Un’agenda cristiana comune per il bene comune

bartolomeo papa1«Un’agenda cristiana comune per il bene comune»: è il tema del discorso pronunciato durante la sessione conclusiva dal patriarca di Costantinopoli, il quale venerdì 25 ha reso visita a Benedetto XVI, come lui stesso ha riferito nel suo intervento, del quale pubblichiamo ampi stralci in una nostra traduzione dall’inglese.
(Bartolomeo) Oggi stiamo affrontando una grave crisi e le sue conseguenze sociali a livello globale. Consideriamo questa crisi mondiale come una “crisi di solidarietà”, un processo costante di “desolidarizzazione”, che mette a rischio il futuro stesso dell’umanità. È nostra profonda convinzione che il futuro dell’umanità sia collegato alla resistenza contro questa crisi e all’istituzione di una cultura di solidarietà.
Come si è prodotta, allora, questa crisi di solidarietà? E quali sono i suoi parametri e gli ambiti della società in cui appare? Per rispondere a tali domande, faremo ora riferimento a tre campi in cui si verifica.
Il campo dell’economia e dell’ecologia.
Negli ultimi anni abbiamo sperimentato una crisi economica immensa, legata al processo di globalizzazione e alle implicazioni che comporta, la resa della cultura all’economia, l’aumento della povertà, della fame e della carestia, e la tragedia della migrazione di massa. Consideriamo il cosiddetto “fondamentalismo del mercato”, la deificazione del profitto, l’associare la dignità con la proprietà, la riduzione dell’essere umano a homo oeconomicus e la subordinazione della persona umana alla tirannia dei bisogni, minacce contemporanee estremamente gravi alla cultura di solidarietà.
Poi, il problema ecologico è una questione strettamente collegata allo sviluppo economico, che è in costante crescita. L’economismo estremo causa gravi problemi sia economici sia ecologici. Un’economia autonomizzata rispetto ai bisogni reali dell’essere umano porta inevitabilmente allo sfruttamento della natura e alla distruzione dell’ambiente naturale. Distruggiamo da soli le condizioni per la sopravvivenza e la coesistenza umana in nome del profitto e del vantaggio a breve termine.
Il campo della scienza e della tecnologia.
I rapidi progressi della scienza e della tecnologia portano, insieme a effetti benefici, anche risultati che non promuovono una cultura di solidarietà. La tecnologia non è più al servizio dell’uomo, bensì la sua principale forza motrice che, oltre a imporre i propri principi in tutti gli aspetti della vita, esige totale obbedienza. Gli onnipotenti mezzi di comunicazione elettronici non solo diffondono informazioni, ma trasmettono anche valori — i loro valori —, rimodellano le nostre idee riguardo al senso della vita, orientano i nostri bisogni, creando così esigenze artificiali, e aprono la strada verso un futuro da loro dominato.
Mai come ora abbiamo posseduto tanta conoscenza scientifica e agito in modo così violento e distruttivo nei confronti della natura e degli altri esseri umani. Continuiamo persino a produrre armi terribili di distruzione di massa e rischiamo che sia possibile una guerra nucleare. In Occidente, l’esplosione di conoscenza e di informazioni ha favorito il disinteresse nei confronti delle altre persone, come anche uno spirito di individualismo e di deificazione della proprietà; in altre regioni del mondo, invece, la tecnologia spesso coesiste con l’ingiustizia sociale e il fondamentalismo religioso.
Il progresso scientifico e tecnologico non offre risposte ai problemi esistenziali più profondi dell’essere umano, né li elimina. Quindi, la scienza, la “grande potenza”, dopotutto non è onnipotente!
Il campo della società e della politica.
Una delle tendenze contemporanee più pericolose per una cultura di solidarietà è l’individualismo, l’idolatria di se stessi e l’intrappolare se stessi nell’autosufficienza egoistica, che crea abissi tra le persone. Oggi le parole dominanti sono “io”, “io stesso”, “mio”, “autonomia”, “autorealizzazione” e “autoammirazione”. L’individualismo è accompagnato dall’eudemonismo, il cui scopo nella vita è la soddisfazione di più bisogni possibili, oltre che la creazione e la difesa di nuove esigenze.
Quando ci troviamo dinanzi a questi dati di fatto e a queste tendenze contemporanei, quale dovrebbe essere l’atteggiamento richiesto a noi cristiani? Sono due le cose certe. Anzitutto che non possiamo ignorare questa immensa crisi di solidarietà, poiché i problemi economici e sociali colpiscono gli esseri umani al centro stesso della loro esistenza e dignità. E poi, che nessuno può affrontare questi problemi da solo. Abbiamo bisogno gli uni degli altri; abbiamo bisogno di un’agenda comune, una mobilitazione comune, sforzi comuni e obiettivi comuni. È nostra profonda convinzione che, in questo impegno, il contributo delle nostre Chiese continui a essere fondamentale. Esse hanno conservato alti valori, un’eredità spirituale e morale preziosa e una conoscenza antropologica profonda.
Negli ultimi decenni abbiamo assistito a una rivalutazione del ruolo della religione per l’esistenza umana. Non è un caso se oggi il discorso sulla prossima “età post-religiosa” è stato sostituito dal discorso di un “periodo post-secolare”, in cui le religioni reclamano e svolgono un ruolo pubblico e partecipano a tutti i considerevoli sforzi dell’umanità.
La nostra fede rafforza il nostro impegno di azione umana ed estende la nostra testimonianza di libertà, giustizia e pace. Siamo tutti chiamati alla responsabilità comune per il bene comune. Dobbiamo cercare soluzioni per le sfide che affrontiamo insieme. La nostra antropologia, la nostra idea dell’essere umano e dello scopo della sua vita, definiscono il nostro atteggiamento verso l’umanità e l’azione sociale. Se vediamo l’essere umano come homme machine, possiamo facilmente trasformare la persona umana in un reietto. Se consideriamo l’essere umano come una persona (prosopon) creata “a immagine” di Dio, il nostro atteggiamento cambia. È evidente che un orientamento generale al concetto di “essere umano” è insufficiente, poiché è presumibile che questo essere umano sia interessato solo all’appagamento dei suoi insaziabili bisogni. L’uomo va affrontato nella sua relazione con Dio e riguardo al suo destino eterno.
Oggi le nostre Chiese sono chiamate a fungere da sfida positiva all’individuo e ai popoli, offrendo un modello di vita alternativo all’interno della cultura contemporanea che ha dato all’umanità doni preziosi, ma che al tempo stesso sembra spingere le persone a vivere per loro stesse, ignorando gli altri con cui stanno condividendo lo stesso mondo.
Il principale modello di sviluppo economico acuisce pericolosamente i problemi ambientali e agisce contro i veri interessi dell’uomo. Poiché non può esistere uno sviluppo umano sostenibile a scapito dell’ambiente naturale, il modello organizzativo dell’economia nel quadro della globalizzazione andrebbe sostituito con un’economia ecologica, un’economia che abbia al centro i veri interessi dell’uomo, che vengono serviti solo in un ambiente intatto.
Riteniamo particolarmente importante l’approccio alla crisi ecologica in collegamento ai problemi sociali. Sia Papa Francesco sia noi riteniamo che gli attuali sviluppi economici nel quadro della globalizzazione distruggano la coesione sociale, la solidarietà e la funzione generale delle relazioni interpersonali. È proprio questo lo spirito espresso dall’enciclica papale Laudato si’ (2015) e dal nostro Messaggio congiunto per la giornata mondiale di preghiera per il creato (1° settembre 2017).
È impossibile per le nostre Chiese mantenere un atteggiamento di indifferenza quando si trovano di fronte allo scientismo, che tramuta l’essere umano in un oggetto misurabile. Le Chiese sottolineano che la persona umana racchiude dimensioni inarrivabili per la scienza. Pertanto, le nostre Chiese esprimono la loro preoccupazione per questa autonomizzazione della scienza e della tecnologia rispetto alle esigenze vitali dell’essere umano, per le dipendenze che vengono create e per i pericoli che ne conseguono.
Ci preoccupiamo per la nostra libertà minacciata, per le nostre preziose tradizioni che si stanno perdendo e per l’ambiente naturale che viene distrutto.
La nostra comune agenda cristiana comprende anche il dialogo con i diritti umani. Abbiamo il dovere di scindere l’essenza e l’impeto umanistici dei diritti umani dalla comprensione individualistica del diritto. Gli atteggiamenti generalmente negativi di alcune Chiese nei confronti dei diritti umani non si basano prevalentemente su criteri teologici, bensì su circostanze storiche e pregiudizi reciproci. Nel dialogo dei diritti umani, le nostre Chiese hanno la capacità di promuovere le loro idee umanitarie e filantropiche. Il Santo e Grande Concilio della Chiesa ortodossa ha sottolineato che «l’ideale ortodosso rispetto all’uomo trascende l’orizzonte dei diritti umani costituiti e che “più grande di tutto è l’amore”» (par. 10). Infatti, la storia della libertà non inizia con la storia dei diritti umani moderni.
Nel titolo del nostro intervento, «Un’agenda cristiana comune per il bene comune», troviamo due volte la parola “comune”. Di fatto, la Chiesa è il luogo del “comune”: salvezza “comune”, libertà “comune”, bene “comune” , ethos “comune” e obbedienza “comune”. La vita nella Chiesa è un’anticipazione e un’attesa della “resurrezione comune” e del “regno comune”. Non siamo una somma di individui, ma una comunità di persone, una comunità di amore.
Nella comunione della Chiesa, la mente e il cuore, la fede e la conoscenza, la libertà e l’amore, l’individuo e la società, l’essere umano e l’intero creato vengono tutti riconciliati. È per questa ragione che la Chiesa si oppone alle forze di divisione, individualismo e totalitarismo, oppressione e sfruttamento, economismo e consumismo, scientismo e deificazione della tecnologia, come anche alla distruzione dell’ambiente naturale e all’antropomonismo. La risposta alle divisioni e alle impasse della libertà umana è il Logos di Dio incarnato.


© Osservatore Romano - 27 maggio 2018