologico ma quell’inestricabile e armonico legame tra biologia, dato psico-spirituale e cultura, tra dato fisiologico e dato cognitivo di autocoscienza e dato relazionale. L’uomo biblico guarda le cose nel suo insieme e nelle finalità impresse dal Creatore che egli vede con evidenza. Quello che noi, con un cattivo uso dell’intelletto dividiamo e separiamo, per costrutto ideologico più che analitico, l’uomo biblico lo guarda nel suo insieme. A sua volta questa evidenza è legata al dato salvifico-relazionale operato da Dio che irrompe nella storia e che illumina questa antropologia e questa relazione. Così descriveremmo noi, in linguaggio moderno, l’antropologia biblica.

L’autore sacro si pone le domande sapienziali: chi è l’uomo, chi è la donna, cos’è che li rende simili e dissimili. Quello che esce dalle mani di Dio creatore, onnipotente, è buono; come mai l’uomo e la donna sperimentano in sé e tra di loro delle ferite, delle contraddizioni?

Il libro del Genesi lo spiega anzitutto dalla prima parola Bereshit, in principio (Gn.1,1). Cioè c’è stato un inizio in cui la creazione è uscita in un certo modo dalle “mani” del Creatore. Tale Bereshit verrà richiamato dallo stesso Gesù quando parlerà, nel linguaggio allora possibile, dell’indissolubilità del matrimonio (Mt. 19,8).

L’uomo viene creato anzitutto come persona, ad immagine e somiglianza di Dio. Non possiamo affrontare qui la retorica ebraica di ciò che significa “immagine e somiglianza”, né l’interpretazione “sapienziale” che ne ha fatto il pensiero alto medievale e poi la scolastica distinguendo un quid non toccato dal peccato e una parte operativa corrotta. Ci basti dire che nella persona umana è impresso un sigillo che lo lega in maniera ontologica al Creatore a Colui che è e che solo dona di essere. Questo quid precede, in certo qual modo la sua dimensione sessuata che a sua volta non è accessoria ma completa il suo “essere per”, ad immagine del creatore.

Nelle sue catechesi del Genesi, San Giovanni Paolo II (le udienze dal 1979 al 1984) fu molto chiaro. Nei racconti sulla creazione dell’uomo, narrate nel Genesi (Gn. 1,26-8; 2,7ss) sottolineano il quid primario, il suo essere persona. Sia nel primo racconto, che sappiamo in realtà essere posteriore come redazione (maschio e femmina li creò), sia nel secondo racconto, che sappiamo essere più antico, non vi è presente nessun terzo polo sessuato. Anzi nel secondo racconto il legame di complementarietà è reso anche nella sua retorica semantica, Ish per l’uomo, Ishà, per la donna. Questo a ribadire la matrice comune, la distinzione e la complementarietà. Non sono previste dalle mani di Dio vie intermedie. Né il pensare che uno nasca maschio e diventi donna. Per la Sacra Scrittura e la sua antropologia si nasce maschio e uomo o femmina e donna. Non esiste un terzo polo sessuato o zone d’ombra. Inoltre non è presente, proprio per il suo carattere sapienziale e di visione globale, una distinzione tra nascere maschio ed essere uomo o nascere femmina ed essere donna. Il nascere maschio comporta in sé, in fieri, tutta la possibilità e la completezza dell’essere uomo. Così come nascere femmina comporta in sé tutto il divenire dell’essere donna. Questo dato è impresso da Dio nel legame stretto tra biologia, mondo psico-spirituale e cultura. Per cultura, secondo visioni ideologiche, si ritiene esclusivamente qualcosa di accessorio e non costitutivo, qualcosa di creato ad usum per convenienze, giochi di potere e “lotte di classe”. Il Marxismo molto ha inciso in questa visione. Ma per cultura non intendiamo di certo questo ma piuttosto quella risposta cosciente e meta cosciente che rispetta il dato biologico e psichico e cresce con esso e che porta a pieno sviluppo il seme donato dell’identità sessuale. Per tale motivo il maschio è uomo e la femmina è donna. E’ dato evidente, intrinseco, che segue un corso per cui esso è stato dato. La sua finalità intrinseca.

Piuttosto è da dopo il peccato che nasceranno i disordini relazionali e di identità nei e tra i due sessi (Gen.3,1ss).

La frattura interna, la dimensione del dominio e della incomunicabilità, nasceranno e aumenteranno macchiando anche gli aspetti relazionali, affettivi, sessuali e procreativi della coppia primigenia. Sia ad intra che ad extra.

Nonostante il peccato, tuttavia, il comando di Dio alla coppia, uomo-donna di essere concreatori responsabili rimarrà in tutta la sua fecondità. Siate fecondi e moltiplicatevi” (Gn. 1, 28). La dimensione sessuale, dunque, nei suoi due aspetti, procreativo ed unitivo, rimane un comando che Dio dona alla coppia e che rispetta il quid unico della loro relazione sessuata, distinta e comunicante.

Ogni diminutio o dissociazione di questi due aspetti (l’aspetto procreativo ed unitivo) o, peggio, disordine dovuto a relazione non finalizzata a queste due polarità con una unione omo-affettiva è una violazione del comando di Dio e della natura stessa dell’uomo.

La Parola di Dio infatti dona ciò che chiede e porta a compimento la natura umana per il suo fine che è quello della gloria e lode di Dio e la santificazione personale e di coppia. La relazione omo-affettiva lede non solo un comando esterno ma una costituzione interna, una antropologia ontologica voluta da Dio. Quello che chiamiamo un ordine naturale-divino delle cose.

Tra l’altro la sublimazione della carica affettiva e la sua corretta incalanazione, se avviene per vie naturali e si completa, è essa stessa creativa, sotto ogni punto di vista. La persona che sceglie o sperimenta un orientamento omo-affettivo può sublimare la sua dimensione creativa potenziale con la castità, come sostiene il catechismo. (CCC 2337-59)

Il comportamento omosessuale, condannato a più riprese nella Sacra Scrittura (Genesi 19: 7-8; Levitico 18:22; Giudici 19:23-24; Romani 1, 18-32; 1 Corinzi 6,9-10; 1 Timoteo 1,9-10) nasce proprio dalla constatazione e dalla visione ispirata del Genesi. Dalle mani di Dio Creatore la coppia uomo-donna esce come cosa meravigliosa, molto buona, armoniosa, ed ha in sé, personalmente e nella loro relazione sessuata, uomo-donna, l’immagine e la somiglianza di Dio. Altre visioni sono distorcenti il disegno e la purezza di Dio.

L’amicizia tra Davide e Gionata (1Sam.18,1) è stata strumentalmente utilizzata dai movimenti gaysti per sostenere l’omosessualità biblica, ma tale relazione tra Davide e Gionata è comprensibile solo nel dono particolare e casto dell’amicizia spirituale e che non contraddice la valenza sapienziale e antropologica del Genesi.

Per cui la lettura gaysta non è stato altro che un accomodamento della Parola alle proprie inclinazioni.

Cosa che avviene di frequente in coloro che né conoscono Dio, né lo temono, né sono onesti nell’uso di ragione.

Quando Gesù parla dell’unione tra l’uomo e la donna nel matrimonio lo fa con una solennità inusitata che richiama alla prima intenzione del Creatore. Bereshit, in principio. Non è di certo una visione nostalgica quella di Gesù ma la chiarezza di visione che occorre avere su questi argomenti fondanti.

Anche le voci che potevano nascere da una condizione nuova che il Signore viveva (cioè non era coniugato, ma circondato da discepoli e da donne) vengono dissipate con la Sua affermazione sulla temperanza. “Se voi dite che è difficile essere fedeli al proprio coniuge anche con il desiderio” sembra dire Gesù, “che dire di chi ha scelto di far-si eunuco (cioè rimanere vergine e celibe) per il Regno di Dio?” Parlava di sé. (Mt. 19,11-12)

Anche in questo caso ogni accusa di ambiguità fatta dai suoi contemporanei o di omosessualità sulla persona di Gesù, fatta dalle correnti gayste contemporanee, viene smontata.

A corollario le parole più forti sul significato simbolico-sacramentale del Matrimonio e dell’unione tra l’uomo e la donna le troviamo nella lettera di San Paolo alla comunità di Efeso. (Ef. 5,21-33)

Il significato con-creativo, estetico del Genesi sul Bereshit della prima coppia viene riproposto con una nuova immagine plastica che completa quanto voluto dal Creatore. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!” (Ef. 5,32).

Mentre entrambi i coniugi, pariteticamente, sono chiamati a stare entrambi sottomessi a Cristo (Ef. 5,21) essi rispecchiano simbolicamente, comunicativamente, sacramentalmente l’immagine di un rapporto, con dei ruoli ben precisi (Ef. 5,22.25). Dove non c’è un superiore o un inferiore, ma chi obbedisce ha la stessa dignità di colui che comanda. Anzi, nella logica evangelica, colui che serve è il più grande. La Donna è immagine della Chiesa che accoglie il seme, obbedisce al marito e genera la vita. L’uomo è immagine di Cristo che dona il seme e ama la sua sposa dando la vita per lei in maniera definitiva e amandola e servendola come Cristo fa con la Chiesa.

Anche qui non è possibile nessuna confusione, nessun terzo polo sessuato e nessun altro significato in ciò che l’uomo è ed in ciò che la donna è. Né in ciò che è la loro relazione.

 

La Chiesa apostolica e sub apostolica, fino ai giorni nostri

A partire da San Paolo il matrimonio, nella Chiesa primitiva, pur non avendo una forma legislativa chiara viene visto proprio nella sua funzione sacramentale-simbolica. Per cui pur essendo esso celebrato, nei primi secoli, con le consuetudini ordinarie e giuridiche ed usi locali esso veniva confermato e vissuto nel significato misterico usato da Paolo in Ef. 5.

Man mano che si presentarono difficoltà relazionali, matrimoni con coniuge senza fede o non battezzato, il matrimonio, specie a partire dal IV-V secolo cominciò a strutturarsi liturgicamente nel rito, celebrato prima presso le Domus e poi nei veri e propri luoghi di culto. Tale spostamento di luogo favorì la presenza e il valore del sacerdote che rimase, però, sempre e comunque un garante di chi celebra, cioè i coniugi, uomo e donna.

I beni fondamentali (bona matrimonii) del matrimonio si possono riconoscere ne:

1.La generazione della prole

2.La virtù della fedeltà

3.Vivere nel vincolo sacro di fedeltà, segno della fedeltà di Cristo alla Sua Chiesa

La riflessione successiva fino all’epoca medievale non fa altro che sottolineare la potenza del consenso degli sposi come libera scelta di essere unita secondo i tre bona matrimonii di cui abbiamo accennato.

Una volta espresso liberamente il consenso il vincolo diventa indissolubile al punto che le parti non possono più scioglierlo per propria iniziativa o secondo la loro volontà (indissolubilità intrinseca); inoltre, dopo la consumazione il matrimonio non può più essere dissolto neppure da un autorità umana esterna ai coniugi (indissolubilità estrinseca). Le due forme di indissolubilità, intrinseca ed estrinseca, garantiscono la volontà di Dio sulla coppia, ribadita da Gesù: “Non separi l’uomo ciò che Dio ha unito” (Mt. 19,3-12).

Questo presuppone un cammino ed una preparazione, che oggi chiameremmo, vocazionale.

Cosa che non possiamo trattare in questa sede se non brevemente in seguito.

La sistematizzazione dei sacramenti, confermata poi in seguito dal Concilio di Trento, è un processo lungo, dunque, ma che sin dai primordi della cristianità fa riconoscere al matrimonio tale valore. Dio interviene con una grazia speciale nel libero consenso degli sposi sia per confermare il “buono” espresso nel principio della Creazione sia per trasformare nella valenza simbolica ed efficace rivelata da Paolo nella lettera agli Efesini.

La sessualità è sempre stata vista positivamente dalla Sacra Scrittura, come cosa buona uscita dalle mani del creatore e legata strettamente sia all'azione con-creatrice di Dio, "Siate fecondi e moltiplicatevi" (Gn. 1,28) che all'aspetto comunionale, "Non è bene che l'uomo sia solo" (Gn. 2, 18). Solo in alcuni passaggi Sant’Agostino la lega alla natura decaduta mentre San Tommaso la rivaluta ponendola però nell’ottica della procreazione.

La riforma protestante insistendo sul principio di corruzione totale dell’uomo ad opera del peccato ritornerà a relegare la sessualità ad una dimensione corrotta dell’uomo. In tale “sfiducia antropologica” la rivelazione agli Efesini e la sua potenza misterico-simbolica, nel progetto di Dio, viene smontata e ciò fa ricadere il matrimonio in un mero contratto civile sotto l’amministrazione della istituzione umana. Tale istanza ben si sposerà con le derive politiche attuate poi dal luteranesimo.

La risposta della Chiesa arriva con il Concilio di Trento che ricorda quello che era sempre stato un patrimonio della Chiesa sin dai tempi apostolici. Ribadendo i tre beni stessi del matrimonio.

Tuttavia nel Decreto Pro Armenis del Concilio di Firenze tali beni erano già stati ribaditi (Bolla Esultate Deo, 22.11.1439, DS 1327). 

La secolarizzazione iniziata per tante cause storiche che non staremo qui ad analizzare e alimentata dalle visioni di Lutero non tarderà a farsi sentire con pensatori che precederanno e accompagneranno la punta laicista della rivoluzione francese. Grande sconvolgimento della fine del 1700.

 
Rifondare l'antropologia e la realtà della famiglia

Il vizio di rifondare una antropologia non è certo una novità dei nostri tempi. Curiosamente vengono usati i metodi del diritto positivo per affermare una sorta di diritto naturale, ma totalmente chiuso alla trascendenza. Un “diritto naturale” prima chiuso relativamente e poi massivamente allo sbocco ragionevole, logico e di buon senso dei fondamenti oggettivi.

La scuola fondata da Grozio (sistematizzata e diffusa da Pufendorf) afferma l’esistenza di un diritto naturale valido etsi Deus non daretur (cioè come se Dio non ci fosse). Tale diritto troverebbe il suo fondamento nell’uomo a prescindere da Dio e dalla Rivelazione biblica.

Questo è il primo passo di uno pseudo diritto naturale che arriverà a negare ogni trascendenza e si trasformerà in diritto positivo a tutti gli effetti.

Thomasius inizierà ad insinuare la riflessione che la sodomia e la bestialità non siano contrarie al Diritto Naturale.

L’amore umano, depauperato da ogni forma di trascendenza e di grazia efficace, non potrà di certo essere imposto per legge.

Nascono le prime predisposizioni oggettive alla mentalità divorzista. L’indissolubilità del matrimonio scriveva Voltaire è una imposizione “barbarica e crudele”.

Già la Rivoluzione francese con la diffusione del pensiero “laicista” vuole togliere la potestà della Chiesa sul matrimonio.

Kant, in ambito tedesco, si rivelò come la perfetta parabola del pensiero cartesiano. Avendo Cartesio posto le basi per un soggettivismo empirico (Cogito ergo sum) ai danni di una ontologia, Kant la porta a compimento mettendo le basi a quella che si rivelerà come la filosofia idealistica.

Infatti, negata ogni evidenza alla realtà e fondata la coscienza sul dovere morale, Kant fu uno dei primi a negare che la procreazione fosse uno dei fini propri del matrimonio (vd. Fondamenti della metafisica dei costumi).

Il progressivo espandersi di simili idee porterà all’instaurarsi del matrimonio civile in molti Stati a maggioranza cattolica.

Nei due decenni conclusivi del secolo XVIII, a cominciare dalla Francia, diversi Paesi dell’Occidente configurano il matrimonio civile come valido per i cattolici e come il solo valido; contemporaneamente, di solito, ammettono il divorzio. Del resto se si considera il matrimonio come “creazione” della volontà umana, e retto solo dal libero e personale assenso, il divorzio viene come logica conseguenza, poiché quello che è creato dalla volontà umana, da nessuno può essere imposto e la volontà umana può cambiarlo secondo necessità.

Sebbene allora molti non ne fossero consapevoli, era in gioco l’intera vita cristiana e umana dell’Occidente: prima di Cristo nessuna società era arrivata al rispetto pieno della dignità naturale dell’uomo. Tolto Cristo e i suoi insegnamenti dalla vita sociale, ritorna inevitabilmente la decadenza etica.

I pontefici della seconda metà del XVIII sec. e dell’inizio del XIX ricordarono la dottrina dell’inseparabilità tra contratto e sacramento; e confermarono la competenza che, per volontà di Dio, la Chiesa ha sul matrimonio.

Si ricordi soprattutto Leone XIII nella Lettera Enciclica Arcanum divinae sapientiae  (10 febbraio 1880)

Il Codice di Diritto Canonico del 1917 e l’Enciclica Casti Connubi del 1930, sistemano e chiarificano ulteriormente l’essenza, la natura e i fini del matrimonio.

Il Concilio Ecumenico Vaticano II dedica al matrimonio e alla famiglia i seguenti:

Sacrosanctum Concilium (nn 77-78)

Gaudium  et Spes  (nn. 46-52.87) ;

Lumen Gentium (nn. 11.29, 34-35. 41);

Apostolicam Actuositatem  (nn.4. 11. 22);

Gravissimum Educationis (nn. 3.6).

Il Vaticano II, oltre a riconfermare tutta la Dottrina del Concilio Tridentino:

-          Istituzione divina del matrimonio ed elevazione a sacramento da parte di Cristo;

-          Le proprietà, i beni e i fini del matrimonio;

mette in risalto:

-          La grandezza dell’amore coniugale (GS 48-49-50);

-          Il matrimonio cammino di santità  (GS 49; LG 42 e 41).

In modo particolare riportiamo il n° 48 della Gaudium et Spes che ricordando il cammino di santità tocca gli aspetti vocazionali della coppia chiamata ad essere, in Cristo, segno dell’amore fecondo di Dio:

48. Santità del matrimonio e della famiglia

L'intima comunità di vita e d'amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dall'alleanza dei coniugi, vale a dire dall'irrevocabile consenso personale. E così, è dall'atto umano col quale i coniugi mutuamente si danno e si ricevono, che nasce, anche davanti alla società, l'istituzione del matrimonio, che ha stabilità per ordinamento divino. In vista del bene dei coniugi, della prole e anche della società, questo legame sacro non dipende dall'arbitrio dell'uomo . Perché è Dio stesso l'autore del matrimonio, dotato di molteplici valori e fini (106): tutto ciò è di somma importanza per la continuità del genere umano, il progresso personale e la sorte eterna di ciascuno dei membri della famiglia, per la dignità, la stabilità, la pace e la prosperità della stessa famiglia e di tutta la società umana.

Per la sua stessa natura l'istituto del matrimonio e l'amore coniugale sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole e in queste trovano il loro coronamento. E così l'uomo e la donna, che per l'alleanza coniugale « non sono più due, ma una sola carne » (Mt 19,6), prestandosi un mutuo aiuto e servizio con l'intima unione delle persone e delle attività, esperimentano il senso della propria unità e sempre più pienamente la conseguono.

Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l'indissolubile unità (107).

Cristo Signore ha effuso l'abbondanza delle sue benedizioni su questo amore dai molteplici aspetti, sgorgato dalla fonte della divina carità e strutturato sul modello della sua unione con la Chiesa. Infatti, come un tempo Dio ha preso l'iniziativa di un'alleanza di amore e fedeltà (108) con il suo popolo cosi ora il Salvatore degli uomini e sposo della Chiesa (109) viene incontro ai coniugi cristiani attraverso il sacramento del matrimonio. Inoltre rimane con loro perché, come egli stesso ha amato la Chiesa e si è dato per essa (110) così anche i coniugi possano amarsi l'un l'altro fedelmente, per sempre, con mutua dedizione. L'autentico amore coniugale è assunto nell'amore divino ed è sostenuto e arricchito dalla forza redentiva del Cristo e dalla azione salvifica della Chiesa, perché i coniugi in maniera efficace siano condotti a Dio e siano aiutati e rafforzati nello svolgimento della sublime missione di padre e madre (111). Per questo motivo i coniugi cristiani sono fortificati e quasi consacrati da uno speciale sacramento (112) per i doveri e la dignità del loro stato. Ed essi, compiendo con la forza di tale sacramento il loro dovere coniugale e familiare, penetrati dello spirito di Cristo, per mezzo del quale tutta la loro vita è pervasa di fede, speranza e carità, tendono a raggiungere sempre più la propria perfezione e la mutua santificazione, ed assieme rendono gloria a Dio.

Prevenuti dall'esempio e dalla preghiera comune dei genitori, i figli, anzi tutti quelli che vivono insieme nell'ambito familiare, troveranno più facilmente la strada di una formazione veramente umana, della salvezza e della santità.

Quanto agli sposi, insigniti della dignità e responsabilità di padre e madre, adempiranno diligentemente il dovere dell'educazione, soprattutto religiosa, che spetta loro prima che a chiunque altro.

I figli, come membra vive della famiglia, contribuiscono pure in qualche modo alla santificazione dei genitori. Risponderanno, infatti, ai benefici ricevuti dai genitori con affetto riconoscente, con pietà filiale e fiducia; e li assisteranno, come si conviene a figli, nelle avversità della vita e nella solitudine della vecchiaia. La vedovanza, accettata con coraggio come continuazione della vocazione coniugale sia onorata da tutti (113). La famiglia metterà con generosità in comune con le altre famiglie le proprie ricchezze spirituali. Allora la famiglia cristiana che nasce dal matrimonio, come immagine e partecipazione dell'alleanza d'amore del Cristo e della Chiesa (114) renderà manifesta a tutti la viva presenza del Salvatore nel mondo e la genuina natura della Chiesa, sia con l'amore, la fecondità generosa, l'unità e la fedeltà degli sposi, che con l'amorevole cooperazione di tutti i suoi membri.

Dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II seguono questi fondamentali documenti magisteriali:

Humanae vitae, lettera Enciclica di Paolo VI(1968)
Persona Humana, Congregazione per la dottrina delle fede, (1975)

Familiaris Consortio, Esortazione apostolica di Giovanni Paolo II(1981)   

Le udienze generali di San Giovanni Paolo II, (dal 1979 al 1984)

Lettera alle Famiglie, di Giovanni Paolo II(1994).

Queste 5 fonti citate vanno lette per intero e commentate a parte vista la loro importanza fondamentale e attuale.

Vale la pena citare, infine, sia il contributo di Papa Benedetto XVI nella Sacramentum Caritatis che i contributi di Papa Francesco nella Lumen fidei e nella Evangelii gaudium.

Ai  nn. 27- 29 dell’ Esortazione Apostolica post-sinodale Sacramentum Caritatis leggiamo:

Data la complessità del contesto culturale in cui vive la Chiesa in molti Paesi, il Sinodo ha, poi, raccomandato di avere la massima cura pastorale nella formazione dei nubendi e nella previa verifica delle loro convinzioni circa gli impegni irrinunciabili per la validità del sacramento del Matrimonio. Un serio discernimento a questo riguardo potrà evitare che impulsi emotivi o ragioni superficiali inducano i due giovani ad assumere responsabilità che non sapranno poi onorare. Troppo grande è il bene che la Chiesa e l'intera società s'attendono dal matrimonio e dalla famiglia su di esso fondata per non impegnarsi a fondo in questo specifico ambito pastorale. Matrimonio e famiglia sono istituzioni che devono essere promosse e difese da ogni possibile equivoco sulla loro verità, perché ogni danno arrecato ad esse è di fatto una ferita che si arreca alla convivenza umana come tale.

Nei nn 52-53 della Lumen Fidei leggiamo:

La fede e la famiglia 

52. Nel cammino di Abramo verso la città futura, la Lettera agli Ebrei accenna alla benedizione che si trasmette dai genitori ai figli (cfr Eb 11, 20-21). Il primo ambito in cui la fede illumina la città degli uomini si trova nella famiglia. Penso anzitutto all’unione stabile dell’uomo e della donna nel matrimonio. Essa nasce dal loro amore, segno e presenza dell’amore di Dio, dal riconoscimento e dall’accettazione della bontà della differenza sessuale, per cui i coniugi possono unirsi in una sola carne (cfr Gen 2,24) e sono capaci di generare una nuova vita, manifestazione della bontà del Creatore, della sua saggezza e del suo disegno di amore. Fondati su quest’amore, uomo e donna possono promettersi l’amore mutuo con un gesto che coinvolge tutta la vita e che ricorda tanti tratti della fede. Promettere un amore che sia per sempre è possibile quando si scopre un disegno più grande dei propri progetti, che ci sostiene e ci permette di donare l’intero futuro alla persona amata. La fede poi aiuta a cogliere in tutta la sua profondità e ricchezza la generazione dei figli, perché fa riconoscere in essa l’amore creatore che ci dona e ci affida il mistero di una nuova persona. È così che Sara, per la sua fede, è diventata madre, contando sulla fedeltà di Dio alla sua promessa (cfr Eb 11,11).

53. In famiglia, la fede accompagna tutte le età della vita, a cominciare dall’infanzia: i bambini imparano a fidarsi dell’amore dei loro genitori. Per questo è importante che i genitori coltivino pratiche comuni di fede nella famiglia, che accompagnino la maturazione della fede dei figli. Soprattutto i giovani, che attraversano un’età della vita così complessa, ricca e importante per la fede, devono sentire la vicinanza e l’attenzione della famiglia e della comunità ecclesiale nel loro cammino di crescita nella fede. Tutti abbiamo visto come, nelle Giornate Mondiali della Gioventù, i giovani mostrino la gioia della fede, l’impegno di vivere una fede sempre più salda e generosa. I giovani hanno il desiderio di una vita grande. L’incontro con Cristo, il lasciarsi afferrare e guidare dal suo amore allarga l’orizzonte dell’esistenza, le dona una speranza solida che non delude. La fede non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita. Essa fa scoprire una grande chiamata, la vocazione all’amore, e assicura che quest’amore è affidabile, che vale la pena di consegnarsi ad esso, perché il suo fondamento si trova nella fedeltà di Dio, più forte di ogni nostra fragilità.

Nel n° 66 della Evangelii Gaudium leggiamo:

66. La famiglia attraversa una crisi culturale profonda, come tutte le comunità e i legami sociali. Nel caso della famiglia, la fragilità dei legami diventa particolarmente grave perché si tratta della cellula fondamentale della società, del luogo dove si impara a convivere nella differenza e ad appartenere ad altri e dove i genitori trasmettono la fede ai figli. Il matrimonio tende ad essere visto come una mera forma di gratificazione affettiva che può costituirsi in qualsiasi modo e modificarsi secondo la sensibilità di ognuno. Ma il contributo indispensabile del matrimonio alla società supera il livello dell’emotività e delle necessità contingenti della coppia. Come insegnano i Vescovi francesi, non nasce «dal sentimento amoroso, effimero per definizione, ma dalla profondità dell’impegno assunto dagli sposi che accettano di entrare in una comunione di vita totale». 

Paolo Cilia in arte Paul Freeman