Catechismo

Ottavo Comandamento: Non pronuncerai falsa testimonianza

VIII° COMANDAMENTO (Hamel 78)

"NON PRONUNCERAI FALSA TESTIMONIANZA

CONTRO IL TUO PROSSIMO" ( Es. 20,16)


diffamazioneLa formulazione di questo comandamento è legata alla situazione particolare del popolo ebraico. In Israele, soprattutto all'inizio, la funzione giudiziaria poteva coinvolgere spesso buona parte degli abitanti di un luogo. A chiunque e in qualsiasi momento (specialmente agli anziani) poteva essere richiesto di fare da giudice o da testimone durante i processi che si facevano alle porte della città (Rut 4). Questa frequenza spiega la menzione decalogo. C'è di più.

Nel diritto d'Israele l'essere testimone era questione molto seria che implicava la liberazione o la condanna di chi era accusato. Non era possibile alcuna condanna senza la deposizione dei testimoni (due o più). Dall'altro lato c'era l'accusato: a lui spettava provare il contrario. Ogni falsa accusa, una volta accettata dal giudice, portava fatalmente con sé la condanna. Sulla testimonianza falsa di qualcuno, la reputazione di una persona rimaneva interdetta davanti alla comunità. Si trattava di salvaguardare uno dei diritti fondamentali dello Israelita: il suo onore e la sua reputazione. Le parole ebraiche di questo comandamento sono quelle tecniche dei tribunali. La parola "anah" significa "rispondere sul piano legale". Nell'A.T. questa parola designa le risposte data dai test davanti al giudice (Mc. 6,2-3). La parola "ed" designa la funzione giudiziale del testimone; "Seger" vuol dire bugiardo, quindi: "Non rispondere da falso testimone" (Sal 27,12; Prov 6,19: 12,17; 14,5; 19,5).

L'VIII° C. non proibisce la menzogna come tale (è una nozione troppo astratta), ma le diverse forme di menzogna considerate come tali da Yahvè. "Falso testimone" non designa solamente il testimone che non dice la verità; ma quello che "parla" contro il suo prossimo, cioè che lesiona l'altro calunniandone la reputazione in un processo. "Reca" è, secondo l'Alleanza, il fratello (Deut 19,27). Infatti: "Non risponderai (davanti al tribunale) contro nessuno dei tuoi compagni di Alleanza, come testimone menzognero". (E' questa l'esatta traduzione del comandamento).

PAOLO E L'VIII° COMANDAMENTO (MENZOGNA)

Paolo non cita mai l'ottavo comandamento (Es. 20, 16). Tuttavia in 1 Tim. 1, 10 (che è come parafrasi del Decalogo) vengono nominati i menzogneri e gli spergiuri.

Come VIII° Com. Col. 3, 9 fa vedere che la menzogna è frutto dell'uomo vecchio. Idem anche in Ef. 4, 24-25.


 

APPLICAZIONI DELL'VIII° COMANDAMENTO

PESCH introduce i temi di:

   - verità

- verità e carità

- verità senza amore

- verità distruttiva


I Dieci Cardinali:

- pensare la verità

- onorare la verità

- dire la verità

- fare la verità


Altri temi da includere nell'applicazione del comandamento:

  - i peccati di lingua, la falsa testimonianza, la menzogna, l'omertà;

- i peccati contro la reputazione altrui: l'ingiuria (l'oltraggio), la calunnia; la mormorazione o detrazione; i giudizi e i sospetti temerari; la violazione del segreto professionale

- atteggiamenti positivi: riparare al danno causato alla reputazione del prossimo; dire a tempo e luogo la verità; interpretare in bene per quanto si può, le azioni e le intenzioni del prossimo.


Catechismo del concilio di Trento

347 Necessità di una frequente spiegazione di questo comandamento
Quanto sia non solo utile, ma anche necessaria un'assidua spiegazione di questo comandamento e un'assidua esortazione a questo dovere, lo ricorda san Giacomo con queste parole: "Se uno non sbaglia nel discorrere, è uomo perfetto" e ancora: "La lingua è un piccolo membro, eppur capace di grandi effetti. Ecco qual grande selva incendia un così piccolo fuoco! " (Gc 3,2.5) con quel che segue, sempre a questo proposito.

Siamo ammoniti così di due cose: primo, che molto ampiamente è diffuso questo vizio della lingua, il che è confermato anche dalla sentenza del Profeta: "Ogni uomo è mendace" (Sal 115,11) di modo che questo è quasi il solo peccato che sembra estendersi a tutti gli uomini; secondo, che da esso derivano mali innumerevoli, poiché spesso per colpa d'un maldicente si perdono la ricchezza, la fama, la vita, la salvezza eterna, tanto di colui che è offeso, perché non può sopportare pazientemente le ingiurie e cerca di vendicarle con animo inconsiderato, come di colui che offende, perché, per un inconsulto pudore o spaventato dalla falsa opinione della stima pubblica, non può indursi a dare soddisfazione all'offeso.

Perciò bisognerà ammonire i fedeli di ringraziare quanto più possono Dio di questo salutare comandamento che ordina di non dire falsa testimonianza: comandamento che non solo ci vieta di offendere gli altri, ma con la sua osservanza impedisce anche che siamo offesi dagli altri.


348 Le due parti del comandamento
Nella spiegazione di questo comandamento dobbiamo procedere con lo stesso metodo e per la stessa via che usammo per gli altri, distinguendo cioè in esso due leggi: una che proibisce di dire falsa testimonianza, l'altra che comanda di pesare le nostre parole e le nostre azioni con la verità, eliminando ogni simulazione e menzogna. L'Apostolo ammonì gli Efesini di questo dovere con le parole: "Operando la verità nella carità, cresciamo in lui [cioè in Cristo] in ogni cosa" (Ef 4,15).

La prima parte di questo comandamento con il nome di falsa testimonianza indica egualmente ciò che si dice in bene o in male di qualcuno, sia in giudizio, sia fuori: tuttavia proibisce specialmente la falsa testimonianza resa in giudizio da chi ha giurato. Infatti il testimonio giura nel nome di Dio, perché il discorso di chi fa tale testimonianza, interponendovi il nome divino, ha moltissima credibilità e importanza. Essendo questa falsa testimonianza pericolosa, è proibita in modo speciale. Infatti neppure il giudice può respingere testimoni che giurino, se non siano esclusi da legittimi motivi o sia manifesta la loro malvagità e perversità, soprattutto dal momento che la Legge divina comanda che per bocca di due o tre testimoni si stabilisca ogni cosa (Dt 19,15; Mt 18,16).

Ma perché i fedeli intendano chiaramente il comandamento, sarà loro spiegato che cosa s'intende con la parola "prossimo", contro il quale non è in nessun modo lecito dire falsa testimonianza. Come è esposto dalla dottrina di Cristo (Lc 10,29), è prossimo chiunque ha bisogno dell'opera nostra, sia egli parente o estraneo, concittadino o forestiero, amico o nemico; non è infatti permesso credere lecita la falsa testimonianza contro i nemici, che pure dobbiamo amare per comando di Dio Signor nostro.

Anzi, poiché ognuno in certo modo è prossimo a se stesso, non è lecito dire falsa testimonianza contro se stessi; coloro che così fanno, imprimendosi da sé stessi una nota d'ignominia e di turpitudine, offendono sé e la Chiesa di cui son membri, in quello stesso modo in cui i suicidi nuocciono alla collettività dei propri concittadini. Infatti sta scritto in sant'Agostino: "A chi non consideri bene, potrebbe sembrare che non sia proibito essere falso testimonio contro se stesso, giacché nel comandamento fu aggiunto: contro il prossimo tuo. Ma nessuno, dicendo falsa testimonianza contro se stesso, creda di essere immune da questa colpa, poiché chi ama il prossimo deve prendere questa norma dall'amore di se stesso".

Dal momento che è proibito danneggiare il prossimo con falsa testimonianza, nessuno però creda che sia lecito il contrario, cioè procurare, spergiurando, qualche utilità o vantaggio a chi ci sia congiunto per natura o per religione. Nessuno infatti deve dire menzogne o cose vane e tanto meno fare uno spergiuro. Perciò sant'Agostino, scrivendo sulla menzogna a Crescenzio, ammonisce, secondo la sentenza dell'Apostolo, che la bugia è da annoverarsi tra le false testimonianze, quand'anche si dica per falsa lode di qualcuno. Infatti, spiegando quel passo paolino che dice: "Noi saremmo falsi testimoni di Dio, giacché abbiamo testimoniato di Dio, questo: che egli risuscitò Cristo, che invece non sarebbe risuscitato, se fosse vero che i morti non risorgono" (1 Cor 15,15), egli osserva: "L'Apostolo chiama falsa testimonianza il mentire intorno a Cristo e a tutto ciò che si riferisce a sua lode".

Spessissimo poi accade che chi favorisce l'uno osteggi l'altro e la causa dell'errore si attribuisce certamente al giudice, che talvolta, indotto da falsi testimoni, stabilisce ed è costretto a giudicare contro il diritto, con vera ingiustizia. Accade anche che chi ha vinto in giudizio una causa per la falsa testimonianza di qualcuno e se la passa impunemente, esultando dell'iniqua vittoria, si avvezzi a corrompere e a usar falsi testimoni, per opera dei quali spera di poter giungere a quel che brama. Ora questo fatto è, prima, una cosa gravissima per il testimone stesso che viene riconosciuto falso e spergiuro da colui stesso che, con il suo giuramento, ha soccorso e aiutato; poi, giacché l'inganno gli riesce come desidera, egli prende ogni giorno maggior pratica e abitudine all'empietà e all'audacia. Come dunque sono proibite le menzogne, le bugie e gli spergiuri dei testimoni, così tutte queste colpe sono proibite negli accusatori, negli accusati, nei patrocinatori, sostenitori, procuratori e avvocati e infine in tutti quelli che costituiscono i tribunali.

In ultimo. Dio proibisce, non solo in giudizio, ma anche fuori, ogni testimonianza che possa recare ad altri incomodo o danno. Sta scritto, infatti, nel Levitico, dove si ripetono questi comandamenti: "Non farete furto; non mentirete, ne alcuno ingannerà il suo prossimo" (19,11). Così nessuno può dubitare che ogni menzogna, proibita con questo comandamento, sia condannata da Dio e questo molto apertamente lo testimonia David così: "Distruggerai tutti quelli che dicono menzogna" (Sal 5,7).


349 Altri peccati proibiti con questo comandamento
E proibita da questo comandamento non solo la falsa testimonianza, ma anche la detestabile mania e abitudine di denigrare gli altri. E incredibile quante sciagure gravi, pericolose e cattive derivino da questa peste. Il vizio di parlare con maldicenza e con offesa degli altri occultamente, spesso è rimproverato dalle divine Scritture: "Con il maldicente", dice David, "non mi sedevo a mensa" (Sal 100,5) e san Giacomo: "Non vogliate denigrarvi a vicenda, o fratelli" (Gc 4, 11).

Né abbondano soltanto i richiami della Sacra Scrittura, ma anche gli esempi dai quali è dimostrata la gravità della colpa. Aman accese tanto Assuero contro i Giudei con la falsa accusa di delitti, che questi comandò d'uccidere tutti gli uomini di quel popolo (Est 13,3ss). E piena la Storia Sacra di simili esempi, con il ricordo dei quali i sacerdoti cercheranno di tener lontani i fedeli da una colpa tanto malvagia.

Affinché si capisca la gravità di questo peccato con cui si denigrano gli altri, bisogna ricordare che non soltanto con l'usare la calunnia, ma anche con l'accrescere e amplificare le colpe si lede la stima di cui gode un uomo. E quando uno commette occultamente un'azione che, se risaputa, sarebbe nociva alla sua fama, chi la divulga dove, quando, o a chi non sarebbe necessario, a buon diritto è detto denigratore e maldicente. Fra tutte le denigrazioni, nessuna è più grave di quella di denigrare la dottrina cattolica e i suoi difensori. Cade in codesta colpa chi colma di lodi gli autori di malvagio dottrine e di errori.

Né sono separati dal numero ed esenti dalla colpa di costoro quelli che, prestando orecchio ai detrattori e maldicenti, non riprendono i calunniatori, ma volentieri li approvano. Infatti, se sia più condannabile il calunniare o l'ascoltare un calunniatore, non si saprebbe dire facilmente, come scrivono san Girolamo e san Bernardo; non ci sarebbe infatti chi calunnia, se non ci fosse chi ascolta il calunniatore.

Appartengono alla medesima razza quelli che, con le loro arti, separano gli uomini e li spingono l'uno contro l'altro e si dilettano molto di suscitare discordie, in modo che, rompendo, con finti discorsi, strettissime unioni e alleanze, inducono uomini amicissimi a perpetue inimicizie e li spingono alle armi. Questa peste, il Signore l'ha in abominio: "Non sarai infamatore ne sobillatore in mezzo al popolo" (Lv 19,16). Tali erano molti dei consiglieri di Saul, che cercavano di alienare il suo favore da David e incitare il re contro di lui.

Commettono infine questo peccato gli uomini lusingatori e adulatori che, con blandizie e lodi simulate, si insinuano nelle orecchie e nell'animo di coloro di cui ricercano il favore, il denaro e gli onori, chiamando male il bene e bene il male, come scrive il Profeta (Is 5,20). David ammonisce di tener lontani costoro e di cacciarli dalla nostra società con queste parole: "II giusto mi rimprovererà nella sua misericordia e mi sgriderà; ma l'olio del peccatore non ungerà il mio capo" (Sal 140,5). Quantunque, infatti, costoro non sparlino affatto del prossimo, tuttavia gli nuocciono moltissimo, giacché essi, con il lodare i suoi peccati, gli offrono una ragione per perseverare nei vizi finché vive.

Però in questo genere di vizi è peggiore l'adulazione usata per la calamità e la rovina del prossimo. Così fece Saul che, desiderando gettare David in preda al furore e al ferro dei filistei perché fosse ucciso, lo blandiva con queste parole: "Ecco la mia figlia maggiore Merob, te la darò per moglie; sii soltanto guerriero valoroso e combatti le guerre del Signore" (1 Sam 18,17). Così fecero i Giudei quando, con insidioso discorso, parlarono con Cristo Signore: "Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via del Signore secondo la verità" (Mt 22,16; Mc 12,14). Molto più pericoloso, poi, è il discorso che gli amici, gli affini e i congiunti fanno talvolta per illudere quelli che, colpiti da malattia mortale, sono ormai in punto di morte. Affermano che egli non è in imminente pericolo; lo consigliano a stare lieto e allegro e lo distolgono dalla confessione dei suoi peccati; infine tengono lontano il suo animo da ogni cura e pensiero dei supremi pericoli, nei quali soprattutto si trova. Perciò bisogna fuggire ogni sorta di menzogne, ma specialmente quelle dalle quali uno può ricevere grave danno. Colma d'empietà è la menzogna quando si mente contro la religione o in cose di religione. Ma Dio si offende gravemente anche con le ingiurie e le calunnie contenute nei libelli chiamati infamanti e per altri simili oltraggi. Inoltre, cadere nella menzogna scherzosa o ufficiosa, quand'anche nessuno ne abbia danno o vantaggio, è in generale cosa da non farsi, come ammonisce l'Apostolo: "Deponendo la menzogna, dite la verità" (Ef4,25). Infatti, da ciò nasce una grande inclinazione a menzogne più frequenti e più gravi. Dalle menzogne dette per scherzo gli uomini prendono l'abitudine di mentire, in modo che vengon tenuti nella considerazione pubblica come non veritieri; perciò han bisogno di giurare continuamente affinché il loro discorso sia creduto.

Per finire, nella prima parte di questo comandamento è condannata la simulazione e non solo le parole dette con simulazione, ma anche le azioni cosiffatte partecipano di questa colpa. Infatti, tanto le parole che le azioni sono indizi e segni di quel che è nell'intimo d'ognuno. Perciò il Signore, redarguendo spesso i Farisei, li chiama ipocriti. E ciò basti per la prima parte del comandamento, che riguarda quanto esso proibisce.


350 Che cosa comanda il Signore riguardo ai giudizi forensi
Ora esporremo che cosa comandi il Signore nell'altra parte del comandamento. Il contenuto e l'espressione del precetto mirano a questo: che i giudizi forensi si facciano con giustizia e secondo le leggi, che gli uomini quindi non si arroghino, ne usurpino tali giudizi; non è lecito infatti giudicare un servo altrui, come scrive l'Apostolo (Rm 14,4), affinché non diano la sentenza in una causa loro sconosciuta, come fece il consesso di sacerdoti e scribi che giudicò santo Stefano (At 6,12; 7,1); peccato che fu pure commesso dai magistrati di Filippi, ai quali l'Apostolo fece dire: "Dopo averci battuto pubblicamente, senza processo, romani come siamo, ci hanno messo in prigione e ora ci mandano via di nascosto" (At 16,37). Non condannino gli innocenti, né assolvano i colpevoli; non si lascino smuovere dal denaro, dai favori, dall'odio o dall'amore. Cosi infatti Mosè ammonisce gli anziani, che egli aveva eletto giudici del popolo: "Giudicate secondo giustizia sia l'imputato cittadino sia forestiero. Non ci sia differenza di persone; ascolterete il piccolo e il grande: non guarderete in faccia a persona, perché giudicare spetta a Dio" (Dt 1,16).

Quanto agli accusati e ai colpevoli. Dio vuole che confessino la verità quando sono interrogati secondo la formula giudiziaria. Infatti tale confessione è come una testimonianza e un riconoscimento della lode e gloria di Dio, secondo le parole di Giosuè che, esortando Achan a confessare il vero, disse: "Figlio mio, da gloria al Signore Dio d'Israele" (Gs 7,19).

Ma siccome questo comandamento riguarda soprattutto i testimoni, anche di essi il parroco tratterà con diligenza, poiché il comandamento non solo vieta la falsa testimonianza, ma impone anche di dire la verità. Nelle cose umane infatti si fa grandissimo uso di una testimonianza veridica; sono, infatti, innumerevoli le cose che ignoreremmo se non le conoscessimo per attestazione di testimoni. Per Cui nulla è così necessario come la verità delle testimonianze in quello che non possiamo sapere da noi e che tuttavia non dobbiamo ignorare. Intorno a ciò abbiamo la celebre sentenza di sant'Agostino: "Chi nasconde la verità e chi dice menzogna, sono ambedue colpevoli; il primo perché non vuoi giovare ad altri; il secondo perché desidera nuocere". È lecito tacere talvolta la verità, ma fuori del tribunale; in giudizio, quando il testimonio è interrogato nelle forme rituali dal giudice, deve svelare completamente la verità. Qui tuttavia badino i testimoni a non affermare per vero quel che non sanno sicuramente, troppo fidandosi della propria memoria.

Restano i patrocinatori delle cause e gli avvocati, tanto di difesa quanto di accusa. Quelli non facciano mancare l'opera e il patrocinio loro nelle circostanze necessario, venendo benignamente in aiuto ai bisognosi, ma non prendano a difendere cause ingiuste, né allunghino le liti con i cavilli, né le alimentino con l'avarizia. La mercede dovuta al loro lavoro e alla loro opera, la fisseranno con giustizia ed equità.

Detti avvocati, poi, sia nel foro civile che nel penale, siano ammoniti a non creare un pericolo con ingiuste accuse, per amore o per odio verso qualcuno, o per passione. Infine questo comando fu dato da Dio a tutti gli uomini buoni: nelle adunanze e nei colloqui parlino sempre veracemente e secondo l'animo loro; non dicano nulla che possa nuocere alla stima di altri, neppure a proposito di coloro dai quali essi credono di essere danneggiati e offesi; tenendo sempre presente che deve esistere con essi tale solidarietà e familiarità da risultare membra del medesimo corpo.


351 Abiezione e turpitudine della menzogna
Perché i fedeli si possano guardare meglio dal vizio della menzogna, il parroco spieghi la grande abiezione e turpitudine di questa colpa. Nelle Sacre Scritture il demonio è chiamato padre della menzogna (Gv 8,44), che, non essendo stato saldo nella verità, è menzognero e padre della menzogna. Aggiungerà, per estirpare un così grande vizio, i mali che tengono dietro alla menzogna e poiché sono innumerevoli mostrerà in essa la fonte e l'origine dei disordini e delle sciagure. Primo, spieghi in quale grave offesa a Dio e in quanto suo odio venga a cadere l'uomo falso e menzognero e lo illustri con l'autorità di Salomone: "Sei sono le cose che il Signore odia e la settima aborre l'anima sua: occhi superbi, lingua menzognera, mani che versano sangue innocente, cuore che macchina pessime intenzioni, piedi veloci nel correre al male, testimonio menzognero che proferisca cose false" (Prv 6,16-19), con quel che segue.

Chi, dunque, potrebbe assicurare a chi è in odio speciale a Dio, di non esser tormentato dai più gravi tormenti? Inoltre, che cosa c'è di più impuro e di più turpe, come dice san Giacomo, che usare quella medesima lingua, con cui lodiamo Dio Padre, per dir male degli uomini, fatti a immagine e somiglianza di Dio, cosi come se una fonte da un medesimo foro facesse scaturire acqua dolce e amara? (Gc 3,9.11). Quella lingua, infatti, che prima dava lode e gloria a Dio, poi lo colpisce, per quanto le è possibile, di vituperio e di disdoro, mentendo. Per questo avviene che i bugiardi sono esclusi dal possesso della beatitudine celeste. Infatti chiedendo David a Dio: "Signore, chi abiterà nel tabernacolo tuo?" risponde lo Spirito Santo: "Chi dice la verità in cuor suo, chi non fece inganno con la sua lingua" (Sal 14,1.3).

Ma il danno principale della menzogna è che essa è quasi insanabile malattia dell'animo. Infatti, il peccato che si commette accusando qualcuno falsamente d'una colpa, o denigrando la fama e la stima del prossimo, non viene rimesso se il calunniatore non dia soddisfazione dell'ingiuria a chi ha incriminato. Ma gli uomini ben difficilmente lo fanno, perché, come abbiamo avvertito, ne vengono distolti soprattutto da un falso pudore e da una certa vana opinione della propria dignità. Chi, dunque, è in questo peccato non possiamo dubitare che sia condannato alle pene eterne dell'inferno. Ne alcuno speri di poter ottenere perdono delle calunnie o della denigrazione fatta, se prima non dia soddisfazione a colui la cui dignità e fama egli ha denigrato in qualche modo, o pubblicamente in giudizio, o anche in adunanze private e familiari.

Inoltre questo danno è molto grave ed esteso e colpisce tutti; perché dalla falsità e dalla menzogna sono rotti i vincoli più stretti della società umana: la lealtà e la verità. Tolti questi, ne segue una gran confusione nella vita e gli uomini in nulla sembrano differire dai demoni. Il parroco insegni, inoltre, che bisogna evitare la loquacità, così possiamo sfuggire anche gli altri peccati e ci si può correggere dal vizio della menzogna, vizio dal quale difficilmente si possono astenere le persone loquaci.

In ultimo, il parroco confuterà l'errore di quelli che, con i loro vani discorsi, si scusano e difendono la menzogna sull'esempio dei furbi, che ritengono virtù, essi dicono, mentire a tempo debito. Il parroco dirà, il che è verissimo, che la prudenza della carne è morte per l'anima (Rm 8,6). Esorterà i suoi uditori a confidare in Dio nelle difficoltà, nelle angustie, senza ricorrere all'artificio della menzogna; poiché quelli che usano questo sotterfugio dichiarano, senz'altro, che si fanno forti della propria prudenza più che non abbiano speranza nella Provvidenza divina. A chi attribuisce la causa della sua menzogna al fatto che fu egli pure ingannato con la menzogna, bisogna far presente che non è lecito agli uomini vendicarsi da se stessi e che non bisogna compensare il male con il male, ma piuttosto vincere il male con il bene (Rm 12,17.19.21). E quand'anche fosse permesso dare questo contraccambio, a nessuno tuttavia è utile vendicarsi con proprio danno, essendo gravissimo danno quel che facciamo dicendo menzogne. A quelli che adducono a scusa la debolezza e la fragilità della natura umana, si raccomandi il doveroso precetto di implorare l'aiuto divino e di non sottostare alla debolezza della natura. Quelli che oppongono la forza della consuetudine siano ammoniti, se han preso l'abitudine di mentire, a cercar di prendere l'abitudine contraria, cioè di dire il vero, soprattutto perché chi pecca per uso e consuetudine commette più grave colpa degli altri. E poiché non manca chi si difende con la scusa che tutti gli uomini, si dice, mentono e spergiurano, bisogna combattere quest'opinione, dicendo che non si devono imitare i cattivi, ma piuttosto riprenderli e correggerli. Se invece noi stessi mentiamo, la nostra ammonizione ha meno autorità nella riprensione e correzione degli altri.

A quelli che si difendono affermando che, con il dire il vero, spesso ne ricevono danno, i sacerdoti rispondano che questa non è una difesa per essi, ma un'accusa, giacché è dovere d'un cristiano patire piuttosto qualsiasi danno che mentire.

Restano le ultime due categorie di quelli che si scusano della menzogna: quelli che dicono di mentire per scherzo e quelli che dicono di farlo perché non potrebbero né comprare né vender bene, senza la menzogna; i parroci dovranno allontanare gli uni e gli altri da tale errore. I primi potranno essere strappati al vizio, sia insegnando loro quanto in questo genere di peccato l'uso accresca la consuetudine di mentire, sia inculcando che bisogna render ragione persino d'ogni parola oziosa (Mt 12,36). Gli altri, poi, siano rimproverati ancora più acerbamente, perché nell'addetta giustificazione sta appunto la loro più grave accusa, poiché essi stessi dichiarano di non attribuire alcuna fede e autorità all'insegnamento divino: "Cercate, pertanto, in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia e avrete in sovrappiù tutte queste cose" (Mt 6,33).



Catechesimo della Chiesa Cattolica

L'OTTAVO COMANDAMENTO

« Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo » (Es 20,16).

« Fu detto agli antichi: "Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti" » (Mt 5,33).

2464 L'ottavo comandamento proibisce di falsare la verità nelle relazioni con gli altri. Questa norma morale deriva dalla vocazione del popolo santo ad essere testimone del suo Dio il quale è verità e vuole la verità. Le offese alla verità esprimono, con parole o azioni, un rifiuto di impegnarsi nella rettitudine morale: sono profonde infedeltà a Dio e, in tal senso, scalzano le basi dell'Alleanza.

I. Vivere nella verità

2465 L'Antico Testamento attesta: Dio è sorgente di ogni verità. La sua Parola è verità. 349 La sua Legge è verità. 350 La sua « fedeltà dura per ogni generazione » (Sal 119,90). 351 Poiché Dio è il « Verace » (Rm 3,4), i membri del suo popolo sono chiamati a vivere nella verità. 352

2466 In Gesù Cristo la verità di Dio si è manifestata interamente. Pieno di grazia e di verità, 353 egli è la « luce del mondo » (Gv 8,12), egli è la verità. 354 Chiunque crede in lui non rimane nelle tenebre. 355 Il discepolo di Gesù rimane fedele alla sua parola, per conoscere la verità che fa liberi 356 e che santifica. 357 Seguire Gesù è vivere dello Spirito di verità 358 che il Padre manda nel suo nome 359 e che guida « alla verità tutta intera » (Gv 16,13). Ai suoi discepoli Gesù insegna l'amore incondizionato della verità: « Sia il vostro parlare sì, sì; no, no » (Mt 5,37).

2467 L'uomo è naturalmente proteso alla verità. Ha il dovere di rispettarla e di attestarla: « A motivo della loro dignità tutti gli uomini, in quanto sono persone, [...] sono spinti dalla loro stessa natura e tenuti per obbligo morale a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione. E sono pure tenuti ad aderire alla verità conosciuta e ordinare tutta la loro vita secondo le esigenze della verità ». 360

2468 La verità in quanto rettitudine dell'agire e del parlare umano è detta veracità, sincerità o franchezza. La verità o veracità è la virtù che consiste nel mostrarsi veri nei propri atti e nell'affermare il vero nelle proprie parole, rifuggendo dalla doppiezza, dalla simulazione e dall'ipocrisia.

2469 « Sarebbe impossibile la convivenza umana se gli uomini non avessero fiducia reciproca, cioè se non si dicessero la verità ». 361 La virtù della verità dà giustamente all'altro quanto gli è dovuto. La veracità rispetta il giusto equilibrio tra ciò che deve essere manifestato e il segreto che deve essere conservato: implica l'onestà e la discrezione. Per giustizia, « un uomo deve onestamente manifestare a un altro la verità ». 362

2470 Il discepolo di Cristo accetta di « vivere nella verità », cioè nella semplicità di una vita conforme all'esempio del Signore e rimanendo nella sua verità. « Se diciamo che siamo in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, mentiamo e non mettiamo in pratica la verità » (1 Gv 1,6).

II. «Rendere testimonianza alla verità»

2471 Davanti a Pilato Cristo proclama di essere venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità. 363 Il cristiano non deve vergognarsi « della testimonianza da rendere al Signore » (2 Tm 1,8). Nelle situazioni in cui si richiede che si testimoni la fede, il cristiano ha il dovere di professarla senza equivoci, come ha fatto san Paolo davanti ai suoi giudici. Il credente deve « conservare una coscienza irreprensibile davanti a Dio e davanti agli uomini » (At 24,16).

2472 Il dovere dei cristiani di prendere parte alla vita della Chiesa li spinge ad agire come testimoni del Vangelo e degli obblighi che ne derivano. Tale testimonianza è trasmissione della fede in parole e opere. La testimonianza è un atto di giustizia che comprova o fa conoscere la verità: 364

« Tutti i cristiani, dovunque vivono, sono tenuti a manifestare con l'esempio della vita e con la testimonianza della parola l'uomo nuovo, che hanno rivestito col Battesimo, e la forza dello Spirito Santo, dal quale sono stati rinvigoriti con la Confermazione ». 365

2473 Il martirio è la suprema testimonianza resa alla verità della fede; il martire è un testimone che arriva fino alla morte. Egli rende testimonianza a Cristo, morto e risorto, al quale è unito dalla carità. Rende testimonianza alla verità della fede e della dottrina cristiana. Affronta la morte con un atto di fortezza. « Lasciate che diventi pasto delle belve. Solo così mi sarà concesso di raggiungere Dio ». 366

2474 Con la più grande cura la Chiesa ha raccolto le memorie di coloro che, per testimoniare la fede, sono giunti sino alla fine. Si tratta degli atti dei martiri. Costituiscono gli archivi della verità scritti a lettere di sangue:

« Nulla mi gioverebbe tutto il mondo e tutti i regni di quaggiù; per me è meglio morire per [unirmi a] Gesù Cristo, che essere re sino ai confini della terra. Io cerco colui che morì per noi; io voglio colui che per noi risuscitò. Il parto è imminente... ». 367

« Ti benedico per avermi giudicato degno di questo giorno e di quest'ora, degno di essere annoverato tra i tuoi martiri [...]. Tu hai mantenuto la tua promessa, o Dio della fedeltà e della verità. Per questa grazia e per tutte le cose, ti lodo, ti benedico, ti rendo gloria per mezzo di Gesù Cristo, Sacerdote eterno e onnipotente, Figlio tuo diletto. Per lui, che vive e regna con te e con lo Spirito, sia gloria a te, ora e nei secoli dei secoli. Amen ». 368

III. Le offese alla verità

2475 I discepoli di Cristo hanno rivestito « l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera » (Ef 4,24). « Deposta la menzogna » (Ef 4,25), essi devono respingere « ogni malizia e ogni frode e ipocrisia, le gelosie e ogni maldicenza » (1 Pt 2,1).

2476 Falsa testimonianza e spergiuro. Un'affermazione contraria alla verità, quando è fatta pubblicamente, riveste una gravità particolare. Fatta davanti ad un tribunale, diventa una falsa testimonianza. 369 Quando la si fa sotto giuramento, è uno spergiuro. Simili modi di comportarsi contribuiscono sia alla condanna di un innocente sia alla assoluzione di un colpevole, oppure ad aggravare la pena in cui è incorso l'accusato. 370 Compromettono gravemente l'esercizio della giustizia e l'equità della sentenza pronunciata dai giudici.

2477 Il rispetto della reputazione delle persone rende illecito ogni atteggiamento ed ogni parola che possano causare un ingiusto danno. 371 Si rende colpevole:

- di giudizio temerario colui che, anche solo tacitamente, ammette come vera, senza sufficiente fondamento, una colpa morale nel prossimo;

- di maldicenza colui che, senza un motivo oggettivamente valido, rivela i difetti e le mancanze altrui a persone che li ignorano; 372

- di calunnia colui che, con affermazioni contrarie alla verità, nuoce alla reputazione degli altri e dà occasione a giudizi erronei sul loro conto.

2478 Per evitare il giudizio temerario, ciascuno cercherà di interpretare, per quanto è possibile, in un senso favorevole i pensieri, le parole e le azioni del suo prossimo:

« Ogni buon cristiano deve essere più disposto a salvare l'espressione oscura del prossimo che a condannarla; e se non la può salvare, cerchi di sapere quale significato egli le dà; e, se le desse un significato erroneo, lo corregga con amore; e, se non basta, cerchi tutti i mezzi adatti perché, dandole il significato giusto, si salvi dall'errore ». 373

2479 Maldicenze e calunnie distruggono la reputazione e l'onore del prossimo. Ora, l'onore è la testimonianza sociale resa alla dignità umana, e ognuno gode di un diritto naturale all'onore del proprio nome, alla propria reputazione e al rispetto. Perciò la maldicenza e la calunnia offendono le virtù della giustizia e della carità.

2480 È da bandire qualsiasi parola o atteggiamento che, per lusinga, adulazione o compiacenza, incoraggi e confermi altri nella malizia dei loro atti e nella perversità della loro condotta. L'adulazione è una colpa grave se si fa complice di vizi o di peccati gravi. Il desiderio di rendersi utile o l'amicizia non giustificano una doppiezza del linguaggio. L'adulazione è un peccato veniale quando nasce soltanto dal desiderio di riuscire gradito, evitare un male, far fronte ad una necessità, conseguire vantaggi leciti.

2481 La iattanza o millanteria costituisce una colpa contro la verità. Ciò vale anche per l'ironia che tende ad intaccare l'apprezzamento di qualcuno caricaturando, in maniera malevola, qualche aspetto del suo comportamento.

2482 « La menzogna consiste nel dire il falso con l'intenzione di ingannare ». 374 Nella menzogna il Signore denuncia un'opera diabolica: « Voi [...] avete per padre il diavolo [...]. Non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna » (Gv 8,44).

2483 La menzogna è l'offesa più diretta alla verità. Mentire è parlare o agire contro la verità per indurre in errore. Ferendo il rapporto dell'uomo con la verità e con il suo prossimo, la menzogna offende la relazione fondamentale dell'uomo e della sua parola con il Signore.

2484 La gravità della menzogna si commisura alla natura della verità che essa deforma, alle circostanze, alle intenzioni del mentitore, ai danni subiti da coloro che ne sono vittime. Se la menzogna, in sé, non costituisce che un peccato veniale, diventa mortale quando lede in modo grave le virtù della giustizia e della carità.

2485 La menzogna è per sua natura condannabile. È una profanazione della parola, la cui funzione è di comunicare ad altri la verità conosciuta. Il proposito deliberato di indurre il prossimo in errore con affermazioni contrarie alla verità costituisce una mancanza in ordine alla giustizia e alla carità. La colpevolezza è maggiore quando l'intenzione di ingannare rischia di avere conseguenze funeste per coloro che sono sviati dal vero.

2486 La menzogna (essendo una violazione della virtù della veracità) è un'autentica violenza fatta all'altro. Lo colpisce nella sua capacità di conoscere, che è la condizione di ogni giudizio e di ogni decisione. Contiene in germe la divisione degli spiriti e tutti i mali che questa genera. La menzogna è dannosa per ogni società; scalza la fiducia tra gli uomini e lacera il tessuto delle relazioni sociali.

2487 Ogni colpa commessa contro la giustizia e la verità impone il dovere di riparazione, anche se il colpevole è stato perdonato. Quando è impossibile riparare un torto pubblicamente, bisogna farlo in privato; a colui che ha subito un danno, qualora non possa essere risarcito direttamente, va data soddisfazione moralmente, in nome della carità. Tale dovere di riparazione riguarda anche le colpe commesse contro la reputazione altrui. La riparazione, morale e talvolta materiale, deve essere commisurata al danno che è stato arrecato. Essa obbliga in coscienza.

IV. Il rispetto della verità

2488 Il diritto alla comunicazione della verità non è incondizionato. Ognuno deve conformare la propria vita al precetto evangelico dell'amore fraterno. Questo richiede, nelle situazioni concrete, che si vagli se sia opportuno o no rivelare la verità a chi la domanda.

2489 La carità e il rispetto della verità devono suggerire la risposta ad ogni richiesta di informazione o di comunicazione. Il bene e la sicurezza altrui, il rispetto della vita privata, il bene comune sono motivi sufficienti per tacere ciò che è opportuno che non sia conosciuto, oppure per usare un linguaggio discreto. Il dovere di evitare lo scandalo spesso esige una discrezione rigorosa. Nessuno è tenuto a palesare la verità a chi non ha il diritto di conoscerla. 375

2490 Il segreto del sacramento della Riconciliazione è sacro, e non può essere violato per nessun motivo. « Il sigillo sacramentale è inviolabile; pertanto non è assolutamente lecito al confessore tradire anche solo in parte il penitente con parole o in qualunque altro modo e per qualsiasi causa ». 376

2491 I segreti professionali - di cui sono in possesso, per esempio, uomini politici, militari, medici e giuristi - o le confidenze fatte sotto il sigillo del segreto, devono essere serbati, tranne i casi eccezionali in cui la custodia del segreto dovesse causare a chi li confida, a chi ne viene messo a parte, o a terzi danni molto gravi ed evitabili soltanto mediante la divulgazione della verità. Le informazioni private dannose per altri, anche se non sono state confidate sotto il sigillo del segreto, non devono essere divulgate senza un motivo grave e proporzionato.

2492 Ciascuno deve osservare il giusto riserbo riguardo alla vita privata delle persone. I responsabili della comunicazione devono mantenere un giusto equilibrio tra le esigenze del bene comune e il rispetto dei diritti particolari. L'ingerenza dell'informazione nella vita privata di persone impegnate in un'attività politica o pubblica è da condannare nella misura in cui viola la loro intimità e la loro libertà.

V. L'uso dei mezzi di comunicazione sociale

2493 Nella società moderna i mezzi di comunicazione sociale hanno un ruolo di singolare importanza nell'informazione, nella promozione culturale e nella formazione. Tale ruolo cresce in rapporto ai progressi tecnici, alla ricchezza e alla varietà delle notizie trasmesse, all'influenza esercitata sull'opinione pubblica.

2494 L'informazione attraverso i mass-media è al servizio del bene comune. 377 La società ha diritto ad un'informazione fondata sulla verità, la libertà, la giustizia e la solidarietà:

« Il retto esercizio di questo diritto richiede che la comunicazione nel suo contenuto sia sempre vera e, salve la giustizia e la carità, integra; inoltre, nel modo, sia onesta e conveniente, cioè rispetti scrupolosamente le leggi morali, i legittimi diritti e la dignità dell'uomo, sia nella ricerca delle notizie, sia nella loro divulgazione ». 378

2495 « È necessario che tutti i membri della società assolvano, anche in questo settore, i propri doveri di giustizia e di carità. Perciò si adoperino, anche mediante l'uso di questi strumenti, a formare e a diffondere opinioni pubbliche rette ». 379 La solidarietà appare come una conseguenza di una comunicazione vera e giusta, e di una libera circolazione delle idee, che favoriscono la conoscenza ed il rispetto degli altri.

2496 I mezzi di comunicazione sociale (in particolare i mass-media) possono generare una certa passività nei recettori, rendendoli consumatori poco vigili di messaggi o di spettacoli. Di fronte ai mass-media i fruitori si imporranno moderazione e disciplina. Si sentiranno in dovere di formarsi una coscienza illuminata e retta, al fine di resistere più facilmente alle influenze meno oneste.

2497 Proprio per i doveri relativi alla loro professione, i responsabili della stampa hanno l'obbligo, nella diffusione dell'informazione, di servire la verità e di non offendere la carità. Si sforzeranno di rispettare, con pari cura, la natura dei fatti e i limiti del giudizio critico sulle persone. Devono evitare di cadere nella diffamazione.

2498 « Particolari doveri in questo settore incombono sull'autorità civile in vista del bene comune [...]. È infatti compito della stessa autorità, nel suo proprio ambito, difendere e proteggere [...] la vera e giusta libertà di informazione ». 380 Mediante la promulgazione di leggi e l'efficace loro applicazione il potere pubblico provvederà affinché dall'abuso dei media « non derivino gravi danni alla moralità pubblica e al progresso della società ». 381 L'autorità civile punirà la violazione dei diritti di ciascuno alla reputazione e al segreto intorno alla vita privata. A tempo debito e onestamente fornirà le informazioni che riguardano il bene generale o danno risposta alle fondate inquietudini della popolazione. Nulla può giustificare il ricorso a false informazioni per manipolare, mediante i mass-media, l'opinione pubblica. Non si attenterà, con simili interventi, alla libertà degli individui e dei gruppi.

2499 Il senso morale denuncia la piaga degli stati totalitari che sistematicamente falsano la verità, esercitano mediante i mass-media un'egemonia politica sull'opinione pubblica, « manipolano » gli accusati e i testimoni di processi pubblici e credono di consolidare il loro dispotismo soffocando o reprimendo tutto ciò che essi considerano come « delitti d'opinione ».

VI. Verità, bellezza e arte sacra

2500 La pratica del bene si accompagna ad un piacere spirituale gratuito e alla bellezza morale. Allo stesso modo, la verità è congiunta alla gioia e allo splendore della bellezza spirituale. La verità è bella per se stessa. All'uomo, dotato d'intelligenza, è necessaria la verità della parola, espressione razionale della conoscenza della realtà creata ed increata; ma la verità può anche trovare altre forme di espressione umana, complementari, soprattutto quando si tratta di evocare ciò che essa comporta di indicibile, le profondità del cuore umano, le elevazioni dell'anima, il mistero di Dio. Ancora prima di rivelarsi all'uomo mediante parole di verità, Dio si rivela a lui per mezzo del linguaggio universale della creazione, opera della sua Parola, della sua Sapienza: dall'ordine e dall'armonia del cosmo, che sia il bambino sia lo scienziato sanno scoprire, « dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si conosce l'autore » (Sap 13,5), « perché li ha creati lo stesso autore della bellezza » (Sap 13,3).

« La Sapienza è un'emanazione della potenza di Dio, un effluvio genuino della gloria dell'Onnipotente, per questo nulla di contaminato in essa si infiltra. È un riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell'attività di Dio e un'immagine della sua bontà » (Sap 7,25-26). « Essa in realtà è più bella del sole e supera ogni costellazione di astri; paragonata alla luce, risulta superiore; a questa, infatti, succede la notte, ma contro la Sapienza la malvagità non può prevalere » (Sap 7,29-30). « Mi sono innamorato della sua bellezza » (Sap 8,2).

2501 « Creato ad immagine di Dio », 382 l'uomo esprime la verità del suo rapporto con Dio Creatore anche mediante la bellezza delle proprie opere artistiche. L'arte, invero, è una forma di espressione propriamente umana. Al di là dell'inclinazione a soddisfare le necessità vitali, comune a tutte le creature viventi, essa è una sovrabbondanza gratuita della ricchezza interiore dell'essere umano. Frutto di un talento donato dal Creatore e dello sforzo dell'uomo, l'arte è una forma di sapienza pratica che unisce intelligenza e abilità 383 per esprimere la verità di una realtà nel linguaggio accessibile alla vista o all'udito. L'arte comporta inoltre una certa somiglianza con l'attività di Dio nel creato, nella misura in cui trae ispirazione dalla verità e dall'amore per gli esseri. Come ogni altra attività umana, l'arte non ha in sé il proprio fine assoluto, ma è ordinata al fine ultimo dell'uomo e da esso nobilitata. 384

2502 L'arte sacra è vera e bella quando, nella sua forma, corrisponde alla vocazione che le è propria: evocare e glorificare, nella fede e nella adorazione, il mistero trascendente di Dio, bellezza eccelsa di verità e di amore, apparsa in Cristo « irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza » (Eb 1,3), nel quale « abita corporalmente tutta la pienezza della divinità » (Col 2,9), bellezza spirituale riflessa nella santissima Vergine Maria, negli angeli e nei santi. L'autentica arte sacra conduce l'uomo all'adorazione, alla preghiera e all'amore di Dio Creatore e Salvatore, Santo e Santificatore.

2503 Per questo i Vescovi, personalmente o per mezzo di delegati, devono prendersi cura di promuovere l'arte sacra, antica e moderna, in tutte le sue forme, e di tenere lontano, con il medesimo zelo, dalla liturgia e dagli edifici del culto, tutto ciò che non è conforme alla verità della fede e all'autentica bellezza dell'arte sacra. 385

In sintesi

2504 « Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo » (Es 20,16). I discepoli di Cristo hanno rivestito « l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera » (Ef 4,24).

2505 La verità o veracità è la virtù che consiste nel mostrarsi veri nelle proprie azioni e nell'esprimere il vero nelle proprie parole, rifuggendo dalla doppiezza, dalla simulazione e dall'ipocrisia.

2506 Il cristiano non deve vergognarsi « della testimonianza da rendere al Signore » (2 Tm 1,8) in atti e parole. Il martirio è la suprema testimonianza resa alla verità della fede.

2507 Il rispetto della reputazione e dell'onore delle persone proibisce ogni atteggiamento o parola di maldicenza o di calunnia.

2508 La menzogna consiste nel dire il falso con l'intenzione di ingannare il prossimo.

2509 Una colpa commessa contro la verità esige riparazione.

2510 La regola d'oro aiuta a discernere, nelle situazioni concrete, se sia o non sia opportuno palesare la verità a chi la domanda.

2511 « Il sigillo sacramentale è inviolabile ». 386 I segreti professionali vanno serbati. Le confidenze pregiudizievoli per altri non devono essere divulgate.

2512 La società ha diritto a un'informazione fondata sulla verità, sulla libertà, sulla giustizia. È opportuno imporsi moderazione e disciplina nell'uso dei mezzi di comunicazione sociale.

2513 Le belle arti, ma soprattutto l'arte sacra, « per loro natura, hanno relazione con l'infinita bellezza divina, che deve essere in qualche modo espressa dalle opere dell'uomo, e sono tanto più orientate a Dio e all'incremento della sua lode e della sua gloria, in quanto nessun altro fine è loro assegnato se non di contribuire quanto più efficacemente possibile, con le loro opere, a indirizzare pienamente le menti degli uomini a Dio ». 387 


(349) Cf Prv 8,7; 2 Sam 7,28.

(350) Cf Sal 119,142.

(351) Cf Lc 1,50.

(352) Cf Sal 119,30.

(353) Cf Gv 1,14.

(354) Cf Gv 14,6.

(355) Cf Gv 12,46.

(356) Cf Gv 8,31-32.

(357) Cf Gv 17,17.

(358) Cf Gv 14,17.

(359) Cf Gv 14,26.

(360) Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae, 2: AAS 58 (1966) 931.

(361) San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 109, a. 3, ad 1: Ed. Leon. 9, 418.

(362) San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 109, a. 3, c: Ed. Leon. 9, 418.

(363) Cf Gv 18,37.

(364) Cf Mt 18,16.

(365) Concilio Vaticano II, Decr. Ad gentes, 11: AAS 58 (1966) 959.

(366) Sant'Ignazio di Antiochia, Epistula ad Romanos, 4, 1: SC 10bis, p. 110 (Funk 1, 256).

(367) Sant'Ignazio di Antiochia, Epistula ad Romanos, 6, 1: SC 10bis, p. 114 (Funk 1, 258-260).

(368) Martyrium Polycarpi, 14, 2-3: SC 10bis, p. 228 (Funk 1, 330-332).

(369) Cf Prv 19,9.

(370) Cf Prv 18,5.

(371) Cf CIC canone 220.

(372) Cf Sir 21,28.

(373) Sant'Ignazio di Loyola, Exercitia spiritualia, 22: MHSI 100, 164.

(374) Sant'Agostino, De mendacio, 4, 5: CSEL 41, 419 (PL 40, 491).

(375) Cf Sir 27,17; Prv 25,9-10.

(376) CIC canone 983, § 1.

(377) Cf Concilio Vaticano II, Decr. Inter mirifica, 11: AAS 56 (1964) 148-149.

(378) Concilio Vaticano II, Decr. Inter mirifica, 5: AAS 56 (1964) 147.

(379) Concilio Vaticano II, Decr. Inter mirifica, 8: AAS 56 (1964) 148.

(380) Concilio Vaticano II, Decr. Inter mirifica, 12: AAS 56 (1964) 149.

(381) Concilio Vaticano II, Decr. Inter mirifica, 12: AAS 56 (1964) 149.

(382) Cf Gn 1,26.

(383) Cf Sap 7,17.

(384) Cf Pio XII, Messaggio radiofonico (24 dicembre 1955): AAS 48 (1956) 26-41; Id., Messaggio radiofonico ai membri della società dei giovani operai cristiani (J.O.C.) (3 settembre 1950): AAS 42 (1950) 639-642.

(385) Cf Concilio Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 122-127: AAS 56 (1964) 130-132.

(386) CIC canone 983, § 1.

(387) Concilio Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 122: AAS 56 (1964) 130-131.

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