Rassegna stampa formazione e catechesi

Con l’humilitas del catechista

papa luciani2Inaugurata la nuova sede del museo dedicato ad Albino Luciani

Un prete che non ha mai smesso di vivere l’humulitas, fedele al motto che si era cucito addosso, e di fare il catechista, neppure nei trentatré giorni di pontificato. Con l’auspicio che la causa di canonizzazione ne riconosca presto la santità, la piccolezza, l’umiltà e la semplicità, il cardinale Pietro Parolin ha voluto ricordare Giovanni Paolo I a trentotto anni dall’elezione alla cattedra di Pietro. Nel pomeriggio di venerdì 26 agosto, a Canale d’Agordo, paese natale di Albino Luciani, il segretario di Stato ha celebrato la messa.
Presenti il vescovo emerito di Belluno-Feltre, monsignor Giuseppe Andrich, con il nuovo pastore, monsignor Renato Marangoni. Successivamente il porporato ha inaugurato la nuova sede del museo, che vuol essere «un faro per illuminare il mondo con la scintilla della carità e con il messaggio che Papa Luciani ci ha lasciato». Portando anzitutto il saluto di Papa Francesco, il cardinale ha ricordato il profondo legame di Giovanni Paolo I con la sua terra. «Ci troviamo nella piazza adiacente la pieve di San Giovanni Battista, che è stata testimone delle tappe principali della sua vita cristiana» ha fatto subito notare, aggiungendo: «È qui che ha completato i riti battesimali il 19 ottobre 1912, dopo che Maria Fiocco, la levatrice, l’aveva battezzato appena nato, temendo per la sua vita». È sempre «qui che, dall’età di cinque anni, iniziò a prestare servizio come chierichetto». Ed «è ancora qui che ha ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana e, l’8 luglio 1935, ha celebrato la sua prima messa». Inoltre «vi ha trascorso anche un breve periodo come cappellano, dal luglio al dicembre 1935: qui insegnava catechismo, confessava i ragazzi, amministrava i sacramenti. E quando mancava l’organista titolare si metteva anche a suonare». Questo legame «non si è mai interrotto e ogni giorno l’afflusso di fedeli e di pellegrini lo rafforza e lo rinnova». Riferendosi poi al brano evangelico che parla delle beatitudini, proposto dalla liturgia, il cardinale ha fatto riferimento «ai misericordiosi: un’occasione per ricordare l’anno santo straordinario indetto da Papa Francesco». Si tratta, ha spiegato, di «un tempo forte da vivere all’insegna della misericordia: se eserciteremo la misericordia, potremo anche noi essere annoverati tra coloro che il Vangelo indica come beati». Inoltre, nella prima lettura, «il profeta Isaia ci invita a tornare a Dio con fiducia, perché egli è pieno di misericordia nei confronti del peccatore pentito: è prima di tutto un Padre, anzi, per riprendere l’espressione di Papa Luciani usata all’Angelus del 10 settembre 1978, “è papà; più ancora è madre... non vuol farci del male; vuol farci solo del bene, a tutti. I figlioli, se per caso sono malati, hanno un titolo di più per essere amati dalla mamma”». Queste parole di Giovanni Paolo I, ha proseguito il cardinale Parolin, «fanno riflettere perché ha mostrato al mondo la tenerezza di Dio, la sua misericordia, la sua compassione: è stato una manifestazione particolarmente luminosa e trasparente della misericordia divina tra gli uomini, un segno tangibile dell’amore del Padre nei confronti dell’umanità». Il segretario di Stato si è detto certo che «la causa di canonizzazione in corso, di cui è postulatore il cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione del clero, che ebbe Luciani come suo vescovo a Vittorio Veneto, contribuirà certamente a far emergere questa ricchezza di una vita e di un’opera esemplare». Del resto, ha insistito, «la piccolezza, l’umiltà e la semplicità sono state le caratteristiche principali di Albino Luciani». E «lo stesso motto scelto per lo stemma episcopale, humilitas, mutuato da san Carlo Borromeo, esprime al meglio questa sua attitudine abituale». Non a caso il cardinale Parolin ha citato l’omelia del 6 gennaio 1959, tenuta proprio nella pieve di San Giovanni Battista da Luciani appena fresco di nomina a vescovo di Vittorio Veneto: «Io sono — disse — il piccolo di una volta, io sono colui che viene dai campi, io sono la pura e povera polvere; su questa polvere il Signore ha scritto la dignità episcopale dell’illustre diocesi di Vittorio Veneto. Se qualche cosa mai di buono salterà fuori da tutto questo, sia ben chiaro fin da adesso: è solo frutto della bontà, della grazia, della misericordia del Signore». Proprio in questa eloquente frase, ha detto il porporato, «è contenuta tutta la ricchezza spirituale di Luciani: ogni progresso spirituale, ogni opera di bene compiuta, ogni gesto realizzato a favore del prossimo vengono da lui ricondotti alla bontà di Dio». Ma «ciò è stato possibile in lui perché ha lasciato spazio all’azione dello Spirito Santo, ha permesso a Cristo di crescere dentro di sé, e si è abbandonato alla Provvidenza». Davvero Luciani «è stato l’uomo della fiducia completa nel Signore, dal quale si sentiva amato e cercato: ha sempre considerato ogni sua esperienza spirituale come un dono della misericordia divina». E «grazie a questa certezza, aveva imparato a riconoscere la mano di Dio anche negli eventi più imprevisti e pieni di difficoltà». «Nella consapevolezza di aver ricevuto un dono dall’alto — ha spiegato il segretario di Stato — Luciani crebbe sempre più nella virtù dell’umiltà, considerandosi solo un servo inutile nelle mani del Signore». Ma questa umiltà «nascondeva la sua grande cultura, che aveva messo al servizio del regno di Dio. Da uomo colto qual era riusciva a farsi comprendere da gente di ogni estrazione sociale. Aveva il dono della comunicazione. Le persone che lo ascoltavano percepivano che la parola che usciva dalla sua bocca era sincera, corrispondeva al profondo sentire dell’anima. Non vi era in lui dicotomia tra il vissuto e il predicato. Era il primo a dare l’esempio di quanto i valori del Vangelo fossero autentici e fonte di vita per gli uomini. Aveva ben chiaro che per trasmettere il messaggio di salvezza di Cristo doveva farsi tutto a tutti ed entrare in sintonia con i suoi interlocutori». Del resto, ha annotato il porporato, «da più parti è stata sottolineata una delle sue qualità: quella di catechista. Nel vero senso etimologico del termine: istruire a voce. Insegnare cioè a piccoli e adulti il Vangelo e il magistero della Chiesa. Con uno stile paterno, affabile, limpido e, al tempo stesso, avvincente». Albino Luciani «aveva la capacità di far arrivare la sua parola a tutti e di sintetizzare i dogmi della fede e i precetti rendendoli familiari. Evitava lunghi ed elaborati discorsi e interpretazioni difficili. Il suo obiettivo era di formare i battezzati e farli maturare nella fede. Egli era un catechista nell’anima e anche da vescovo non perse mai occasione di raccomandare ai suoi sacerdoti di occuparsi del catechismo». Luciani, ha spiegato il cardinale, «aveva un’empatia innata, il dono di immedesimarsi negli altri, nelle loro gioie come nelle loro difficoltà, nelle loro attese, come nei loro disagi. Una sintonia che si nutriva dall’amore di Dio che divenne fonte di amore verso il prossimo». A questo proposito, è significativo quanto affermò durante la presa di possesso della cattedra romana nella basilica Lateranense il 23 settembre 1978, a soli sei giorni dalla sua morte: «È legge di Dio — disse — che non si possa fare del bene a qualcuno, se prima non gli si vuole bene. Per questo, san Pio X, entrando patriarca a Venezia, aveva esclamato in San Marco: cosa sarebbe di me, veneziani, se non vi amassi? Io dico ai romani qualcosa di simile: posso assicurarvi che vi amo, che desidero solo entrare al vostro servizio e mettere a disposizione di tutti le mie povere forze, quel poco che ho e che sono». Sono parole, ha affermato il porporato, «che mettono in luce cosa intendesse Giovanni Paolo I per ministero episcopale e ministero petrino: un atto di amore e di servizio nei confronti dei fratelli a lui affidati. Sentiva questa paternità come una missione a cui il Signore lo chiamava. Non poteva sottrarsi alla richiesta di Dio, perché era convinto che, se era stato scelto, la grazia divina non gli sarebbe mai mancata per portare a compimento il suo dovere. Il ministero sacerdotale era, quindi, per lui la massima espressione dell’amore verso i fratelli». È con questa certezza, ha concluso il cardinale Parolin, che «Giovanni Paolo I continua ancora oggi a invitare tutti noi a sentire vivamente presente l’amore di Dio».

© Osservatore Romano - 27 agosto 2016