Catechismo
Il Secondo Comandamento: Non nominare il nome di Dio invano
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- Creato: 13 Maggio 2008
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Es. 20,7
"Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascerà impunito chi pronuncia il suo nome invano."
Per capirne il senso è necessario capire il significato che il "nome" aveva presso il popolo ebraico.
1) E' abbastanza conosciuta l'importanza che l'antico oriente dava al nome. Il nome non è un semplice "flatus vocis" o una designazione convenzionale.
- E' parte integrante di chi lo porta
- Ne esprime il ruolo nell'universo
- lo distingue
- lo caratterizza
- chi non ha nome, non esiste (Eccl. 6,10)
La persona si manifesta in maniera misteriosa attraverso il proprio nome. Il nome, per gli orientali è un doppione della persona stessa: lì dov'è il nome, c'è anche la persona.
2) Chi conosce il nome di una persona ha una specie di potere sopra di essa. Per questo molti uomini primitivi celavano il proprio nome (per es. i cronisti delle Indie). Chi possedeva il nome, possedeva anche la persona designata da quel nome.
3) Da questa credenza nel potere del nome, si intuisce l'importanza che il nome rivestiva in materia id culto. Il nome divino appariva come carico della presenza attiva della divinità. E' questo il motivo per cui il nome della divinità svolgeva un ruolo tanto importante nella magia, nella superstizione e negli esorcismi. (Esistono nella letteratura orientale antica, molte testimonianze di testi magici).
L'orientale si sentiva circondato da oscuri poteri divini, per esempio le forse della nautra, che era necessario identificare per renderseli propizii. Per cui era importante conoscere il nome della divinità.
Sulla bocca di un orientale, tali nomi avevano un valore dinamico. Grazie a formule magiche (in cui c'erano inseriti i nomi delle divinità) si pensava di poter captare (piegandolo a proprio vantaggio) il potere della stessa divinità: costringendola a porsi a servizio degli uomini.
4) Invece Dio, aveva rivelato il proprio nome a Mosè (Es. 13,3) e, attraverso Mosè a tutto Israele.
- Spontaneamente, liberamente
- Consegnando il suo nome Jahvè aveva consegnato se stesso
- Nell'antico T. il nome di Jahvè si presenta come un doppione di se stesso. Nel Deut. c'è tutta una teologia del nome di Jahvè.
- Deut. 12,5;14,24: Jahvè fa si che il nome abiti nel tempio che è luogo che egli ha scelto "per collocare in esso il suo nome ed abitarvi", quasi come una presenza personale. Dio è presente in mezzo a Israele mediante la Parola e mediante che abita nel santuario: "Tu abiti in mezzo a noi, e il tuo nome viene invocato su di noi" (Ger 14,9). Per questo il nome di Dio occupa un posto tanto centrale nella vita culturale e religiosa d'Israele. L'Israelita, prega, giura, benedice, maledice e combatte nel nome di Yahvè, cioè pronunciando e invocando il suo nome. Chiunque invoca il nome di Yahvè, sa che può contare con il suo soccorso. Attraverso il suo nome Yahvè si fa presente e difensore (Es. 20-24). I Salmi insistono su valore salvifico del nome di Jahvè: "O Dio salvami, per il tuo nome" (Sal 54,3) "Egli mi guida per retto cammino per amore del suo nome" (Sal 23,3) "Per il tuo nome, perdona Jahvè, i miei peccati fa che viva per la tua giustizia" (Sal 23,11; 143, 11);
"Tu sei in mezzo a noi, Signore, e noi siamo chiamati con il tuo: non abbandonarci Signore nostro Dio" (Ger 14,9)
5) Il nome di Dio, per questo motivo aveva nel culto d'Israele, lo stesso ruolo che le immagini, avevano in altre religioni. Jahvè voleva stare in mezzo al suo popolo mediante il suo Nome. Israele si era raggruppato e riunito intorno al nome di Jahvè. Invocando il nome divino, Israele, aveva accesso al cuore del suo Dio e rimaneva fedele alla sua Alleanza. Rivelato per l'onore di Jahvè e per la salvezza del popolo, questo nome era la sua più grossa responsabilità. Il nome divino era il sostitutivo di Dio: Santo come Jahvè stesso era Santo; apparteneva al dominio del culto e non poteva associarsi nella vita di ogni giorno agli usi profani. Doveva essere venerato, onorato, santificato mai profanato, mai "pronunciato falsamente" (a vuoto).
Ogni uso abusivo, non culturale o profano, del nome di Jahvè, è pertanto formalmente proibito dal secondo comandamento "Non pronunzierai il nome di Jahvè invano, infatti Jahvè non lascia impunito chi pronuncia invano il suo nome" (Es. 20,7).
Israele, cioè, non possedeva il nome di Jahvè in qualità di proprietario, ma di testimone.
6) Dal punto di vista dell'uso magico che si faceva del nome delle divinità nelle religioni che lo circondavano, Israele poteva associare i nome di Jahvè ad usi superstiziosi. Mentre Jahvè rimane sovranamente libero Israele non può usare magicamente il nome divino, nè pretendere di fissare le condizioni a Jahvè, la cui libertà rimane intatta: "Farò passare davanti a te tutto i mio splendore, e pronuncerò davanti a te, il Nome di Jahvè. Ho compassione di chi ho compassione e ho pietà di chi mi pare". (Es. 33,10) In questo modo, qualunque uso magico o superstizioso del nome di Jahvè, veniva proibito dal secondo com.
7) Infine il II° com. proibiva di giurare il falso, poiché ogni giuramento si faceva nel nome di Jahvè, (Lev. 19,12).
GESU' e IL II° COMANDAMENTO
Il nome di Dio
1) Per amore Dio rivelò il suo nome a Israele, nel N.T. Gesù rivelerà ai suoi discepoli il nome che servirà per designare Dio nella vita di cristiana: Padre. Gesù svilupperà questo tema della paternità divina; lo approfondirà e farà che sia compreso nella sua più vasta dimensione.
2) Nel momento stesso in cui Gesù si rivela come Figlio, ci rivela che il nome che esprime con maggiore profondità la realtà di Dio è quello di Padre:
M 11,25; 7,,21-22; 25,34; 26,29; 11,25-27; 6,1;
3) Questa paternità divina è l'unica norma della "nuova giustizia" per quelli che vogliono vivere sotto lo sguardo di Dio: Mt 6,6-7 Gesù esige dai suoi discepoli che:
- Riconoscano Dio come l'unico Padre
- come unica norma di santità
- come ricompensa unica
Dio, pertanto, è il Padre del Regno (Mt 13,43), è il Padre dei suoi discepoli: E' il Padre celeste (che fa discendere dal cielo la salvezza)
4) Il II° C. proibiva l'uso del nome di Dio j(Es 20,7). Presso gli ebrei al tempo di Gesù, questo succedeva nel giuramento frequente e ridicolo. Gesù dirà. Mt 5,33-37Gesù non proibisce il giuramento per cose serie. Lui stesso accetterà di pronunciare il giuramento che il sommo sacerdote da Lui esige (26,63-64).
PAOLO E IL SECONDO COMANDAMENTO
Il nome di Gesù
Anche dopo l'Ascensione del Signore, Paolo e gli altri apostoli utilizzano il sabato per predicare il vangelo ( Atti 13, 14; 16, 13; 18, 4; 17, 3).Ma quasi subito a Gerusalemme, nacque la Domenica. All' inizio la Domenica non sostituiva il sabato, ma era un complemento cristiano. Infatti i primi convertiti dal giudaismo seguitarono a mantenersi fedeli al riposo sabbatico, alle riunioni della sinagoga e alla preghiera al Tempio. Appena celebrata la chiusura del Sabato si riunivano per la celebrazione della cena del Signore: Atti 20, 7.Man mano, però, vengono trasportate alla domenica determinate pratiche che i giudei celebravano il sabato, per es. l'elemosina ( iCor. 16, 1).La fase definitiva ha inizio con l'ingresso di numerosi pagani nella Chiesa, per cui nasce l'interrogativo se essi avessero l'obbligo del Sabato come gli Ebrei. Paolo, applicando il principio della libertà cristiana in relazione alla legge culturale mosaica e del sabato afferma " da allora nessuno si arroghi il diritto di criticarli... in materia di feste o di sabati...questi erano un ombra... ma la realtà è il corpo di Cristo" ( 2,16). Ai Galati Paolo dice che la pratica del Sabato li affranca dall'antica schiavitù degli elementi ( Gal.4, 8-10). I Galati aderendo al giudaismo e alle sue leggi rituali, ricadrebbero sotto il potere degli elementi senza forza e senza valore. Gesù Cristo ci ha liberato dal presene carico delle molteplici pratiche rituali (Gal. 15, 1).
APPLICAZIONI DEL II° COMANDAMENTO
PESCH: suggerisce questa interpretazione: "Non abusare del tuo potere".
- Deut. 5, 11 "non ti servirai del nome di Dio per la menzogna" porta il discorso sul giurare il falso e sullo spergiuro.
- il contenuto biblico porta il discorso sulla libertà di Dio.- evitare l'uso leggero e irrispettoso del nome di Dio (pag. 49)
- evitare di scherzare o di fare l'umorismo su Dio (comprese le barzellette su Dio, la Madonna, i Santi ecc. infatti "Dio non si lascia schernire"(Gal. 6, 7); anzi Dio stesso "ride" di chi lo schernisce (Sal 2,4; 37,13)).
- Certamente viene dal contenuto biblico la proibizione della bestemmia.
- Più sottile è il discorso sull'abuso di potere (pag. 33-36)
Dieci Cardinali:
Lopez Trujillo, riportando le diverse traduzioni del secondo comandamento, fa notare le possibili sfumature che tale comandamento offre oggi:
- Tu ne servirsa pas du nom de Yahveh, ton Dieu, pour le mensogne.
- Tu ne pronanceras pas le nom de Yahvèh, ton Deiu, à faux.
- Tu ne prononceras pas à tort le nom de Yahveh
- Tu ne prononceras pas à la légère le nom de Yahveh
- No tomaras en falso el nombre de Yahveh tu Dios.
- le traduzioni inglesi:
*quella "Good News" traduce: "non nominerai il Nome di Dio per augurare il male"
*quella di Jenni e Westerman: "non userai il nome di Dio per magie"
- proibisce il giuramento falso (Lev. 19, 12. 18); ogni tipo di magia, divinazione; la bestemmia (Lev. 24, 10-23);
- Ez. 36, 20 in parallelo con Ez. 36, 16-23 ed Es. 19, 5-6 fa vedere come tutto il popolo con la buona condotta deve testimoniare il nome di Dio (come in Mt. 5, 16 e Fil. 2, 14-16): la cattiva condotta disonora Dio stesso il cui nome è invocato in mezzo al popolo.
Altri autori inseriscono nel secondo comandamento il discorso sul "voto"=promessa deliberata, fatta liberamente a Dio, di un bene a lui gradito. Le condizioni del voto sono: si tratti di una promessa, deliberata, fatta liberamente, fatta a Dio, di un bene possibile, di un bene migliore di quanto già siamo obbligati a fare. Tutta la materia dei voti privati e pubblici è regolata dalle leggi della Chiesa. La Chiesa stessa può dispensarli o commutarli, secondo criteri e motivi propri.
Catechismo del concilio di Trento/Parte III/Secondo Comandamento
308 Importanza del secondo comandamento
Nel primo comandamento della Legge divina, che comanda di onorare Dio piamente e santamente, è necessariamente incluso questo secondo che segue. Infatti, chi vuole che gli si tributi onore, chiede con questo stesso che si usino a suo riguardo sempre parole rispettose e si evitino termini dispregiativi, come apertamente ricordano le parole di Malachia: "II figlio rispetta il padre e il servo il suo padrone: se io son padre, dov'è l'onore che mi si deve?" (Ml 1,6). Tuttavia, data l'importanza della cosa, Dio volle separatamente emanare e formulare questa Legge sull'onore dovuto al suo nome santissimo e divino.
Tragga di qui il parroco la convinzione che non basta parlare di tale argomento in termini generici. Si tratta di un tema su cui deve fermarsi a lungo, enumerando con ogni cura ai fedeli tutto ciò che vi si riferisce. Non tema mai di eccedere in diligenza, perché non mancano individui cosi accecati nelle tenebre dell'errore da osare di bistrattare, con le parole, chi è glorificato dagli angeli. Non impressionati dalla Legge una volta emanata, costoro non ristanno dall'offendere senza vergogna ogni giorno, ogni ora anzi, e quasi ogni minuto, la maestà di Dio. Non udiamo tutt'intorno giuramenti sprecati per ogni quisquilia, discorsi tutti infiorati di imprecazioni e scongiuri, fino al punto che nulla si vende, si acquista o si contratta, senza far intervenire la solennità di un giuramento, senza usurpare migliaia di volte il nome santissimo di Dio nelle cose più sciocche e insignificanti? Usi dunque il parroco tutta la sua diligenza nell'ammonire spesso i fedeli sulla gravità ripugnante di questa colpa.
Spiegando questo comandamento, non si dimentichi che la Legge implicitamente accoppia alla proibizione l'imposizione di ciò che gli uomini devono fare. Proibizione e imposizione devono essere spiegate però separatamente. In primo luogo, perché più agevole ne sia l'esposizione, si indichi ciò che la Legge comanda, poi quello che proibisce. Comanda che il nome di Dio sia onorato e con esso non si facciano che giuramenti santi; proibisce poi di offenderlo, di invocarlo stoltamente, di giurare con esso alcunché di falso, di vano, di temerario.
309 Come si onora il nome di Dio
Spiegando ai fedeli la parte in cui si comanda di tributare onore al nome divino, il parroco ricordi che con il nome di Dio non si intendono solamente le lettere, le sillabe, il puro vocabolo; si faccia invece riflettere sul suo valore, che designa la maestà onnipotente ed eterna del Dio uno e trino. Si capisce quanto stolta fosse la superstizione di alcuni giudei, che scrivevano il nome di Dio, ma non osavano pronunciarlo, quasi che tutto consistesse nelle quattro lettere ebraiche, anziché nella divina realtà. Sebbene sia detto al singolare: "Non nominare il nome di Dio", il divieto deve applicarsi non a un solo nome speciale, ma a tutti quelli che sogliono attribuirsi a Dio. Essi sono parecchi: per esempio, Signore, Onnipotente, Signore degli eserciti, Re dei re, Forte e altri simili, contenuti nella Scrittura, i quali tutti esigono uguale venerazione. Insegnerà poi in quale modo debba prestarsi il debito onore al nome divino, perché il popolo cristiano, le cui labbra devono sciogliere inni ardenti di lode a Dio, non può ignorare queste cose, utilissime, anzi necessario alla salvezza. Molteplici sono le forme in cui può esprimersi la lode del nome divino, ma in quella che stiamo per citare sembra compresa l'importanza di tutte le altre.
Lodiamo anzitutto il Signore quando, al cospetto di tutti, lo riconosciamo fiduciosi come Dio e Signore nostro, professando insieme e proclamando che Gesù Cristo è l'autore della nostra salvezza. Lo stesso, quando attendiamo amorosamente alla conoscenza della parola con cui si è espressa la volontà di Dio, meditandola assiduamente, studiandola con cura, leggendo o ascoltando, secondo le capacità e le incombenze di ciascuno di noi. Parimenti veneriamo e celebriamo il nome divino, quando celebriamo, per dovere o per sentimento di pietà, le lodi divine e a Dio rendiamo grazie per ogni evento, prospero o avverso che sia. Dice il profeta: "Benedici, o anima mia, il Signore e non dimenticare le sue elargizioni" (Sal 102,2). Sono parecchi i salmi davidici in cui sono soavissimamente cantate, con senso squisito, le lodi di Dio ed è sommamente eloquente il fatto di Giobbe, esempio di pazienza, il quale, piombato in disgrazie terribili, non ristette giammai dal lodare Dio con animo invitto. Anche noi dunque, quando siamo afflitti dai dolori dei sensi e dello spirito, o siamo straziati dalla sventura, rivolgiamo le nostre forze alla lode alta di Dio, con la frase di Giobbe: "Sia benedetto il nome del Signore "(Gb 1,21). Non si loda meno il Signore, però, invocandone fiduciosamente il soccorso affinché ci liberi dai mali, o almeno ci infonda forza e costanza per tollerarli serenamente. Il Signore stesso vuole che cosi facciamo: "Invocami nel dì della tribolazione; ti libererò e tu mi renderai onore" (Sal 49,15). Implorazioni di questo genere trovano mirabili esempi in copiosi passi biblici e specialmente nei salmi 16, 43 e 118.
Infine noi onoriamo il nome di Dio quando, a garanzia della parola data, lo invochiamo a testimone. Simile maniera di onorarlo differisce notevolmente dalle precedenti. Quelle che abbiamo enunciato, infatti, sono di loro natura così commendevoli che nulla v'è per gli uomini di più beatificante e di più desiderabile del trascorrere in esse notte e giorno. David esclama: "Canterò le lodi del Signore in ogni istante; la sua lode fiorirà incessantemente sulle mie labbra" (Sal 33,2). Invece il giuramento, per quanto buono in sé, non può essere lodevolmente usato di frequente. La ragione della divergenza sta nel fatto che il giuramento fu istituito solo per essere un rimedio all'umana fragilità, quale strumento di prova per quanto asseriamo. Ora, come le medicine corporali vanno usate solo quando è necessario e il loro uso frequente rappresenta un pericolo, così il giuramento non può essere benefico se non in caso di grave e seria opportunità. Se troppo spesso è ripetuto, lungi dal giovare, finisce con il recare sensibile danno.
Opportunamente insegna san Giovanni Crisostomo che il giuramento entrò nelle consuetudini umane molto tardi, quando nel mondo, non più giovane, ma adulto, il male si era propagato per lungo e per largo; tutto era fuori del proprio ordine, tutto era perturbato e sconvolto in una vasta confusione e, per disgrazia più grande di ogni altra, gli uomini tutti erano caduti in una ripugnante schiavitù dinanzi agli idoli. Allora, poiché nessuno, in mezzo alla iniqua doppiezza universale, poteva credere alla parola altrui, fu giocoforza invocarvi sopra la testimonianza di Dio.
310 Definizione del giuramento
Nell'ambito di questa parte del comandamento, il fine principale è di istruire i fedeli sul modo di usare santamente il giuramento. Il parroco quindi insegnerà anzitutto che giurare è chiamare Dio in testimonio, qualunque sia la formula adoperata per farlo. Dire: "Dio mi è testimone" o: "Per Iddio" è la stessa cosa. Si ha ancora giuramento quando, per ispirare fiducia, giuriamo nel nome di certe cose create, quali, per esempio, i Vangeli sacri di Dio, la Croce, le reliquie dei santi, il loro nome e simili. Ma poiché simili cose di per sé non sono capaci di conferire autorità e forza a un giuramento (ciò può farlo solo Dio, la cui divina maestà si riflette in esse) ne segue che chi giura per il Vangelo giura per Dio stesso, la verità del quale è contenuta e illustrata nei Vangeli. Lo stesso dicasi dei santi, che furono templi di Dio, credettero nella verità evangelica, la rispettarono con ogni ossequio, la propagarono fra i popoli. Il giuramento è pure implicito in alcune formule di esecrazione, come quella adoperata da san Paolo: "Invoco Dio a testimone contro l'anima mia" (2 Cor 1,23). Chi pronunzia la formula del giuramento in questo modo si sottopone al giudizio di Dio, vendicatore della menzogna. Non neghiamo che alcune di queste formule possono intendersi prive della forza di un giuramento; sarà utile però applicare anche a esse le regole e le osservazioni formulate per il giuramento propriamente detto.
Vi sono due generi di giuramenti: con il primo, detto "assertorio", affermiamo con forza religiosa una cosa passata o presente. Così dice l'Apostolo nella lettera ai Galati: "Dio mi è testimone che io non mentisco" (Gai 1,20). Con il secondo, detto "promissorio", che comprende anche le minacce e riguarda il futuro, promettiamo e assicuriamo una cosa futura. A questa seconda categoria appartiene, per esempio, la promessa solenne fatta da David alla moglie Betsabea, nel nome di Dio, che suo figlio Salomone sarebbe stato l'erede del trono e gli sarebbe succeduto (1 Re, l,28ss).
311 Condizioni del giuramento legittimo
All'essenza del giuramento basta il chiamare Dio in testimone, ma perché esso sia giusto e santo si richiedono parecchie altre condizioni che devono spiegarsi con cura.
Come attesta san Girolamo, le ha brevemente enunciate Geremia, quando scrisse: "Giurerai, viva il Signore, con verità, con ponderazione e con giustizia" (Ger 4,2). Con queste poche parole egli ha riassunto gli elementi del perfetto giuramento: verità, ponderazione del giudizio e giustizia.
Al primo posto nel giuramento deve stare la verità, in quanto l'asserzione giurata deve essere vera e chi la emette la sappia tale, non per una leggera o temeraria congettura, ma in forza di saldissimi argomenti. Anche il giuramento promissorio esige la verità, dovendo colui che promette avere il proposito saldo di mantenere a suo tempo la promessa. L'uomo probo non si disporrà mai a promettere cosa contraria ai santissimi precetti di Dio e quel che avrà promesso di fare con giuramento giammai lo muterà, a meno che la situazione di fatto non sia così sostanzialmente cambiata che mantenere la promessa significherebbe incorrere nell'ira di Dio offeso. Anche David mostra quanto la verità sia necessaria nel giuramento, con il definire giusto colui che giura in favore del prossimo e non sa ingannare (Sal 14,4).
Segue il giudizio ponderato: non si deve giurare avventatamente, ma a ragion veduta. Chi vuol giurare, rifletta anzitutto se ce n'è la necessità e consideri la situazione in tutti i suoi aspetti, per accertarsi che veramente esige il giuramento. Tenga conto del tempo, del luogo e di tutte le altre circostanze. Non si faccia trascinare da odio, da amore o da qualsiasi altro perturbamento spirituale, ma solo dalla necessità delle cose. Se simile accurata indagine non sarà stata premessa, il giuramento sarà senza dubbio temerario, com'è quello di coloro che per le cose più futili, senza alcun serio motivo, quasi per una pessima consuetudine contratta, giurano a ogni istante. Così fanno ogni giorno venditori e compratori: quelli per vendere a più alto prezzo, questi per comprare a più basso; gli uni e gli altri esaltano o deprezzano, giurando, la mercanzia. Poiché i giovanetti mancano, a causa dell'età, di quell'acume che è necessario alla ponderazione richiesta dal giuramento, papa san Cornelio stabili che non si chieda mai il giuramento a ragazzi di età inferiore ai quattordici anni, epoca della pubertà.
Infine la giustizia: questa è necessaria soprattutto nei giuramenti promissori; perciò chi promette il disonesto e l'ingiusto pecca giurando e accumula peccato su peccato, se mantiene la promessa. Abbiamo di ciò un esempio nel Vangelo, dove si narra del re Erode che, vincolato da una perfida promessa, donò in premio alla ballerina la testa di san Giovanni Battista (Me 6,23). E può ricordarsi anche il giuramento degli Ebrei che, secondo il racconto degli Atti degli Apostoli, giurarono di non mangiare finché non avessero ucciso san Paolo (23,12).
Chi rispetti tutte queste clausole e circondi il giuramento con queste condizioni, come altrettanti presidi, potrà con tranquilla coscienza giurare, come si può mostrare con molti argomenti. L'immacolata e santa Legge di Dio non comanda forse: "Temerai il Signore Dio tuo; a lui solo servirai; nel suo nome giurerai"? (Dt 6,13). E David ha lasciato scritto: "Saranno lodati tutti coloro che giureranno nel suo nome" (Sal 62,12). Del resto la Scrittura mostra come gli stessi luminari della Chiesa, i santissimi Apostoli, ricorsero al giuramento, come risulta pure dalle lettere di san Paolo. Si aggiunga che gli stessi angeli giurano talora, poiché è detto nell'Apocalisse di san Giovanni Evangelista che un angelo giurò nel nome di colui che vive nei secoli (10,6). Anzi giura Dio stesso, signore degli angeli. Leggiamo infatti nel Vecchio Testamento che Dio ripetute volte corrobora con giuramento le sue promesse ad Abramo (Gn 22,16; Es 33,1) e a David, il quale esclama a proposito del giuramento di Dio: "Ha giurato il Signore e non se ne pentirà: "Tu sei sacerdote in eterno, secondo l'ordine di Melchisedec" " (Sal 109, 4).
La ragione stessa spiega agevolmente come il giuramento sia lodevole se ne indaghiamo attentamente l'origine e la finalità. Il giuramento infatti nasce dalla fede che gli uomini hanno in Dio, autore di tutta la verità, incapace così di ingannarsi come di ingannare, agli occhi del quale tutto appare senza veli (Eb 4,13), che provvede con meravigliosa provvidenza e regge l'universo. Vivendo in tale fede, gli uomini invocano Dio a testimone della verità, perché è cosa empia non credere a lui. Il giuramento infine tende unicamente a comprovare la giustizia e l'innocenza umana, a chiudere le liti e le controversie, come insegna l'Apostolo nella sua lettera agli Ebrei (Eb 6,16).
A tale dottrina non possono contrapporsi le parole del Salvatore in san Matteo: "Udiste che fu detto agli antichi: "Non spergiurare, ma adempì con il Signore i tuoi giuramenti". Io però vi dico di non giurare in modo alcuno, né per il cielo che è trono di Dio, né per la terra, che è sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, che è la città del gran Re. Non giurare per la tua testa, perché non puoi far bianco o nero un solo capello. Ma sia il vostro parlare: sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno" (Mt 5,33- 37).
Non può infatti scorgersi in queste parole una proibizione formale e generale del giuramento, dal momento che abbiamo visto sopra come lo stesso Signore e gli Apostoli hanno giurato più volte. Dobbiamo pensare piuttosto che Gesù Cristo volle biasimare la distorta opinione dei giudei, che nel giuramento fosse da evitare soltanto la menzogna, finendo con il giurare e con il chiedere l'altrui giuramento ogni momento, per le cose più insignificanti. Il Salvatore deplora questo pessimo costume e impone di astenersi dal giurare, finché non lo richieda una necessità. In realtà il giuramento è nato dalla fragilità umana e dal male; esso sta a indicare l'incostanza di chi giura o la diffidenza di colui per cui giuriamo, deciso a non credere in altra maniera. Però anche il bisogno può essere sufficiente motivo di scusa. La frase del Salvatore: "Sia il vostro parlare: sì, sì; no, no" mostra senza dubbio che il giuramento è da lui vietato nelle conversazioni familiari e che non dobbiamo essere inclinati a emetterlo ogni momento.
Intorno a ciò dovranno essere caldamente ammoniti i fedeli, poiché, come mostrano le Scritture e gli insegnamenti dei Padri, mali pressoché infiniti sgorgano dalla eccessiva facilità a giurare. È scritto nel Siracide: "II tuo labbro non contragga l'abitudine del giurare: essa porta molti al precipizio". E poco dopo: "L'uomo che giura molto si riempirà di cattiveria e i malanni assedieranno la sua casa" (23,9.12). Molte belle considerazioni in materia si trovano nelle opere di san Basilio e di sant'Agostino contro la menzogna.
Fin qui abbiamo parlato di quel che è comandato; parliamo ora di quel che è vietato dal secondo comandamento.
312 Come si pecca contro questo comandamento
Ci viene proibito di invocare invano il nome di Dio. E' quindi chiaro che pecca gravemente chi formula giuramenti senza motivo, ma temerariamente. La gravità della colpa traspare dalle stesse parole: "Non invocherai invano il nome del tuo Dio", quasi volesse così addurre la ragione per cui simile colpa è tanto grave e riprovevole, in quanto lede la maestà di colui che noi riconosciamo come nostro Dio e Signore. È così vietato anzitutto di giurare il falso. Chi non rifugge dal peccato di porre sotto la garanzia di Dio il falso, fa gravissima ingiuria a Dio, attribuendogli o l'ignoranza, per cui suppone che non conosca una determinata verità, o una certa deformità di affetti, per cui lo suppone disposto a corroborare con il proprio nome la menzogna. Né giura falsamente solo colui che con giuramento afferma per vero quanto sa che è falso, ma anche chi giurando sostiene una cosa che, vera in se, è però da lui reputata falsa. Menzogna infatti è asserzione difforme dall'intimo convincimento; perciò anche costui mente ed è spergiuro.
Parimenti è spergiuro chi afferma con giuramento una cosa che ritiene vera, ma che è falsa, sempre nel caso che non abbia adottato tutte le precauzioni per formarsi un concetto chiaro e sicuro della medesima; in tal caso, sebbene fra parola e pensiero vi sia corrispondenza, costui contravviene al precetto. Vi contravviene pure chi promette con giuramento di far qualcosa e poi si propone di non farla, o effettivamente non la fa. Tale valutazione si applica anche a coloro che fecero a Dio un voto e non lo mantengono. Si manca al precetto anche quando manchi la giustizia, uno dei tre coefficienti del giuramento legittimo. Chi giuri di commettere un peccato mortale, un omicidio, per esempio, pecca contro il comandamento, per quanto parli seriamente e sinceramente e il suo giuramento abbia quella nota di verità che già indicammo come indispensabile.
Vanno segnalati anche quei tipi di giuramento che nascono da un sentimento di dispregio, come nel caso di chi giuri di non voler obbedire ai consigli evangelici che esortano al celibato e alla povertà. Sebbene nessuno sia obbligato a osservarli, chi però giuri con solennità di non volerli seguire mostra di disprezzare e calpestare i consigli divini.
Inoltre viola questo precetto e pecca consapevolmente colui che giura il vero, sapendolo tale solo in base a fragili e remote congetture. Infatti, sebbene la verità accompagni simile giuramento, esso in qualche modo implica il falso, in quanto il giurare così negligentemente espone al più grande pericolo di spergiuro. Infine giura abusivamente chi giura per gli dei falsi e bugiardi. Quale cosa più difforme dalla verità che l'invocare a testimoni divinità menzognere e illusorie, al posto del vero Dio?
Vietando lo spergiuro, la Scrittura dice: "Non contaminerai il nome del tuo Dio" (Lv 19,12). È proibirà dunque ogni disistima di tutto ciò a cui, in virtù di questo comandamento, dobbiamo ossequio e, fra l'altro, della parola di Dio, veneranda agli occhi non solo delle persone pie, ma anche delle empie, come mostra nel Libro dei Giudici il racconto che riguarda Eglon re dei Moabiti (3,12ss). Orbene, gravissima ingiuria si arreca alla parola di Dio torcendo la Scrittura dal suo retto significato all'asserzione di dottrine eretiche ed empie. Ci ammonisce in proposito il principe degli Apostoli: " Vi sono nelle Scritture frasi ardue che gli ignoranti e i superficiali fraintendono a loro dannazione" (2 Pt 3.16 ). Parimenti la Sacra Scrittura è contaminata quando le sue venerabili sentenze, da uomini sconsigliati, sono tratte a significati profani, sconvenienti, favolosi, sciocchi, magici, calunniosi e simili. Il sacro Concilio Tridentino vuole che si avverrà che ciò non si può fare senza peccato.
Infine, come onorano Dio coloro che ne implorano il soccorso nelle calamità, così gli negano il dovuto onore coloro che non ne invocano l'aiuto. David li redarguisce: "Non invocarono il Signore e tremarono di paura quando non v'era ragione di temere" (Sal 13, 5).
Ma di ben più detestabile scelleratezza si rendono rei coloro che osano, con labbra vergognosamente impure, bestemmiare e maledire il nome santo di Dio, che tutte le creature dovrebbero magnificare e benedire; oppure il nome dei santi che regnano con Dio.
Questo peccato è così mostruoso che la Scrittura talora, dovendo parlare della bestemmia, preferisce parlare di benedizione (1 Re 21,13).
313 Pene per i trasgressori del precetto
Poiché l'orrore per la punizione e il supplizio suole efficacemente comprimere l'inclinazione a peccare, il parroco che vuole eccitare più vivamente l'animo dei fedeli e stimolarlo al rispetto del comandamento ne spiegherà convenientemente la seconda parte o appendice: "II Signore non riterrà innocente colui che abbia invocato vanamente il nome del Signore stesso, suo Dio" (Es 20,7). Insegni anzitutto che ragionevolmente sono state unite al precetto le minacce che lumeggiano la gravità della colpa e la misericordia divina verso di noi. Egli non si compiace della dannazione degli uomini e, per indurci a evitare la sua ira punitrice, ci atterrisce con salutari minacce, affinché preferiamo sperimentarlo benevolo, anziché irato. Insista dunque il pastore su questo punto con ogni cura; faccia conoscere al popolo l'orrore della colpa, ne insinui più veemente abominazione, affinché i fedeli siano più diligenti nell'evitarla.
Voglia inoltre mostrare come sia sviluppata nell'uomo la tendenza a commetterla, non essendo stato sufficiente promulgare la Legge, poiché fu necessario aggiungerle delle minacce. Non si può immaginare quanto tale considerazione sia proficua. Come nulla è più pernicioso della spavalda sicurezza d'animo, così nulla è più giovevole della consapevolezza della propria nullità. Infine spieghi come Dio non abbia stabilito alcun determinato supplizio, ma semplicemente dichiarato che chiunque si macchia di questo delitto non sfuggirà alla vendetta. Perciò devono esserci di monito le nostre pene quotidiane, potendosi plausibilmente congetturare che gli uomini sono colpiti da sventure perché non obbediscono a questo precetto. E probabile che riflettendo a ciò se ne guarderanno più premurosamente per l'avvenire. In conclusione, ripieni di santo timore, i fedeli fuggano con ogni studio questo peccato. Se nel dì del giudizio ci sarà chiesto conto di ogni parola oziosa (Mt 12,36), che cosa dire dei peccati più gravi, che implicano una diretta offesa al nome divino?
Catechismo della Chiesa Cattolica
PARTE TERZA LA VITA IN CRISTO SEZIONE SECONDA I DIECI COMANDAMENTI
CAPITOLO PRIMO
«AMERAI IL SIGNORE DIO TUO CON TUTTO IL TUO CUORE,
CON TUTTA LA TUA ANIMA E CON TUTTA LA TUA MENTE»
ARTICOLO 2
IL SECONDO COMANDAMENTO
« Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio » (Es 20,7).89
« Fu detto agli antichi: "Non spergiurare" [...]. Ma io vi dico: Non giurate affatto » (Mt 5,33-34).
I. Il nome del Signore è santo
2142 Il secondo comandamento prescrive di rispettare il nome del Signore. Come il primo comandamento, deriva dalla virtù della religione e regola in particolare il nostro uso della parola a proposito delle cose sante.
2143 Tra tutte le parole della Rivelazione ve ne è una singolare, che è la rivelazione del nome di Dio, che egli svela a coloro che credono in lui; egli si rivela ad essi nel suo mistero personale. Il dono del nome appartiene all'ordine della confidenza e dell'intimità. « Il nome del Signore è santo ». Per questo l'uomo non può abusarne. Lo deve custodire nella memoria in un silenzio di adorazione piena d'amore.90 Non lo inserirà tra le sue parole, se non per benedirlo, lodarlo e glorificarlo.91
2144 Il rispetto per il nome di Dio esprime quello dovuto al suo stesso mistero e a tutta la realtà sacra da esso evocata. Il senso del sacro fa parte della virtù della religione:
« Il sentimento di timore e il sentimento del sacro sono sentimenti cristiani o no? [...] Nessuno può ragionevolmente dubitarne. Sono i sentimenti che palpiterebbero in noi, e con forte intensità, se avessimo la visione della Maestà di Dio. Sono i sentimenti che proveremmo se ci rendessimo conto della sua presenza. Nella misura in cui crediamo che Dio è presente, dobbiamo avvertirli. Se non li avvertiamo, è perché non percepiamo, non crediamo che egli è presente ».92
2145 Il fedele deve testimoniare il nome del Signore, confessando la propria fede senza cedere alla paura.93 L'atto della predicazione e l'atto della catechesi devono essere compenetrati di adorazione e di rispetto per il nome del Signore nostro Gesù Cristo.
2146 Il secondo comandamento proibisce l'abuso del nome di Dio, cioè ogni uso sconveniente del nome di Dio, di Gesù Cristo, della Vergine Maria e di tutti i santi.
2147 Le promesse fatte ad altri nel nome di Dio impegnano l'onore, la fedeltà, la veracità e l'autorità divine. Esse devono essere mantenute, per giustizia. Essere infedeli a queste promesse equivale ad abusare del nome di Dio e, in qualche modo, a fare di Dio un bugiardo.94
2148 La bestemmia si oppone direttamente al secondo comandamento. Consiste nel proferire contro Dio - interiormente o esteriormente - parole di odio, di rimprovero, di sfida, nel parlare male di Dio, nel mancare di rispetto verso di lui nei propositi, nell'abusare del nome di Dio. San Giacomo disapprova coloro « che bestemmiano il bel nome [di Gesù] che è stato invocato » sopra di loro (Gc 2,7). La proibizione della bestemmia si estende alle parole contro la Chiesa di Cristo, i santi, le cose sacre. È blasfemo anche ricorrere al nome di Dio per mascherare pratiche criminali, ridurre popoli in schiavitù, torturare o mettere a morte. L'abuso del nome di Dio per commettere un crimine provoca il rigetto della religione.
La bestemmia è contraria al rispetto dovuto a Dio e al suo santo nome. Per sua natura è un peccato grave.95
2149 Le imprecazioni, in cui viene inserito il nome di Dio senza intenzione di bestemmia, sono una mancanza di rispetto verso il Signore. Il secondo comandamento proibisce anche l'uso magico del nome divino:
« Il nome di Dio è grande laddove lo si pronuncia con il rispetto dovuto alla sua grandezza e alla sua maestà. Il nome di Dio è santo laddove lo si nomina con venerazione e con il timore di offenderlo ».96
II. Il nome di Dio pronunciato invano
2150 Il secondo comandamento proibisce il falso giuramento. Fare promessa solenne o giurare è prendere Dio come testimone di ciò che si afferma. È invocare la veracità divina a garanzia della propria veracità. Il giuramento impegna il nome del Signore. « Temerai il Signore Dio tuo, lo servirai e giurerai per il suo nome » (Dt 6,13).
2151 Astenersi dal falso giuramento è un dovere verso Dio. Come Creatore e Signore, Dio è la norma di ogni verità. La parola umana è in accordo con Dio oppure in opposizione a lui che è la stessa verità. Quando il giuramento è veridico e legittimo, mette in luce il rapporto della parola umana con la verità di Dio. Il giuramento falso chiama Dio ad essere testimone di una menzogna.
2152 È spergiuro colui che, sotto giuramento, fa una promessa con l'intenzione di non mantenerla, o che, dopo aver promesso sotto giuramento, non vi si attiene. Lo spergiuro costituisce una grave mancanza di rispetto verso il Signore di ogni parola. Impegnarsi con giuramento a compiere un'opera cattiva è contrario alla santità del nome divino.
2153 Gesù ha esposto il secondo comandamento nel discorso della montagna: « Avete inteso che fu detto agli antichi: "Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti!". Ma io vi dico: non giurate affatto [...]. Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno » (Mt 5,33-34.37).97 Gesù insegna che ogni giuramento implica un riferimento a Dio e che la presenza di Dio e della sua verità deve essere onorata in ogni parola. La discrezione del ricorso a Dio nel parlare procede di pari passo con l'attenzione rispettosa per la sua presenza, testimoniata o schernita, in ogni nostra affermazione.
2154 Seguendo san Paolo,98 la Tradizione della Chiesa ha inteso che la parola di Gesù non si oppone al giuramento, allorché viene fatto per un motivo grave e giusto (per esempio davanti ad un tribunale). « Il giuramento, ossia l'invocazione del nome di Dio a testimonianza della verità, non può essere prestato se non secondo verità, prudenza e giustizia ».99
2155 La santità del nome divino esige che non si faccia ricorso ad esso per cose futili e che non si presti giuramento in quelle circostanze in cui esso potrebbe essere interpretato come un'approvazione del potere da cui ingiustamente venisse richiesto. Quando il giuramento è esigito da autorità civili illegittime, può essere rifiutato. Deve esserlo allorché è richiesto per fini contrari alla dignità delle persone o alla comunione ecclesiale.
2156 Il sacramento del Battesimo è conferito « nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo » (Mt 28,19). Nel Battesimo il nome del Signore santifica l'uomo e il cristiano riceve il proprio nome nella Chiesa. Può essere il nome di un santo, cioè di un discepolo che ha vissuto con esemplare fedeltà al suo Signore. Il patrocinio del santo offre un modello di carità ed assicura la sua intercessione. Il « nome di Battesimo » può anche esprimere un mistero cristiano o una virtù cristiana. « I genitori, i padrini e il parroco abbiano cura che non venga imposto un nome estraneo al senso cristiano ». 100
2157 Il cristiano incomincia la sua giornata, le sue preghiere, le sue azioni con il segno della croce, « nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen ». Il battezzato consacra la giornata alla gloria di Dio e invoca la grazia del Salvatore, la quale gli permette di agire nello Spirito come figlio del Padre. Il segno della croce ci fortifica nelle tentazioni e nelle difficoltà.
2158 Dio chiama ciascuno per nome. 101 Il nome di ogni uomo è sacro. Il nome è l'icona della persona. Esige il rispetto, come segno della dignità di colui che lo porta.
2159 Il nome ricevuto è un nome eterno. Nel Regno, il carattere misterioso ed unico di ogni persona segnata dal nome di Dio risplenderà in piena luce. « Al vincitore darò [...] una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all'infuori di chi la riceve » (Ap 2,17). « Poi guardai ed ecco l'Agnello ritto sul monte Sion e insieme centoquarantaquattromila persone che recavano scritto sulla fronte il suo nome e il nome del Padre suo » (Ap 14,1).
2160 « O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra! » (Sal 8,2).
2161 Il secondo comandamento prescrive di rispettare il nome del Signore. Il nome del Signore è santo.
2162 Il secondo comandamento proibisce ogni uso sconveniente del nome di Dio. La bestemmia consiste nell'usare il nome di Dio, di Gesù Cristo, della Vergine Maria e dei santi in un modo ingiurioso.
2163 Il falso giuramento chiama Dio come testimone di una menzogna. Lo spergiuro è una mancanza grave contro il Signore, sempre fedele alle sue promesse.
2164 « Non giurare né per il Creatore, né per la creatura, se non con verità, per necessità e con riverenza ». 102
2165 Nel Battesimo, il cristiano riceve il proprio nome nella Chiesa. I genitori, i padrini e il parroco avranno cura che gli venga dato un nome cristiano. Essere sotto il patrocinio di un santo significa avere in lui un modello di carità e un sicuro intercessore.
2166 Il cristiano incomincia le sue preghiere e le sue azioni con il segno della croce « nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen ».
2167 Dio chiama ciascuno per nome. 103
(89) Cf Dt 5,11.
(90) Cf Zc 2,17.
(91) Cf Sal 29,2; 96,2; 113,1-2.
(92)John Henry Newman, Parochial and Plain Sermons, v. 5, Sermon 2 [Reverence, a Belief in God's Presence] (Westminster 1967) p. 21-22.
(93) Cf Mt 10,32; 1 Tm 6,12.
(94) Cf 1 Gv 1,10.
(95) Cf CIC canone 1369.
(96)Sant'Agostino, De sermone Domini in monte, 2, 5, 19: CCL 35, 109 (PL 34, 1278).
(97) Cf Gc 5,12.
(98) Cf 2 Cor 1,23; Gal 1,20.
(99)CIC canone 1199, § 1.
(100)CIC canone 855.
(101) Cf Is 43,1; Gv 10,3.
(102)Sant'Ignazio di Loyola, Exercitia spiritualia, 38: MHSI 100, 174.
(103) Cf Is 43,1.