Che pretese questo cristianesimo
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- Creato: 15 Maggio 2013
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Oggetto della teologia è la fede, testimoniata dalla Chiesa, nell’autorivelazione di Dio nella persona e nella storia di Gesù di Nazareth. Tale auto-comunicazione di Dio mira a far sì che «gli uomini, per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, abbiano accesso al Padre nello Spirito Santo e siano resi partecipi della natura divina» (Dei Verbum , 2).
La fede come atto ( fides qua credi- tur ) di una relazione personale con Dio si distingue sì, quanto a origine e modo in cui si attua, dalla sempli- ce presa di conoscenza di un dato di fatto alla maniera della ragione scientifica. Ciò però non esclude che «la verità, che questa rivelazione manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini» ( ibid. , fides quae credi- tur ), sia fatta oggetto di riflessione con l’aiuto di metodi scientifici e sia posta globalmente in rapporto con la concezione della realtà e in parti- colare con la questione della salvez- za dell’uomo. La fede cristiana non si concepisce come espressione di un’esperienza irrazionale al di là di un rapporto razionale con il mondo, né come un’estasi religiosa sponta- nea o addirittura come un elemento di una visione speculativa del mon- do, quale propongono la gnosi, l’esoterismo, la teosofia, l’antrop oso- fia o la new age. Essa pretende piut- tosto di indicare in maniera definiti- va l’origine e il fine dell’uomo nell’orizzonte della sua relazione personale con Dio creatore, redento- re e perfezionatore del mondo. Una definizione del proprio rapporto con l’orientamento razionale ed eti- co del mondo è perciò costitutiva per la fede cristiana. La fede nasce dall’ascolto della parola di Cristo ( fides ex auditu )e si attua come assenso personale ( assen- sus fidei, affectus amoris ) alla inter- pellanza della parola di Dio (cfr. Romani, 10, 17). Ma in qualità di at- to umano tale ascolto implica anche una accoglienza intelligente della parola di Dio, ascoltata nella media- zione del linguaggio umano con la sua struttura logico-ermeneutica e i suoi principi della formazione del concetto e del giudizio. Auditus fidei e intellectus fidei sono sì distinguibili, ma non separabili, perché la fede contiene sempre in sé anche «una comprensione e una conoscenza dell’amore di Dio per noi nel Figlio suo», come afferma san Paolo (cfr. Efesini, 3, 19; 4, 13). Proprio a motivo della pretesa universale di salvezza per tutti gli uomini che Dio offre nel nome — cioè nella persona — di Gesù (cfr. At t i , 4, 12; Giovanni, 14, 6; 1 Timoteo, 2, 4), occorre assolutamente accerta- re l’«attendibilità dell’insegnamen- to» e del fondamento storico del vangelo di Cristo (cfr. Luca , 1, 1-4). La Chiesa non può, per la missione universale affidatale dal Signore (cfr. Matteo, 28, 19), ritirarsi in se stessa come un gruppo religioso. Essa sta, nella sua qualità di «sacra- mento della salvezza del mondo in Gesù Cristo» (Lumen gentium , 1), in un rapporto dinamico con il mon- do, con tutta l’umanità e con la sua storia. Un discorso razionale sulla fede e una comunicazione argomen- tativa del vangelo sono inseparabili dal carattere dialogico della parola di Dio: siate «sempre pronti a dare una risposta a chi vi chiede il moti- vo della vostra speranza» ( 1 Pietro, 3, 15). La dogmatica esamina dun- que l’intrinseca consistenza e coe- renza delle varie affermazioni di fe- de, che scaturiscono dall’unico fon- damento della rivelazione di Dio come Padre di Gesù Cristo e della rivelazione del «Figlio suo» (cfr. 1 Corinzi, 15, 1; Galati, 1, 11). Il problema fondamentale consi- ste nel sapere come possa nascere una fede ragionevole nella parola di Dio e come sia possibile una vici- nanza diretta dell’uomo a Dio, vici- nanza che rimane pur sempre legata alla mediazione umana della parola di Dio nella parola umana (cfr. 1 Te s a l o n i c e s i , 2, 13), senza che l’uomo, nel suo parlare di Dio, abbia invece a che fare soltanto con se stesso e con le proprie idee su Dio, come suppone Ludwig Feuerbach, quan- do sospetta che qui si tratti di una semplice proiezione. Il problema di fondo è quindi costituito dal modo in cui bisogna definire la «ragione» in generale e dal tipo di ragione fi- losofica da prendere come punto di riferimento nel sistema relazionale «fede-ragione». La gnoseologia teo- logica — o dogmatica fondamentale — ha pertanto il compito di chiarire il rapporto con la realtà, il campo degli oggetti, l’oggetto formale, nonché le fonti e i criteri della co- noscenza e della formazione teologi- ca del giudizio. Dal punto di vista gnoseologico, la teologia deve mostrare che la ra- gione umana, per quanto legata al mondo (sensi, legame con la cultu- ra, contestualità, storicità, socialità), è in linea di principio aperta alla trascendenza e che l’uomo può esse- re l’uditore di una reale rivelazione verbale di Dio nella storia. La teolo- gia deve definire il rapporto tra la pretesa della rivelazione di annun- ciare delle verità escatologiche e la sua struttura storica, nonché tra il carattere storicamente e socialmente condizionato dell’accesso alla sua interpellanza e al suo contenuto personale. Deve ancora formulare il concetto di verità delle affermazioni teologiche in maniera tale da conci- liare positivamente la totalità e la definitività della verità espressa nella proposizione dogmatica con la li- bertà della fede e della coscienza, senza che, per amore della libertà della fede, la pretesa specifica del cristianesimo di possedere la verità debba essere dissolta nella verità e funzionalità astratta di una religiosi- tà originaria, che con presunzione erronea starebbe dietro a tutte le re- ligioni. Dovrà infine riflettere sulla rilevanza sociale delle sue afferma- zioni teologiche. Per coltivare la teologia come scienza, bisogna ricorrere agli stru- menti ermeneutici della filosofia. La differenza di carattere e di tipo tra il modo di mediazione della rivelazio- ne biblica nel linguaggio umano nel mondo semitico, da un lato, e la formulazione di una teologia natu- rale nella filosofia greca, dall’a l t ro , sono evidenti. Tuttavia, la pretesa di essere una religione universale, avanzata dal cristianesimo, compor- tò per esso anche la necessità di esprimersi riflessamente con gli stru- menti di una filosofia sviluppata. La rivelazione biblica di per sé non è affatto a-metafisica. Essa presuppo- ne già sempre la trascendenza asso- luta di Dio e la possibilità della sua mediazione nello strumento del lin- guaggio umano e di conseguenza è sostanzialmente più vicina all’orien- tamento critico e riflessivo della realtà adottato dalla ragione umana nella filosofia, che non alla rappre- sentazione mitologica immaginifica del divino in seno alle religioni sto- riche. La teologia non può certo le- garsi in modo esclusivo a una deter- minata concezione filosofica e la- sciarsi da essa dettare i principi e i criteri della validità delle sue affer- mazioni. Criterio della formazione dei concetti è il contenuto della fede e non viceversa. E il contenuto della rivelazione cristiana non può, sotto i dettami di una gnoseologia scettica nei confronti della trascendenza, es- sere ridotto a un semplice materiale illustrativo dell’imperativo morale o dei sentimenti religiosi. La rivelazio- ne biblica presenta, sotto il profilo del contenuto e della forma, deter- minate richieste a una ontologia, una gnoseologia e una antropologia, che essa presuppone come criteri immanenti della propria validità. La relazione particolare della teo- logia scientifica con la Chiesa non può ridursi a una lealtà esteriore. La teologia deve piuttosto, per sua es- senza, portare il contributo della problematica specificamente teologi- ca nella forma e nella mediazione ecclesiale della fede e presupporre d’altra parte già sempre in partenza, come propri principi, gli articoli di fede testimoniati dalla Chiesa. La li- bertà della teologia non consiste, perciò, in una dispensa dall’oggetto a lei pre-esistente e dal metodo a lei adeguato. Una dispensa del genere equivarrebbe a una sua auto-distru- zione. La libertà della teologia con- siste nel concepirsi, in conformità alla propria natura e nel contesto della vita ecclesiale, come un’istanza che cerca di approfondire, con una pienezza sempre maggiore, la cono- scenza del proprio oggetto. Giustamente perciò il suo luogo è l’università, quale ambito specifico dell’ela- borazione della cultura.
© Osservatore Romano - 16 maggio 2013