Chiesa

Papa Francesco e Henri De Lubac

papa-francesco-3A cura di Pietro Messa

Nella riflessione sul Vangelo del 17 ottobre il Papa ha messo in guardia dalla riduzione della fede a una ideologia e qualcuno ha sintetizzato, non senza fondamento, tale condivisione omiletica richiamando coloro che «che De Lubac chiamerebbe “specialisti del Logos”». Tale espressione proviene dall’opera Meditazioni sulla Chiesa del noto teologo gesuita francese, ossia dal medesimo testo a cui rinviò il 9 marzo 2013, il cardinal Jorge Mario Bergoglio, nella penultima delle Congregazioni generali dei cardinali per denunciare «quel male così grave che è la mondanità spirituale» che è «secondo De Lubac, il male peggiore in cui può incorrere la Chiesa». Ciò è una indicazione chiara che per comprendere maggiormente l’insegnamento di Papa Francesco un testo imprescindibile è proprio le Meditazioni sulla Chiesa di Henri De Lubac.


Il testo in cui viene illustrata la categoria degli “specialisti del Logos” – con cui nulla ha a che fare il pensiero di Joseph Ratzinger prima e di Papa Benedetto XVI poi – è presente in Henri De Lubac, Meditazioni sulla Chiesa, Milano 1955, p. 354-357, riportato qui sotto:

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Da quando esiste, la Chiesa si è sempre attirata il disprezzo di una élite. Filosofi o spirituali, molti spiriti superiori, preoccupati d’una vita profonda, le rifiutano la loro adesione. Alcuni le sono apertamente ostili. Come Celso essi sono disgustati da «questa accozzaglia di gente semplice». […]

Molti altri, invece, tra questi saggi, sono convinti di rendere giustizia alla Chiesa e protestano quando si sentono definire suoi avversari. Sarebbero disposti a proteggerla all’occorrenza! […] Ma conservano le distanze. Non sanno che farsene di una fede che li accomunerebbe a tutti i miserabili, di fronte ai quali si sentono senz’altro superiori per la loro cultura estetica per la loro capacità di ragionamento, o per la loro preoccupazione d’interiorità. Sono «aristocratici» che non intendono affatto mescolarsi con il gregge. La Chiesa, secondo loro, conduce gli uomini per vie troppo comuni. Le riconoscono volentieri l’arte di presentare, sotto il velo di immagini, profonde verità; ma distinguendosi come «coloro che sanno» dalla massa di «coloro che credono», pretendono di conoscerla meglio di quanto possa conoscersi essa stessa. La trattano con molta degnazione, si attribuiscono il potere di enucleare, senza il suo consenso, mediante una «trasposizione metafisica», il senso profondo delle sue dottrine e dei suoi atti sacri. Al di sopra della sua fede essi mettono la loro intuizione, come l’assoluto al di sopra del relativo, come la partecipazione diretta e attiva alla conoscenza divina al disopra d’una partecipazione indiretta e passiva… Si potrebbero chiamare degli «specialisti del Logos», che però non hanno letto in san Paolo che il Logos «respinge ogni altezza che si levi contro la conoscenza di Dio». Sono dei saggi, ma chi è che non vede realizzarsi dopo venti secoli la profezia: «Perderò la sapienza dei sapienti»? Sono dei ricchi che hanno ancora da sentire la voce della prima Beatitudine. Qualcuno trasformandosi in capo-scuola o capo-setta accresce con l’esca del segreto la promessa del sapere […]

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